Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale il più rapidamente possibile, risollevare le sorti dell’economia. Quando il 3 febbraio dello scorso anno il presidente Mattarella affidò l’incarico di formare il governo a Draghi furono questi gli obiettivi della “missione”. La campagna vaccinale era da poco iniziata, il 27 dicembre 2020 e l’Italia era reduce da un anno segnato da un pesantissimo lockdown. Poco dopo Draghi avrebbe chiamato come commissario straordinario all’emergenza il generale Figliuolo. E in pochi mesi avrebbe messo in moto una macchina di decreti di legge, in rapida successione a partire dal 22 luglio in poi, per introdurre restrizioni capaci di far capitolare i renitenti al vaccino, garantire l’apertura di scuole e università, ridare ossigeno alle attività economiche. Il Paese, però, alla normalità non è ancora tornato. La pandemia di Covid con la variante Omicron lo ha nuovamente travolto (solo ieri oltre 192 mila nuovi contagi e 380 morti) mentre alla fine dello scorso anno mancavano ancora all’appello delle vaccinazioni ben 6,6 milioni di persone (18 dicembre, dato Iss).
Ma torniamo al luglio scorso, quando il Consiglio dei ministri approva il decreto legge 105, che prevede l’obbligo del Green pass per accedere a ristoranti e bar al chiuso, musei, stadi, palestre, piscine. Un vincolo che entra in vigore dal 6 agosto. Nel presentarlo, in conferenza stampa, il premier Draghi disse: “L’estate è già serena e vogliamo che rimanga tale. Il Green pass è una misura per potersi divertire, andare al ristorante, partecipare a spettacoli all’aperto e al chiuso con la garanzia di ritrovarsi con persone che non sono contagiose. È una misura che dà serenità e non toglie serenità”. Passerà non molto tempo per comprendere che quanto affermato dal premier fosse un’illusione: a una settimana da quella conferenza stampa, sarà Anthony Fauci a spiegare al mondo – prima ancora dei dati di Israele che lo certificheranno a fine estate – che “con la variante Delta anche i vaccinati possono infettarsi, pur se raramente, e da infettati possono trasmettere il virus”. Col decreto legge pubblicato il 6 agosto ci si pone il problema per la partenza in sicurezza di scuola e trasporti, estendendo l’obbligo del certificato verde ai docenti e personale Ata a partire da settembre. L’estate passa “serena”, della campagna sulle terze dosi nessuno parla. Seguiranno, fino a oggi, altri 5 decreti legge. Quello del 21 settembre (n. 127) per introdurre l’obbligo di Green pass per tutti i lavoratori a partire dal 15 ottobre. Poi ancora: il 26 novembre (n. 172) per estendere l’obbligo vaccinale a docenti, militari, forze dell’ordine, personale amministrativo della sanità, e per ridurre la validità del certificato da 12 a 9 mesi (il pass diventa lasciapassare indispensabile anche per treni e trasporto pubblico locale). Il 23 dicembre arriva il decreto “Salva Natale” (n. 221), che definisce l’estensione del certificato rafforzato (per vaccinati e guariti) anche per il consumo al banco di bar e ristoranti, introduce l’obbligo di mascherine FFP2 su mezzi pubblici, nei cinema, negli stadi, dà il via libera alla terza dose. “Ve lo ricordate il Natale dell’anno scorso? Vogliamo conservare un Natale come quello che c’era prima della pandemia? Questo sarà un Natale normale per i vaccinati. Questi vari interventi servono a dare certezze alla stagione turistica”. Il 29 dicembre un altro inasprimento, con il Super green pass anche per hotel, ristoranti all’aperto, impianti da sci e, soprattutto, l’introduzione del “sudoku” delle nuove regole per la quarantena per chi entra in contatto con un positivo da vaccinato. Infine, eccoci al 5 gennaio, con l’ultimo decreto che dispone l’obbligo di vaccinazione per gli over 50, Super Green pass per i lavoratori a partire dal 15 febbraio ed estensione del Green pass base per accedere a una serie di servizi per la persona come parrucchieri ed estetiste.
Ma a cosa sono serviti questi provvedimenti? Sono serviti a vincere le resistenze dei no vax e a contrastare i contagi? Solo in parte. Prendiamo, per esempio, una data chiave: il 16 ottobre, subito dopo l’introduzione dell’obbligo del certificato sui luoghi di lavoro. A quella data i non vaccinati over 12 sono più di 8,6 milioni (dati Iss). Uno studio europeo condotto da un gruppo di economisti e matematici di Bruegel e del Conseil d’Analyse economique che ha valutato l’impatto sull’economia dei pass in Francia, Germania e Italia, ha concluso che il certificato funziona, ha un “robusto effetto” sui tassi di vaccinazione, sui dati sanitari e sull’economia. Eppure da quel 16 ottobre i vaccinati, alla data del 18 dicembre, i “renitenti” che si sono convinti a vaccinarsi sono circa 2 milioni. E che il sistema del Green pass, a conti fatti, abbia influito in modo limitato sulla diffusione dell’epidemia, lo conferma il confronto con gli altri due “virtuosi” della vaccinazione, che non hanno mai introdotto il sistema del certificato, ossia Spagna e Portogallo. In Italia il ciclo vaccinale è stato completato dal 79,32% della popolazione totale (se guardiamo alla popolazione dai 5 anni in su siamo all’81,82%; 87% se consideriamo dagli over 12 in su), in Spagna dall’81,69, in Portogallo addirittura dal 90%. L’andamento esponenziale della crescita dei contagi nell’ultimo mese è pressoché parallelo per Italia e Spagna (che al 18 gennaio hanno raggiunto rispettivamente quota 2.942 e 2.382 casi ogni milione di abitanti) e superiore in Portogallo (3.613 casi), che, però, testa molto di più (23,50 tamponi al giorno ogni mille abitanti contro 16,72 di Italia e 7,54 di Spagna). E nella triste graduatoria delle vittime è l’Italia a registrare il dato peggiore: 5,36 morti ogni milione di abitanti, contro i 3,08 del Portogallo e il 2,73 della Spagna.
Questo perché, come più di un autorevole scienziato ha sottolineato, i pass vaccinali sono misure che, a maggior ragione con il diffondersi della variante Omicron, non hanno alcuna validità in termini di protezione sanitaria, ma solo politica. Anche perché, soprattutto ora, con l’alta contagiosità di Omicron e l’immunità naturale che ne consegue, il vaccino rappresenta in primo luogo una forma di protezione individuale, e non di comunità. Ieri il premier britannico Boris Johnson ha annunciato che dal 26 gennaio nel Regno Unito non saranno più in vigore le norme anti-Covid, a partire dal pass rafforzato – una versione del mini Green pass italiano – che non sarà più necessario. Israele, ha già annunciato lo stesso avviso: “Il passaporto vaccinale nell’era Omicron non è più rilevante e dovrà essere eliminato”, ha detto ieri il professor Cyrille Cohen, membro del comitato consultivo per i vaccini e noto immunologo. Insomma, l’era del Green pass sembra essere finita.
Se andiamo a rivedere la serie storica delle somministrazioni delle prime dosi di vaccino a partire dal decreto approvato il 22 luglio, e che ha dato il primo giro di vite, vediamo che dal 25 dello stesso mese al 13 agosto l’effetto sembra esserci (le prime dosi si mantengono quasi sempre e abbondantemente sopra la soglia delle 100 mila) per poi sfumare però progressivamente. Dal 21 settembre – quando viene dato il via libera all’obbligo del certificato sul luogo di lavoro – al 15 ottobre – quando tale obbligo entra in vigore – le prime dosi giornaliere solo in sei occasioni superano le 80 mila. E si continua a scendere progressivamente. Anche a cavallo delle festività, nonostante gli inasprimenti previsti dal decreto Salva Natale: tra il 27 dicembre e la fine dell’anno solo una volta le somministrazioni oltrepassano, e di poco, quota 60 mila. Arriviamo agli effetti del decreto Omicron, con l’obbligo vaccinale per gli over 50, una platea da raggiungere che il 5 gennaio è di circa 2,3 milioni di persone. Le prime dosi sembrano riprendere a correre, si arriva persino, il 15 gennaio, a superare le 95 mila. Un fuoco di paglia? Forse, visto che nei giorni successivi crollano a nemmeno 64 mila (16 gennaio) e 56.679 (17 gennaio). Facendo anche solo l’ipotesi che tutte le prime dosi eseguite dall’entrata in vigore del decreto Omicron siano state fatte a persone ultracinquantenni, potremmo dire che solo poco più di uno su tre è stato raggiunto, il 36,28%. Ma ovviamente le vaccinazioni non avranno riguardato solo gli over 50. A ricordare che la missione non è ancora compiuta, semmai ce ne fosse bisogno, c’è l’Oms col suo aggiornamento sulla situazione pandemica: l’Italia resta tra i 5 Paesi del mondo che hanno registrato il maggior numero di nuovi casi in 7 giorni, oltre 1,2 milioni, in aumento del 25% rispetto alla settimana precedente, contro un +20% segnalato a livello globale.