Peones: come i “Cafoni” di fontamara

(Oggi ci viene raccontato che anche Mario Draghi dovrà stare in campana, vediamo perché). “No, con me Berlusconi non si è fatto vivo tramite Sgarbi, ma attenti a ironizzare su certi segnali di attenzione che da molti di noi, figli di nessuno, sono apprezzati”. Ci viene spiegato che la condizione umana, prima che politica, dei Grandi elettori ignoti è simile a quella dei “cafoni” descritti da Ignazio Silone in Fontamara, considerati meno dei cani dalle guardie del principe, e a molta distanza. “Si sarà chiesto per quale ragione le candidature si lanciano sui giornali senza che i gruppi parlamentari vengano mai interpellati? Perché oggi al posto dei Torlonia a comandare ci sono i leader con i loro sottopancia, poi c’è il familismo amorale di Letta, zio e nipote, di Verdini suocero e Salvini genero, poi non c’è nulla e ancora nulla, e poi veniamo noi che secondo lorsignori dovremmo eseguire gli ordini vergando sulla scheda il nome indicato dall’alto zitti e mosca, ma non sarà così semplice”. Segue una dissertazione storica sulla involuzione della democrazia rappresentativa che proviamo a riassumere.

Anche nella Prima Repubblica, quando i partiti funzionavano, le decisioni venivano calate dall’alto, ma passavano sempre al vaglio della base per essere discusse e votate. I consigli nazionali della Dc dibattevano per tre giorni e non per tre ore come oggi nelle assemblee del Pd. Mentre nel Pci con il meccanismo del centralismo democratico la segreteria legittimava le sue scelte. Poi arriva il partito personale che ignora le indicazioni della base perché si fa solo ciò che vuole il capo. Vedi i 101 che con Matteo Renzi imperante silurano Romano Prodi candidato al Quirinale. Oggi che di leader carismatici non se ne vede neppure l’ombra, i partiti sembrano spesso un’accozzaglia di interessi e rancori individuali, e i gruppi parlamentari idem. Ragion per cui nessun candidato può essere sicuro di essere portato al Colle con la fanfara e tutto il resto. Neppure Mario Draghi che oltre a fare molto bene i conti con il pallottoliere dovrà soprattutto parlare chiaro. E convincere noi peones che la legislatura arriverà al suo naturale compimento tra un anno e mezzo. Per non finire noi in mezzo a una strada. Per non finire lui come Berlusconi.

Varriale, Paola Ferrari tra i testi del processo

È iniziato ieri a Roma il processo all’ex vicedirettore di Rai Sport, Enrico Varriale, accusato di stalking nei confronti della sua ex compagna. La procura aveva chiesto e ottenuto il rito immediato . Lo scorso 30 settembre Varriale era stato sentito nell’interrogatorio davanti al gip Monica Ciancio che aveva disposto il “divieto di avvicinamento a meno di 300 metri dai luoghi frequentati dalla persona offesa” e di “non comunicare con lei neppure per interposta persona”. Chiamata a testimoniare anche la nota giornalista Rai, Paola Ferrari. Sempre la Procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo per stalking nei confronti di Varriale, per una seconda denuncia ricevuta da una persona con cui avrebbe avuto una relazione.

Uccide moglie malata: “Ora non soffrirà più”

“Non ha sofferto e non soffrirà più. Chiedo scusa”. Lo ha scritto, su due biglietti, Corrado Aramino, 71 anni. Poche parole per spiegare dolore e disperazione. Condivisi con la compagna, Silvana Laurent, 63 anni. Oggi i due sono stati trovati morti dai carabinieri della compagnia di Ivrea. Erano uno accanto all’altra in una Fiat Panda, nel cortile di un cascinale a Strambino, nel Torinese. Il mezzo era parcheggiato sotto la tettoia dello stabile un tempo utilizzato come segheria, di proprietà dell’uomo. In preda alla disperazione per la grave malattia contro la quale, da tempo, combatteva la compagna, Aramino ha preso le pistole detenute legalmente e ha fatto fuoco due volte. Li hanno trovati i carabinieri.

Il rilancio social passa per la nuova “Bestia” leghista

A sei mesi dallo stop delle pubblicazioni, seguita al fallimento dell’azienda, La Gazzetta del Mezzogiorno si prepara a tornare in edicola a fine gennaio all’insegna dello slogan “presto di nuovo insieme”. La nuova proprietà, costituita dai due imprenditori locali Antonio Albanese (rifiuti) e Vito Miccolis (trasporti), ha affidato la campagna di rilancio all’agenzia di comunicazione Artsmedia, di cui è amministratore delegato il giornalista Giuseppe Inchingolo di Andria.

Già redattore e conduttore di Tg Sveva e capo ufficio stampa della società sportiva dilettantistica Fidelis Andria che milita nel girone C della Serie C di calcio (nel 2019 una campagna di comunicazione social era stata giudicata sessista), Inchingolo è subentrato recentemente al “guru” Luca Morisi nella gestione della “Bestia”, in grado di analizzare in tempo reale l’orientamento dei commenti e delle reazioni a un post, che contraddistingue l’aggressiva comunicazione social di Matteo Salvini. A quanto pare, la scelta di Inchingolo per il rilancio della Gazzetta sarebbe stata ispirata da Albanese, considerato vicino alle posizioni della Lega e, in particolare, dell’ex sottosegretario Claudio Durigon. Estromesso dal governo Draghi per il sospetto di filo-fascismo in seguito alla proposta di dedicare ad Arnaldo Mussolini un Parco pubblico di Latina, già intitolato a Falcone e Borsellino, Durigon ora è il referente del Carroccio nel Mezzogiorno.

’Ndrangheta, maxi-sequestro a imprenditore

Traffico organizzato di rifiuti, inquinamento ambientale e rapporti con la ‘ndrangheta. Dopo gli arresti, scattano i sigilli della Dia, dei carabinieri del Noe e dei forestali per il patrimonio “di origine delittuosa” riconducibile a Francesco Lerose. L’imprenditore calabrese, residente a Laterina Pergine Valdarno in provincia di Arezzo, si è visto sequestrare beni per oltre 5 milioni di euro su richiesta della Dda di Firenze. Oltre ai terreni, ai conti correnti, agli immobili e alle auto dell’imprenditore e della sua famiglia, sono state sequestrate le società “Lerose Srl” e “Kiterion Srl” coinvolte nell’inchiesta “Keu” dal nome del rifiuto derivante dall’attività di concia delle pelli e riutilizzato per sottofondi stradali, terreni agricoli e opere pubbliche. Le indagini hanno dimostrato la vicinanza di Lerose alla ‘ndrangheta. L’imprenditore è cognato di Salvatore Faragò, ritenuto prestanome del clan di Cutro. Suo cugino, Gaetano Lerose, invece, avrebbe fatto da tramite con “i vertici liberti della cosca Grande Aracri”.

Conte chiama Beppe. E nel Movimento molti temono le chat

Erano già stati mesi colmi di guai, per i Cinque Stelle. Mancava la grana da tramonto di un mondo, quello grillino vecchia maniera, ed eccola. Ecco il Garante e fondatore, Beppe Grillo, indagato per traffico di influenze, con gli uffici della sua società perquisiti. Ecco i militari della Guardia di Finanza anche nelle stanze della Casaleggio Associati, dove il patron Gianroberto e Grillo immaginarono il Movimento. Per giunta a un soffio dalle votazioni per il Quirinale, nelle quali il leader Giuseppe Conte si gioca l’osso del collo. “Sembra che venga giù tutto”, scuote la testa un veterano. “Stiamo cercando di capire”, soffiano nel primo pomeriggio dai piani alti, dove sono esausti. Era già stato un difficile lunedì per le critiche del dem Goffredo Bettini a Conte, a cui si erano aggiunti i lazzi di mezza Italia per un video pornografico piazzato in diretta in un convegno via web dei grillini.

E poi ci sono i dolori da Colle, con almeno metà dei parlamentari del M5S ferma sul no all’elezione di Mario Draghi, a naso ancora il favorito. In questo scenario, anche Grillo indagato. Però Conte deve provare a uscirne. Così in giornata telefona al fondatore, con cui pure in estate era stato in guerra, seguita da mesi di gelo. Ultimamente avevano ripreso a sentirsi. E ieri Conte ha chiamato il Garante per esprimergli “vicinanza”, giurano dal M5S. Dall’altra parte del telefono, un Grillo giù di corda. “Beppe è abbattuto”, conferma un veterano. “Soprattutto per la tempistica”, dicono un paio di 5Stelle fuori verbale. In serata, dopo lunga riflessione, Conte si esprime nero su bianco: “Siamo vicini a Beppe Grillo e siamo fiduciosi che le verifiche chiariranno la piena legittimità del suo operato”. Ma a colpire è più il silenzio di quasi tutti gli altri, dei big, a raccontare il distacco dal padre politico. A esporsi sono in pochissimi. Come l’ex ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli: “Grillo? Come fai a non avere fiducia in uno che da quando è entrato in politica ha perso soldi?”. Dal M5S rimarcano, a sostegno: “Se Beppe avesse voluto davvero fare pressioni su qualcuno, avrebbe dovuto chiamare Danilo, e invece lui sulle concessioni è stato severissimo”. E citano i duri post di tre anni fa dell’allora ministro contro l’armatore Onorato. Parla anche la deputata collega Mirella Liuzzi: “In commissione Trasporti, quando c’era da essere critici nei confronti della compagnia Moby, lo siamo stati. Da Grillo nessuna richiesta”. E lo stesso concetto ripetono i 5Stelle della Commissione Trasporti del Senato: “Grillo non ha messo bocca su mezzo emendamento”. Ma nel M5S c’è preoccupazione.

Temono che l’inchiesta si dilati, e le intercettazioni: insomma, che qualche eletto venga tirato dentro. Non il miglior viatico per il vertice di centrosinistra di oggi a Roma con Conte, il segretario dem Enrico Letta e Roberto Speranza (LeU), ovviamente sul Colle. “Dovremo capire se c’è ancora una speranza per il Mattarella bis o se si precipita su Draghi”, riassume un 5Stelle di governo. Mattarella sarebbe l’unico nome su cui il M5S terrebbe nel voto segreto. Nella riunione dei vertici di lunedì sera, anche Luigi Di Maio ha ribadito la preferenza per l’attuale presidente. E tutti hanno ripetuto che Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi. Ma una fonte di peso la butta lì: “Letta e Conte sanno di dover accettare l’elezione del premier, da giorni, ma non possono dirlo”. Sarebbe un terremoto, innanzitutto per il leader dei 5Stelle, che stamattina sarà alla Farnesina per una cerimonia assieme al padrone di casa, il ministro degli Esteri Di Maio.

Torre del Greco, Di Maio sul palco per i marittimi

Il 29 marzo 2018 l’allora presidente di Open Alberto Bianchi scrive questo sms al deputato dem Luca Lotti: “Sei d’accordo nel coltivare rapporto con Grimaldi anche a costo di perdere Onorato, che tende ai grillini? Mi serve saperlo prima possibile”. Lotti risponde: “Yes”. È da qui, da questo documento allegato agli atti dell’inchiesta di Firenze sulla fondazione Open, che bisogna partire per spiegare perché ad un certo punto l’armatore di Moby si allontana dal Pd e si avvicina al M5S. Onorato non è mai stato indagato a Firenze, ma il suo nome finì agli atti di quell’indagine. E quando viene sentito dai pm fiorentini il 26 novembre 2019 spiega il motivo di quel cambio di rotta: “Ho stracciato la tessera Pd nella circostanza del ritiro della Cociancich (il secondo mendamento Cociancich) dal Parlamento da parte dell’allora ministro dei Trasporti Delrio”.

Cosa diceva in dettaglio l’emendamento Cociancich, dal nome del promotore, un parlamentare del Pd? In sostanza, di riservare l’applicazione degli sgravi fiscali e contributivi garantiti dal Registro Internazionale solo alle navi che imbarcano esclusivamente marittimi italiani o comunitari. Una battaglia di Onorato. Che adesso si ritrova indagato a Milano con Beppe Grillo per traffico di influenze illecite: per i pm lombardi l’ex comico avrebbe veicolato le “richieste di interventi in favore di Moby spa” “a parlamentari” 5stelle. Chi siano ancora non è noto, di certo Grillo era presente (e con lui anche Luigi Di Maio, completamente estraneo alle indagini) a febbraio 2018 a un evento organizzato a Torre del Greco, in provincia di Napoli. Città ad alta densità occupazionale nel campo marittimo, scottata dal catastrofico fallimento della compagnia di navigazione locale Deiulemar. Su quel territorio i riferimenti pentastellati sono il deputato Luigi Gallo e il senatore Sergio Puglia. Entrambi (estranei all’indagine) il 3 maggio 2017 parteciparono a una manifestazione dell’associazione ‘Marittimi per il futuro’ a Roma. Furono in migliaia in piazza a chiederne l’applicazione integrale. Puglia, sentito dal Fatto, conferma di essersi interessato alle problematiche dei marittimi, ma nega di aver ricevuto indicazioni dirette da Grillo relative a istanze di Onorato. Stessa risposta da parte di Gallo, che ieri ha scritto un post in difesa del fondatore del Movimento. Gallo era presente anche sul palco di Torre del Greco il 12 febbraio 2018, tappa che Di Maio inserì nel suo tour elettorale. Dal palco il futuro ministro dello Sviluppo Economico dichiarava: “Hanno iniziato ad assumere personale straniero perché anche quello è diventato un grande business che permetteva di assumere a un terzo, a un quarto di quello che valevate voi…”. E Grillo aggiungeva: “C’è una legge fatta da uno del Pd… Cociancich, ha fatto anche una legge buona, diciamo. Però alla fine delegava l’Europa… E poi Delrio l’ha bloccata”. L’ufficio stampa di Di Maio sottolinea che si trattò solo di una tappa di campagna elettorale e assicura: “Di certo non ci sono state segnalazioni da parte di Grillo”.

Torre del Greco 2018, leggendo le carte dell’inchiesta Open, sembra dunque un’altra epoca per Onorato. E pensare che solo un paio di anni prima lo stesso scriveva al dem Lotti. Si tratta di vicende non penalmente rilevanti. In un’informativa agli atti dell’inchiesta Open la Finanza parla di “comunicazioni in tema di provvedimenti legislativi, anche d’interesse del Gruppo Moby, intercorse nel corso del 2016, tra Onorato e Lotti”. E aggiungono: “Si tratta di questioni affrontate in occasione di interventi legislativi (…) che prendono le mosse dalla legge 7 luglio 2016, numero 122”, quella che reca “modifiche al regime di determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime…”. Fonti vicine a Lotti fecero sapere che il deputato svolse il suo lavoro “mai per interessi di parte”. Qualche anno dopo, nel 2018, tutto cambia. E a Torre del Greco c’era Grillo.

Grillo indagato: “Inoltrò richieste di Mister Moby per 200 mila al blog”

Tra il patron di Moby, Vincenzo Onorato, e il padre fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, i rapporti sono intensi. Amicizia di vecchia data, ma non solo. Anche contratti economici condivisi, e sponde politiche governative cercate dal primo per dare una soluzione ai problemi delle sue compagnie marittime. Se poi tra i due alcuni contratti erano fittizi per elargire denaro in cambio di “favori” dai parlamentari del Movimento, il dato si fa penale. È questo il pensiero della Procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati Grillo e Onorato con l’accusa di traffico di influenze illecite. La notizia è emersa ieri dopo le perquisizioni del Nucleo di polizia economico finanziario della Guardia di finanza di Milano.

Nel mirino, due contratti tra Onorato e il mondo 5Stelle. Il primo riguarda un accordo tra Moby e la Beppe Grillo srl, dove la società dell’ex comico ha “apparentemente” percepito 120mila euro l’anno (dal 2018 al 2020) per diffondere sul sito dello stesso Grillo “contenuti redazionali del marchio Moby”. Un secondo contratto è quello da 600mila euro l’anno chiuso con la Casaleggio Associati “per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholder alla tematica della limitazione dei benefici fiscali alle sole navi che imbarcano personale italiano comunitario: campagna pubblicitaria ‘Io navigo italiano’”. Un dossier, quello sulla legge della tassazione dei marittimi, fra i tanti che nel periodo investigato (2018-2020) ha occupato i pensieri di Onorato. Tanto da aver pagato alla Beppe Grillo srl 200mila euro e 1,2 milioni alla Casaleggio. A oggi solo il primo contratto è giudicato dai pm milanesi, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, penalmente rilevante. Tanto che a fronte di quei pagamenti, scrive l’accusa, “nello stesso lasso di tempo Grillo ha ricevuto da Onorato richieste di interventi a favore di Moby spa, che Grillo ha veicolato a parlamentari in carica appartenenti a quel movimento politico, trasferendo quindi al privato le risposte della parte politica o i contatti diretti con quest’ultima”. Contatti che riguardano circa una decina di politici ottenuti da Onorato grazie a Grillo, alcuni a livello di ministeri. Da sempre, già prima dell’indagine, due sono i dicasteri importanti per Onorato: i Trasporti (per la concessione delle tratte), retto nel periodo investigato dal pentastellato Danilo Toninelli. E lo Sviluppo economico all’epoca di Luigi Di Maio, poi passato a un collega di partito (nessuno di questi è indagato). Alla base dell’accusa, oltre alle segnalazioni di Bankitalia, ci sono due documenti. Il primo è la relazione allegata al concordato preventivo di Moby dal titolo “Dazioni a partiti politici, influencer e lobbisti” dove sono annotati i pagamenti ai partiti per circa 490mila euro dal 2016.

Tra questi i 200mila alla fondazione Open creata dall’ex premier Matteo Renzi. Ed è proprio l’inchiesta fiorentina su Open, secondo i pm di Milano, a chiudere il cerchio. Parte del materiale informatico agli atti di quell’indagine è stato trasferito a Milano. La richiesta dei pm che all’epoca indagano Onorato per reati fallimentari risale al 10 giugno 2020 e riguarda il materiale sequestrato a Mr. Moby e alla sua segretaria. Qui la Gdf, ricercando con parole chiave, si è soffermata sulle chat tra Onorato e Grillo, il cui contenuto, stando all’accusa, conferma l’accordo illecito tra il patron di Moby e il fondatore dei Cinque stelle.

Agli atti anche chat con Davide Casaleggio che a ora non sono di rilevanza penale. Tra i pagamenti emersi vi sono 10mila euro che Onorato dà all’associazione “Marittimi per il futuro” di Torre del Greco dove nel febbraio 2018 andrà Grillo con l’allora vicepremier Di Maio per sostenere la causa dei marittimi. Le perquisizioni hanno riguardato, oltre alla società di Grillo anche la Casaleggio associati. Perquisite cinque persone (non indagate) di Moby e della Casaleggio coinvolte nei contratti. Tra loro Achille Onorato, figlio di Vincenzo, indagato per bancarotta con il padre nel filone distrattivo coordinato dal pm Roberto Fontana che nasce dopo il concordato preventivo di Moby e trae forza dal documento sulle spese non giustificate di Moby: 11 milioni. Andati anche alla politica.

Mancano letti in t.i.: muoiono in 4

Tre sono morti nel fine settimana. Un quarto il giorno prima. Deceduti che hanno due cose in comune: erano persone colpite dal Covid, sono morti nel pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Oristano aspettando un letto di terapia intensiva in un altro ospedale sardo. Letto che non è mai arrivato. Una situazione drammatica, quella del San Martino, tanto che ieri il dg dell’Asl di Oristano, Angelo Serusi, ha chiuso i ricoveri nell’ospedale, perché non in grado di gestire pazienti Covid, dirottando parte dei 13 positivi ancora in pronto soccorso nel reparto Covid a bassa intensità dell’Ospedale Delogu, fatto riaprire in fretta e furia. “Non siamo attrezzati per gestire i pazienti malati di Covid, nei giorni scorsi li abbiamo accettati pur di non lasciarli in pronto soccorso, ma non possiamo fornire loro le cure adeguate”, ha detto.

Oristano non è un caso isolato, però certifica quanto sia allo sbando la sanità sarda. E i morti del San Martino confermano anche quanto denunciato dal Fatto dopo il caso di Alessia – la ragazza che aveva perso il suo bimbo dopo essere stata respinta dall’Ospedale di Sassari perché mancava un tampone molecolare –, e cioè che i posti di terapia intensiva nell’Isola sono un miraggio. Per tutto il Nord Sardegna sono 9 letti (per 850 mila persone).

“Se il tasso di occupazione delle terapie intensive in Sardegna è così basso come viene indicato dalla Regione – racconta un sanitario all’Agi – vuol dire che i posti letto ci sono. Allora perché la centrale del servizio 118 continua a dirottare sul pronto soccorso di Oristano i casi gravi e non li indirizza alle strutture attrezzate? Il dubbio è che quei posti letto dichiarati al momento siano solo sulla carta”.

In tilt ieri anche i presidi ospedalieri del Cto di Iglesias e il Sirai di Carbonia, con i vertici dell’Asl che hanno destinato una delle due strutture ai positivi, sebbene “non si tratta di un ‘reparto Covid’, ma solo di uno spazio del pronto soccorso dove verranno messi i pazienti positivi, in attesa di essere trasferiti a Cagliari”, precisava la dg Giuliana Campus.

In Sardegna ieri si sono registrati 685 casi e 7 decessi. I ricoverati in ti erano 27, 235 quelli in area medica. L’isola punta dritta verso la zona gialla. Finora a tenerla in zona bianca era stata la percentuale di posti letto occupati in area medica, che non ha mai superato il 14%, ma ieri Agenas ha confermato un +1%. E anche il fronte vaccinale va a rilento, con 221.985 sardi che non hanno ricevuto neanche una dose. E mentre si moriva nei pronto soccorso, Solinas celebrava l’eccellenza sanitaria sarda per i trapianti. “Continueremo a impegnare risorse, materiali ed economiche, affinché il nostro sistema sanitario possa continuare a crescere”, si vantava.

Respinta paziente senza dose il Gemelli si scusa

“Mi spiace, ma non essendo vaccinata lei non può accedere alla prestazione”. L’altroieri si è sentita rispondere così da un operatore del Policlinico Gemelli una paziente oncologica di Roma, avvocatessa che da cinque anni combatte contro un carcinoma ovarico e che ogni tre mesi deve fare una ecografia di controllo e ogni sei una Tac. Possibile? Un equivoco dovuto a una errata interpretazione di una disposizione della Regione Lazio, e “saltato fuori” dopo le nostre verifiche. È dalla scorsa settimana che dal Policlinico è arrivata la stessa risposta per tutti i malati oncologici che, senza vaccino, hanno chiamato per prenotare una visita specialistica o un esame diagnostico. Ovvero, per accedere alla struttura necessarie tre dosi oppure in alternativa due ma con tampone molecolare negativo (la procedura richiesta in realtà per i visitatori). Scoperto l’errore, gli operatori hanno richiamato tutti i pazienti ai quali era stata negata la prestazione, scusandosi e fissando gli appuntamenti. La regola, infatti, stabilita dalla Regione, vale solo per visitatori e accompagnatori. Un problema che si è verificato anche in altri ospedali della città.