Gli innamorati sono scemi e “l’amore rende stupidi”: copyright del Molière de La scuola delle mogli, andato in scena per la prima volta nel 1662 e ora allestito da Arturo Cirillo con un cast minuto ma superlativo: Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo e Giacomo Vigentini.
Il regista, nonché primattore, ha scelto proprio questa commedia del maestro francese perché “sapiente e di sorprendente maturità: vi si respirano un’amarezza e una modernità come solo negli ultimi testi Molière riuscirà a trovare”.
La trama – tra equivoci plautini e lazzi à la Marivaux – è cucita addosso all’intrigante Arnolfo, ribattezzatosi signor del Ramo e bramoso di sposarsi. Egli è ben consapevole, tuttavia, che le “corna sono il sacro corredo del matrimonio” e che prender moglie è un “gesto temerario”, soprattutto se la donna è colta e spigliata, sa leggere e addirittura scrivere. Il suo ideale, insomma, è “una idiota brutta”: per questo ha fatto allevare l’orfana Agnese come una sciocca dalle suore, e ora può finalmente convolare a nozze con lei, tanto gentil, onesta e ignorante. Peccato, però, che la signorina si sia nel frattempo invaghita di un suo coetaneo, Orazio, scemo e ingenuo tanto quanto lei e disposto a tutto pur di strapparla dalla casa del dispotico e vecchio carceriere del Ramo.
L’abitazione – disegnata dallo scenografo Dario Gessati – ha qualcosa della casa di bambola e qualcosa della casa degli orrori del luna park: è, infatti, girevole e “al suo interno possiamo vedere una camera che è anche una cella, una stanza delle torture”. Il davanti e il retro dell’appartamento, il sopra e il sotto della villetta rispecchiano la doppiezza del protagonista, che ha doppio nome, doppia identità e natura e persino doppia dimora, in città e in campagna. La sua falsità e manipolazione insieme con l’astuzia dei personaggi minori (come i due spassosissimi servi) rendono certo un po’ più sexy l’intreccio amoroso, così come l’incantesimo sentimentale si eleva a gioco del teatro nel teatro, del “romanzo” dentro la finzione, del sogno che irrompe nella realtà.
L’allestimento si regge soprattutto sulle spalle dei bravissimi interpreti: è grottesco ma garbato, cinico ma pure romantico e onirico, benché il sogno sia più spesso un incubo, un’allucinazione, una fattucchieria malefica. Gli attori si divertono tutti molto, e quindi anche il pubblico, e pazienza per qualche eccesso nella messinscena, dalle luci rutilanti alle musichette insistenti ai colori sparati persino sugli abiti.
Al di là delle corna, delle stupidaggini degli innamorati e dei sotterfugi dei gelosi – in poche parole: al di là dell’umana e noiosissima psicologia –, lo spettacolo ha il pregio di far brillare quella scatola magica chiamata teatro, forse pacchiana, pomposa, sporca, maliziosa, bugiarda, ma irresistibilmente attraente.
La scuola delle mogli Di Molière – Arturo Cirillo – Roma, Teatro Eliseo, fino al 19 gennaio; Thiene (Vi), Teatro Comunale, dal 21 al 23 gennaio