Olga Tokarczuk
Categoria: Scrittrice
Nell’anno dei due Nobel per la letteratura immaginiamo i giurati svedesi sfogliare l’album delle scrittrici candidate e meditare il profilo giusto. Per guadagnare i favori di Stoccolma aiuta vantare talune virtù geopolitiche. Ecco allora una 57enne polacca, femminista militante e convinta europeista. L’autrice di “I vagabondi” riassume in sé il peso della storia: ieri lo scacco dei totalitarismi nazista e comunista e oggi le spinte nazionaliste nella sua Polonia.
Olga Tokarczuk – treccine rasta e sguardo affilato – grazie al 2019 entra dalla porta principale della fama imperitura. “Sarà meritata?” l’interrogativo dei più all’annuncio del prestigioso riconoscimento. Meritata, sì. Il valore dell’autrice polacca risiede anzitutto nella sua opera. È questo valore a inverare il suo impegno civile e non viceversa. Pochi hanno la sua capacità di osservazione, il suo talento nel cogliere i mutamenti della nostra contemporaneità.
Pochi hanno la sua scrittura nitida, in bilico tra saggio e finzione, che annullando una trama lineare procede per frammenti, lasciando al lettore il compito di riconoscere la realtà che abita e di riconoscersi. Il suo segreto? Nel discorso di accettazione del Nobel ha detto: “Mia madre mi ha dato l’anima, il più grande e sensibile strumento per narrare il mondo.”
Voto: 8
Andrea Camilleri
Categoria: Scrittore
E se avessero ragione gli altri? Come in un urto di rovello portava la propria “ragione” fuori dalle proprie certezze. L’ultimo anno trascorso di Andrea Camilleri in questa terra – il 2019 dello scrittore, drammaturgo e romanziere – è un riavvolgere se stesso per andare nell’altrove: quell’accettare di buon grado la consapevolezza di sé, anche con irruenza, per poi mettere in fila i fatti – quelli a lui contemporanei – e così attivare l’elaborazione della storia e spiegarsi il futuro entro i confini dell’esperienza. La vita gli si accostava all’orecchio, vi versava quel sovrappiù d’immaginazione e lui – da Tiresia qual è – ne gustava ogni sfumatura per farne bottino di arte e varietà.
Tiresia qual è, appunto, come quello privato della vista per aver guardato Venere nuda, Camilleri è già prossimo a tornare in questa terra per ricrearsi daccapo nella forma che più gli aggrada: pianista in un bar, regina d’Egitto, maniscalco o anche falco, farfalla o coleottero. Perché questo faceva il cantastorie: abbassare le montagne, ascendere al cielo medio, sorgere col sole dal lato opposto, nell’esatta sragione delle fantasie. Quelle degli altri.
E questo faceva il venerando Andrea tra le pareti del suo studio in cui adesso la sua voce s’è spenta, quella profonda cantata senza la quale Camilleri non sarebbe mai stato lui: Tiresia.
Voto: 10
Antonio Scurati
Categoria: Scrittore
M, il premio Strega. M, il libro rivelazione dell’anno (anche se il più venduto dovrebbe essere, in attesa dei dati definitivi, il bellissimo I leoni di Sicilia di Stefania Auci). M. il libro della svolta di Antonio Scurati (a giudizio di molti, e nostro, il suo più riuscito). Il figlio del secolo, come recita il sottotitolo, è il Duce, che per la prima volta diventa personaggio di una fiction. Non più oggetto di saggi, ma materia viva e pulsante. Incontriamo il protagonista (nel primo volume di quella che si annuncia come una trilogia) nel 1919, all’alba del Fascismo, passeggiamo con lui nel centro di Milano, entriamo nelle osterie, lo accompagniamo mentre osserva un mondo ammaccato popolato di reduci mutilati, arditi, socialisti… Crediamo di sapere tutto di quegli anni, eppure è così diverso il sapore del racconto. L’autore ha fatto un evidente (e lodevole) sforzo, cioè di maneggiare quella parte ancora incandescente della nostra Storia senza metterla sul banco degli imputati. Con quel periodo non siamo mai riusciti a fare i conti al di là delle etichette buoni/cattivi. È successo anche con l’uscita del libro di Scurati: più che le pagine di M, lo stucchevole, eterno!, discorso attorno al ritorno dell’orbace ha contaminato il dibattito, talvolta con la complicità dell’autore.
Voto: 8
Antonio Conte
Categoria: Allenatore
Figlio del barocco leccese, Antonio Conte martella le sue squadre come un fabbro. A 50 anni, ha scelto una sfida che va al di là del destino. Poco importa che di mezzo ci siano stati l’azzurro della Nazionale e il blu del Chelsea. Dopo aver legato la carriera alla Juventus, come giocatore e come allenatore, eccolo all’Inter, la società che da gobbo, attraverso i veleni di Calciopoli, aveva imparato a detestare. Al cuore si comanda: e come. Specialmente nel circo degli Agnelli e dei lupi cinesi.
Degli otto scudetti juventini, Conte vinse i primi tre. Ha chiuso l’anno con 42 punti, nove in più dell’ultimo bottino di Luciano Spalletti, ed è in testa proprio sotto braccio a Madama. I tifosi che lo accolsero freddi, oggi lo adorano. Non è più lo smemorato del calcio-scommesse, non è più il servo giurato. Ha preteso e ottenuto che Beppe Marotta, altro migrante dalla real casa, gli togliesse dalle scatole i dipendenti più scomodi: Ivan Perisic, Radja Nainggolan e la famiglia Icardi. Ha blindato Appiano, sempre meno Gentile; ha lasciato la Champions, sempre più ostile.
È un missionario laico che, quando non converte le partite, si fustiga. I padroni di Suning non gli hanno chiesto lo scudetto: è lui che, fra una citazione e una eccitazione (“a star sotto si fa meno fatica”: non in classifica, però), lo sente, lo vuole.
Voto: 7
Barbara Bonansea
Categoria: Calciatrice
Come vincere un Mondiale senza vincerlo per davvero, fin dal primo giorno, e cominciare a vivere (almeno si spera) felici e contente. È capitato tutto all’improvviso e a realizzare l’impresa è stata Barbara Bonansea, che fino al 9 giugno nessuno in Italia sapeva chi fosse. 28 anni, di Pinerolo, attaccante della Juventus, il 9 giugno 2019 Bonansea metteva la firma sotto i due gol con cui l’Italia sconfiggeva la favorita Australia nel match d’esordio del mondiale francese.
Il secondo lo realizzava al minuto 95, all’ultimo tuffo, e da quel momento il calcio femminile, in Italia, incominciava ad essere qualcosa. Il giorno dopo si scoprì infatti che 3 milioni di italiani erano rimasti incollati alla tv, all’ora di pranzo, per seguire il debutto delle azzurre; che da carneadi divennero protagoniste vincendo il girone e che nel terzo match, quello col Brasile, tennero 6 milioni e 525 mila italiani (il 29,3 % di share, quasi uno spettatore su tre sintonizzato sulla partita) davanti al video in prima serata a fare il tifo per Giuliani e Gama, Bartoli e Guagni, Girelli e Giacinti.
La Cina battuta agli ottavi, poi il ko con l’Olanda nei quarti: ma mai sconfitta fu meno sconfitta di quella. Le “handicappate” di Tavecchio (presidente Figc), le “quattro lesbiche” di Belloli (presidente Dilettanti), il calcio che dava il voltastomaco a Collovati: tutto cancellato. Grazie a due gol. Di Barbara Bonansea.
Voto: 8
Rosario Fiorello
Categoria: Showman
“Grazie, grazie, grazie” ha commentato entusiasta la direttrice di Rai Play Elena Capparelli il 21 dicembre, all’indomani dell’ultima puntata. E te credo, si direbbe a Roma. Fiorello è, al momento, l’unico showman in grado di tirare su le sorti della tv italiana e il suo atterraggio sulla piattaforma digitale della Rai ha permesso un numero record di visualizzazioni: quindici milioni (finora, dal momento che le puntate del suo “VivaRaiPlay!” rimarranno online) con 13 milioni e mezzo di app scaricate. Un programma andato in onda dal 4 novembre al 20 dicembre che, grazie anche al traino della prima settimana in diretta su Rai Uno dopo il Tg delle 20, ha centrato l’obiettivo. Come sempre, Fiore è stato in grado di intercettare le novità – quelle che possono accaparrarsi un pubblico più giovane, come i benedetti, si fa per dire, “tik-toker” – senza togliere spazio al già visto di qualità. E così gli ospiti Vip che gli hanno tenuto compagnia negli studi di via Asiago – completamente rinnovati per l’occasione – non hanno fatto neanche troppo l’“effetto Sanremo”. Solo Rosario poteva pensare di affrontare una simile sfida, rilanciare il digitale Rai – a fronte di quale cachet? – vincendola agilmente. E non soltanto perché il suo è talento puro, ma perché Fiorello ha un grande pregio: quando non si ritiene pronto o crede di non aver nulla da dire, si ferma, tace e studia. A differenza di molti suoi colleghi, che ripetono in eterno le stesse noiose battute.
Voto: 9
Woody Allen
Categoria: Regista
Woody per sempre. Mentre il ditino globale punta il #MeToo, Allen il saggio continua a fare quel che sa fare meglio, il cinema, e indica la luna: in Un giorno di pioggia a New York siamo rischiarati dal satellite romantico e malincomico del Nostro, e che raffinatezza, che sprezzatura gentile.
L’hanno rimesso alla gogna, Woody, non sazi della verità processuale, digiuni di nuovi elementi, solo affamati di vendetta: lui ha rivendicato l’inclinazione di genere femminile del suo corpus, ha sostenuto le buone ragioni del movimento femminista, eppure non è bastato. Gli attori, da Timothée Chalamet a Selena Gomez, gli si sono rivoltati contro, dissociandosi e devolvendo il cachet a “Time’s Up” e compagnia militante, negli States A Rainy Day in New York non arriverà mai probabilmente, e peggio per loro: Allen va a avanti, a testa alta per onorabilità e bassa per laboriosità, e il nuovo “Rifkin’s Festival” girato a San Sebastián con Louis Garrel e Christoph Waltz è già in post-produzione.
Rimane, a nostro carico, il vilipendio di maestro, la lesa maestà di un signore che il primo dicembre del 2020 compirà ottantacinque anni.
Con la solita ironia, che anche sotto la pioggia illumina: “Ho visto tutti i classici americani, in particolare gli europei. Kurosawa è il mio preferito”. Lunga vita, Woody.
Voto: 8
Matteo Garrone
Categoria: Regista
L’impresa più proibita del cinema, italiano e non, l’ha compiuta Matteo Garrone. Se altri, Francesco Nuti (OcchioPinocchio, 1994) e Roberto Benigni (Pinocchio, 2002), hanno portato sul set il burattino all’apogeo della propria carriera, Garrone s’è fatto bastare il piccolo successo di Dogman e ha frullato Apuleio e Ovidio, filologia e artigianalità, infanzia e perversione polimorfa riguadagnando lettera e testamento di Collodi nella semplicità. Gli incassi gli danno ragione, la prossima Berlinale ne terrà a battesimo l’avventura internazionale, e nel novero delle belle verità ci stanno Massimo Ceccherini, Volpe e co-sceneggiatore di gran fiuto, e Roberto Benigni, che dopo l’hybris di volersi Pinocchio a cinquant’anni si riscopre spelacchiato e devoto Geppetto. Mentre l’altro Dioscuro, Paolo Sorrentino, varia sullo spartito internazionale, dalla serie The New Pope all’atteso Mob Girl con Jennifer Lawrence, Garrone le proprie Lezioni americane le mutua da Calvino: “Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici, di pensare per immagini”. Grazie, Matteo.
Voto: 7,5
Lorenzo Jovanotti
Categoria: Cantante
I dati della Siae parlano chiaro: il Jova beach Tour è stato il più seguito tra tutti quelli del 2019 e – nello specifico – il concerto a Linate quello con più biglietti venduti. Il motivo è molto semplice: Lorenzo ha azzeccato un format vincente, lanciato diversi anni fa da Fat Boy Slim a Brighton, migliorato con alcuni innesti quali ospiti indie-rock e world music, dj set e la presenza di artisti del calibro di Salmo e Coez ad animare una grande festa popolare e trainare nuovi adepti.
Il successo deriva anche dalla scelta di Jovanotti di presentarsi come cerimoniere di festa anzi quale Dj vero e proprio, ciò che indubbiamente sa fare meglio, togliendo spazio alla parte più cantautoriale, quella espressa nell’ultimo album “Lorenzo sulla luna”. Quando si torna a ballare e troviamo il mattatore di “Non m’annoio” gli si perdona anche qualsiasi eccesso.
Non sono mancate le polemiche con le associazioni ambientaliste, con le quali l’artista ha scritto un post pesantissimo (“il mondo dell’ambientalismo è più inquinato dello scarico della fogna di New Delhi”) e pure quelle sul presunto lavoro in cambio merce.
Dalla sua ha i numeri che hanno premiato un tour indubbiamente coraggioso e sulla carta decisamente incosciente. E gli va riconosciuta una innata capacità di comunicare e, soprattutto, di ricaricare gli animi.
Voto: 5
Niccolò Ultimo
Categoria: Cantante
Dieci spettatori nei club testaccini tre anni fa, un tour già sold-out negli stadi e al Circo Massimo per il 2020. Un Natale trascorso per la seconda volta in visita alla Comunità di Sant’Egidio, e in agenda c’è una missione nel Mali, da “ambasciatore di buona volontà” dell’Unicef: devolverà parte degli incassi dei suoi concerti per realizzare strutture di prima necessità in Africa. Come un piccolo Bono. C’è il rischio di decretare la santificazione laica di Ultimo, il ragazzo di San Basilio che in un vorticoso giro di giostra del destino si è ritrovato nel ruolo di precoce popstar con una illimitata linea di credito aperta sulla carriera.
Nel momento di transizione della scena italiana, mentre l’indie tradisce la missione originaria e il trap resta credibile solo se proposto dagli ultratrentenni, Ultimo trionfa con una scrittura di taglio classico: canzoni concepite “alla vecchia” (con mentori e fratelloni come Venditti e Moro), di solida musicalità, ma capaci di intercettare la sensibilità della generazione Z e non solo.
A Niccolò ha giovato, per paradosso, la tumultuosa sconfitta a Sanremo, che gli ha garantito ancor di più la fedeltà del suo pubblico. L’anno che verrà lo attende alla sfida decisiva: verso una possibile Ultimomania, e l’eredità della scuola romana da caricarsi sulle spalle. Sperando che reggano.
Voto: 7
A cura di Beccantini, Biondi, Buttafuoco, Dentello, D’Onghia, Mannucci, Pontiggia, Truzzi e Ziliani