In origine c’era solo il discorso del presidente della Repubblica l’ultimo dell’anno, poi è arrivato il ballo di Roberto Bolle il primo dell’anno. Due successi gemelli, su cui molti si interrogano. Forse sotto le feste di Natale siamo tutti più buoni (palinsesti inclusi). Forse, il segreto per durare senza stufare è farsi vedere una volta l’anno. Chissà quali sfracelli potrebbero fare i due coalizzando le forze, un discorsetto supplementare di Bolle, al caminetto, un Balla con Sergio in collegamento dal Quirinale a reti unificate. Certo, il Balla con me di Bolle colma una lacuna, anzi due. La prima è il ritorno del varietà vecchio stile, quello senza opinionisti, senza debuttanti, dove gli artisti non fanno la giuria ma gli tocca fare gli artisti. Quello sorretto da un’idea portante – il fascino della danza da Nurejev a Marracash – quello in cui il balletto era un luogo deputato di ubiqua versatilità. Quello dell’omaggio alle geometrie optical, stile Antonello Falqui, reso dalla coppia Bolle-Virginia Raffaele. Poi c’è la seconda lacuna colmata, quella simbolica: la danza come metafora della forza che levita in grazia, armonia, leggerezza, disciplina. Colpo di scena: l’uomo forte può essere anche il più elegante. Esattamente quello che manca in politica (e quindi in tv) 364 giorni all’anno. Poi, allo scadere del 365, arrivano Bolle, Mattarella e gli auguri di buon anno sembrano quasi veri. Come diceva Marcello Marchesi, “tutto è perduto fuorché l’ospite d’onore”.
Quella pietra di Paragone per i Cinque Stelle
“Basta piagnistei sul Pd! Non voglio che rimanete qui a dire sempre ‘il Pd, il Pd, il Pd…’ Vaffanculo a voi stavolta!”
(Dal comizio di Beppe Grillo alla Festa per i dieci anni del M5S – Arena Flegrea di Napoli, 12 ottobre 2019)
Possono piacere o meno i giochi di parole sui nomi e cognomi altrui. Ma il caso di Gianluigi Paragone, giornalista e conduttore televisivo; già direttore del quotidiano La Padania, organo ufficiale della Lega Nord; e poi senatore del M5S, espulso il 1° gennaio dai probiviri dopo aver criticato l’accordo di maggioranza con il Pd e votato contro la legge di Bilancio, giustifica senz’altro il calembour. L’estromissione del parlamentare grillino rappresenta un metro di giudizio, un termine di confronto, per valutare la maturità del Movimento, la sua capacità di selezione e di reclutamento, proprio come la pietra di paragone serve per verificare la purezza dell’oro.
Era fin troppo chiara a tutti l’estrazione leghista del senatore ribelle. E se mai ce ne fosse stato bisogno, le sue performance televisive – da L’ultima parola (Rai2) a La gabbia (La 7) – non lasciavano dubbi in proposito. Lui era l’anchorman di TeleSalvini, all’insegna del populismo più becero, della demagogia e del sovranismo. Ad Alessandro Di Battista che ora interviene per difenderlo, si potrebbero ricordare le promesse e gli impegni assunti in campagna elettorale, quando annunciò che il M5S non avrebbe mai fatto un accordo con la Lega e se l’avesse fatto, “ma non accadrà”, lui stesso sarebbe uscito dal Movimento (c’è ancora un video sui social che lo documenta).
La verità è che la ribellione di Paragone non può essere ricondotta soltanto a quel fenomeno trasformistico di transumanza che si sta diffondendo come un’epidemia nel nostro Parlamento, in vista di un possibile ritorno al sistema elettorale proporzionale. Questa espulsione chiama in causa la cultura politica del M5S, la sua identità e la sua collocazione. Per cui ciò che deve meravigliare non è tanto l’uscita di Paragone, quanto il suo ingresso nel Movimento.
Con quali criteri e sulla base di quali meriti l’ex direttore della Padania è stato candidato nelle file dei Cinque Stelle? E perché non s’è presentato piuttosto nelle liste della Lega? Sono domande destinate verosimilmente a restare senza riposta, in quel dimenticatoio della politica italiana che archivia incoerenze, contraddizioni e opportunismi.
Quello di Paragone non è, tuttavia, un caso isolato. Negli ultimi giorni, le dimissioni dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti dal Movimento, le contestazioni all’interno dei gruppi parlamentari, i dissensi nei confronti della sindaca Raggi a Roma e dell’Appendino a Torino, hanno rivelato un’instabilità e una turbolenza che inficiano l’immagine del M5S sul piano mediatico e la sua stessa tenuta sul piano politico. E alimentano così i dubbi sul videomessaggio di Beppe Grillo in spiaggia a Capodanno, nell’incertezza di stabilire se il “garante” intendesse scavare una fossa o una diga.
Quale che sia l’interpretazione autentica, un fatto è chiaro. A questo punto, il M5S ha una sola strada davanti a sé: quella che porta a un’integrazione reciproca con il Partito democratico, per aggregare un fronte anti-sovranista e costituire un’alternativa di governo al centrodestra a trazione leghista. Escluso ormai che possa tornare indietro sui propri passi, il Movimento deve sottrarsi all’abbraccio mortale di un Salvini alleato con Berlusconi e Meloni, depurandosi definitivamente dalla sua componente di destra. In questo senso, l’anatema di Grillo citato all’inizio nel distico rappresenta un’indicazione precisa e irrevocabile.
5S, che c’entrava l’ex direttore della “Padania”?
Cosa ci faceva Gianluigi Paragone nel Movimento 5 Stelle? In realtà è questa la vera questione: non la sua uscita – traumatica – dal Movimento, bensì la sua entrata. Giornalista varesino, inviato al seguito dei lumbàrd Bossi e Maroni, poi direttore della Padania e, ancora, vice e condirettore del Libero di Feltri, entra in Rai nel 2008 dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni (ohibò). Un programma, Malpensa Italia, per il quale annuncia, non senza una certa umiltà, di “voler diventare il Santoro di destra” (ohibò), e poi – da tradizione, che in Rai fa rima con lottizzazione – ecco le nomine: prima vicedirettore di Rai1 e dopo di Rai2 (ohibò). Cosa ci faceva nel Movimento 5 Stelle antisistema, quello di “fuori i partiti dalla Rai”, uno degli esempi (uno dei tantissimi, per carità) proprio di quel sistema che si voleva abbattere, della longa manus della politica nel Servizio Pubblico? Boh.
Cosa ci faceva tra i grillini, contrari al finanziamento pubblico ai giornali, l’ex direttore della Padania, finanziata con soldi pubblici, che considerava quei fondi un sostegno “importante per il sistema democratico”? Cosa aveva a che spartire con Grillo uno che aveva definito Bossi “gigante della storia” e Berlusconi “miglior politico italiano”?
Mica aveva ragione il compianto deputato pdl Stracquadanio quando, nel 2011 durante L’ultima parola di Paragone su Rai2, lo accusò di “salire sul carro dei vincitori”? “Lei è entrato in Rai lottizzato Lega”, gli urlò, “ed è già pronto a quelli che succederanno a noi” (ohibò). Indubbiamente profetica anche la reazione imbufalita del conduttore: “Io sono arrivato in Rai con il voto del centrodestra, ma non ho prezzo”, “la Rai non è vostra, piantatela, la Rai non è della politica!”. Che detto da uno che ha appena ammesso di essere stato messo lì dalla politica, sa di triplo salto mortale carpiato.
Applausi scroscianti del pubblico. Già, perché sarebbe ingiusto non ammettere che Paragone è stato anche un conduttore amato dal pubblico, quando poi passò a La7 e fece battaglie contro le banche rapaci, l’Europa matrigna, le delocalizzazioni, il renzismo…
Ma la domanda resta: cosa ci faceva Paragone nei 5Stelle? Non è sempre stato molto più in sintonia con la Lega?
Infatti il primo governo Conte con Salvini è passato liscio e, anzi, fu lui uno degli intermediari – pare – tra gialli e verdi. Ah, ma con la sinistra mai! “Con coerenza non voterò la fiducia a un governo col Pd” – disse a fine agosto facendo riecheggiare il “non ho prezzo” – “lascerò il Senato e tornerò a lavorare” (ohibò).
Com’è andata lo sappiamo: invece di votare no si è astenuto e, invece di dimettersi, s’è fatto espellere per gli scontri continui con i vertici e la bocciatura della legge di Bilancio (che, per inciso, contiene anche la conferma di provvedimenti varati dal governo che lui sosteneva: reddito di cittadinanza, quota 100, flat tax per partite Iva).
Tutto è bene anche se finisce male? Finalmente si separano, non importa chi ha preso la decisione, e ognuno va (giustamente) per la sua strada? Macché, il senatore annuncia battaglia, anche in tribunale (ohibò).
Dunque: che ci faceva Paragone nel Movimento 5 Stelle? E ora che non ci sta più, perché vuole tornare?
A parte la coerenza del bastian contrario, perché non si appella all’“Immacolato cuore di Maria” e al suo (sedicente) profeta?
Soleimani, è guerra ibrida tra Iran e Usa
Stupido è chi, secondo i manuali sul tema, procura danno a se stesso oltre che agli altri. E ultra-stupido è ciò che hanno fatto gli Stati Uniti assassinando il generale Soleimani. La mossa è autolesionista non tanto perché potrebbe costare a Trump la rielezione. Ma soprattutto perché si tratta di un’azione profondamente anti-americana, in grado di accelerare di vari anni, invece di ritardare, la fase terminale del dominio Usa sul mondo. Non facciamoci ingannare dall’apparente moderazione della reazione immediata dell’Iran all’assassinio di un eroe nazionale, estremamente popolare, secondo solo al padre della patria Khomeini. Il ministro degli Esteri Zarif ha definito un atto di terrorismo internazionale quello che è a tutti gli effetti un atto di guerra, e il leader supremo Khamenei si è limitato a maledire e minacciare una generica vendetta. La scelta dell’Iran sembra essere quella di non rispondere colpo su colpo ma con una strategia calibrata, capace di sfruttare al massimo le ripercussioni interne e internazionali dell’evento sciagurato.
L’effetto interno più rilevante della bravata trumpiana sarà, in Iran, non un cambio ma un rafforzamento di regime. Ciò comporterà la fine della componente progressista, democratica e filo-europea della politica iraniana affermatasi nelle ultime elezioni. I seguaci del presidente riformista degli anni 90, Kathami, già in difficoltà, verranno definitivamente soverchiati dal blocco ultra-conservatore e nazionalista che ruota intorno alle forze armate, i pasdaran e gli ayatollah. Non ci sarà bisogno di alcun colpo di Stato, perché popolo ed élite dell’Iran seguiranno come un sol uomo chi prometterà loro di vendicare con la violenza il colpo al cuore appena ricevuto.
C’è bisogno a questo punto di ricordare che la conseguenza più certa della sconsideratezza americana sarà lo sgombero di ciò che resta del patto nucleare del 2015? Quel patto, ricordate, firmato da Obama e poi stracciato da Trump, ma mantenuto dagli altri contraenti, che posponeva di dieci anni la possibilità che l’Iran si dotasse dell’arma atomica? Il trattato stabiliva che l’Iran si sarebbe astenuto dal dotarsi della tecnologia nucleare bellica in cambio del suo reintegro nell’economia internazionale tramite la ripresa degli scambi e degli investimenti con i Paesi Ue, e in primo luogo con l’Italia. Un canale di amicizia e di cooperazione tra Iran ed Europa che si chiuderà presto.
Dopo Soleimani, l’Iran seppellirà ciò che rimane di quell’accordo e si incamminerà molto probabilmente anche sulla strada dell’uscita dal Tnp, il Trattato di non proliferazione del 1970. Uscita che spingerà tutti i Paesi della regione a fare altrettanto. Distruggendo il tabù nucleare che regge la pace mondiale da 70 anni e riempiendo il Medioriente di bombe atomiche.
Ci sono poi da valutare i danni della reintroduzione dell’assassinio politico palese, e al massimo livello, come strumento accettabile delle relazioni internazionali, anche di quelle ostili. Per adesso, sono solo gli Usa ad avere avanzato la candidatura a suprema autorità immorale in questo campo, ma cosa potrà impedire ad altri, dopo ciò che è accaduto, di seguirne il luminoso esempio? Cosa saranno autorizzati a fare i “cattivi” al vertice delle potenze cattive, limitatisi finora a praticare l’eliminazione fisica dei nemici nei ranghi medio-bassi e in modo coperto? Lo scarso entusiasmo di Netanyahu alla notizia dell’uccisione di Soleimani forse può significare qualcosa in merito.
L’unica nota debolmente positiva del dopo Soleimani è che entrambe le parti sembrano propendere verso uno scontro di tipo ibrido invece che verso una guerra convenzionale o nucleare. La guerra atomica è da escludere perché l’Iran non ha la bomba, per il momento, e non è legato da alcun trattato di difesa con una potenza nucleare. La guerra convenzionale non è probabile perché sia gli Stati Uniti che l’Iran ne hanno ripetutamente scartato la possibilità. E le guerre non scoppiano per caso. Occorre che almeno una delle due parti persegua fervidamente l’opzione armata.
Il Pentagono, in particolare, non vuole una nuova guerra perché sa di correre un alto rischio di perderla, al pari di tutte quelle che ha fatto dopo la Seconda guerra mondiale. Ma una guerra ibrida ad alta intensità come quella appena iniziata può essere altrettanto disastrosa di un confronto con navi e cannoni. Sanzioni estreme, blocchi marittimi e finanziari, terrorismo di Stato e bombardamenti incapacitanti di infrastrutture cruciali per la vita associata sono purtroppo da mettere in conto. Assieme a un nuovo choc petrolifero e conseguente recessione mondiale. La palla, purtroppo, è quasi solo nel campo americano, dato l’obbligo per l’Iran di usare tutti i mezzi al di qua della guerra aperta, e data la prevedibile risposta inconcludente dell’Europa e del resto del mondo.
Mail box
L’abbinamento pretestuoso tra visite istituzionali e comizi
Signor direttore, sui quotidiani leggo che Salvini è indagato per aver usato aerei di Stato in occasione di suoi comizi politici. Premetto che non sono favorevole a Salvini. Ma occorre riconoscere che molti politici, e non solo lui, hanno sempre fatto il possibile per abbinare i loro impegni politici con gli impegni istituzionali, ed è facile comprendere il motivo.
Solo un esempio: ricordo l’allora ministro della Difesa La Russa effettuare una visita istituzionale al 4° Stormo dell’Aeronautica di Grosseto (la mattina) e al pomeriggio partecipare all’inaugurazione di una sede del suo partito, sempre a Grosseto. Se non ci fosse stato l’impegno politico, La Russa mai avrebbe fatto la visita istituzionale.
Oltre al volo, quante persone furono impegnate con straordinari e spese accessorie? Se facessimo due conti, forse ci accorgeremmo che le spese “extra-volo” sono superiori a quelle per il volo di Stato. Non avete idea di che organizzazione si mette in moto quando un ministro effettua una visita istituzionale, sia a livello centrale che periferico.
È giusto indagare, ma secondo lei si arresterà mai questa brutta abitudine? Ma neanche per sogno.
Antonio Fiengo
Caro Antonio, se l’abbinamento è pretestuoso, come si ipotizza in questi casi, senza necessità di quelle visite “istituzionali”, il reato c’è. Comunque, alla fine deciderà un giudice.
M. Trav.
Avete raccontato Tamberi e l’atletica con eleganza e stile
Gentile direttore, complimenti per l’eleganza, la leggerezza e la grazia del pezzo del 9 dicembre sull’altista Tamberi. Non si può non rimanerne meravigliati. So che lei dà voce a tanti (e io apprezzo ciò infinitamente), pur tuttavia questo giornalista mi sembra particolarmente meritevole.
Natale Ghinassi
Grazie, caro Natale, anche a nome del nostro bravo collega Angelo Molica Franco.
M.Trav.
Le sentenze avulse dalla realtà non rispettano le vittime
Egregio dottor Travaglio, la sentenza del Tar Liguria sulla possibile incostituzionalità dell’esclusione di Autostrade dalla ricostruzione del ponte Morandi, a mio parere, fa a pugni con la realtà.
Non ho la sua cultura né la sua conoscenza giuridica, ma, leggendo sul Fatto gli stralci della sentenza, trovo che dal punto di vista formale le argomentazioni giuridiche siano logiche (non per niente siamo la patria dell’Azzeccagarbugli). Ciononostante, mi piacerebbe rivolgere una domanda ai giudici del Tar: a quale Corte costituzionale si possono rivolgere i 43 morti del ponte Morandi?
Questa sentenza si aggiunge a quelle sull’ergastolo ostativo della Corte europea e della nostra Corte costituzionale: purtroppo i morti non parlano e non hanno diritti! È vero che la giustizia dev’essere astratta, ma non astrusa e avulsa dai casi reali.
Oronzo Balestra
DIRITTO DI REPLICA
Gentile direttore, ho letto sul Fatto Quotidiano di ieri il divertente articolo di Vincenzo Iurillo che, nonostante visibili sforzi, non sfugge al dileggio delle persone e nel quale si afferma che il governatore De Luca abbia “imbarcato” Pomicino e de Mita. Le posso garantire che de Mita e io, e meno che meno gli altri amici citati, non siamo né imbarcati né sbarcati da chicchessia. Nella crisi politica che affligge la Campania, così come affligge il Paese, alcuni ex deputati di estrazione democristiana e popolare si sono domandati se potevamo girare la testa per non vedere con l’alibi della età avanzata o dovevamo rendere alla nostra Regione un contributo di pensiero e di azione per concorrere a risollevare il complessivo quadro politico. Abbiamo scelto quest’ultimo dovere insieme ai molti amici citati e a tanti altri sapendo che neanche i meno anziani degli ex si candideranno. Vorremmo invece costituire un partito popolare che nel suo nome rilanci la grande tradizione del popolarismo sturziano sfuggendo al tentativo di riprodurre tentazioni personalistiche di cui il Paese è amaramente afflitto. La eventuale presentazione di una lista per le Regionali e le alleanze conseguenti le deciderà il partito nella sua collegialità come si conviene a un partito serio. Nel ringraziare Iurillo per aver sottolineato la eternità di alcuni di noi vorremmo ricordare che la vera giovinezza è quella del pensiero mentre quella anagrafica, bellissima naturalmente, è solo una opportunità che, ahimè, passa rapidamente e il nostro sforzo sarà proprio quello di spingere tanti giovani a servire il Paese impegnandosi in politica, riscoprendo però le culture politiche senza le quali i partiti diventano solo comitati elettorali. Grazie per la ospitalità.
Paolo Cirino Pomicino
Auguri di lunga, lunghissima vita a Pomicino e ai suoi amici di avventure politiche. Che continueremo a seguire con l’attenzione che merita così tanta esperienza, che si vuole continuare a mettere al servizio disinteressato di una Campania e di un Paese ritenuti talmente a pezzi da non poter fare a meno di loro. Ancora.
V. Iur.
Gli sconti di luce, gas e acqua finiscono nella bolletta: meglio tardi che mai
Gentile redazione, ho sentito distrattamente alla radio che da inizio anno è in vigore il nuovo “bonus sociale” per le famiglie meno abbienti, che potranno così beneficiare di uno sconto, direttamente in bolletta, su luce, gas e acqua. Ma come funziona? Chi ha diritto ad accedervi? Devo fare la domanda ai gestori oppure all’Agenzia delle Entrate? Quanto tempo ho per farlo? Grazie.
Gentile signora Palazzini, se chiede delucidazioni sul bonus sociale probabilmente farà parte del 65 per cento degli aventi diritto che, purtroppo, fino a oggi non lo ha mai richiesto. E, come avrà capito, è in buona compagnia. Tanto che, dopo anni di richieste da parte dell’Autorità per l’energia (Arera) e delle associazioni dei consumatori, il Parlamento è riuscito ad approvare nel dl Fisco l’automatismo per legge del bonus di luce, gas e acqua in bolletta che consentirà a 2,4 milioni di famiglie di risparmiare fino a 300 euro l’anno. Un’importante agevolazione che, tuttavia, entrerà in vigore solo dal 2021. Dal prossimo gennaio, infatti, gli italiani che si trovano in condizioni di disagio economico e fisico e hanno diritto allo sconto non dovranno più fare richiesta al proprio gestore, ma si vedranno applicare direttamente lo sconto. A rendere possibile l’automatismo sarà una comunicazione diretta tra l’Inps, che detiene tutte le dichiarazioni Isee degli italiani (vale a dire l’indicatore che serve a valutare la situazione economica) e l’Acquirente Unico che gestisce il sistema informativo di tutti i contatori attivi. Per accedere allo sconto, il nucleo familiare deve avere un indicatore Isee non superiore a 8.265 euro (il nuovo tetto è scattato dal 1° gennaio dopo che l’Arera lo ha alzato da 8.107,5). Tra i beneficiari rientrano anche le famiglie con almeno 4 figli a carico (famiglia numerosa) e indicatore Isee non superiore ai 20 mila euro. Il bonus è valido anche per i nuclei titolari di reddito o pensione di cittadinanza oppure per i casi di grave malattia in cui si è costretti a ricorrere ad apparecchiature elettromedicali indispensabili per il mantenimento in vita. I titolari di reddito di cittadinanza hanno diritto al bonus luce, acqua e gas anche se l’Isee è superiore a 8.265 euro. Il bonus sociale dell’energia comporta sconti in bolletta a seconda della numerosità del nucleo familiare e, nel caso del gas, anche della zona climatica di riferimento. Quello elettrico ammonta tra i 132 ai 194 euro, mentre quello del gas può raggiungere i 314 euro l’anno.
Olimpiadi invernali. Gli ambientalisti scrivono all’Unesco
“Qui si vuole trasformare il sigillo dell’Unesco sulle Dolomiti, ma anche sulle colline del Prosecco, in una grande forma di marketing. Lo abbiamo capito da tempo. Abbiamo avuto pazienza. Abbiamo mandato segnali e fatto proposte, perché non siamo quelli del ‘No’”. Franco Tessadri, trentino, è il presidente di Mountain Wilderness, una delle associazioni ambientaliste che hanno preparato un dossier di denuncia contro lo stato non solo di mancata conservazione, ma di autentico sfruttamento delle Dolomiti, a dieci anni dal riconoscimento quale Patrimonio dell’umanità. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la preparazione dei Mondiali di sci Cortina 2021 e delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Già si sono registrate rocce e piste sventrate sulle Tofane, progetti di cementificazione e di collegamenti-carosello tra comprensori. Ma il disagio è più ampio e viene da lontano, come testimoniano le adesioni di Wwf, Italia Nostra, Lipu, Legambiente e altri gruppi, che a Venezia hanno messo la loro firma.
“Andremo a Parigi per illustrare i contenuti del nostro dossier”, aggiunge il presidente onorario per l’Italia di Mountain Wilderness, Luigi Casanova. “Poi sarà l’Unesco a fare le verifiche e a trarre le conclusioni. Non spetta a noi presentare una richiesta di revoca”. Reazioni? “Silenzio più assoluto”.
Il problema è proprio questo. Gli ambientalisti hanno raccolto foto e prove, hanno analizzato montagna per montagna, comprensorio per comprensorio, segnalando ciò che non va. Ma, salvo un comunicato di indignazione molto generico, nessuno – tra Province autonome di Trento e Bolzano e Regioni del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia – dice nulla. “Solo un deciso e severo intervento dell’Unesco può correggere un percorso destinato, passo dopo passo, a svuotare definitivamente la qualifica di Patrimonio naturale dell’umanità da ogni reale valore, anche a livello simbolico. A trasformare le Dolomiti monumento del mondo in una farsa o in uno specchietto per le allodole: dietro la facciata, il nulla”.
Gli ambientalisti chiedono di fermare l’ampliamento delle aree sciabili, di vietare nuove attività alberghiere sopra il fondovalle, di tenere “drasticamente sotto controllo la pressione turistica, soprattutto se motorizzata, con divieti e limitazioni, anche radicali e impopolari”. Denunciano la caccia indiscriminata all’orso e al lupo; l’aggressione di auto, fuoristrada, quad e motoslitte; l’uso senza limiti dell’elicottero in Veneto. La creazione di “balconi panoramici” inutili e antiquati in legno, vetro, cemento e acciaio. Il vero stupro ecologico delle Tre Cime di Lavaredo, trasformate in un parco giochi estivo.
Ma è sui grandi eventi l’affondo. “Per la preparazione dei campionati del mondo di sci alpino 2021 a Cortina si sono potenziate e allargate numerose piste di sci, nel cuore delle aree protette del Patrimonio. Quelle radicali trasformazioni dell’ambiente naturale d’alta quota sono state rese possibili grazie a un largo uso di esplosivo, modificando in modo irreversibile la morfologia delle pareti e delle rocce, nel più assoluto silenzio della Fondazione Dolomiti”. Per non parlare di mobilità, parcheggi, cemento e cabinovie per le Cinque Torri. E le Olimpiadi? “Una rete di imprenditori facenti capo a Superski Dolomiti, già organizzatasi in società, ha ideato una serie di impianti che dovrebbe collegare Passo Falzarego ad Arabba, per raggiungere, attraverso Colle di Santa Lucia, Selva di Cadore ed arrivare al carosello sciistico di Monte Civetta, Palafavera e Alleghe”. Dalla Marmolada al Falzarego, dal Comelico a Madonna di Campiglio, dal Latemar al Catinaccio, i progetti si sprecano.
Finito qui? Non è detto che riguardi la montagna da spolpare, ma il governatore del Veneto Luca Zaia (da sempre contrario alla chiusura dei passi dolomitici in nome dello sviluppo alberghiero) non sembra appagato. Due giorni fa ha dichiarato al Corriere del Veneto: “Dopo i Giochi 2026 e le terre del Prosecco, che oggi vivono di vino e domani di turismo, una nuova idea ce l’ho, ma non la dico. Stiamo riaccendendo l’orgoglio di essere veneti”. A colpi di grandi eventi, con buona pace del paesaggio.
Pisa, il comune sradica l’edicola antimafia
Negli ultimi cinque anni, da quando fu inaugurata da don Luigi Ciotti, era diventato un presidio di legalità a Pisa: un piccolo luogo nel centro storico punto di riferimento cittadino della lotta alle mafie e all’illegalità. Da martedì scorso non è più così: l’ex edicola di Borgo Stretto è stata rimossa dal Comune di Pisa a guida leghista. Motivo? Il decoro urbano: “Non c’è bisogno di tenere una carcassa di ferro degradata che ostruisce il passaggio in una delle assi pedonali principali della città per testimoniare la lotta alla mafia”, ha spiegato ieri il deputato della Lega e sindaco ombra Edoardo Ziello. Peccato però che quell’edicola dal 2014 fosse uno dei simboli del contrasto alla criminalità organizzata a Pisa: un anno prima era stata confiscata perché il padre del titolare era stato condannato per associazione mafiosa, omicidio ed estorsione e il sequestro preventivo era stato emesso dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria in quanto la famiglia era stata ritenuta contigua alle cosche messinesi. L’edicola di Borgo Stretto, ribattezzata “I Saperi della Legalità”, un anno dopo era stata il primo bene toscano confiscato alla mafia e poi recuperato, passato poi sotto il controllo dell’Agenzia Nazionale dei Beni confiscati gestita da Libera.
Nel marzo 2018 però, complice la crisi dell’editoria, aveva chiuso i battenti e da allora l’edicola era diventata la sede di incontri sul tema della legalità. Nel frattempo da più parti erano arrivate proposte per destinare quel luogo a nuove attività: una web radio studentesca, una piccola biblioteca con un totem sempre aggiornato sulle infiltrazioni mafiose in Toscana o una sede per eventi pubblici per i pisani.
E invece no: nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio l’edicola è stata rimossa, nonostante il sindaco leghista Michele Conti si fosse impegnato a discutere insieme a Libera le nuove destinazioni e, nel caso, a spostare l’edicola nell’adiacente piazza Garibaldi. L’associazione di don Ciotti ieri ha parlato di “un atto vile” e “fuori da ogni accordo preso finora” mentre le uniche spiegazioni sono arrivate dalla presidente della commissione cultura Marzia Punto, che parla di “necessaria rimozione di una struttura fatiscente e in disuso da quasi due anni, oltretutto in un’area sottoposta a vincolo architettonico. La scelta dell’orario per la sua rimozione è stata dettata dal buon senso per evitare disagi alle attività commerciali in un’area di intenso passaggio pedonale diurno”.
Soldi e sponsor: il giallo del pollice verde Sardella
Il pollice verde di Luca Sardella sta diventando un giallo. E toccherà al pm romano Gennaro Varone risolverlo. Sardella è il noto conduttore con la coppola che da anni gira l’Italia con troupe al seguito per descrivere le nostre tradizioni agricole. Tra un tartufo e un formaggio, però, s’è ritrovato una denuncia per truffa e furto: a denunciarlo è stata la Clodio Management, la società che tra il 2015 e il 2018 sostiene di aver prodotto per La7 e poi per Rete 4 le trasmissioni Il pollice verde sono io e Parola di pollice verde. La Clodio Management sostiene che Sardella e la Comunicando srl, di sua figlia Daniela (non indagata), abbiano intascato, a sua insaputa, non meno di 57 mila euro da una serie di sponsor. Il punto, sostiene sempre la Clodio Management, è che l’accordo prevedeva che la produzione dei programmi si sarebbe retta integralmente sui soldi versati dagli sponsor. E che il 4% sarebbe stato incassato dalla Comunicando, il 20% da Luca Sardella, mentre il restante 76% sarebbe spettato proprio alla Clodio Management, che si occupava di produrre il programma, salvo dividere ulteriormente gli utili. Stando alle accuse, però, buona parte di questi soldi sarebbero rimasti nelle casse della Comunicando srl senza che la Clodio Management ne avesse notizia. Non solo. Sardella e sua figlia avrebbero anche prelevato le copie originali di “circa 150 puntate, nonché tutti i filmati registrati ma non ancora utilizzati e documentazione di redazione quali scalette puntate, contatti di aziende sponsor”, che non sarebbero più nella disponibilità della società di produzione: da qui l’accusa di furto. “La Clodio – sostiene Daniela Sardella – non ha la possibilità di utilizzare quei supporti, non ne dispone i diritti, poiché si tratta di diritto d’immagine ed è strettamente personale, ma non è mai stato richiesto ed è a loro disposizione”.
Per non farsi mancare nulla, infine, c’è anche una querelle sulla canzone che sponsorizza l’Amaro del Capo, della quale Sardella è l’autore: Clodio, che ne è l’editore, accusa Sardella di aver riprodotto lo stesso testo e la stessa musica, in un altro brano con un altro titolo, per non pagar loro una parte dei diritti. “Tutto falso – commenta Luca Sardella contattato dal Fatto Quotidiano – sono loro che devono dei soldi a me. E anche sulla musica dell’Amaro del Capo sono fandonie”. Il pm Varone nelle scorse settimane ha chiesto l’archiviazione del fascicolo. Ma non perché i fatti denunciati siano falsi. Sostiene che non vi sia stata truffa perché mancano gli elementi degli artifizi e dei raggiri e, al limite, ritiene che a Sardella possa attribuirsi un’appropriazione indebita, fatta salva la ormai tramontata decorrenza dei termini per denunciarlo. Il pm non pare per niente convinto della tesi del furto e, infine, ritiene che la vicenda Siae vada risolta in sede civile e non penale. L’indagine resta aperta per l’opposizione della Clodio Management che, con le indagini difensive svolte dall’avvocato Armando Fergola, ha individuato una lunga serie di sponsor che avrebbero versato soldi mai giunti alla società di produzione. “Sono stato archiviato in pochi giorni”, continua Sardella, “anche perché, come artista, con la Clodio Management io non avevo alcun contratto in esclusiva”. Un contratto c’era. È datato 4 agosto 2015, non riguarda Sardella in persona, ma la Comunicando e solo le prime 6 puntate di Il pollice verde sono io in onda su La7.
In sostanza la Clodio sostiene che “nell’attesa di riscuotere dalla Comunicando i proventi derivanti dagli impegni assunti con gli sponsor” ha sostenuto “tutte le spese relative all’intera realizzazione dei programmi”. E che solo nel “novembre 2018 i Sardella presentavano la documentazione richiesta” ma “emergeva” che “era incompleta” e Clodio ne chiedeva “l’integrazione”. Parliamo, secondo la denuncia, di circa 78mila euro per i ricavi fino al 31 dicembre 2017. Nell’indagine difensiva l’avvocato Fergola – si legge nell’opposizione alla richiesta di archiviazione depositata nei giorni scorsi – scopre che su un campione “di circa 70 aziende sponsor, sulle oltre 500 società intervenute nei citati programmi televisivi” è emerso che “la Comunicando ha celato” alla Clodio “la stipula di contratti di sponsorizzazione da cui ha tratto somme pari a 56 mila euro”. Ora la decisione torna alla Procura di Roma e al pm Gennaro Varone.
Da Vibo Valentia fino a Milano: “’ndrangheta al 101 per cento!”
Affari e società estere, petrolio russo e uffici nel centro di Milano. È il filo rosso dei clan vibonesi all’ombra della Madonnina. Iniziamo. Un albergo in zona Sesto San Giovanni: ottobre 2016, due emissari vicini alla cosca Mancuso, Giovanni Barone e Gaetano Loschiavo, sono in città da qualche giorno. Entrambi risultano indagati nella maxi-inchiesta coordinata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che il 19 dicembre ha portato a 334 arresti. Loschiavo è stato arrestato, Barone, nonostante le richieste della Procura, no. I due, spiega l’accusa, si occupano di denaro e investimenti per conto della ’ndrangheta in Lombardia. Si legge negli atti dell’indagine Rinascita-Scott: “Loschiavo e Barone, in diretto contatto con esponenti di spicco della cosca, si occupavano (…) del reimpiego e del riciclaggio di denaro nonché della acquisizione o infiltrazione di attività commerciali e società in Italia settentrionale e all’estero, in particolare in Ungheria, Inghilterra, Russia”. Barone, poi, conosce molto bene Milano. Il suo nome, seppur mai formalmente indagato, emerge dagli atti dell’inchiesta Tenacia del 2010 sull’infiltrazione nella società Perego strade coordinata dal boss di Natile di Careri Salvatore Strangio.
Di questa indagine i magistrati di Catanzaro scrivono: “Barone veniva indicato come stretto collaboratore di Andrea Pavone, definito un ‘finanziere prestato alla ’ndrangheta’, entrambi incaricati di gestire le aziende acquisite in Lombardia dalla ’ndrangheta”.
Il 20 ottobre, lo spyware nel cellulare di Loschiavo registra una conversazione fondamentale per comprendere gli interessi mafiosi al Nord. Con Loschiavo ci sono altri due uomini che non vengono identificati. Uno si esprime in inglese. Parlano di affari. Loschiavo non interviene. Annotano i magistrati: “A fine conversazione” uno degli uomini “precisava che la conversazione era di interesse di Loschiavo”. L’uomo così si rivolge al manager vicino ai clan: “Sta parlando a te quando parla a me”. Il primo uomo dice: “Sto preparando un terreno abbastanza importante (…). Appena è finito ci vediamo e poi ti spiego tutto (…). Ci possiamo lavorare 20 milioni di euro”. Il secondo aggiunge: “Devo andare a parlare (…). Mi è arrivata oggi la conferma con la Compagnia delle Opere di Milano (…). Col presidente di Monza”. Il primo interlocutore continua nell’illustrare i progetti: “Il nuovo amministratore della società che abbiamo costituito in Ungheria. Perché abbiamo il mercato della Nigeria aperto (…). Sto impostando l’operazione per noi per quanto riguarda la Libia e ho prenotato una società che stava per chiudere, gli ho detto: no, datemela a me. Già pronta da tre anni, pulitissima, sempre ungherese”.
Nonostante i passaggi non siano pienamente definiti, i magistrati di Catanzaro commentano: “Alcuni riferimenti sono eloquenti circa la portata degli affari che vengono trattati. (…) lavori per 20 milioni di euro, società avviate all’estero attive su mercati nordafricani (…) la Compagnia delle Opere di Milano”. E ancora: “La conversazione potrebbe rappresentare gli enormi interessi economici che la ’ndrangheta vanta in Lombardia e all’estero”. E che Loschiavo e Barone abbiano interessi in Ungheria emerge dalle intercettazioni nelle oltre 10 mila pagine di richiesta cautelare.
A Milano c’è un’altra inchiesta (reati contro la Pa nel Comune di Basiglio) che ha fotografato le “cointeressenze” di personaggi vicini ai Mancuso. In piazza Erculea, a due passi dal Duomo, ha sede una società che si occupa di compravendita di petrolio. Tra i soci compare un ex presidente di Ferrovie nord Milano (Fnm) in contatto, all’epoca, con Bruno Caparini, tra gli storici fondatori della Lega nord in rapporti con manager di Gazprom. È una srl con sede anche a Vibo Valentia, partecipata al 95% da una società di diritto maltese e che – ecco il punto – nasce nel 2011 da un’altra srl milanese, il cui amministratore unico era un calabrese, ex bidello in pensione che a suo carico ha un controllo con il boss Francesco Mancuso detto Tabacco. L’ex bidello poi è risultato socio in altre aziende controllate da manager e prestanomi dei Mancuso.
Il fascicolo milanese nato nel 2015, è stato archiviato. La società in questione non è mai stata toccata penalmente e nemmeno i suoi manager. Oggi però il caso viene rivalutato anche alla luce degli arresti di Catanzaro. Uno dei manager della società di piazza Erculea, indagato per riciclaggio e poi archiviato, è un calabrese con residenza svizzera già in contatto con Francesco Giuseppe Stilo, gestore, insieme ai figli, dello Sporting club di Milano 3. In questa indagine Stilo è stato indagato per mafia, posizione poi archiviata.
Negli uffici di piazza Erculea il Ros ha piazzato diverse microspie. Tra le decine di conversazioni intercettate emergono progetti di affari con Gazprom e incontri con misteriosi manager calabresi. “Questo – dirà un impiegato riferendosi a un colletto bianco atteso negli uffici di piazza Erculea e in arrivo dalla Calabria – è ’ndrangheta al 101 per cento!”.