Economia
I soldi pubblici serviranno ancora a tenere in piedi i fallimenti privati
Stefano Feltri
Dopo anni di tecnici a fare i ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd) è un politico. Ma invece di suggerire una strategia coerente di politica economica, finora Gualtieri si è speso molto per dare una cornice di coerenza politica a interventi frammentati. Presenta l’intervento pubblico su Ilva, Alitalia e Popolare di Bari come un ritorno dello Stato alla regia dell’economia in risposta ai “fallimenti di mercato”. In realtà il mercato ha funzionato, sono i privati che hanno fallito (i Riva e Mittal con l’Ilva, Etihad con Alitalia, Jacobini-De Bustis con PopBari), lo Stato ora si prepara a farsi carico di miliardi di euro di perdite per anni, nel timore di conseguenze occupazionali e politiche immediate. Gualtieri lo ha chiaro, si legge tra le righe nelle sue interviste, ma si comporta da soldato più che da generale e difende anche l’indifendibile. Come ha fatto con la legge di Bilancio: ha “disinnescato” l’aumento dell’Iva da 23 miliardi con un po’ di coperture drastiche (tipo una nuova Robin Tax, già dichiarata incostituzionale, sui concessionari invece di una vera revisione delle concessioni) e deficit. Ma il gettito previsto dalle clausole di salvaguardia rimaste è di 47 miliardi nel prossimo biennio. Gualtieri promette di farla finita con queste clausole che nascondono soltanto altro deficit. Ma come altri ministri prima di lui, non sembra trovare orecchie sensibili nei leader di maggioranza. Dopo il crac di PopBari, Gualtieri ha accennato una critica alla Banca d’Italia. Sarà interessante vedere se avrà il coraggio di chiamare il governatore Ignazio Visco a rispondere dei disastri della vigilanza o se invece asseconderà l’inclinazione di Pd e M5S a risarcire i “truffati” e a chiudere il caso con la solita vagonata di miliardi pubblici.
Infrastrutture
Più gare, più competizione: basta buttare denari in opere inutili
Marco Ponti
1. Continuare la graduale eliminazione delle concessioni autostradali, e normalizzare il settore.
Le autostrade gli utenti le hanno già pagate. I pedaggi sono diventati una tassa iniqua ed arbitraria. Il settore della viabilità va gestito in modo unitario, e affidato in gran parte alle Regioni, dove c’è il 75% del traffico e tutte le informazioni sullo stato della rete. Per finanziare il settore, ricorrere dove occorre a “tariffe di congestione”, come in Germania.
2. Fare le gare previste dall’Europa per il trasporto pubblico locale.
Questo per ridurre i costi a parità di servizi, o per aumentare i servizi là dove occorre. Evitare che i Comuni facciano trucchi per evitare le gare a danno dei cittadini.
3. Aumentare la competizione nelle ferrovie, guardando ai risultati per l’Alta Velocità
La concorrenza ha migliorato i servizi e ridotto le tariffe, perché non fare la stessa cosa per i servizi dei pendolari e per la gestione della rete?
4. Evitare sprechi in infrastrutture inutili, come si sta ancora facendo adesso. Quella massa di miliardi va spostata sulla manutenzione e soprattutto sulle tecnologie per motori puliti e guida automatica, come fanno tutti i paesi sviluppati. Altrimenti rischiamo davvero di rimanere indietro. Smettere di far fare analisi costi-benefici a chi è interessato a dire sempre di sì a tutto, cioè a “chiedere all’oste se il vino è buono”. Il cemento non fa crescere il PIL, al contrario delle tecnologie.
5. Smettere di buttare soldi pubblici in Alitalia.
I contribuenti gli hanno già dato più di 10 miliardi senza risultati. È chiaro che i soldi e le garanzie pubbliche sono la malattia, non la cura.
Interno
Lavorare sull’insicurezza percepita, soprattutto nei pressi delle stazioni
Peter Gomez
A chi a paura o si sente insicuro non serve rispondere, come fa spesso la sinistra, solo con i dati che dimostrano come in Italia i reati siano in calo da anni o con le percentuali che raccontano come le nostre città siano in media più sicure di quelle di buona parte d’Europa. L’insicurezza percepita è infatti uno stato d’animo che esiste, che è inutile criticare e che può invece essere modificato dalle scelte politiche. Per prima cosa va preso atto che i dati cambiano a seconda delle zone del paese e della varie città: vi sono aree sicurissime (la maggioranza) e altre invece dove davvero la criminalità è padrona. Le nostre stazioni ferroviarie, ad esempio, sono spesso luoghi dove si accalca un’umanità dolente a volte spinta dalle condizioni economiche all’illegalità. Qui, accanto agli interventi in favore dei più poveri ne sono necessari altri di ordine pubblico e di riqualificazione edilizia. A Milano, un anno e mezzo fa, una serie di pattuglioni delle forze di polizia ripetuti a poca distanza di tempo, sommati ai lavori di sistemazione dello scalo, hanno spinto le persone che lì bighellonavano regolarmente a spostarsi in aere di minor passaggio. Il problema di chi suo malgrado vive ai margini della società non è stato risolto, è vero. Ma è bastato questo per far percepire una maggiore sicurezza alle centinaia di migliaia di cittadini che transitano quotidianamente in Centrale. In tutte le altre stazioni dei nostri capoluoghi si deve agire subito nello stesso modo. Mentre nelle periferie delle metropoli vanno a poco a poco recuperati gli edifici fatiscenti (il bonus facciate è una buona strada) e si deve intervenire di continuo nei luoghi di ritrovo della piccola criminalità. Lo Stato deve insomma essere sempre più presente. Solo così i cittadini si sentiranno meno soli.
Lavoro e politiche sociali
Attenti allo sviluppo senza lavoro, è già qui e va affrontato per tempo
Domenico De Masi
Premessa. I problemi che si trova davanti il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali all’inizio del 2020 sono tutti connessi al fenomeno del jobless growth, lo sviluppo senza lavoro. Se si guarda il fenomeno nei tempi lunghi si scopre che nel 1891 gli italiani erano 40 milioni e in un anno lavorarono 70 miliardi di ore. Cento anni dopo, nel 1991, erano 57 milioni e lavorarono 60 miliardi di ore: con 10 miliardi di ore di lavoro in meno, produssero 13 volte più del 1891.
Nel 2020 il jobless growth proseguirà, accelerando. Un buon esempio da imitare è la vicina Germania: rispetto a un italiano, un tedesco lavora il 20% in meno, produce e guadagna il 20% in più, fruisce di un welfare più generoso. Le 400 ore annue che ogni tedesco fa meno di un italiano consentono alla Germania di avere il 3,8% di disoccupati (contro il nostro 10%) e il 79% di occupati (contro il nostro 58%). L’effetto positivo del jobless growth è che, consistendo in un aumento della produzione di beni e servizi con minore impiego di lavoro umano, crea più ricchezza da distribuire e tempo libero da valorizzare.
Invece l’effetto negativo immediato del jobless growth è che, nelle fasi di transizione, esso crea sacche di disoccupazione e di povertà. Di qui l’importanza dei centri per l’impiego, che in Italia versano in situazione disastrosa, e del reddito di cittadinanza che in Italia, a dispetto della narrazione tutta negativa artatamente fornita dai media, è stato un vero, insperato successo. Sulla base di tali premesse, il ministero deve:
1. Impostare e varare la riduzione dell’orario di lavoro puntando sulle 32 ore settimanali;
2.Impostare e varare il salario minimo;
3.Rilanciare il reddito e la pensione di cittadinanza, con le sole eventuali correzioni suggerite dall’esperienza del 2019;
4. Perfezionare la rete dei centri nazionali per l’impiego;
5. Incoraggiare l’incremento della produttività, soprattutto promuovendo l’addestramento professionale e la formazione manageriale;
6. Rilanciare, migliorandolo, il piano “Impresa 4.0”.
Sviluppo economico
La trappola dell’Iri-bis e il 5G di Huawei: i due nodi che Patuanelli deve sciogliere
Giorgio Meletti
Stefano Patuanelli renderebbe più sicura la marcia del governo ristabilendo il senso del tempo. Il ruolo del ministro è indicare alla struttura che dirige quali sono le cose importanti e quali quelle urgenti; e quali sono le cose da fare subito e quelle da fare con ottica pluriennale. Concretamente: la cosa più importante fattibile in tempi brevi è riorganizzare il Mise che il suo predecessore Luigi Di Maio ha ridotto alla sostanziale inazione.
La ricostruzione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), che Patuanelli ha indicato tra i suoi obiettivi strategici, ammesso che sia una buona idea, richiede anni per formare una squadra manageriale degna degli Oscar Sinigaglia spesso evocati a sproposito. Rifare l’Iri in pochi mesi vuol dire regalare qualche miliardo pubblico ai soliti “prenditori” all’italiana. Per formare una squadra di dirigenti con cultura industriale basterebbe reclutare al ministero un plotone di giovani motivati, reclutati con criteri trasparenti e non nel retrobottega di qualche Meetup o circolo Pd. È invece urgente interrompere le due tragedie/farse chiamate Ilva e Alitalia. Se il governo non prende decisioni rapide si perpetuerà il logoro copione in scena da anni: rinviare, rinviare e ancora rinviare, buttando miliardi di denaro pubblico e chiamando questa presa in giro “politica industriale”. La vera rivoluzione è chiamare le cose con il proprio nome. Se il Copasir ha detto che il ruolo della cinese Huawei nella nuova rete 5G pone problemi per la sicurezza nazionale, Patuanelli contribuirebbe alla autorevolezza sua e del governo rispondendo nel merito. Se dice, come ha fatto, che la tecnologia Huawei “costa meno” non fa altro che alimentare i sospetti di rapporti opachi tra la Cina e il M5S.
Riforme istituzionali
Salvo sorprese, avremo il Parlamento “dimagrito”. E un gennaio caldissimo
Silvia Truzzi
L’anno delle riforme comincia prestissimo, il 12 gennaio, giorno in cui si congela l’entrata in vigore della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari (da 945 a 600), approvata l’8 ottobre scorso a maggioranza bulgara dalla Camera. Sempre che nessuno dei senatori ritiri la firma necessaria per la richiesta del quesito (cosa ancora possibile).
E comunque è difficile pensare che i partiti metteranno la faccia nei comitati per il No, dato che il taglio ha un ampissimo consenso nel Paese: non è mai un male però quando i cittadini si esprimono (sarebbe stato utile poterlo fare con la sciagurata riforma dell’articolo 81 della Costituzione). Alla fine il taglio passerà e il prossimo passo sarà l’adeguamento di tutti i precetti costituzionali che regolano le maggioranze al nuovo Parlamento “dimagrito”.
Anche se non è non di spettanza del ministro (ed anzi, è materia squisitamente parlamentare!), sul tavolo resta la legge ordinaria che più si avvicina a quelle costituzionali, cioè la legge elettorale. È la legge più negletta, perché si tende ad approvarla sempre all’ultimo momento, sull’onda dell’ultimo sondaggio, cioè della maggiore (supposta) convenienza per i partiti. Invece la legge elettorale, regolando il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, garantisce il patto democratico. Dovrebbe essere la migliore possibile per il sistema, non il risultato di alchimie o porcherie (copy Roberto Calderoli) che necessitano sempre dei correttivi della Consulta.
Ora con la riduzione dei parlamentari, a tutela delle minoranze, è auspicabile un sistema proporzionale, cioè quello che darebbe al prossimo Parlamento il mandato più pieno. Magari per provare ad attuare i tanti principi ormai quasi completamente svuotati (diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute).
L’attuazione della Carta sarebbe la più rivoluzionaria tra le riforme costituzionali.
Esteri
Recuperare autonomia da Palazzo Chigi e pesare di più in Nord Africa
Salvatore Cannavò
Il ministero degli Esteri sconta la progressiva debolezza nei confronti di Palazzo Chigi, sempre più vero detentore dei dossier internazionali più importanti e l’adesione all’Unione europea contribuisce a rendere debole il ruolo. Per questo motivo la priorità sarebbe quella di valorizzare la struttura che il ministro ha a disposizione e che invece sta inviando da tempo insistenti, quanto diplomatici, messaggi di insofferenza. La seconda cosa importante è che il ministro degli Esteri è un lavoro a tempo pieno (in realtà tutti i ministeri lo sono) e non andrebbe mai condiviso con la responsabilità di leader di partito. Forse servirebbe una norma ad hoc.
Nel merito, invece, la vera priorità è non scomparire nel Mediterraneo. Il “mare nostrum” è tornato da tempo a svolgere un ruolo cruciale nel mondo, anche in forza del commercio marittimo, il 41% del totale. Ma l’Italia sembra non avere forza politica. Soprattutto in Libia dove Turchia e Russia stanno giocando una partita molto avventata e spregiudicata e Roma, invece, sembra spettatrice nonostante la recente visita di Luigi Di Maio. Facendo lavorare meglio gli uffici a disposizione l’Italia dovrebbe concentrarsi su questo, prendendo una iniziativa forte sulla Libia, anche con una battaglia nella Ue. Un’iniziativa di pace, diplomatica ed economica. Anche per questo sarebbe utile fare da sponda alle movimentazioni democratiche del Nord Africa, a esempio in Algeria. E servirebbe utilizzare due leve economiche, vista la delega sul commercio internazionale: utilizzare la legge 185 sull’export di armi per dare chiari segnali ai paesi che violano i diritti umani; capire la “geopolitica dei porti” che sta rendendo il Mediterraneo una piattaforma logistica preziosissima. Infine, come atto non solo simbolico di dignità nazionale e rispetto dei diritti umani, portare a casa finalmente la verità e le condanne per l’omicidio di Giulio Regeni.
Ambiente
Dire la verità come Churchill per costruire una società resiliente
Luca Mercalli
A dispetto della narrazione economica che vede la crisi come passeggera e pronta a veder aumentare crescita e Pil restituendo a piene mani occupazione e prosperità, le scienze naturali non la pensano così. Si stanno anzi accumulando sempre maggiori evidenze di un prossimo collasso ambientale-energetico-sociale globale dovuto al raggiungimento dei limiti fisici del sistema Terra. Consumiamo troppe risorse, produciamo troppi rifiuti, bruciamo troppi combustibili fossili che cambiano il clima, cementifichiamo troppo suolo, estinguiamo troppe specie, abbattiamo troppe foreste, peschiamo troppo pesce. L’impronta ecologica oltrepassa le potenzialità del pianeta e produce un pericoloso debito ecologico che intacca il capitale naturale. Ci sono Paesi più fragili di altri come l’Italia, che non solo ha un elevato debito monetario, ma vive pure tre volte al di sopra delle proprie risorse naturali interne ed è esposta a una variegata casistica di danni climatici e idrogeologici. Se fossi il presidente del Consiglio racconterei queste cose ai 61 milioni di italiani. Di quanta energia necessitano (circa 2800 kg di petrolio equivalente all’anno), da dove la prendono (estero), come possono risparmiarne e produrla internamente con le rinnovabili, come possono ridurre gli sprechi di cibo e basarsi il più possibile sulla produzione interna, come fare meno Pil e meno rifiuti e essere più sostenibili per diventare meno fragili e più resilienti. È l’unica visione di futuro realmente possibile, le altre sono promesse fallaci. Rinunciare al superfluo, difendere il necessario per non perdere tutto. Come disse Churchill agli inglesi nel 1940: “Non ho da offrire se non lacrime, sangue, fatica e sudore” in cambio della vittoria. Era semplicemente la verità, ma tutti insieme ce la fecero.
Istruzione
La politica finanzi scuola e università poi lasci i professori liberi di insegnare
Tomaso Montanari
Il 2020 rischia di essere un anno perduto dietro alla riorganizzazione decisa da Conte per neutralizzare mediaticamente le dimissioni di Lorenzo Fioramonti. Sul piano culturale la divisione tra scuola e università è una pessima idea. Come anche dare la scuola a una preside e l’università a un rettore: quasi che la politica volesse lavarsi le mani di questo settore cruciale, dandolo in appalto alle rispettive corporazioni.
Nessun dubbio sulla persona di Gaetano Manfredi, ma è un fatto che i ministri rettori (da Luigi Berlinguer a Stefania Giannini) sono stati i più disastrosi: e non per caso, vista l’enorme responsabilità della classe dirigente universitaria nello sfascio dell’università stessa.
In ogni caso, la questione messa al centro del discorso da Fioramonti non è stata affatto risolta. Nessuna delle interviste a Manfredi apparse in queste ore affronta il nodo principale: otterrà il miliardo che serve (ed erano parole dello stesso Manfredi come presidente della Conferenza dei Rettori) alla “tenuta del sistema universitario”? E, se come tutto lascia credere, non ci riuscirà, perché ha accettato quel posto?
Oltre alla fondamentale precondizione dei finanziamenti, sul tavolo dell’università c’è un’altra questione che andrà sciolta entro il 2020: quella dell’Agenza Nazionale della Ricerca fortemente voluta da Giuseppe Conte. Di fatto, un secondo tentativo (dopo quello, per fortuna fallito, delle cattedre Natta sostenute dal governo Renzi) di mettere la ricerca sotto il controllo del governo. La parte sana dell’università dovrà attrezzarsi a resistere in ogni modo.
Quanto alla scuola, la priorità continuano a essere le assunzioni a tempo indeterminato e i fondi ordinari. E poi la sburocratizzazione: lo smontaggio di tutte le pseudo-riforme incrostate in questi anni. Lasciare liberi gli insegnanti di insegnare sarebbe l’unica rivoluzione necessaria.
Editoria
Subito il rinnovo dei vertici di Agcom e Privacy, poi liberare la Rai dalla politica
Giovanni Valentini
Nel campo minato del sistema mediatico, il primo obbligo a cui la maggioranza di governo deve adempiere è il rinnovo dei vertici nelle due Autorità indipendenti che sono scadute e sopravvivono in regime di “prorogatio” per l’ordinaria amministrazione: quella di garanzia sulle Comunicazioni che vigila sull’informazione, sulla tv e sulle Tlc; e quella sulla Privacy che si occupa di materie affini come la tutela della riservatezza e la diffusione dei dati personali. Negli ultimi giorni del 2019, il presidente della Repubblica ha fatto opportunamente filtrare la sua ostilità a ulteriori proroghe. E non si può che dargli ragione, per evitare che due settori nevralgici come questi restino ancora nel limbo dell’incertezza e della paralisi.
Il secondo obiettivo che questa maggioranza parlamentare è tenuta a perseguire è una riforma organica della Rai, per liberarla finalmente dalla sudditanza alla politica. Si tratta di affrancare il servizio pubblico dalla subalternità alla partitocrazia, trasferendo il controllo dell’azienda dal ministero dell’Economia a un soggetto terzo, rappresentativo delle varie componenti della società italiana. Toccherà a questo organismo nominare un consiglio di amministrazione, con un ad e un direttore editoriale indipendenti dal potere politico. Basta immaginare che cosa diventerebbe la Rai sotto un governo sovranista alleato di Silvio Berlusconi, per rendersi conto che questa riforma non è più rinviabile.
L’Agcom, la Privacy e la Rai sono i cardini su cui deve imperniarsi la difesa del pluralismo e della libera concorrenza. Ma, per completare il quadro, è necessario garantire la diffusione di Internet superveloce sull’intero territorio nazionale, attraverso una rete a banda ultra-larga che riduca le distanze fra le “due Italie” e fra l’Italia e il resto del mondo.
Diritti civili
Tra sardine e sedie bianche, subito le leggi su eutanasia e omotransfobia
Maddalena Oliva
Ripartiamo da una sedia. Bianca. E dalla scritta che il presidente Mattarella si è ritrovato a leggere su questo omaggio natalizio, ricevuto da un’associazione di disabili, i ragazzi della “Locanda del Terzo settore-Centimetro zero”. Lo schienale della sedia recita l’americano Charles Evans Hughes (repubblicano): “Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi”. L’orizzonte, per chi scrive, rimane sempre quello di una società in cui a vigere sia un sano diritto all’indifferenza (come insegnano molte lotte trans), ma, tant’è, siamo solo al 2020. E la strada dei diritti civili resta lunga. Eppur qualcosa si muove. Le sardine, per esempio: ragazzi e ragazze, ma non solo loro, che spingono per colorare l’anima di questo governo giallorosa. Non a caso, la loro prima richiesta ufficiale alla politica, dopo l’abrogazione dei decreti Sicurezza, è stata l’approvazione della proposta di legge contro la violenza omotransfobica a firma del deputato Pd Alessandro Zan, già in discussione alla Camera. A prescindere da come la si pensi sul movimento, c’è la spinta a sostenere “quei politici che hanno il coraggio di battersi per l’uguaglianza e la giustizia sociale, contro la violenza, specie quella con intenti discriminatori”. Non vogliamo un Parlamento di sardine, ma si potrebbe intanto approfittarne per approvare subito questa legge.
Così come – a Marco Cappato ormai stanno diventando tutti i capelli bianchi – doveroso sarebbe incardinare un dibattito parlamentare sulle proposte di legge sull’eutanasia: oltre al testo di legge di iniziativa popolare, ve ne sono altri molto validi depositati alla Camera. Non chiediamo sul tema un accordo di governo (anche perché, a proposito di diritti, quando sono state pronunciate le parole “ius soli”, abbiamo visto cos’è successo), ma l’impegno a discuterne, sì. Insomma, visto che col Natale abbiamo promesso di essere tutti un po’ più buoni, le sardine impongono sui diritti civili “più speranza e coraggio”. Almeno fino all’Epifania. Se 2020 o 2021, vedremo.
Salute
Più ospedali e maggiore trasparenza, serve un’Anac anche per la Sanità
Daniela Ranieri
Siamo andati a trovare il ministro Roberto Speranza al ministero nei giorni di festa. La direzione in cui vuole portare la gestione della Sanità è l’applicazione dell’art. 32 della Costituzione, finora disatteso: la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività e garanzie di cure gratuite agli indigenti. Le misure dei primi 100 giorni sono positive: abolizione del superticket per tutti; 2 miliardi al Sistema Sanitario Nazionale (erano 1 miliardo e 70 milioni nel 2019 e 827 milioni nel 2018); 2 miliardi extra per l’edilizia sanitaria (costruire nuovi ospedali può ridurre le liste d’attesa e le giornate sulle barelle nei pronto soccorso); 15% di risorse in più per le assunzioni di personale (rispetto al 5% del 2019); 235 milioni per la strumentazione diagnostica nei 50mila studi medici di base; stabilizzazione dei precari; possibilità di prenotare esami e visite nelle farmacie.
Proposte per il futuro. Potenziamento del pubblico: ambienti ospedalieri salubri e non punitivi (specie per i bambini) e nuove Asl. Giustizia sociale: distinzione dell’ammontare del ticket in base al reddito (senza spingere i ricchi a rivolgersi al privato). Da concertare con l’Istruzione, abolizione del numero chiuso a Medicina e introduzione dell’insegnamento di educazione medico-sanitaria a scuola. Trasparenza: gli strumenti di prima diagnosi per gli studi medici saranno acquistati tramite le stazioni uniche appaltanti; ciò non deve esonerare dalla vigilanza sulla correttezza delle procedure e sul loro uso esclusivamente pubblico. I medici hanno convenienza a prescrivere un esame presso una data struttura o un certo farmaco? Si può prevedere un’Anac della Sanità? Da ultimo: riduzione della burocrazia a carico dei pazienti e cartella clinica digitale a disposizione immediata di ogni cittadino.
Giustizia
Difendere il blocco della prescrizione e corsie preferenziali per i reati fiscali
Gian Carlo Caselli
1. Tenere ferma la norma sulla prescrizione (operativa da ieri), senza accettare compromessi. Anche per non dare ulteriori scuse a chi dice di non volerla finché il processo non sarà riformato. Perché se proprio si temono dalla nuova prescrizione effetti nefasti (che per altro non ci saranno) allora ci si dia subito da fare – davvero e non solo a parole – per avere un processo più rapido.
2. Incrementare le risorse, specie il personale amministravo in cronica e grave crisi, appena scalfita dagli ultimi arrivi; ovviamente rifiutando i giochi di prestigio del passato tipo riduzione delle piante organiche.
3. Se abolire l’appello (che non esiste praticamente in nessuno dei paesi che come il nostro hanno un sistema processual-penale di tipo accusatorio) non si può, perché da noi le resistenze corporative degli avvocati e quelle dei “neogarantisti” sarebbero insormontabili, si provveda almeno a rimodulare il sistema delle impugnazioni per disincentivare quelle dilatorie e pretestuose riguardanti il rito d’appello, cioè la fase processuale più sofferente in tutt’Italia (vedi il Sole-24 ore del 23.12, secondo cui la sua durata media è di 759 giorni contro 323, 375 e 132 rispettivamente di procura, tribunale e cassazione).
4. Aumentare la pena (ora 5 anni) suscettibile di patteggiamento, istituto ormai metabolizzato dal sistema con pieno titolo e dignità.
5.Prevedere corsie preferenziali per i reati fiscali, contribuendo a rendere la lotta all’evasione qualcosa di più serio di una grida manzoniana.
7. Posto che le procure di regola sfornano molti più processi di quanti i tribunali smaltiscono, elaborare un meccanismo basato sullo studio dei flussi (con il vaglio del CSM e del Consiglio giudiziario) che impegni il tribunale ad organizzarsi in modo da celebrare ogni anno un congruo numero di processi, cui dovrebbe tendenzialmente adeguarsi la procura.
Famiglia
Un unico grande problema: la natalità in Italia (Viva) al 4%. Bonus Capodanno
Selvaggia Lucarelli
La ministra Elena Bonetti, esponente di Italia Viva, ha al momento un solo grande problema di natalità: in Italia, e in Italia Viva, la crescita dei nuovi arrivati è al -4%. Nessuno fa più figli e i genitori single trovano il tempo per viaggiare, per uscire a cena, per coltivare i propri hobby, ma non quello per andare alla Leopolda.
Un bel problema, per la ministra Bonetti, che sta tentando in tutti i modi di incoraggiare gli italiani a figliare, sebbene la tentazione di assecondare il trend, aspettare che Salvini dica “Prima gli italiani!” e vedere che dalla fila avanzano in quattro, sia di sicuro fortissima.
Facendo due calcoli, senza più nascite e con gli sbarchi azzerati, entro il 2050 l’Italia sarà ripopolata sì, ma dal Dodo, che apparirà nel maceratese dopo trecento anni dall’estinzione a Mauritius. I dati, in effetti, sono allarmanti: in Italia una famiglia su tre è single.
Se a questo si aggiunge che secondo i sondaggi le famiglie italiane hanno speso per il cenone di Capodanno mediamente 94 euro, accresce la preoccupazione per i single che hanno comprato 94 euro di cotechino e lenticchie per strafogarseli da soli, dunque oltre al bonus bebè io al posto della Bonetti prevederei un urgente speciale bonus lavanda gastrica per Capodanno.
Bella anche la trovata del bonus RC auto, secondo il quale l’assicurazione familiare consentirebbe agli appartenenti della stessa famiglia di assicurare i veicoli nella classe di merito più bassa presente in famiglia.
La nonna ottantanovenne che guida solo la domenica per andare a messa a una velocità di almeno 30 km orari sotto i limiti consentiti e che sulle strisce fa attraversare anche la busta di plastica sollevata dal vento, diventerà mito e riferimento di figli e nipoti con i consueti tre punti sulla patente, così da rinvigorire e rinsaldare il nucleo familiare. Brava Bonetti.
Difesa
Rivoluzionare alleanze nel Mediterraneo e in Europa per tornare a contare
Fabio Mini
Questo governo, come i tre precedenti, pensa di recuperare lo scarso perso nel Mediterraneo e in Europa, cercando l’alleanza e il benvolere di tutti, volando bassissimi, con politica estera e militare passive. È necessario pensare a qualcosa di drastico: una rivoluzione. Occorre esser provocatori e destabilizzatori, ma nel rispetto della Costituzione e con gli strumenti legali che possediamo. Per esempio: 1) Chiedere l’espulsione da Ue e Nato dei paesi che con la scusa della “minaccia” russa o cinese o per smania di potere di fatto sono antieuropei. Il motivo “legale” c’è: nessuno di essi rispetta gli standard di democrazia e cooperazione. 2) Porre il veto per l’ingresso di nuovi paesi che abbiano gli stessi orientamenti (tipo Ucraina). 3) Riformulare il Trattato del Nord Atlantico (Nato) considerandone membri solo Nordamerica (per conto di Usa e Canada) e Ue per conto di tutti i paesi europei membri della Nato anche se non della Ue. “Assegnare” alla Nato un contingente di forze europee sotto comando e controllo unitari: l’Italia potrebbe sospendere la partecipazione alle operazioni Nato e sottoporre a revisione anche lo status delle basi militari Usa in Italia. 4) Proporre all’Europa un accordo quadro con la Cina che consideri gli interessi dei paesi del Mediterraneo. 5) Attivare all’Onu le procedure per chiedere a Israele di sottoscrivere e rispettare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari, di cessare i raid su Siria e Libano e di rispettare i diritti umani dei Palestinesi. 6) Denunciare l’Egitto per violazione dei diritti umani dei dissidenti e per l’interferenza armata in Libia. 7) Annullare i contratti sugli armamenti all’Arabia Saudita e a tutti i paesi in guerra diretta o per delega. 8) Proporre la rimozione delle sanzioni contro Iran e Russia e riprendere i rapporti commerciali. 10) Sottrarre la Libia all’abbraccio mortale di Usa, Russia, Turchia e anglo-francesi che di fatto se la vogliono spartire: sostenere (anche con strumenti militari) solo chi vuole che il paese sia democratico, unito o federato.