Conte-Zazzaroni, si salvi chi può!

S ia pure in sedicesima, la querelle scatenatasi nell’orticello del pallone italico tra l’allenatore dell’Inter Antonio Conte e Il Corriere dello Sport diretto da Ivan Zazzaroni, che si accapigliano su una mail (finta?) firmata da tale Salvo24 e finita nella posta di Italo Cucci, mail che il tecnico ha ritenuto offensiva chiedendo all’Inter di adire le vie legali, somiglia molto alla stravagante telenovela di Pamela Prati e del suo matrimonio (finto) con Mark Caltagirone, che nessuno ha ancora capito se esista o meno. Siamo al grottesco puro, insomma, e anche il livello del dibattito ne risente.

“Salve signor Italo – ha (avrebbe) scritto salvo24@libero.it –, godo (si può dire?) nel vedere la grande Inter surclassata dal Barcellona B che ha fatto vedere come si gioca a pallone a quell’esaurito del suo allenatore”. “Alla sua cattiveria – gli ha risposto il signor Italo (Cucci) – aggiungo la mia (…): quando confesseranno, dirigenti e tifosi dell’Inter che senza Icardi hanno buttato via la Champions e forse anche il resto?”. Questa la miccia. Che ha innescato una serie di detonazioni che definire spaventevoli sarebbe troppo: diciamo botti simil–peto. Prima Salvo24 che scrive al “Prof. Cucci” scusandosi per “aver causato un problema al Corriere dello Sport”; poi la scoperta che l’indirizzo salvo24@libero.it non esiste; quindi la precisazione che l’indirizzo esatto è salvo2410@libero.it e che le due ultime cifre erano state omesse per motivi di privacy; poi un lettore che invia una mail di solidarietà al Corsport e si firma LinusEsposito,alice.it, con la virgola al posto della chiocciola, roba mai vista; e infine il Corsport che sentendosi alle corde se ne esce con una maxi intervista a Salvo24 (“Salvo2410 sono io e ho 70 anni di calcio”) trattato con una segretezza degna di uno Snowden o di un Assange.

Vi chiederete: ma tu stai con Conte o con Zazzaroni? Curiosità legittima. E addirittura pertinente visto che Antonio Conte ai tempi in cui allenava la Juventus mi portò in tribunale per sei articoli che avevo scritto sul “Fatto Quotidiano” a proposito del suo coinvolgimento nelle partite truccate del calcioscommesse, per cui venne squalificato. Il giudice di Torino Anna Castellino, con una sentenza che andrebbe fatta leggere a tutti per quanto afferma in tema di diritto di cronaca, di critica e di satira, giudicò impeccabile il mio lavoro, diede torto a Conte su tutto il fronte e lo condannò al pagamento di tutte le spese. Non sto con Conte, quindi, avendo toccato con mano ombre e miserie del personaggio.

Detto questo, se Ivan Zazzaroni pensa che la querelle possa essere risolta con un’intervista al fantomatico Salvo24 – vero o falso non ha nemmeno importanza – in cui lo si presenta dicendo: “Salvo è l’autore della mail che ha fatto arrabbiare (eufemismo) Antonio Conte e l’Inter”, riportando poi le sue accorate scuse (“Mi sono scusato con Cucci e con lei per il casino che vi ho procurato”), crolla il giornalismo. Ammesso che esista, Salvo non c’entra nulla, non è lui che decide cosa va in pagina e cosa no, ma è il giornale (è il direttore) che sceglie. Se Zazzaroni giudica una mail una cazzata, la butta. Se la pubblica, la approva. Ma è lui che decide, se ne assume la responsabilità e ne risponde. Sempre che i contenuti al Corsport non li decida Salvo24. In questo caso, bisognerebbe dirlo.

Avanguardia? No, grazie. Viva Garinei!

Accetto! Senza badare alla paga inesistente. Senza sapere a cosa vado incontro. Il regista, un cinquantenne dal forte accento cepranese, è un guru della post avanguardia teatrale romana degli anni settanta e mi ha proposto una performance dal titolo: Puttana! Un po’ forte mi dico, ma di sicuro impatto. Scendo le scale anguste e sento un tanfo di velluti marci e cloaca, tutt’altro che maxima, anche se il lungotevere è a due passi. Non ho mai fatto il teatro di ricerca e le cantine le ho praticate poco, ma pare che quello sia l’odore, come il buio, l’umidità, i cessi alla turca. E l’immancabile foto di Grotowsky, maestro del teatro povero. Evviva, direbbe Garinei! Ma da queste parti è meglio non nominarlo. Mi scappa la pipì e chiedo al guru dov’è il bagno. Lui mi indica un cunicolo verso il quale mi dirigo. Accendo una luce fioca e seduto sul bordo del lavandino vedo un esemplare di rattus norvegicus, detto pantegana, o zoccola, a seconda. Urlo e scappo, ma lui, il regista non il topo, mi esorta a mantenere l’emozione di paura su cui poter fare un’improvvisazione, e mi ritrovo a rotolarmi su un palco lercio insieme a un nano di colore, attore feticcio del guru. “Frustala! Bastonala! Tu fatte menà…. Io vado in bagno…”. E il maestro mi lascia alle mercé del collega. La voce rugginosa di Alice Cooper fa da sfondo. Dopo 3 ore sono esausta e chiedo di fare una pausa. “Qui le pause le faccio solo io…”, bercia il guru prima di tornare in bagno. Va in bagno ogni 5 minuti, o è prostatavanguardia teatrale, oppure cocaina, forse tutt’è due! Cambio musica. Dopo il rock metallico si passa ai cimbali balinesi. “Devi sta combledamende rilassata… abbandonete…”. Il guru vuole meditare e io, grazie a Dio, mi addormento. E sogno il Sistina, col maestro Garinei, Paolo Panelli e Johnny Dorelli che mi danno del lei.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Storia di Dio e di ogni fede: “Bene e male, una lotteria”

Devo accettare l’obiezione e forse l’irritazione di molti lettori. Questo ultimo libro (L’altra metà di Dio, Feltrinelli Editore) di Ginevra Bompiani, che è pieno di cassetti misteriosi in cui trovi stupefacenti sorprese, non è un libro di Natale. Eppure è tutto su Dio, non solo in una versione, ma in tante diverse tradizioni, culture ed epoche, in cui la presenza di Dio, e il suo intervento continuo nella vita degli umani, ha molti volti, molte storie, e un mare di sofferenza. La qualità di scrittura di Ginevra Bompiani merita una prima osservazione.

Ciò che il libro racconta, in un carosello di continue variazioni e cambiamenti di percorso che rafforzano e negano il dato storico di una o dell’altra religione, viene, con grande bravura, sottratto alla solennità mistica o anche solo alla cautela sempre presente nei pressi di ogni narrazione del divino. Ginevra Bompiani conversa di Dio nelle sue molte rappresentazioni di fede, di storia, di cultura, come discuterebbe di dinastie e di aggregazioni di potere. Per esempio l’autrice non collega la potenza suprema di Dio (nelle varie versioni che racconta) alla benevolenza protettiva che dà un senso a ogni fede.

Piuttosto racconta Dio (non solo quello giudaico, o quello cristiano, o quello islamico) in una vasta area sospesa in cui il bene e il male discendono insieme, con una certa capricciosità che forse è pedagogica, ma sempre è arbitraria, coerente (ma non sempre) con certi ordini o dogmi, improbabile, inevitabile e inventata, (e dunque anche segnale di necessità o vendetta). Entrando nel libro, impreziosito da citazioni che allargano lo spazio della narrazione ai tempi del prima, alle presunte attese del dopo e alla esistenza in tempo reale, che continua ad essere di ansia (parola chiave per l’interpretazione del libro) vi trovate in una foresta di storie di Dio in cui gli angeli non sono affidabili, Dio è libero di spostarsi da una credenza e missione all’altra, e la differenza tra il bene e il male non è nella lotta perenne fra Dio e Maligno, ma in un confronto di immaginazione e di prontezza, una continua variazione quasi meteorologica dell’angoscia, dell’attesa, del delitto e della consolazione, che l’episodio di Abramo e del figlio da uccidere (fermato all’ultimo istante dall’angelo) rappresenta meglio di ogni altra narrazione.

La sorprendente, angosciosa, bellissima conversazione di Ginevra Bompiani su Dio vi dice (non predica, deduce dai fatti da lei raccolti e narrati) che gli uomini credono di potersi meritare o evitare ciò che accadrà comunque, in ogni momento; che la forza del male ha un peso e un ruolo grandissimo ma muto come i terremoti, che non accettano se non graduatorie.

Niente previsioni e niente senso di eventi grandiosi e distruttivi. Il percorso della foresta detta la vita, prevede trappole e inganni come fatti incolpevoli della natura. Il premio invece può sempre arrivare non per una ragione decisa da una legge, o in cambio di una buona azione, ma per una sorta di impenetrato susseguirsi di eventi di segno diverso, in una immensa lotteria universale. La teologia del testo Bompiani esamina tutto ciò con una intensa volontà di far sapere, e far partecipare alla conversazione sull’altra metà di Dio. Però non è un grande gioco di fede o miscredenza. È un percorso di conoscenza, molto al di là del ripetuto e dell’ovvio.

Berlusconi ha vinto e s’è preso tutto: “Salvini e Renzi sono i suoi veri eredi”

La foto di Antonio Di Pietro ospite di Nicola Porro a Rete4 dice tutto ma proprio tutto: Silvio Berlusconi s’è preso, infatti, qualunque cosa. Bianca Berlinguer cerca di avere in studio a Rai3 Barbara D’Urso, non riesce a scalfire le granitiche esclusive della star, e a Mediaset, giustamente compiaciuti dell’invito, dicono: “Abbiamo vinto”. Stefano Balassone, nientemeno su Repubblica, con schiettezza e onestà segnala positivamente Porro da un lato e Barbara Palombelli dall’altro, rispettivamente conduttori di Quarta Repubblica e Stasera Italia, e si va così a smantellare l’egemonia de La7 sui talk di politica.

La rete che fu di Emilio Fede diventa, infatti, anche con la nostra Veronica Gentili nel fine settimana, uno spazio di approfondimento da servizio pubblico, e adesso che l’uomo delle tivù, il fondatore di Forza Italia, il titolare dell’unico ismo politico fuori dal Novecento – il berlusconismo – se ne resta sullo sfondo, bisogna dirlo: la famosa somma che fa il totale è la sua. Suo erede è Matteo Renzi, reclutato nella serra calda de La Ruota de la Fortuna, suo successore è Matteo Salvini che si presenta alla gara de Il Pranzo è servito. I Cinquestelle, sia come reazione a lui, sia come emulsione della sua stessa maionese – il pop, la rottura di ogni mediazione – sono debitori della sua irruzione in scena.

I giri di riscaldamento per poi giocare con il comico Beppe Grillo, gli italiani se li sono fatti con l’eccentrica discesa in campo di un impresario di spettacolo qual è Berlusconi e anche l’antiberlusconismo, manco a dirlo, non può che consegnarsi mani e piedi a lui per tirarla per le lunghe, finché dura. Se ne sta appartato, il Cavaliere, e non ha più necessità di muoversi perché perfino Donald Trump c’è perché già c’è stato lui. Figurarsi se nel Regno Unito non può esserci oggi Boris Johnson, dichiaratosi a suo tempo suo ammiratore, e nella sua sequela ci sono gli imprenditori: l’immaginifico Diego Della Valle, quindi lo stesso suo acerrimo nemico, Carlo de Benedetti – che è quasi il suo Rockerduck, l’alter ego – e Urbano Cairo, infine, allievo sì ma nella beata nicchia dello chic: il Torino come squadra di calcio, La7 come tivù e il Corriere della Sera accuratamente narcotizzato per gli usi dell’establishment, del mainstream e del solito cucuzzaro. Tutto e il contrario di tutto s’è preso, Berlusconi.

La ragazza a suo tempo oltraggiata nei girotondi del ceto medio riflessivo – Mara Carfagna, simbolo della bellezza telegenica – è oggi venerata dagli stessi che nei loro sabba di lotta e di salotto ne facevano oggetto di una bestiale campagna sessista; dall’impresentabile all’autorevole il passo più che breve è intercambiabile, finalmente Carfagna è come dire una Marta Cartabia ma Berlusconi s’è preso tutto perché copre tutti i target: sull’animalismo c’è Michela Vittoria Brambilla col suo maialino, in tema di sardine c’è Francesca Pascale e la sua industria editoriale, la sua Mondadori, con la sua Einaudi – e chi più ne ha, più ne metta – foraggia tutte le mosche cocchiere del potere culturale.

Sta sullo sfondo, Berlusconi, ma non vuole saperne di perderne ancora di tempo con le vicende minute. Al congresso del PPE, a Belgrado, cade. Lo riportano immediatamente a casa per gli accertamenti con l’aereo suo, con tutti quelli intorno preoccupati di una frattura del femore, del piede, della caviglia e a un amico che gli domanda – “Presidente, cosa s’è rotto?” – annoiato e sfastidiato, Berlusconi risponde: “Ma cosa vuoi che mi sia rotto… mi sono rotto i cogl***!”.

Investire oggi: i buoni rendimenti passati sono indicativi, ma al contrario

I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri: una frase che molti spesso avranno letto più o meno distrattamente. La normativa impone infatti un’avvertenza di questo tenore in ogni inserzione pubblicitaria o altro documento relativo a proposte d’investimento. Al che viene in mente il quadro del pittore surrealista René Magritte che raffigura una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe (Questa non è una pipa). Infatti chi sfoggia ottimi rendimenti passati punta proprio a influenzare i potenziali clienti, per indurli a comprare i propri prodotti d’investimento.

Però in questo momento storico è diverso che in passato. Riferita all’ambito obbligazionario, la frase in questione è diventata bellamente falsa. In conseguenza del crollo dei tassi, i rendimenti passati sono molto indicativi. Ma al contrario. Per stringenti motivi matematico-finanziari, ci dicono che le performance future saranno più basse e potenzialmente anche catastrofiche.

Vediamolo in concreto, precisando subito che il ragionamento non vale invece per le azioni. Nel 2019 i Btp hanno reso sull’11,5% nel loro complesso, cioè brevi e lunghi, e addirittura sul 13,8% quelli con durata 7-10 anni. I tre rimanenti giorni di Borsa aperta non stravolgeranno il bilancio dell’anno. È quindi sicuro che molti fondi comuni, gestioni, fondi pensione ecc. sbandiereranno rendimenti eccitanti. Non ottenuti però per bravura dei gestori, bensì solo poiché avevano obbligazioni e titoli di Stato italiani, che appunto hanno reso moltissimo. Risultato che è a sua volta conseguenza della discesa dei tassi d’interesse. I Btp decennali rendevano a scadenza sul 2,8% un anno fa e ora, aumentati di prezzo, solo l’1,4%. Tassi che scendono significano quotazioni che salgono.

Peccato che tale trend sia arrivato al capolinea. Già è fantafinanza pensare a un analogo calo dei tassi nel 2020, cioè di vedere i Btp decennali rendere zero. Ma soprattutto è impossibile che una tale discesa continui. Ovvero arrivare a rendimenti negativi dei Btp dell’1,5% fra due anni, a -3% (in lettere: meno tre per cento) fra tre anni e così via. Finché anche la Germania sarà nell’euro, il contante non verrà proibito, col che rendimenti negativi simili sono impossibili. Concretamente i tassi possono muoversi poco e allora nel 2020 i fondi obbligazionari in euro non faranno certo faville. Possono però anche salire, nel qual caso saranno dolori, se non disastri. Chi fa balenare o addirittura promette (a voce!) una riedizione delle performance del 2019 è un incompetente e/o un imbroglione.

www.ilrisparmiotradito.it @beppescienza

Il politico, il giornalista, la ricercatrice: i regali che vengono dal basso

Proprio vero. L’età trasforma il senso del Natale. Per questo, a un certo stadio della vita, i veri regali giungono dalle pieghe delle piccole storie che incontri. E siccome ho la fortuna di incrociarne molte, vorrei donarne al lettore tre. Partirò a sorpresa da un politico locale, Rosario, consigliere comunale milanese, e dalla lettera che ha inviato a me e ad altri in questi giorni.

All’inizio sembra un garbato componimento sul mistero del Natale. Ma qualcosa brilla di una luce particolare. “Guardiamo fuori dalla finestra e, alle nostre latitudini, ricorrendo ai ricordi, ci aspetteremmo di osservare lo scendere della neve”, dice. “Invece, niente… La neve non dà segni della sua presenza… Allora pensiamo che qualcosa è cambiato. Certamente il clima. Ma, probabilmente, non solo quello. […] Vorremmo incontrare parole e gesti di verità e libertà e non li troviamo. […] Però, nonostante tutto, non ci arrendiamo e guardiamo verso il cielo sperando che la neve ritorni, come al tempo dell’infanzia. Ma la neve non scenderà, se ne è andata, stanca di raccontarci storie che non comprendiamo, che non sappiamo condividere. Rimarranno i ricordi a farci compagnia insieme alla memoria di una stella che è ancora presente nel cielo ma, ormai, la vedono davvero in pochi. Come una chimera, come un’ultima speranza…”. Prosa delicata. Con dentro quel fulmine di poesia che mi ha riacciuffato il cuore più volte: “Ma la neve non scenderà, se ne è andata, stanca di raccontarci storie che non comprendiamo”. La neve che ripudia l’umanità e rifiuta di scendere, perché non capiamo le storie che ci porta, mi sembra la questione più radicale che si possa porre alla nostra sensibilità e intelligenza. Né assemblea di militanti, né consesso di studiosi, né raduno profetico l’ha mai fatto. C’è voluta una lettera arrivata senza rumore.

Un altro dono, una lettera destinata espressamente a me, mi è giunto invece da Riccardo, giornalista catanese. “Caro Nando, fra qualche giorno faccio settant’anni (in lettere, non solo per il buon italiano ma anche per sottolinearne la solennità e drasticità) e mi sembra una cosa ovviamente buffa, però proprio vera. Avevo appena superato il trauma di non essere più un ragazzo, ed ecco che tutto d’un colpo sono un vecchio. Debbo dire che fra i trenta e i settant’anni, i settanta sono la svolta più piacevole: sono cresciuto parecchio (cioè, sono regredito) in tutti questi anni e ora la prima cosa che mi viene in mente difronte al calendario è che il bambino di Luca ora ha quasi quattro anni, e Marta di Matteo ha appena fatto due mesi, e forse camperò abbastanza da assistere (nella mia testa) al loro matrimonio, nel qual caso dovrò assolutamente comprarmi una cravatta nuova (conoscendo il mittente, Luca e Matteo devono essere due giovanissimi giornalisti). Sarò certamente il testimone di uno o una dei due (ma quale?), e il flash continua, con assoluta pace e serenità e un sorrisetto furbo e sicuro. Ok, sarà anche il sintomo di qualche rimbambimento senile, ma che me ne frega? Va tutto bene così. E questo è tutto. Perché ti scrivo? Mah, un capriccio improvviso. Poi, ragionando, mi sono accorto che in realtà avevo bisogno di parlare di questa allegria con qualcuno della mia età, del mio mondo. Non siamo rimasti in tanti, ma è sufficiente. Hai presente un dinosauro alla fine del Cretaceo? Ecco, quello sono io. Ma non una bestiaccia grossa e pesante (come ci calunniano nei film): un animale un po’ lento, magari non più agilissimo, però sempre svelto e curioso, che non se ne fa scappare una”. Tra miti giovanilistici e perversioni estetiche, questo minuscolo “De senectute” fa dono grande di saggezza. Il terzo dono me lo fa una mia giovane ricercatrice. Federica è il suo nome, terra mantovana. Priva di compulsioni accademiche, mi comunica felice in treno che un saggio da lei scritto con altri su una delle più prestigiose riviste al mondo ha avuto il premio come migliore articolo pubblicato nel 2019. Scesa dal treno, mi affianca dopo un’ora nella difesa appassionata del nostro libro sulla ‘ndrangheta a Reggio Emilia. Davanti alla folla di Brescello, primo comune sciolto per mafia in Emilia. Serata accesa, ma non si è tirata indietro. La sento, la vedo, e capisco che si può ancora essere sociologi di battaglia e di accademia. E questo per me, che di sociologia ho vissuto, che i primi grandi volumi di sociologia li trovavo sotto l’albero, e che le compulsioni accademiche pavento, è il dono più bello. Buon Natale.

Le nozze “Il mio giorno più bello rovinato dagli esattori del fisco”

Cara Selvaggia, voglio raccontarti la mia vicenda surreale: nel 2014 stavo per conseguire la mia seconda laurea, ed ero a carico dei miei genitori; nel frattempo G., che il 25 ottobre dello stesso anno sarebbe diventato mio marito, era al secondo anno del dottorato di ricerca presso il Politecnico di Bari. Quell’anno, il 2014, è stato denso di novità, per noi: a metà anno l’acquisto della casa, grazie anche a prestiti e donazioni da parte di nonni e genitori, a fine ottobre il matrimonio. Insomma, un anno felice. Non potevamo certo immaginare che nell’ottobre del 2019 quei ricordi si sarebbero trasformati in un incubo più surreale di un quadro di Dalì, un periodo assolutamente ansiogeno, fatto di frustrazione e impotenza. A maggio, infatti, abbiamo ricevuto comunicazione da parte delle due banche (abbiamo conti separati) che l’Agenzia delle Entrate di Bari aveva avviato indagini finanziarie su di noi, richiedendo estratto conto del 2014. “Tranquilli –ci hanno rassicurato gli amici- è una formalità: avete acquistato una casa che non avreste potuto permettervi; basterà dimostrare che lo avete potuto fare tramite prestiti e donazioni”. A i primi di ottobre veniamo dunque convocati per spiegare all’assistente tributario i nostri movimenti bancari. Incredibilmente, abbiamo perso settimane a spiegare che se le causali dei bonifici in entrata riportavano esse stesse chiaramente la dicitura “regalia”, erano effettivamente regalie: l’assistente tributario sosteneva infatti che per essere certi che un bonifico da me ricevuto con causale “regalo da parte di nonna Raffa” non celasse un’entrata illecita, non dichiarata, derivante dalla libera professione di ingegnere di mo marito – transitata sul mio conto da quello di mia nonna – avrei dovuto presentare l’estratto conto di mia nonna. “Nella causale potete scrivere quello che volete voi!”, sosteneva testardo.
Da qui la richiesta di esibire estratti conti di innumerevoli altre persone, amici e parenti, per verificare che le causali dei loro bonifici in uscita (addirittura un conguaglio dell’Enel di ben 58,71 euro!) coincidessero con quelle dei nostri bonifici in entrata. Saremo stati, secondo l’agenzia delle entrate, una temibile rete mafiosa sostenuta da genitori, nonni, amici in tutta Italia, ed addirittura dall’Enel ed dal Politecnico di Bari (bonifici per i cicli di sostegno alla didattica!) che avrebbero “riciclato” denaro che G. avrebbe guadagnato in nero esercitando la libera professione. A nulla è valso spiegare come fosse impegnato a tempo pieno nella ricerca. E così, dopo una memoria integrativa di 8 pagine, ottobre è volato.
Per non annoiarsi, a novembre c’è stata una variazione sul tema: assodato che il rimborso Enel era davvero un rimborso Enel, che il bonifico “tanti auguri per la vostra futura entusiasmante e scoppiettante vita insieme” era effettivamente ciò che sembrava, ossia un caloroso regalo, l’assistente tributario si è concentrato sadicamente sul matrimonio. “Ah-haaa! Qui ci sono rispettivamente 4000 e 5000 euro di deposito di contanti e assegni! E niente causale!”
“Sì, sono regali di nozze”.
“Potete dimostrare di esservi sposati il 20 ottobre? Potete produrre certificato di matrimonio?”. “Abbiamo già autocertificato”. “Producete almeno la copia degli assegni”. “Ma ci vorranno mesi e centinaia di euro per rintracciarli dagli archivi storici delle banche emittenti! E non ci sarebbe certezza alcuna che la sola dimostrazione dell’identità degli emittenti degli assegni possa essere l’agognata prova del fatto che si tratti di regalie di nozze! Vi ho inviato la scansione dei biglietti di auguri, i biglietti del treno per Firenze…”. “Beh, l’onere della prova spetta a voi, vi mando l’accertamento il 20 dicembre, Buon Natale!”.
E fu così che 9000 euro di regali di nozze, nel 2014, sono costati a noi quasi 4000 euro di sanzione a Natale 2019 e un principio di gastrite ed ai contribuenti italiani sei mesi di lavoro di un assistente tributario dell’Agenzia delle Entrate di Bari, caldamente sostenuto dal suo Capo Team. Feliz Navidad!
V.

La colpa è dei vostri parenti che per le nozze vi hanno regalato dei soldi. Troppo pragmatici, troppo moderni. Io, tra i regali ricevuti in occasione delle nozze, conservo ancora un orologio a pendolo di legno blu con un passerotto che viene fuori ogni ora cantando una canzone di Beyonce, dono di una vecchia zia che fece acquisti nella Chinatown della sua città. Fa schifo, ma l’agenzia delle entrate non hai mai sospettato nulla.

 

“Gli attacchi di Sallusti e le (sue) grane con la giustizia”

Cara Selvaggia, sebbene tu ti sia difesa egregiamente da sola, volevo esprimerti la mia solidarietà per l’orrido editoriale di Alessandro Sallusti. Di tutto quello che ha scritto mi ha impressionato in particolare un passaggio, che denota la sua faccia di bronzo: quello in cui scrive “e tralasciamo le sue vicende giudiziarie”, parlando di te. Di te che hai avuto qualche schermaglia legale con un paio di vip tra cui la D’Urso (vinte, se non erro), ci rendiamo conto? Sallusti, proprio lui, cita vicende giudiziarie altrui. L’unico giornalista in Italia finito ai domiciliari per la quantità di contenuti diffamatori finiti sui suoi giornali e per cui è stato condannato, l’unico finito ai domiciliari, l’unico che ha ricevuto la grazia dal presidente Napolitano, l’unico che ha dovuto risarcire la famiglia di Carlo Giuliani perché ha detto che avevano fatto bene a sparare al figlio o a risarcire Calabresi perché ha detto che strizzava l’occhio a chi gli aveva ucciso il padre e così via. Davvero, quello che mi colpisce di più, ancora più del sessismo o delle cretinate sul tuo essere giornalista, è il suo essere senza pudore, nel citare le traversie giudiziarie altrui. Un abbraccio
Wilma

Aggiungo che nel mio caso non potrà appellarsi alla storia dell’omesso controllo. Ha omesso di controllare il giornalista più pericoloso della sua redazione: se stesso.

Iniziati all’orecchio e Santo Sepolcro: l’ombra nera della cattomassoneria

La dicitura solenne e pomposa non s’abbina per nulla alla sostanza evocata da alcune inchieste e da tanti intrecci a rischio. Cioè: Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, alle dirette dipendenze del Santo Padre, che da poco, il giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre, ha nominato il nuovo Gran Maestro, il cardinale Fernando Filoni. Il Santo Sepolcro e finanche dei Cavalieri “sacrati sulla spada” sono evocati nella recentissima maxi retata calabrese del procuratore Nicola Gratteri.

Politica, ’ndrangheta e massoneria, ancora una volta. I fratelli in grembiule e cappuccio sono paragonati a “un’autostrada mondiale che ti apre le porte” da uno dei protagonisti dell’indagine finiti in manette, l’ex sottosegretario azzurro nonché penalista Giancarlo Pittelli (nella foto). Ma il termine massoneria è troppo generico.

Secondo quanto rivelato nel 2016 dal pentito Cosimo Virgiglio, massone organico alle cosche, il percorso verso logge e ordini della classe dirigente locale, chiamiamola così, ha una serie di tappe: dapprima il Rotary, indi una loggia regolare del Grande Oriente d’Italia (la maggiore ubbidienza massonica italiana), infine una loggia coperta e deviata oppure l’affiliazione all’Ordine del Sepolcro.

Per quanto riguarda la massoneria coperta, Virgiglio riferisce di fratelli “sussurrati all’orecchio”. Ossia del metodo piduista di Licio Gelli: l’iniziazione all’orecchio di un nuovo componente della loggia. All’orecchio, cioè senza moduli e riti comuni, per tenere segreto anche agli altri massoni l’ingresso del fratello nella comunione. Poi l’Ordine del Santo Sepolcro, appunto. Da decenni, soprattutto al sud, e a partire dalle inchieste di Giovanni Falcone, i cavalieri crociati (da non confondere con l’altro potente ordine di Malta) fanno spesso parte di una nebulosa nera e criminale che include le logge deviate.

Di qui la famigerata cattomassoneria che si eleva al di sopra della formale e ufficiale ostilità tra la Chiesa teista e la massoneria deista. Nella Capitale i cattomassoni affondano invece le radici nell’antica nobiltà nera e tradizionalista, e che oggi dà man forte ai clericali di destra contro Bergoglio, ritenuto “eretico” e “modernista”.

Viva le invisibili: badanti e madri lavoratrici, spina dorsale del Paese

Alle sei e mezza i tappetini fuori dalle porte sono già arrotolati, perché M., arrivata alle cinque, ha già pulito le scale del palazzo. Abita fuori dalla città e per il suo lavoro si alza alle tre, voleva un altro figlio ma i soldi bastano appena per uno. Poi c’è S., rumena, che assiste un’anziana nel palazzo, deve fare tutto perché è invalida ma il contratto glielo fanno come se fosse semi–autonoma, così risparmiano. Dorme in cucina e ha due figli lontani e per fortuna che sono grandi che si soffre di meno. E poi c’è B., sessant’anni e un figlio autistico grave di ventitré, lavora a scuola ma il suo lavoro principale è a casa, il ragazzo con le sue richieste è sfinente, e un po’ di forze vanno lasciate per combattere contro la burocrazia che ti lascia senza pulmino se non lotti abbastanza. E ancora: A., un bimbo in prima elementare, un lavoro impegnativo e un tumore, che ha curato mentre lavorava e cucinava, e ora i controlli sembrano a posto, però il medico le dice sempre che si deve riposare, ma lo stato non le passa mica lo stipendio. E poi F., in pensione ma si fa per dire, il marito è invalido e lei passa le giornate a parlare con i medici e assisterlo, il resto del tempo attraversa la città per curare i nipoti che la figlia è precaria e non ha soldi per gli aiuti. E infine S., casalinga, un po’ per scelta un po’ per sbaglio, tre figli, un marito che provvede a tutto ma in cambio vuole tanto e alza pure la voce – qualche volta non solo quella – ma separarsi senza un lavoro come si fa? Sono le donne invisibili del nostro Paese, donne normali, neanche troppo in fondo alla scala sociale, dove ci sono le invisibili al quadrato. Stanno dietro a tutto ciò che si vede ma non si vedono, fanno funzionare le cose, ma non sono pagate abbastanza, curano corpi e anime quasi sempre gratuitamente. Sono loro – e chi altro se no? – le donne dell’anno.

La comica araba, la martire curda e la musicista rapper ucraina

In cima alla mia tripletta di donne simbolo del 2019 non può che esserci Hevrin Khalaf, la giovane attivista curda martirizzata dalle milizie siriane per il suo impegno a favore del dialogo e in difesa dei diritti. Il suo ricordo ci fa entrare nel 2020 col cuore ferito, ma vicino a tutte quelle che come lei, in ogni angolo del mondo, si battono a favore dei più deboli. Per trovare la grinta da guerriere bisogna anche ascoltare la musica giusta. Come quella di Alyona, la travolgente rapper ucraina che metto come seconda fra le mie donne dell’anno: per capire perché, basta guardare il video del suo primo hit, Rybky (“Pesciolini”). È un rap oltraggioso in ucraino stretto, ma il messaggio arriva forte e chiaro: la voglia delle donne di rovesciare i cliché e rompere schemi oppressivi parla (o rappa, in questo caso) una lingua universale, e infatti Alyona fa il tutto esaurito non solo nell’Est Europa, ma anche in Germania e in Islanda. Non so se Rawsan Hallak, la mia terza prescelta, è una fan di Alyona. Ma anche lei di stereotipi ne rompe parecchi: giordana, 32 anni, è considerata uno dei migliori stand-up comedian del mondo, ed è sbarcata quest’anno su Netflix, in jeans e hijab, fisico curvy e lingua irriverente. Ha conquistato il pubblico raccontando i problemi delle donne e della coppia (non solo nel mondo arabo) e sfottendo gli stereotipi di genere, con una crudezza che smentisce il look castigato: l’abito non fa la monaca, e, checché ne dica Santanché, il velo non fa l’islamica sottomessa. Fra l’altro Rawsan è affermata sia come comica che come ingegnere civile, e trovatemelo voi in Occidente un ingegnere, maschio o femmina, capace di far ridere. Era ingegnere anche Hevrin Khalaf, morta perché voleva costruire il ponte più ardito, quello della pace. La speranza è che il 2020 veda almeno la posa della sua prima pietra.