Se non ci fossero in ballo un miliardo e mezzo di diritti televisivi e la sopravvivenza di molti club di A, la partita della Lega Calcio si potrebbe chiudere con una banale freddura a sfondo botanico: un Dal-Pino al posto di un Abete (che ha rispettato scadenze, mandato e parola, rifiutando fino all’ultimo le lusinghe per passare da commissario a presidente). Ma la realtà è molto più seria e complessa, legata all’ennesimo scontro tra le due cordate di padroni del vapore che puntano al controllo della Lega di A, quella che gli umoristi chiamano “la Confindustria del pallone”.
Lotito batte Agnelli 3-0 è il titolo più facile per la movimentata assemblea che ha consegnato a Paolo Dal Pino – manager internazionale nel campo dell’editoria e dell’informatica – i comandi della locomotiva di tutto il calcio italiano. Un outsider, si direbbe, ma non tutti ricordano che nei mesi scorsi i cacciatori di teste avevano individuato in Dal Pino un possibile amministratore delegato per la Lega di A, cioè “un manager per aumentare i ricavi”, secondo la definizione un po’ brutale ma efficace di Lotito. Fu affondato da Malagò, allora commissario straordinario a Milano, che gli preferì De Siervo. Ma è proprio attorno all’identikit di Dal Pino che ruota la soluzione trovata con una maggioranza appena sufficiente: 12 voti contro 7 per Miccichè, una scheda bianca. La partenza è in salita. Il piano di Lotito e soci, però, sta prendendo forma: i poteri del presidente di Lega sono limitati oggi a un’attività di coordinamento e di rappresentanza, tutto quello che conta davvero è nelle mani dell’ad. Forte di un contratto con scadenza 2021,De Siervo non ha intenzione di mollare, mentre l’obiettivo è quello di depotenziarlo, cambiare lo Statuto e trasferire al neo presidente deleghe e competenze per la parte economico-finanziaria. A cominciare dalla guerra Mediapro-Sky per la grande abbuffata dei diritti tv.
Dal Pino, quindi, non solo presidente, ma anche il nuovo “uomo dei ricavi”, con la prospettiva e la speranza di arrivare a 2 miliardi di euro nel prossimo contratto 2021-2024. Per lui fa il tifo tutto il calcio professionistico, pronto a chiedere una fettina in più di “torta”: la Serie B di Balata, poche idee ma sempre a caccia di soldi, e la Serie C di Ghirelli, impantanata in un duello a distanza con il ministro Gualtieri per prendere ossigeno da benefici economici sotto forma di defiscalizzazione. Di fronte a interessi malcelati e quasi sempre egoistici, in una strana alleanza che fa storcere il naso ai rispettivi ultras, pur di far vincere il suo candidato, Claudio Lotito è andato a braccetto con la Roma e con l’eterno rivale Aurelio De Laurentiis con il quale condivide anche il problema delle multiproprietà (la Salernitana per il patron della Lazio, il Bari per quello del Napoli, ma su questo è la Figc che decide). Se riuscirà a passare dal fair play del tennis (elegante giocatore di club, salito in classifica fino all’attuale Serie B) all’arena del calcio con la stessa grinta che metteva sulla terra rossa, Paolo Dal Pino avrà 6/8 mesi di tempo per dare ragione ai suoi sostenitori. Ma soprattutto per convincere chi non lo ha votato e ha finito invece per esporre Gaetano Miccichè – presidente di Banca Imi e consigliere di amministrazione della Rcs di Cairo – a un secondo flop.
Nell’alleanza anti Dal Pino non mancano pezzi da novanta e reparti di artiglieria pesante: Urbano Cairo, che oltre al Torino, è proprietario di Gazzetta dello sport, Corriere della Sera e La 7 ; Antonello e Marotta, gestori dell’Inter con i capitali cinesi; Andrea Agnelli, presidente della Juventus e membro dell’Esecutivo Uefa. Almeno in quest’ultimo caso, in un mondo di interessi ma pur sempre di passioni sportive, Dal Pino parte con un vantaggio da non sottovalutare: una provata e indiscussa fede juventina.