Sul social russo i deliri antisemiti italiani

“Ero la più zozza del campo”, firmato Anna Frankenstein. E ancora “kosher boldracca” con la foto di Laura Boldrini o una mazza da baseball ricoperta di sangue dedicata ai gay per “terapie riparative”. Sono solo alcuni esempi, tra i riportabili, di quello che si può trovare sul social media russo che ricalca il più famoso Facebook, Vkontakte. È in questo spazio virtuale che negli ultimi mesi sono cresciuti diversi gruppi nazifascisti italiani a suon di post antisemiti e razzisti. Tra i più attivi c’è Ordine Ario Romano, la cui dirigente è nota come “Miss Hitler”, recentemente indagata assieme ad un’altra ventina di persone nell’ambito dell’operazione di polizia “Ombre nere”. Partita dalla Digos di Enna lo scorso novembre, l’inchiesta indaga nei gruppi di estrema destra locali accomunati dal medesimo fanatismo ideologico ed intenzionati a costituire un movimento d’ispirazione filonazista, xenofoba ed antisemita denominato “Partito Nazionalsocialista Italiano dei Lavoratori”. Ordine Ario Romano è un’organizzazione che esiste almeno dall’agosto 2017 e su Vk è attivo con più di una quindicina di account. A segnalare e analizzare la loro attività social è stata Patria Indipendente, quindicinale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia che monitora da tempo la nuova ondata d’estrema destra italiana.

Il gruppo appare ossessionato dal pericolo giudaico, al punto che intravede possibili ascendenze ebraiche persino nei camerati di CasaPound e Forza Nuova. Simone Di Stefano, volto pubblico di CasaPound, ha un cognome “sefardita” mentre Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, sarebbe un “traditore comprovato” per il fatto che una delle figlie ha sposato un uomo di colore e gli ha generato una nipotina “meticcia”. Quale orrore. È dal 2016 che i gruppi di estrema destra statunitensi emigrano su Vk, più blando e con controlli meno stringenti sui contenuti rispetto al social di Mark Zuckerberg.

E adesso sono arrivati anche gli italiani. Ad oggi il gruppo è (ancora) facilmente rintracciabile e attivo: “Invitiamo tutti i camerati a non prendere parte ai gruppi su Facebook indebitamente denominati ‘Ordine Ario Romano’, in quanto gestiti da soggetti estranei alla nostra organizzazione per finalità deleterie. Il presente è da intendersi come l’unico e vero gruppo”. La 26enne Miss Hitler, che ha un’aquila nera tatuata sulla schiena e la scritta ‘dux’ sul braccio, ad agosto era a Lisbona per un meeting tra i più estremi gruppi nazifascisti europei. Vk è il luogo dove essere se si vuole interagire con l’estrema destra internazionale. Le relazioni, virtuali, possono diventare infatti reali: non a caso i contatti con una rete internazionale di estrema destra sono un’ipotesi di lavoro anche per gli inquirenti.

Caselli fa mobbing. “Tanti fascisti contro due: intervenire era il minimo”

“L’ho fatto così… perché mi veniva. Perché sentivo di doverlo fare. Non sono un eroe, sono un ragazzo normale”. Non c’è un grammo di ostentazione nella voce di Filippo Storer eppure oggi potrebbe permettersela: lui è il ventenne che la notte di Capodanno in piazza San Marco a Venezia è intervenuto per difendere l’ex parlamentare Arturo Scotto e la sua famiglia aggrediti da un gruppo di fascisti. Filippo si è messo in mezzo senza che nessuno glielo chiedesse, senza pensarci due volte, e si è anche beccato calci e pugni. Eppure continua a ripetere quella parola “normale”; quella normalità che ha spinto altri a tirarsi indietro e invece per lui è stata la molla per rischiare. Filippo ragazzo comune, con quella sua voce insieme sottile e roca dei vent’anni che ad ascoltarla ti immagini la sua casa nella pianura veneta: la tv accesa in un pomeriggio come tanti, i poster della Juve, qualche libro sugli scaffali. Magari Giuseppe Berto, “era di Mogliano Veneto, come me. Mi piace”.

Una famiglia come tante, il padre impiegato e la mamma che lavora in un supermercato; Filippo che finita ragioneria spera di trovare un lavoro. Devi tirargliele fuori le cose, non ha voglia di darsi l’aria del duro: “Non sono mica grosso”. E non ti direbbe nemmeno di aver preso delle botte, devi chiederglielo tu: “Sì… vabbè, mi hanno dato qualche pugno”. Anche il racconto dell’altra sera gli esce a spizzichi e bocconi: “Ero in piazza San Marco con amici. Ma in quel momento li avevo persi di vista ed ero solo. A un certo punto ho sentito quei ragazzi che urlavano le frasi su Anna Frank e sul Duce. E ho visto quel signore…”. Chi, Scotto, l’ex parlamentare? “Ecco, sì, chiedeva di smettere. Ma loro gli sono andati addosso e hanno cominciato a dargli un sacco di pugni”. Tu che cosa hai fatto? “Bè, mi sono messo in mezzo, con le spalle verso il signore e la sua famiglia e la faccia verso i ragazzi”. Ma perché lo hai fatto? “Non ci ho pensato, mi è venuto d’istinto, era giusto così, dovevo farlo. Ho visto quell’uomo (Scotto, ndr), sua moglie e il figlio spaventati e presi a botte e sono intervenuto… punto e basta”. A Filippo sembra normale anche se intorno altra gente non muoveva un dito: “Forse non si sono accorti di ciò che succedeva o magari hanno avuto paura che qualcuno potesse prendere una bottiglia… posso capirlo”. Ma tu no? “Non ci ho pensato”. Inutile cercare di strappargli una scintilla di compiacimento: “Mio padre e mia madre mi hanno insegnato così”. Sembra già tutto archiviato: “C’è qualcuno che mi ha detto che sono un eroe nazionale…”, ride, “a me non sembra di aver fatto niente di eccezionale”. E i tuoi amici cosa ti hanno detto? “Che ho fatto bene, ma poteva scapparci una bottigliata”. È intervenuto per questo Filippo, ha visto una famiglia in difficoltà. Tutto qui, la politica non c’entra granché: “Sì, seguo qualcosa, cerco di informarmi. Ma niente destra o sinistra. Il fascismo? Non mi piace… hanno fatto cose brutte… poi la violenza, l’odio… io non sono così”. Filippo difende il suo Veneto: “Non è vero che siamo razzisti o fascisti”.

Ma non hai paura che adesso gli amici dei fascisti ti rompano le scatole? “No, in tanti mi hanno detto che ho fatto bene, anche nel mio paese. Non mi sento solo”. Ti sembra di vederlo come compare nella sua bacheca Facebook, con la maglietta bianca sul fisico sottile, il cappello con la visiera e gli occhiali da sole. Appena i giornali si saranno dimenticati di lui tornerà alla sua vita ‘normale’: “Ho fatto ragioneria, spero di trovare un lavoro”. Qual è il tuo sogno? “Mi basterebbe trovare un posto in amministrazione. Sogni di questi tempi è difficile averne”.

Pino Gentile, l’Inamovibile: storia del potere in Calabria

Signore e signori, ecco la Calabria sempre uguale. Irriformabile, irredimibile, il regno di “Compà Pinuzzo”. All’anagrafe Giuseppe Gentile, detto Pino. Il quale Pino, da oggi a buon diritto definibile a scelta “Sempiterno” o “Inamovibile”, si appresta a essere eletto per l’ottava volta consigliere regionale. Le insegne sotto le quali il cavaliere 76enne conquisterà l’eterno scranno sono quelle di Jole Santelli, pupilla di Previti e Berlusconi.

Annoiata da un ventennio di presenze in Parlamento, l’ex sottosegretaria alla Giustizia è pronta a “rinnovare” la Calabria con un’armata di riciclati, vecchi e potenti capi-elettori e inossidabili trasformisti.

La storia di Pinuzzo il Sempiterno è straordinaria. I suoi 50 anni di presenza nelle istituzioni valgono da soli un manuale di sociologia politica da tradurre anche in lingua “khmer” e far studiare in tutte le università del pianeta. La vicenda della sua sterminata famiglia potrebbe scomodare gli studiosi eredi di Edward G. Banfield e delle sue teorie sull’amoral familism. Se non fosse che anche i sociologi della politica e gli eredi di mister Banfield si sono rotti pesantemente le scatole di questo pezzo d’Italia fermo alla primavera del 1970.

Avvolgiamo il nastro. Al governo del Paese c’è il democristiano Mariano Rumor, suo vice è il socialista galantuomo Francesco De Martino, ai Rapporti col Parlamento il dc Mario Ferrari Aggradi, e agli Esteri Aldo Moro.

Italia in bianco e nero, con Lucio Battisti che si strugge nei juke box cantando la sua Anna e la censura che tarpa le ali al capolavoro erotico Tarzana sesso selvaggio. A Cosenza, punta nordica della Calabria, dominano due cavalli di razza, Giacomo Mancini segretario nazionale del Psi, e Riccardo Misasi, democristiano e a 38 anni ministro della Pubblica Istruzione. Intanto da un quartiere di case popolari della città sette fra fratelli e sorelle, partono alla conquista del potere: i Gentile. Con Pino in prima fila, che a soli 26 anni diventa consigliere comunale.

Una promozione sociale significativa per il giovane geometra delle case popolari, che però non placa la sua ambizione. Pino vuole andare avanti. E così comincia a conservare in speciali elenchi, che custodisce come diamanti preziosi, i nominativi e gli stati di famiglia dei suoi elettori. Li conosce uno per uno. Di tutti annota esigenze, bisogni, piccole e miserabili richieste di avanzamento di carriera. Non si perde un funerale che sia uno, una specialità che conserverà negli anni. Commosso e sempre partecipe al dolore, stringe mani da Rende alla Sila. Nel 1975 viene rieletto consigliere comunale e promosso assessore.

Così cinque anni dopo, quando finalmente indosserà la fascia tricolore di sindaco di Cosenza. Applausi e brindisi, strette di mano e promesse, altri funerali e altri nomi da aggiungere alla lista dei fedelissimi. Perché l’obiettivo è sbarcare a Reggio Calabria, sede del Consiglio regionale. Dove Pino il Sempiterno arriva nel 1985 sotto l’ombra del garofano socialista. Riconfermato cinque anni dopo. Ora i calabresi che mettono la croce sul suo nome superano le decine di migliaia. Indifferenti ai cambi di casacca di compà Pinuzzo. Che nel 1995 si fa rieleggere ma diventa repubblicano, in attesa che Berlusconi scenda in campo e lo folgori.

Così, con l’avvento del nuovo secolo, ridiventa onorevole alla Regione, ma di Forza Italia, come avverrà nel 2005, e poi nel 2010, quando le preferenze supereranno le 20mila. Un record che merita un premio, l’equivalente del Nobel: una cena ad Arcore con Re Silvio. L’idillio dura fino al 2014, quando “l’Inamovibile” verrà abbracciato e benedetto da Angelino Alfano.

Una carriera folgorante, fatta di vicepresidenze e di assessorati di peso, e soprattutto senza intoppi. Le cronache giudiziarie registrano una richiesta di rinvio a giudizio della procura di Vibo Valentia per una storia di fondi destinati all’edilizia popolare e utilizzati per l’acquisto della sede dell’ente, e una ”citazione” nell’ultima maxi-inchiesta della Procura di Catanzaro. A farla è il pentito Cosimo Virgilio quando parla di massoneria e politica e di un avvocato considerato “il Licio Gelli calabrese, vicino al quale c’era Pino Gentile di Cosenza, caratterizzato dal fatto che aveva i denti larghi”.

Poca roba, che non scalfisce di un millimetro Pino e i Gentile. Una famiglia che ha un rapporto speciale, intimo col potere. Accanto a Pino c’è Antonio, detto Tonino, alle origini socialista pure lui, e più volte parlamentare di Forza Italia e sottosegretario in vari governi, e poi Raffaele, per anni sindacalista della Uil. Ma a scorrere la lista del potere e del sottopotere calabrese, la presenza dei Gentile è impressionante.

Un lungo elenco di figli, nipoti, parenti acquisiti, piazzati nei posti che contano. La più nota è la rampantissima figlia di Pino, Katya. È stata vicesindaco di Cosenza con Mario Occhiuto, poi lo ha abbandonato. Non esclude di correre come sindaco alle prossime elezioni, e nel frattempo si è scoperta sovranista e salviniana.

I maligni dicono che sarebbe toccato e lei candidarsi alla Regione e occupare il posto lasciato libero dal padre. Solo voci, chiacchiere da bar. Perché un Gentile è per sempre. Ma solo se si chiama Pino. Il Sempiterno.

In Campania De Luca imbarca gli eterni Pomicino e De Mita

Nasce nel segno dei dinosauri e degli impresentabili il movimento di un aspirante all’eternità, ‘o ministro Paolo Cirino Pomicino, 80 anni e un grande futuro dietro le spalle.

Obiettivo: la ricostruzione del Partito Popolare in Campania per le prossime elezioni regionali. In parole povere: radunare una pattuglia di nostalgici della Dc, aggregarvi qualche ex berlusconiano e alfaniano in cerca di nuova casa e ricollocare questa truppa di superstiti in un centrosinistra che anche stavolta dovrebbe essere guidato dalla bocca buona del governatore dem uscente, Vincenzo De Luca. Uno che cinque anni fa non ebbe problemi a fare accordi con gli amici di Nicola Cosentino, e non dovrebbe averne ora con un Pomicino “sdoganato” la scorsa primavera da Nicola Zingaretti in persona, che diede il nullaosta al suo sostegno alle elezioni europee.

Tra i nomi che parteciperanno al progetto spicca l’ex premier e sindaco di Nusco, Ciriaco De Mita, 91 anni, che si è rimangiato l’annuncio di ritirarsi dalla politica. Ci sono poi gli ex parlamentari Piero Mastranzo (72 anni), Franco Polizio (79 anni), Pietro Squeglia (75 anni) e Salvatore Lauro (68 anni), quest’ultimo recentemente indagato per corruzione. Si aggiunge l’ex consigliere regionale dell’Udc Luigi Cobellis che con i suoi 57 anni è da considerarsi uno dei ragazzini della combriccola (insieme al 49enne assessore di De Luca, Corrado Matera). Come l’ex azzurro e poi sottosegretario dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, Gioacchino Alfano, 56 anni: anche se la sua prima elezione alla Camera risale al 2001, e ci è rimasto quattro legislature e 17 anni. Alfano ha confermato i contatti con Ciriaco De Mita e con il nipote Giuseppe, ma alla domanda secca se ha aderito al disegno di Pomicino la risposta al momento è “no”. “Credo che prima delle Regionali – ha detto – bisognerebbe porsi il tema di come affrontare le suppletive al Senato del 23 febbraio. Da lì si capiranno molte cose”. A Napoli si torna a votare nel collegio Arenella per la morte del senatore 5S Franco Ortolani. Uno dei suoi avversari fu proprio Alfano.

La Regione in default aumenta gli stipendi

Sotto Natale, il sospiro di sollievo: il governo ha dato il via libera alla norma “Salva Sicilia” che consentirà alla Regione di spalmare in dieci anni parte del “buco” miliardario denunciato dalla Corte dei Conti. Pochi giorni fa, invece, in Regione, i brindisi: lo stipendio di 1.300 dirigenti crescerà mediamente di 209 euro lordi.

Nella Sicilia del mega disavanzo è stato firmato il rinnovo dei contratti dei dipendenti apicali. Lungamente atteso, poiché le retribuzioni erano bloccate da circa 14 anni. Eppure, il via libera arriva proprio nei giorni in cui si teme per la salute dei conti siciliani. A metà dicembre la Corte dei Conti ha sollevato il caso con un giudizio durissimo: il disavanzo ha superato la soglia dei 7 miliardi. Una situazione da “quasi fallimento” a cui avevano accennato organismi di controllo come la stessa Corte – è il caso dell’ex procuratore generale Pino Zingale – ed esponenti istituzionali come l’assessore siciliano all’Economia Gaetano Armao che ha recentemente parlato di “default scongiurato”, in una lettera al Mef.

Da Palazzo Chigi il 23 dicembre è arrivata la norma attesa: circa un miliardo di disavanzo, relativo agli anni precedenti al 2018, potrà essere ripianato in dieci “comode rate” annuali e non recuperato in un unico esercizio finanziario, così come avevano chiesto i magistrati contabili.

Nell’accordo, però, approvato in Cdm, c’è più di una clausola. Il via libera “è funzionalmente collegato – si legge nel comunicato di Palazzo Chigi – ad un accordo Stato-Regione contenente specifici impegni di riequilibrio strutturale della parte corrente del bilancio, in particolare attraverso la riduzione della spesa corrente”. Il rinnovo dei contratti, al contrario, comporterà però un aumento della spesa corrente.

Tutto legittimo, gli aumenti, secondo i sindacati, sarebbero anche inferiori a quelli ottenuti dagli statali. Ma sempre i magistrati contabili avevano segnalato alcune “storture” del sistema siciliano, ribadendo “le osservazioni critiche reiteratamente mosse da questa Corte – si legge nel giudizio – al numero considerevole di unità dirigenziali operanti in seno all’Ente regione, sia in termini assoluti, sia in relazione al rapporto tra numero dei dirigenti e quello degli altri dipendenti (che supera di poco il rapporto di uno a dieci)”.

Adesso gli stipendi base dei dirigenti siciliani oscilleranno tra i 45 mila e gli oltre 60 mila euro lordi annui, a seconda della fascia. A queste somme vanno aggiunte le retribuzioni di posizione: dai 7 mila a oltre 36 mila euro annui. Infine vanno considerate anche le retribuzioni di risultato: somme che dovrebbero essere, appunto, calibrate sulla base delle performance, ma che sono state erogate finora, nella quasi totalità dei casi, nella quota massima per tutti. Un’altra delle anomalie segnalate dalla Corte dei conti.

Del resto, questo meccanismo aveva prodotto pochi mesi fa una situazione al limite del paradosso. Non incentivati da un punto di vista economico, in pochi vogliono ricoprire gli incarichi più delicati. La Regione aveva deciso di assumere dall’esterno, senza un concorso. Da aggiungere ai 1.300 già in servizio. L’idea, al momento, è stata accantonata.

Salvini ora sbarca in Sicilia: all’Ars nasce il gruppo Lega

“Annuncio che all’Assemblea regionale siciliana, per la prima volta, nascerà un gruppo della Lega. E nascerà ai primi dell’anno”: Matteo Salvini ha scelto il palco del Bèrghem Frecc di Albino, la tradizionale festa invernale della Lega a due passi da Bergamo, per lanciare, qualche giorno fa, l’esca politica a 1.500 chilometri di distanza. Sono lontani gli anni in cui, dai balconi delle sedi della Lega, campeggiavano gli striscioni “Da Magna Grecia a Magna Magna – vergogna Sicilia”. Da settimane, a tessere la tela per realizzare il progetto isolano dell’ex ministro, nel ruolo di registi ci sono il senatore lombardo Stefano Candiani, ex sottosegretario all’Interno e commissario della Lega in Sicilia, e il parlamentare ragusano Nino Minardo.

Per Antonino Minardo detto Nino sono le prime manovre sotto il vessillo leghista. Eletto a Roma nel 2008 con il Pdl, il 41enne di Modica è stato anche il punto di riferimento di Angelino Alfano e del Nuovo centrodestra. Salvo poi tornare in Forza Italia. Così fino a novembre, quando ha ufficializzato – con tanto di foto insieme a Salvini – il passaggio alla Lega con l’obiettivo di “fare crescere la squadra in Sicilia”. Minardo, una condanna in via definitiva nel 2014 per abuso d’ufficio, porta avanti la tradizione politica di un casato di petrolieri. Cominciata con lo zio Riccardo, parlamentare a Roma e Palermo con l’Mpa, nel 2011 finito ai domiciliari per associazione a delinquere e truffa aggravata, e otto anni dopo assolto perché il fatto non sussiste.

E così, con un tempismo degno del calciomercato invernale, all’ombra del parlamento siciliano è scattato il totonomi su chi potrebbero essere i deputati pronti al cambio di casacca per trasferirsi alla corte di Salvini. Tra quelli dati in pole position, secondo i giornali, c’è il deputato Orazio Ragusa: eletto per la prima volta all’Ars nel 2006 con l’Udc, originario della provincia di Ragusa come Minardo, attualmente iscritto al gruppo di Forza Italia. “Io che passo alla Lega? Diciamo che per il momento siamo ai contatti”, ammette il deputato regionale al Fatto. Smentendo però l’ipotesi di un matrimonio già consumato. I sensori della politica siciliana sarebbero infatti da tempo con la spia verde accesa. “Si stanno verificando – continua Ragusa – le condizioni per creare una piattaforma allargata del centrodestra. Direi che questa è la migliore risposta”. La stessa, non è un mistero, che gradirebbe tanto il governatore Nello Musumeci. Con il suo movimento “Diventerà Bellissima”, l’estate scorsa Musumeci si è detto pronto ad aiutare Salvini. L’anno prima, nel 2018, il governatore aveva parlato dal palco di Pontida. E nel giorno del recente annuncio di Salvini dal palco di Bergamo, a Catania c’era un faccia a faccia Musumeci-Candiani. Ufficialmente per parlare di plastic e sugar tax, ma sul tavolo potrebbe essere finito anche un possibile rimpasto della giunta regionale. Magari con un assessore in quota Carroccio.

A tirarsi fuori dalla mischia del gruppo Ars, almeno per il momento, è invece Vincenzo Figuccia. Assessore regionale all’Energia soltanto per un mese, ed eletto all’Ars con l’Udc dopo una parentesi autonomista con il sempre presente Raffaele Lombardo. “Aggiorniamoci tra una settimana”, replica al telefono. Nello stesso partito di Figuccia milita Giovanni Bulla, commissario del partito di Lorenzo Cesa a Catania ed ex assessore Pdl della provincia, prima con Raffaele Lombardo e poi con Giuseppe Castiglione, l’ex sottosegretario dei governi Renzi e Letta finito imputato nel processo per il Cara di Mineo. Da Bulla, almeno per il momento, non filtra nulla, ma un tentativo di ammiccamento nei suoi confronti ci sarebbe stato.

L’approdo in casa Lega potrebbe coinvolgere anche Marianna Caronia. La deputata palermitana dopo essere passata dal Movimento per le autonomie a Forza Italia resta a guardare dalla poltrona del Gruppo misto, al quale è approdata a marzo 2018.

“Ho fatto nero Salvini: così è vittima e carnefice”

Parafrasando una vecchia fiaba nordica, si potrebbe dire che finalmente il Re è nero. L’unico rischio, in quel caso, sarebbe assegnare immeritati gradi nobili a chi del reame invidia i pieni poteri, ovvero Matteo Salvini. Ma nell’arte, si sa, vale tutto. E allora eccolo lì, nero e nudo nelle sue contraddizioni, Matteo Salvini raffigurato con pelle scura, capelli afro, collare da prete, vestito arcobaleno e sfondo di Bella Ciao. Il merito è di Luigi Christopher Veggetti Kanku, artista nato in Congo e giunto in Italia a soli 5 anni che ha creato l’opera più paradossale del 2020, mettendola all’asta su internet (salvininero.com) fino al 31 gennaio.

Veggetti Kanku, chiunque potrà aggiudicarsi un Salvini nero da appendere in camera da letto.

Vorrei proprio diventasse un prodotto di consumo, che la gente si stampasse anche solo l’immagine. Mi piaceva l’idea di prendere la foto scelta dallo staff di Salvini per i santini elettorali e renderla pop art ribaltando il significato.

Salvini come la Marilyn Monroe di Andy Warhol?

Il senso è quello, anche nei colori.

Perché un Salvini nero?

Il mio scopo era creare una nemesi di Salvini ribaltando tutti i suoi stereotipi. Quello raffigurato è allo stesso tempo il leader della Lega ma anche qualcos’altro, un suo fratello. Riconosciamo i lineamenti ma capiamo che ne è l’opposto: vittima e carnefice insieme.

Una critica politica?

Non capisco perché se uno scrittore parla di politica è ascoltato, se lo fa un’artista gli si dice di occuparsi d’altro. Persino nelle gallerie si è respinti perché non si vuole imbarazzare nessuno.

Cattive esperienze coi galleristi?

Diciamo che qualcuno, vedendo i miei quadri prima di conoscermi, mi ha poi detto che si aspettava un artista bianco. Anche l’arte è piena di clichè, per cui se sei nero devi fare dipinti colorati e molto informali.

Quando ancora non aveva svelato l’immagine, Salvini ha preso in giro la sua iniziativa sui social. Perché?

Credo per mettere le mani avanti, forse era un po’ preoccupato e ha voluto anticipare il tutto per paura di come i suoi oppositori avrebbero poi potuto utilizzare l’immagine.

Cosa avrà pensato quando si è visto nero?

Una cosa tipo: “Sono più bello bianco”.

Ha il collare da prete.

Ormai sta invadendo ogni ruolo, la Lega ha criticato persino il Papa. Strumentalizza la religione per la propria propaganda neanche fossimo al tempo delle Crociate.

Che prete sarebbe Salvini?

Uno che fa omelie noiose, che predica bene e poi fa sparire il sacco delle offerte con 49 milioni dentro.

Pure il vestito arcobaleno.

Un governo leghista credo tornerebbe indietro su ogni diritto civile conquistato in questi anni. Ho scelto di vestirlo metà di arcobaleno e metà con un abito che richiama l’Africa in modo da fargli avere indosso tutte le parole che di solito butta contro povere persone.

E “Bella ciao” sullo sfondo?

Scritto con tanti font diversi, per ricordargli che non è soltanto la canzone dei comunisti, come dice lui, ma un canto condiviso da voci diverse ma che amano la democrazia.

Potrebbe diventare il simbolo delle Sardine.

Perché no? Credo molto nell’indignazione sociale, mi farebbe piacere se lo usassero più persone possibile.

È vero che l’incasso andrà in parte a una Ong?

Sì, magari a una di quelle bloccate dal decreto Sicurezza, sarebbe una bella sberla morale. Ancora però non ho deciso.

Qualche settimana fa, a Napoli, una mostra ha esposto una scultura di Salvini che spara a dei migranti. Istigazione all’odio o libera arte?

Se l’obiettivo dell’artista è smuovere qualcosa, ben venga lo spingersi oltre. Anche questa è arte.

Gregoretti, oggi in Giunta il leghista porta le email di governo sulla nave

Matteo Salvini ha fatto i compiti per le vacanze: è pronto a depositare la sua memoria difensiva alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato chiamata a esaminare la richiesta dei magistrati di Catania che lo vogliono processare con l’accusa di sequestro aggravato di persona per la gestione dei migranti a bordo della Nave Gregoretti. Il leader della Lega prova a buttarla sullo scherzo: “Mi sento Silvio Pellico, con Le mie prigioni: rischio fino a 15 anni di carcere perché ho bloccato degli immigrati e difeso il mio Paese. Ma che memorie difensive vuoi produrre? Lo Stato è come casa mia, devi usare il campanello, se non hai il permesso di entrarci ti rimetto sul barchino e ti rispedisco a casa tua” ha detto dalle nevi di Bormio dove ha passato il Capodanno, ma in continuo contatto con i suoi legali impegnati a dimostrare che ha agito nell’interesse dello Stato e in piena sintonia con gli altri membri del governo di cui era all’epoca ministro dell’Interno. “Voglio vedere i 5 Stelle al Senato votare l’opposto di quello che hanno votato pochi mesi fa per difendermi”, dice riferendosi al caso della nave Diciotti per il quale a marzo scorso gli venne riconosciuta a Palazzo Madama l’esimente di aver agito nel preminente interesse nazionale. “Voglio vedere i senatori votare contro l’interesse nazionale e sostenere che quello che io ho fatto, con il consenso di tutto il governo di allora, era per mio interesse personale. Dopodiché sono pronto a farmi processare: possono incarcerarmi, non me ne può fregar di meno. Ho fatto il conto in queste vacanze, ho inchieste e processi aperti e se non mi conoscessi mi reputerei un delinquente, mi manca lo spaccio di droga e la pedofilia e poi ce l’ho tutte” chiosa in vista della decisione della Giunta che si riunirà sul caso Gregoretti (che venne bloccata al largo di Augusta, dal 27 al 31 luglio, con a bordo oltre 130 migranti) subito dopo l’Epifania. L’8 gennaio è in calendario la prima seduta della Giunta che poi tornerà a riunirsi sulla questione anche il 13 e il 15. Per il 20 del mese in corso è prevista la votazione a meno di richieste di slittamenti. Che si decida o meno di posticipare il voto in Giunta a dopo le elezioni in Emilia Romagna, sarà l’aula del Senato a decidere in via definitiva su Salvini nei successivi 30 giorni e a scrutinio segreto.

Le sindache pensano al bis, ma perdono pezzi

Il pensiero comune, da qualche tempo, è quello di un secondo mandato da sindache. Problema, anzi, problemi: entrambe hanno già accumulato una consiliatura all’opposizione e una in giunta, dunque dovrebbero ricandidarsi da indipendenti, visto che il “mandato zero” ideato da Luigi Di Maio non fa al caso loro. E poi le cose, a Roma come a Torino, non sembrano proprio in discesa. Virginia Raggi e Chiara Appendino hanno infatti iniziato il loro quarto anno di incarico con turbolenze interne ancor più intense del solito, preludio non ideale a ogni eventuale ambizione di riconferma, seppur “civica”.

A Roma, la Raggi è alle prese con la questione della nuova discarica di Monte Carnevale. Il sito è stato indicato a fine anno dopo mesi di scontri con la Regione e dopo che erano saltate le altre due ipotesi in campo, ovvero le zone di Falcognana e Tragliatella. Ogni nuova discarica però, è inevitabile, si porta dietro le proteste di chi nel quartiere prescelto ci vive, a maggior ragione se, come in questo caso, si finisce a un paio di chilometri dalla vecchia discarica di Malagrotta.

Tanto più che proprio i 5 Stelle in passato avevano protestato contro i disastri ambientali causati dalla discarica in quella zona, e così a Capodanno il deputato del Movimento Stefano Vignaroli è tornato in piazza contro la decisione della sindaca. Con lui c’erano anche il consigliere regionale grillino Marco Cacciatore e soprattutto la consigliera 5 Stelle in Campidoglio Simona Ficcardi, ultima scontenta di una maggioranza che nelle ultime settimane ha visto le dimissioni di Nello Angelucci e le polemiche sul bilancio comunale di Monica Montella.

A Torino, se possibile, la situazione è ancor più delicata. Ieri il consigliere 5Stelle, Aldo Curatella, ha annunciato il passaggio al Gruppo misto, in polemica non tanto con la giunta quanto con la linea politica del Movimento: “Non era questo il Movimento, non erano queste le finalità che ci si prefiggeva e non è più possibile restare all’interno di un contenitore che ha solo l’intestazione originaria, ma ormai è quanto di più lontano si possa immaginare”.

La defezione diventa adesso un serio problema numerico per la giunta, perché la Appendino può contare soltanto su 21 consiglieri contro i 19 delle opposizioni.

Eppure appena qualche giorno fa, la sindaca aveva rivendicato quanto fatto in questi anni, aprendo a una possibile ricandidatura: “Dopo l’estate deciderò che cosa fare nel 2021”. Un altro eventuale strappo interno, però, potrebbe forzatamente accelerare i tempi.

“Via chi non è in regola”. Di Maio e i 30 a rischio

Cacciare, per sopravvivere. Punire altri parlamentari – “almeno dieci, ma rischiano in trenta” soffiano dai piani alti del M5S – per educarne o meglio dissuaderne cento e di più. Nel nome delle ultime regole rimaste e della fedeltà a un governo che lui, Luigi Di Maio, non voleva, ma che ormai è una boa a cui deve aggrapparsi. Al capo politico del Movimento non resta che giocarsi l’ultima carta, la mannaia. “Non si può pensare che nel M5S ognuno faccia tutto quello che vuole” ringhia Di Maio con i suoi mentre il neo-espulso Gianluigi Paragone minaccia di trascinare i 5Stelle in tribunale e punta il dito contro “i cari falsi probiviri, i cari uomini del Nulla, che hanno paura di me perché ho quel coraggio che loro non hanno più”.

Nella notte del primo dell’anno, quella della cacciata, lo ha difeso anche Alessandro Di Battista con un post che è la conferma di un sodalizio: “Gianluigi è infinitamente più grillino di tanti che si professano tali. Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con lui. Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto, quella del 33% per cento”. E ovviamente Di Maio non ha gradito.

Ma sapeva che l’ex deputato non sarebbe rimasto inerte. Alla vigilia del voto contrario alla manovra che è costato a Paragone il foglio di via, a Di Battista lo avevano preannunciato: “Se vota no Gianluigi è fuori, prova a intervenire tu”. Ma l’ex deputato, raccontano, non si è impressionato: “Io starò sempre dalla sua parte, Paragone incarna i valori dei 5Stelle”. Non a caso in quelle ore era stato con il senatore a una serata di attivisti a Tivoli, per ribadire il loro legame. E Di Battista lo ha ripetuto a chi lo ha sentito in queste ore: “Le battaglie che Gianluigi porta avanti sono quelle del M5S”.

Ma lo erano e non lo sono più, per il Di Maio che non può permettersi di essere anti-europeista (e il muro sul Mes era altro, un segnale di presenza al gruppo come al Pd e al premier Conte). Così il capo fa trapelare sillabe che mordono proprio Di Battista: “Al Movimento servono persone che ci mettano la faccia sempre e non a giorni alterni o secondo le proprie convenienze”. E non può cambiare il piano lo schierarsi di un’altra maggiorente come la senatrice Barbara Lezzi: “Gianluigi era e resta un mio collega, non è una buona idea espellere gli anticorpi”.

Di Maio (e Casaleggio) hanno deciso, “il M5S non è anarchia, finito con Paragone ora toccherà a chi non restituisce” fa sapere il capo. E potenzialmente sono decine. “A fine dicembre i parlamentari non in regola erano 50” dicono. Compresi alcuni big, anche di governo (e gli strali di Paragone contro le ministre Catalfo e Dadone “indietro con le restituzioni” non erano casuali). Negli ultimissimi giorni del 2019 in tanti sono corsi a versare, entro la scadenza del 31 dicembre. I dati aggiornati ancora non ci sono, ma da qui a brevissimo si tirerà una linea. E pioveranno sanzioni, graduali. “Chi risulterà indietro di poche settimane subirà un richiamo, chi di pochi mesi verrà sospeso e finirà temporaneamente nel Gruppo misto” spiegano. Chi non avrà versato nulla nell’ultimo anno verrà cacciato. “Qualcuno salterà, anche in Senato” profetizzano. Ed è proprio a Palazzo Madama che la Lega attende speranzosa, così da reclutare altri grillini e togliere altri voti preziosi alla maggioranza. “Se Paragone vuole passare con noi le porte sono aperte” già provoca ieri il Carroccio. Ma c’è altro, lì fuori. Ci sono i contiani, i grillini pronti a uscire dal M5S sia in Senato che alla Camera. E tra questi il senatore Emanuele Dessì: “Nel Movimento siamo al caos, Di Maio e Casaleggio non sanno tenere i rapporti umani”. Quindi? “Ora Di Maio fa la faccia feroce anche per fermare certi processi, ma a breve usciremo con un documento in cui ribadiremo le critiche a questa gestione ma anche il sostegno al governo”.

E poi c’è Mario Giarrusso che la mette così ad Affari italiani: “Undici milioni di italiani hanno votato il M5S per vedere questo schifo?”. Anche questo è il Movimento. Mentre Di Maio ripete a tutti: “Le regole sono il nostro argine”. Fermo, dietro l’ultima trincea.