Sono sbarcata a Kangaroo Island tre anni fa, in una fredda giornata di dicembre. Era metà pomeriggio, io e i miei amici non avevamo pranzato, il mio hotel era a circa un’ora di macchina dal piccolo porto dell’isola e decidemmo di fermarci a mangiare un fish&chips in un baretto affacciato sull’oceano. “Se dovete raggiungere quell’hotel vi conviene partire prima che faccia buio”, ci consigliarono. Io che non avevo ancora capito dove mi trovassi, affascinata dai gabbiani giganti, me ne fregai e partii che era buio.
Quel viaggio durò circa tre ore perché quella notte, lungo la strada dritta e buia che si apriva tra gli eucalipti, sbucavano canguri che sfrecciavano via in un lampo e, soprattutto, i koala. Koala che sostavano nel bel mezzo della carreggiata e che con una lentezza buffa e irrimediabile raggiungevano un cespuglio non prima di aver fissato la nostra automobile con un tenerissimo stupore. Quella notte capii che quel luogo non somigliava a nessun altro, e che non l’avrei dimenticato.
Tre anni dopo, Kangaroo Island come l’ho conosciuta io non esiste più. Gli incendi delle ultime due settimane hanno divorato quasi metà dell’isola, ne hanno ridisegnato la geografia e forse anche le paure degli abitanti, che pur abituati a sentirsi minuscoli nel mezzo di una natura tanto maestosa, un fuoco così feroce non se l’aspettavano.
A Kangaroo vivono 4.500 persone in tutto (di cui 2.500 nella città di Kingscote), tra di loro, anche una decina di italiani tra cui Luca Lovison, 47 anni, guida turistica di riferimento di tanti tour operator. Luca è dalla provincia di Varese, ma da 20 anni vive a Kangaroo dove si è trasferito con sua moglie. I suoi due figli di 12 e 14 anni sono nati e cresciuti qui. Lo chiamo che a Kangaroo è già notte. “Il 3 gennaio qui c’è stato un violento temporale e i fulmini hanno innescato un incendio a nord, che col vento forte si è propagato per mezza isola. Sei giorni dopo, l’incendio è arrivato alle porte di Kingscote, dove vivo. Eravamo increduli. All’una di notte l’orizzonte era tutto rosso, ho dovuto mostrare a mia figlia come usare la canna dell’acqua e come proteggermi, se mi fossi trovato a dover lottare con le fiamme”. Gli chiedo se sull’isola siano rimasti sorpresi. “Ci aspettavamo un incendio perché la vegetazione era cresciuta troppo, ma non così devastante. Qui ci sono persone che hanno perso tutto. È arrivato l’esercito per aiutarci a seppellire gli animali, ci sono dai 5 ai 7.000 capi di bestiame morti per fattoria e servono le ruspe per scavare le fosse. È bruciato perfino il lussuoso Southern Ocean Lodge, dove veniva in vacanza Bill Gates”.
Su internet girano video in cui si vedono abitanti di Kangaroo lottare eroicamente col fuoco. “Le persone sono state fantastiche. Dana Mitchell del Wildlife Park ha protetto con tutte le forze gli animali del suo parco. Alcuni come il canguro o il dingo erano difficilmente trasportabili. Il mio amico Marcus, un contadino, è da tre settimane nel nord dell’isola da solo a lottare con le fiamme per proteggere la sua casa. Un giorno ero al telefono con lui che gli leggevo il bollettino dei venti perché era nel mezzo di un incendio ed è caduta la linea. Pensavo fosse morto, è riapparso tre giorni dopo, non sapeva più come caricare il telefono. Ha salvato il cane e le pecore dal fuoco”.
Qualcuno però a Kangaroo non ce l’ha fatta. “Sono morti un padre e un figlio, mentre viaggiavano in macchina. Una è stata trovata carbonizzata in auto, l’altra a duecento metri, aveva tentato di scappare”.
L’animale più amato dell’isola, il koala, faccio notare a Luca quanto sia diventato nel mondo il triste testimonial di questa tragedia. “È vero, e il fatto che siano morti forse 20/30.000 koala è orribile. Spero non mi si accusi di cinismo però se dico che i koala non c’erano qui, sono stati portati cento anni fa quando si inaugurò il Flinders Chase National Park. Erano solo sei coppie, credo. Oggi sull’isola vivevano 60.000 koala che dagli anni 80 venivano considerati un’emergenza nazionale: distruggevano la vegetazione. Il governo, per non abbatterli, ha speso cifre enormi per la sterilizzazione. La natura tenere a ricreare un equilibrio negli habitat, nella tragedia provo a cercare un senso”.
A proposito di natura ed equilibri domando a Luca che idea si sia fatto delle cause di questi incendi. “Io non sono uno scienziato, ma vivo nella natura e il cambiamento climatico lo vedo con i miei occhi. Qui i politici negano la correlazione, ma i cittadini disprezzano questo negazionismo. Poi certo, ci sono altre cause. Un’altra paradossalmente è la difficoltà che si ha nell’intervenire sulla vegetazione. L’Australia è molto rigida sull’ambiente, se pulisci un bosco o raccogli della legna sul ciglio della strada ti multano. Servono permessi per tutto, questo ha impedito a molti di proteggere le case e i campi”.
Luca però cerca di essere positivo. “Io lavoro con i turisti, è la mia vita. Tanti stanno annullando le prenotazioni, io voglio difendere non solo il mio lavoro ma quest’isola. C’è ancora tanto da vedere: la zona est è intatta e io continuo i tour, non mollo, l’ho detto anche all’Abc, la tv pubblica australiana, e gli abitanti di Kangaroo mi fermano dicendomi “Well done!”. Non molla, forse, anche per i due figli nati e cresciuti qui. Chiedo a Luca cosa significhi per un bambino nascere ai confini del mondo. “Giorni fa mio figlio dodicenne è andato con un amico a pescare. Ha trascorso la giornata tuffandosi dal pontile. Io che sono italiano non ho fatto che pensare al fatto che sotto quel pontile potessero esserci degli squali, cosa normale qui. Per mio figlio i pericoli di questo tipo sono semplicemente una cosa in cui è immerso da sempre: la natura”.
E la natura, mi dice Luca, rimetterà le cose a posto. Ci sono abitati che stanno già ricostruendo. Ci sono koala in cima agli alberi più alti, sopravvissuti alle fiamme. Gli uomini e gli animali si stanno già organizzando.