Oltre un lavoratore su dieci (l’11,8%), secondo l’ultimo dato Eurostat riferito al 2019, pur percependo un reddito è in una condizione di povertà. Alcune proposte per ridurre questo fenomeno sono contenute in uno studio del gruppo di lavoro sulla povertà lavorativa insediato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a partire dalla sperimentazione del salario minimo in alcuni settori mentre prosegue il dibattito a livello politico e sindacale. La percentuale dei lavoratori poveri è cresciuta in modo consistente dal 2012 quando era all’8,7% fino al 2017 quando era al 12,2% per poi scendere nel 2019 all’11,8% ma il dato probabilmente con la pandemia è peggiorato. Per la Commissione una strategia di lotta alla povertà lavorativa prevede di sostenere i redditi, aumentare il numero di percettori di reddito e assicurare un sistema redistributivo ben mirato. Vanno poi garantiti minimi salariali adeguati e vanno estesi i contratti collettivi principali a tutti i lavoratori. Per i tecnici c’è anche un’altra strada da seguire: la sperimentazione di un salario minimo per legge.
Bollettino medico per grandi elettori
Modesta proposta. Visto che l’epidemia sembra rallentare mentre l’elezione del Presidente della Repubblica accelera, si potrebbe eliminare completamente il bollettino dei contagi (almeno fino alla fine del Festival di Sanremo che della presidenza è la prosecuzione con altri mezzi), e sostituirlo con il bollettino quotidiano dei grandi elettori disposti a votare per Silvio Berlusconi. Ogni giorno, in diretta da Arcore, Antonio Tajani legge i numeri: i nuovi elettori positivi a votarlo; quelli positivi anche a inscriversi al Polo delle libertà (ricoveri ordinari) o addirittura a entrare in Forza Italia (terapia intensiva). Infine, i negativi che non ne vogliono sapere (deceduti). Per mettere in piedi il bollettino i tempi sono stretti, ma a B. piacciono le sfide impossibili. C’è già una cabina di regia, presieduta da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, alla quale è tuttavia necessario affiancare un comitato tecnico scientifico di livello, in grado di verificare l’attendibilità dei dati con evidenze cliniche. Il tampone non si può fare, troppi falsi positivi, troppi falsi negativi, troppi veri franchi tiratori. Ma le alternative per accertare la positività dei grandi elettori non mancano. Una chiacchierata telefonica con il presidente del comitato tecnico scientifico Vittorio Sgarbi; un abboccamento nel retrobottega del Transatlantico con Gianni Letta; l’iscrizione alla chat whatsapp “King Maker” con Denis Verdini, Marcello Dell’Utri e Fedele Confalonieri; un passeggiata per i giardini di Villa Grande con la cagnetta Gilda, muniti di appositi sacchetti igienici; quattro passi al tramonto sulle rive del Nilo con la nipote di Mubarak; il controllo della propria dichiarazione dei redditi affidata all’avvocato Ghedini; un faccia a faccia con Augusto Minzolini sul giornalismo indipendente; un corso di salsa, merengue e bunga bunga con Gianpi Tarantini. Insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta, nel giro di una settimana dovremmo superare il picco, e il Festival di Sanremo sarà salvo.
L’ultimo caffè, la Supercoppa e il goal dell’Inter in zona “Cesarini”
Certe verità si disvelano all’improvviso, senza tener conto del luogo, dell’ora, del momento che stai vivendo. Così capita a un soggetto che conosco di vista, pensionato di lungo corso che sta bevendo un caffè goccia dopo goccia mentre nei suoi pressi si discute ancora dell’incredibile finale della Supercoppa italiana. Ascolto anch’io, più attento però a cronometrare il tempo che impiegherà a terminare quel caffè. Ragiono che forse, essendo avvisato che tanta bevanda potrebbe arrivare a costare ben un euro e cinquanta centesimi a causa degli aumenti in bolletta, gli stia dando l’addio: l’ultimo caffè bevuto al bar. A un certo punto però, quando uno dei presenti salta su a dire che il gol di Sanchez è stato un colpo di pura fortuna, (il termine in verità è ben altro), l’uomo depone la tazzina e corregge affermando invece che è un gol segnato in pieno stile Cesarini, cioè nella frazione di tempo che da lui ha preso il nome. Gli risponde uno sconcertato silenzio dando credito all’ipotesi che di codesto Cesarini nessuna sa niente e lui allora si spinge a dare conto di ciò che ha detto, raccontando di Renato Cesarini, mezzala della Juventus negli anni trenta e della sua propensione a segnare negli ultimissimi minuti della partita, da cui la locuzione “zona Cesarini”. Poi però, a lezioncina terminata, lo vedo ingobbirsi, come se appunto la verità gli si fosse disvelata in quel momento, presentandogli il conto degli anni che adesso gli pesano sulle spalle a differenza degli astanti che, per questioni anagrafiche, di quel Cesarini non avevano alcuna contezza. E silenzioso esce dal bar, dimenticando di pagare quel suo probabile ultimo caffè che peraltro gli viene abbuonato dal proprietario del bar. Atto di solidarietà, poiché anche lui avrebbe potuto raccontare di quel Cesarini e della zona che da lui ha preso il nome. Tanto che, ma forse è solo una mia impressione, mi sembra che pure le sue spalle comincino ad avvertire un certo peso.
Mail box
“La storia di Silvio”: libro horror o comico?
Ho letto le 36 puntate pubblicate sul Fatto della “Storia di Berlusoni”, e le ho successivamente stampate per farne un libro. A tal proposito, chiedo un consiglio a Travaglio: lo metto tra le biografie, tra i libri di argomento politico, storico o cronaca giudiziaria? Tra le spy story o fra i thriller? O forse tra gli epici? Se non fosse tutto vero avrei potuto pensare di inserirlo tra i comici. Nell’attesa della sua risposta, lo inserisco temporaneamente negli horror, sempre che il Caimano non salga al Quirinale. A quel punto, lo sposterei tra le tragedie.
Rino Vezio
Letteratura porno, naturalmente.
M. Trav.
Da Mattarella al Nano: i paradossi del Quirinale
Il presidente Mattarella è fratello di Piersanti, assassinato da Cosa Nostra. Ora rischia di dover stringere la mano al suo successore, finanziatore della stessa Cosa Nostra: come si sentirà?
Francesco Collecchia
Tutti attaccavano Conte, e adesso con FI?
Inorridisco a pensare a quello che scrivevano i giornali su Giuseppe Conte: la laurea, il curriculum, le collaborazioni, le parcelle. Tutte quelle illazioni e fiumi di inchiostro per cercare di rendere una persona perbene impresentabile. Ora che hanno l’impresentabile per eccellenza che aspira al Colle… è finito l’inchiostro.
Francesco Facciolo
C’è solo da imparare da Paesi come l’Australia
La decisione del governo australiano di non consentire l’ingresso nel proprio territorio nazionale a Djokovic dimostra che in quel paese non c’è posto per i “Marchesi del Grillo”. Diversamente dall’Italia dove, probabilmente, sarebbe stato accolto con tutti gli onori, “perché si tratta di un caso eccezionale!”, ovvero perché è ricco e famoso.
Cesare Di Palma
Continue incongruenze su vaccini e pandemia
Tutti concorrono a confondere le idee ai cittadini, che vengono quotidianamente attanagliati da disposizioni spesso incongruenti e incomprensibili. Ecco una manciata di deplorevoli editti e proclami vergognosamente franati: col vaccino torneremo alla normalità (falso); basterà vaccinare il 70 per cento degli italiani (falso); bastano due dosi (falso); bastano tre dosi (falso); un vaccinato non può contagiarsi né contagiare (falso); un vaccinato non può finire in terapia intensiva (falso); un vaccinato non deve fare il tampone (falso); è una pandemia di non-vaccinati (falso); il Green pass farà ripartire l’economia (non solo falso, ma da ridere); il Green pass farà ripartire il Natale (di chi, dei politici?); con il Green pass nessun rischio di contagi (falso); lo stato di emergenza è temporaneo (falso). Un macello, ce la possiamo prendere con tutti, con buona pace di Stato, governi, ministri, luminari e in varie discipline mediche, ma non avremo mai una risposta chiara e definitiva. Siamo veramente a uno stato demenziale: preferiscono tenere aperte le finestre come accade in alcune scuole, e che siano tutti vaccinati affinché gli alunni possano liberamente ammucchiarsi su mezzi pubblici di trasporto fatiscenti e insufficienti? Spiace doverlo dire, ma ci hanno messo in testa tante di quelle castronerie che ormai non saremo più in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato.
Loris Ivan Davò
Peste suina: perché fare una zona rossa?
Voglio denunciare un’ordinanza ministeriale finora ignorata dalla maggior parte dell’informazione non locale, che costituisce un gravissimo precedente antidemocratico. Per salvare l’industria dell’allevamento dei maiali (una delle attività economiche più inquinanti e insostenibili al mondo) da un focolaio di peste suina, i ministri Patuanelli e Speranza hanno chiuso ogni attività turistica e ricreativa nell’enorme area del Piemonte e della Liguria per sei mesi, con previsione di arrivare a un anno. Viene vietato qualsiasi tipo di accesso ai boschi, non motivato da attività lavorative in un territorio di circa 50 chilometri quadrati. Colpisce la leggerezza con cui un tratto di penna ha instaurato una gigantesca zona rossa, che avrà un impatto drammatico sull’economia locale per decine di migliaia di persone, per cui i boschi sono oggi una risorsa preziosa, soprattutto in tempo di pandemia da coronavirus. Risulta difficile credere che biciclette e trekking nei boschi abbiano davvero rilevanza epidemiologica per i maiali, e comunque che non fosse possibile proteggere gli allevamenti dal contagio in altri modi. Allevamenti che tra l’altro si trovano in maggioranza in altri territori. Sembra che lo scopo di questa ordinanza sia mostrare di aver compiuto un’azione qualsiasi agli importatori esteri, al di là della reale efficacia, ma con certissime e pesanti ricadute sul territorio, su chi lo abita, su chi ci lavora e su chi lo frequenta. Traspare un disprezzo totale dei diritti di tanti per gli interessi di poche grosse industrie, naturalmente con le solite motivazioni pelose, tipo “ce lo chiede l’Europa”.
Francesco Defferrari
Sul lavoro “Lo Stato fermi la strage degli agricoltori morti sotto il trattore”
Gentile redazione, venerdì ci sono stati i funerali di Vittorio Quaglia, un agricoltore molisano schiacciato da un trattore: aveva solo 39 anni ed è già il secondo agricoltore schiacciato da un trattore nel 2022, mentre un terzo è rimasto gravemente ferito.
Dall’inizio dell’anno sono morti già 23 lavoratori, 11 di questi sui luoghi di lavoro. Nel 2021 sono morti 1.404 lavoratori per infortuni sul lavoro, di cui 695 sui luoghi di lavoro, con un aumento del 18 per cento rispetto al 2020. Le categorie con più morti sul lavoro sono l’Agricoltura (30,22 per cento), l’Edilizia (15 per cento), l’Autotrasporto (10,75 per cento), l’Industria (5,89 per cento). In particolare, in Agricoltura, il 75 per cento delle vittime muore – in modo orribile – schiacciato da un trattore: nel 2021 abbiamo perso così ben 158 lavoratori, ma sembra una strage della quale non si interessa nessuno.
È ora che i ministri delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, e del Lavoro, Andrea Orlando, se ne occupino. Non è possibile assistere inerti a una strage di questa portata. I campi agricoli italiani sono impregnati del sangue degli agricoltori. Si potrebbe fare tanto per alleviare questa ecatombe di lavoratori, mentre non se ne occupa nessuno, a nessun livello. Innanzitutto, ci vorrebbe una forte campagna informativa sulla pericolosità del trattore, un mezzo pesante che uccide un lavoratore su cinque. Poi si dovrebbero dare forti incentivi per rinnovare il nostro parco trattori ormai obsoleto se non mortale. Lo Stato faccia lo Stato senza avere il timore di mettersi contro le lobby.
Carlo Soricelli, curatore dell’Osservatorio nazionale morti sul lavoro
Carriera di Rosy Bindi: dal binomio con Schicchi fino al Parlamento
“Forza Seniores”, il dipartimento di FI che raccoglie gli over 65 azzurri, lancia la candidatura dell’ex premier al Quirinale. “Chi è Silvio Berlusconi”: la locandina-manifesto, con in cima una foto del leader azzurro di qualche anno fa, elenca 22 meriti del fondatore di Forza Italia: è “una persona buona e generosa”, “l’eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel ’94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale”, “un amico di tutti, nemico di nessuno”, “tra i primi contribuenti italiani”, “tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro”, “un self-made man, un esempio per tutti gli italiani”, “il primo editore d’Italia e il più liberale”, “il fondatore del centrodestra liberale, cristiano, europeista e garantista”, “il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell’Aquila”, “il presidente del Consiglio che mise fine alla guerra fredda” (…) (Ansa, 13 gennaio)
Si scelga un presidente condiviso.(Roberto Fico, Ansa, 17 gennaio)
Vorrei che a sfidarlo fosse Rosy Bindi. (Nando dalla Chiesa, Fq, 16 gennaio)
Chi è Rosy Bindi. All’anagrafe Rosaria Bindi, ma più nota come Cicciolina, Rosy Bindi è stata modella, conduttrice radiofonica, parlamentare, ministro e attrice porno con Moana Pozzi e John Holmes. “Per chi era adolescente negli anni Settanta è stata la porta spalancata sul sesso e i suoi piaceri”, scrisse su l’Espresso Umberto Eco. Figlia di un’ostetrica e di un funzionario governativo, crebbe in provincia di Siena, dove studiò danza e già adolescente iniziò a lavorare come modella. Si iscrisse a Sociologia a Trento, divenne Miss Universo e all’inizio degli anni 70 conobbe Riccardo Schicchi, che sarà il regista di molti suoi film porno. Insieme condussero il programma radiofonico Voulez-vous coucher avec moi?, trasmesso di notte dall’emittente privata romana Radio Luna. Era un programma erotico, in cui Rosy Bindi era solita chiamare “cicciolini” e “ciccioline” gli ascoltatori e le ascoltatrici che telefonavano. Divenne così lei stessa “Cicciolina”, un soprannome che contribuì a darle Maurizio Costanzo e che ben si conciliava con il suo approccio smaliziato e giocoso al sesso. Negli anni Settanta arrivarono anche i primi film erotici, in cui comparve con i nomi Rosy Mercury o Rosi Mercuri. Recitò, tra le altre, nelle commedie sexy L’ingenua, La supplente e La liceale, con Gloria Guida e Alvaro Vitali; film descritti da La Civiltà Cattolica come “una serie di b-movie scollacciati all’italiana che ebbero e ancora hanno estimatori”. Nel pieno della sua carriera cinematografica, Rosy Bindi si candidò con la Dc alle elezioni europee e fu eletta con una valanga di voti; ma ricevette varie denunce per aver ripetutamente mostrato il seno durante i comizi. Nel 1994 diventa deputata del Ppi, la prima attrice porno a diventare parlamentare in un Paese occidentale. La sua attività politica comprese una proposta per parchi dell’amore libero, con un discorso che Nilde Iotti definì “uno dei migliori che abbia mai sentito”. L’impatto di Rosy Bindi sull’immaginario collettivo italiano dura ancora oggi: “Un topo uccide il boa di Cicciolina”, titolò Repubblica, riferendosi al serpente con cui Rosy Bindi era solita esibirsi. Sciascia scrisse: “Può accadere che una spogliarellista diventi una parlamentare impeccabile”. E così è stato. Quindi, chi meglio di lei? – Pd Seniores
Farmacisti: l’ultima lobby che ostacola le cure in pandemia
Mercoledì 12 gennaio la Commissione Affari costituzionali del Senato ha dimostrato agli elettori che una volta toccato il fondo ci si può sempre mettere a scavare. Così con 13 voti contrari e 11 favorevoli sono stati respinti due diversi emendamenti al decreto Milleproroghe, presentati da M5S e LeU, per permettere anche alle 4.000 parafarmacie italiane di eseguire tamponi molecolari e antigenici. Il tutto per la gioia (si fa per dire) di milioni di cittadini costretti in questi giorni a stare in fila al freddo per ore davanti alle farmacie aspettando il test.
Se gli emendamenti fossero passati, nel giro di poco tempo le attese si sarebbero ridotte di molto visto che, secondo le stime, le parafarmacie sono in grado di coprire il 20% della capacità diagnostica nazionale.
Il governo aveva dato parere favorevole al primo dei due emendamenti, la cui bontà era stata sostenuta in aula dal relatore del Milleproroghe, Nazario Pagano, di Forza Italia. Tutto il centrodestra ha però votato no e ha avuto la meglio grazie all’appoggio di Italia Viva. Il forzista Pagano si è invece sdoppiato: prima si è dimostrato d’accordo con la proposta del M5S sponsorizzata dall’esecutivo e poi ha voltato le spalle a quella analoga di LeU. Di fatto si è ripetuta una scena penosa già vista altre quattro volte in Parlamento dove sempre, quando qualcuno ha chiesto di far fare gli esami Covid anche in parafarmacia, la norma è stata respinta.
Secondo molti osservatori la contrarietà del centrodestra e di Italia Viva è dovuta alla presenza nelle file del partito di Berlusconi di Andrea Mandelli, presidente dell’Ordine dei farmacisti (molti di loro stanno facendo profitti da record) e vicepresidente della Camera. Alle accuse di lobbismo giocato sulla pelle e i portafogli dei cittadini, il relatore forzista del Milleproroghe Pagano ha risposto sdegnato: “Giuro di non aver subito pressioni da Mandelli. Ma credo che siano legittime tutte le opinioni, comprese quelle di chi, come Mandelli, ritiene che le parafarmacie non debbano essere chiamate a svolgere un ruolo non consono alla loro natura di attività commerciali”.
Comunque stiano le cose, il risultato del voto è francamente disgustoso. Chi nega di aver subito pressioni o di aver voluto fare un favore a una categoria particolarmente ben organizzata e quindi in grado, al momento opportuno, di spostare pacchetti di voti, sostiene, tra l’altro, che le parafarmacie vadano escluse perché non fanno parte del Sistema sanitario nazionale. Detto in altre parole, secondo chi si oppone, una volta eseguiti i test sarebbe possibile comunicarne l’esito alle aziende sanitarie. Lo afferma anche la senatrice di Italia Viva, Annamaria Parente, secondo la quale, solo pochi negozi “sono nelle piattaforme che gestiscono le tessere sanitarie” e per questo sarebbe necessario “creare una piattaforma parallela su dati sensibili”.
“Fatti chiari” si è allora informato. E ha capito che le obiezioni sollevate sono o infondate o risibili. Ovunque nelle parafarmacie i farmaci da banco si acquistano presentando il codice fiscale e le medicine vengono tracciate. Gli eventuali aggiornamenti software necessari sono molto semplici e proprio per questo il governo era favorevole all’emendamento. La verità è insomma un’altra. Ed è la solita: pure davanti alla pandemia, tra i parlamentari non scompare il vizio di fare i liberisti solo con il fondo schiena degli altri. Anche perché loro i tamponi li fanno gratis, al caldo e senza fila, in un centro medico convenzionato.
Il Caimano. Il problema non è solo lui. Ma la classe politica che gli somiglia
Tra le cose che mi appassionano meno, insieme all’hockey su prato e al porno gotico giapponese, c’è la corsa al Quirinale, che sembra una partita a scacchi tra persone che non hanno mai visto una scacchiera e credono che sia una tovaglia a quadretti. Per mesi ha tenuto banco l’allarme su Silvio Buonanima al Colle, la sua foto nei tribunali (sceglierei quella dove fa le corna) e, visto che le Scuderie del Quirinale sono famose nel mondo, avrebbe nel caso bisogno di uno stalliere. Eppure – perdonate il paradosso – l’autocandidatura ora-sì e ora-no di Berlusconi contiene elementi di commedia all’italiana più che notevoli. Sgarbi telefonista che chiama in giro per trovare pesciolini da chiudere nella rete, per dire del ridicolo. O un condannato per bancarotta – Denis Verdini – che tesse la sua tela, al domicilio non ci sta, e si vede in pizzeria a Roma con peones e seconde file, con la scusa che deve andare dal dentista. Il quale (Verdini, non il dentista) è tra l’altro il quasi-genero di Salvini, amico fraterno di Renzi, insomma gli mancano solo il boia di Riga e mister Magoo e poi finisce l’album.
“Ha messo fine alla guerra fredda”, Berlusconi. E questo l’ho letto su una pagina di giornale (suo), e in effetti anch’io avevo interpretato in quella chiave la sua storica frase da statista: “La patonza deve girare”. Chiaro obiettivo geopolitico che metterebbe fine alle dispute tra grandi potenze (oddio, dai tempi del sequestro di Elena di Troia si direbbe il contrario, ma…).
Va bene, è probabile che Silvio non ce la farà e questo apre nuove speranze, e porta nuove iatture, perché il rischio è che chiunque venga eletto Presidente, verrà salutato come “Uh, meno male che non è Silvio!”, anche se magari avrà la statura politica e morale di un cotechino senza lenticchie. E però, paradosso per paradosso, una cosa va detta. Se il Presidente deve somigliare alla classe politica del Paese – non per appartenenza partitica, ma per risultati ottenuti, dignità e visione di futuro – in fondo Silvio Nostro non è così fuori dalla realtà. Dopotutto stiamo parlando di un Paese dove nel pieno di un’esplosione spaventosa della povertà si vota allegramente per negare un contributo sulle bollette ai meno abbienti, dove il salario minimo è considerato un attentato al sacrosanto liberismo, si riducono le tasse a chi guadagna il triplo della media nazionale, dove un’eventuale patrimoniale viene letta alla stregua di un comunicato delle Br, e tutta la stampa e la propaganda in coro parlano dei poveri come di gente che si fa le pippe sul divano a spese nostre. Be’, mi fa orrore il nichilismo, ovvio, ma un Paese dove su Ponte Vecchio, patrimonio dell’Umanità, compare la scritta dello sponsor, è più culturalmente vicino a Berlusconi che a chiunque altro.
C’era un tempo (forse, ricordo vagamente) dove uno poteva “buttarsi a sinistra”, ma ora fa prima a buttarsi al fiume, visto che proprio da sinistra (oddio, il Pd…) si plaude alla “straordinaria ripresa economica”, fatta di numeretti (più sei, più sei e due, più sei e cinque…) che non finiscono però nelle tasche di cittadini e lavoratori. Intendo: non è che facendo la spesa senti gente che si rallegra di aver maggiore potere d’acquisto, e festeggia il boom economico con le lacrime agli occhi come il ministro Brunetta. Anzi. Metafora per metafora, se tra socialismo e barbarie si sceglie barbarie – da anni, con pervicacia e furore, con gusto, con sberleffo – Silvio ci sta, con tutte le scarpe, anche se ovviamente si spera di no.
B. al colle? Uno dei punti più neri della repubblica
Si ha purtroppo l’impressione che l’idea o il proposito di eleggere Berlusconi presidente della Repubblica non susciti negli ambienti dei politici di “sinistra”, naturalmente contrari, l’indignazione dovuta. Ci si limita a dire che è divisivo, che è un capo di partito, uomo di fazione. Sembra che ci si sia dimenticati che è un pregiudicato. Nel 2013, è divenuta definitiva nei suoi confronti la sentenza del processo per falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita per cui fu condannato a 4 anni di reclusione. Decaduto dalla carica di senatore, chiese allora di scontare la pena, ridotta a un anno, mediante l’affidamento ai servizi sociali in un ricovero per anziani a Cesano Boscone, vicino a Milano, quattro ore al giorno, una volta la settimana. Se la cavò con poco.
Ma è ancora sotto giudizio per altri fatti. Non sono poche le istruttorie, i processi non conclusi che lo riguardano: il famoso Ruby ter (2015), corruzione di testimoni; le escort di Bari (2014); il Movimento italiani nel mondo (2014), forse altro. Come la causa per la corruzione di due senatori. E non va certo dimenticata la catena di processi conclusi con la prescrizione: il Lodo Mondadori; i 22 miliardi al Psi di Craxi; i falsi in bilancio; il calciatore Lentini; la corruzione di un testimone di rilievo, il celebre avvocato inglese David Mills. La prescrizione estingue il reato perché è passato il tempo fissato dalla legge. Colpevole, non colpevole? Non si saprà mai. Anche se l’imputato ha la facoltà di rinunciare alla prescrizione per dimostrare la propria innocenza. Ma non risulta che Berlusconi l’abbia mai fatto.
Una fedina penale di tutto rispetto, da suscitare l’invidia dei condomini di Porto Azzurro.
Berlusconi odia i giudici – “figure da ricordare con orrore”, “persone mentalmente disturbate altrimenti non potrebbero fare quel lavoro” – ma dovrebbe invece dedicare almeno una lapide ai magistrati pigri che non hanno portato a termine il loro lavoro.
Un dolente articolo della Costituzione della Repubblica, l’articolo 54, potrebbe far da epigrafe a un monumento – vedremo anche quello? – al già Cavalier Berlusconi miliardario dalle origini oscure: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.
Una commedia all’italiana, una tragedia dell’arte, meglio, un gioco di scacchi mortale per la Repubblica. La memoria fa male nel nostro Paese. Perché risuscita ricordi, dolori. Ci si è dimenticati anche della P2, organizzazione fuori legge di cui Berlusconi fece parte – si iscrisse al Grand Hotel Excelsior di Roma il 26 gennaio 1978, numero di matricola 1816. Scrisse duramente di lui Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, a pagina 120 della sua Relazione.
“Un club di gentiluomini”, disse più volte l’attuale candidato alla Presidenza della Repubblica. Dimentico che gli allora giudici istruttori di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo arrivarono alla P2 e alla scoperta delle liste a Castiglion Fibocchi, durante un’inchiesta sulla mafia, sul finto rapimento di Sindona in Sicilia, sull’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli.
La mafia. Ci si è già dimenticati anche dello stalliere di Arcore che cenava nella gran villa che fu del conte Casati alla stessa tavola dei nuovi padroni di casa. Un ergastolano, Vittorio Mangano, uomo della gran mafia già smascherato da Giovanni Falcone nella sentenza Spatola del 1979 (era stato Marcello Dell’Utri, il grande amico palermitano, a fare da tramite e a farglielo assumere per proteggerlo).
Che malinconia. Ci si è già scordati di quel che di Silvio Berlusconi per quattro volte, ahimé, presidente del Consiglio, scrissero per decenni i giornali di ogni Paese (e ora hanno già ricominciato a farlo). Dal Nouvel Observateur a Le Monde, al Times, al País, all’Economist che gli dedicò per tre volte una copertina beffarda. L’Italia zimbello del mondo, con le sue leggi ad personam, con gli affari di Stato che erano in effetti affari di famiglia.
Che malinconia. L’elezione di un simile personaggio sarebbe uno dei punti più neri della Storia della Repubblica.
Se si pensa agli uomini perbene dimenticati da una politica malata che pagano per tutti nel nome della comunità. E l’hanno sempre fatto dal Risorgimento alla Resistenza a oggi. E viene in mente David Sassoli, uomo limpido e generoso che credeva profondamente nell’altra Italia, l’Italia pulita.
Giallorosa: prezzo salato per arrivare fino al 2023
Gira e rigira, stiamo arrivando al dunque: per riuscire a eleggere un presidente a larga maggioranza – che sia Draghi o un altro – abbisogna che prima i partiti dell’attuale maggioranza sottoscrivano un patto di fine legislatura. Cioè decidano di continuare a governare insieme. Facendo finta di credere che le secche in cui ha rischiato di arenarsi negli ultimi mesi il governo Draghi fossero solo un incidente di percorso; e che l’interesse nazionale imponga di non separarsi fra destra e sinistra.
Più o meno volentieri, lo dicono tutti, da Letta a Salvini, da Conte a Berlusconi, che la legislatura deve continuare con questa formula.
In tal senso si è sbilanciato anche Draghi nelle uniche dichiarazioni politiche che si è concesso: con me in veste di garante, o senza di me, dovrete continuare a stare insieme. Non più per imposizione dall’alto, ma per scelta politica.
C’è solo un problema. Per sottoscrivere la proroga di questa alleanza degli opposti, la destra ha bisogno di riscuotere un forte segnale di riconoscimento dalla controparte. È il messaggio rappresentato dalla candidatura di Berlusconi: dovete accettarci per quel che siamo, anche se vi facciamo schifo.
In subordine all’ideona del pregiudicato al Quirinale, quale può essere, dunque, il segnale in grado di saziare una destra che si muove a suo agio nel Parlamento zeppo di transfughi ammutinati?
Salvini che torna a fare il ministro della propaganda al Viminale coi voti della sinistra? (bum)
Berlusconi nominato senatore a vita insieme a Prodi come suggello della raggiunta pacificazione nazionale? (doppio bum)
Mi limito a queste due ipotesi per evocare quanto sarebbe costoso per Pd e M5S rimanere incastrati in un simile patto di unità nazionale. Un prezzo talmente salato, e in uno scenario così sdrucciolevole, che al patto di fine legislatura qualcuno potrebbe preferire le elezioni anticipate.