Un impressionante dispositivo antifrode è stato dispiegato il 6 dicembre scorso in cinque aziende agricole di Moltifao e Asco, due paesini di montagna del centro della Corsica: decine di gendarmi, funzionari della Direzione dipartimentale del territorio e del mare e ispettori della previdenza sociale agricola. Le aziende cadute nel mirino del Comitato dipartimentale antifrode (Codaf) hanno ricevuto un totale di 850 mila euro di finanziamenti pubblici tra il 2015 e il 2019. Ma la giustizia sospetta che l’allevamento sia solo una copertura. Al centro dell’inchiesta c’è Patrick Costa, 47 anni, la cui famiglia appartiene “storicamente” alla Brise de mer, clan mafioso che per decenni ha dominato il crimine organizzato in Alta–Corsica, fino alla morte di diversi boss, e soprattutto di Maurice Costa, lo zio di Patrick Costa, assassinato il 7 agosto 2012 in una macelleria a Ponte–Leccia. Il controllo antifrode riguarda anche Pierre–Dominique Costa, figlio di Patrick, agricoltore dal 2017.
La famiglia Costa, che conta diversi fratelli, sorelle, nipoti e cugini, tra cui notabili e criminali, ispira rispetto e timore in tutta l’isola. Nelle regione centrali, Jacques Costa, un altro zio di Patrick Costa, è il capo assoluto. Sindaco di Moltifao, oltre che ex vicepresidente del Consiglio generale d’Alta–Corsica, Jacques Costa ha sostituito Jean–Luc Chiappini, assassinato nell’aprile 2013 ad Ajaccio, come presidente del Parco naturale regionale della Corsica, che copre il 40% della superficie dell’isola e comprende 145 comuni. Un posto di potere che gli permette di distribuire lavori e appalti pubblici in un mondo rurale sempre più spopolato. Dominique Costa, detto “Mimì”, un altro zio, è tornato al paese di recente dopo un lungo soggiorno in prigione. Anche lui ufficialmente fa l’allevatore, cosa che gli ha permesso di ottenere 38 mila euro di sovvenzioni europee nel 2017–2018 e 40 mila euro l’anno prima. Negli ultimi anni però ha trascorso più tempo in fuga o in prigione che a prendersi cura dei suoi animali. Dal 1997 è stato condannato quattro volte a un totale di 16 anni di carcere. Nel marzo 2015, diversi membri della famiglia Costa sono stati giudicati dal tribunale di Marsiglia per reati finanziari (riciclaggio di denaro, abuso d’ufficio, estorsione in associazione criminale, ecc.). Jacques Costa in particolare è stato condannato a 18 mesi di prigione (con la condizionale) e suo fratello Dominique a 4 anni. Nella richiesta di rinvio a giudizio, il giudice aveva scritto: “L’attività d’allevatore di alcune decine di capi di bestiame avanzata da molti membri della famiglia Costa pare insufficiente a spiegare la loro ricchezza ostentata”.
Dal 2015 la situazione è cambiata. L’allevamento di vitelli da carne continua a rapportare poco, ma i redditi derivanti dai contributi della PAC, la politica agricola comune, sono aumentati, e di molto. I fondi versati a Patrick Costa sono raddoppiati tra il 2013 e il 2016, passando da 38 mila a 87 mila euro all’anno. Nuove regole hanno inoltre permesso agli allevatori di dichiarare enormi parcelle di terreno come pascolo per gli animali, che si incrociano sempre più spesso anche nelle strade e dentro i paesini. I Costa hanno approfittato della generosità dell’Europa?
La procura di Bastia sta cercando di stabilirlo. Fedele alla tradizione di famiglia, Patrick Costa si presenta come allevatore e dice di possedere 87 bovini. Nel 2018 ha dichiarato 570 ettari di terreni agricoli, 282 dei quali hanno i requisiti per ottenere i sostegni dalla Pac. I terreni che occupa a Moltifao li ha presi in affitto dalla città, il cui sindaco è lo zio Jacques. Anche la sua compagna, il figlio e due amici hanno dichiarato vasti terreni per piccole mandrie. In tutto, le cinque aziende su cui si stanno concentrando gli inquirenti hanno dichiarato più di 1.500 ettari (di cui 642 eleggibili per i contributi europei) nel 2018, per 174 bovini. Due mesi fa, il 9 ottobre, Patrick Costa e la compagna, Lucille Guidoni, sono già comparsi in tribunale, a Bastia, per truffa ai fondi per l’agricoltura, assegnati dall’Ufficio per lo sviluppo agricolo della Corsica (ODARC), tra il 2013 e 2015. È stato condannato a 18 mesi (con la condizionale) e 10 mila euro di multa. La compagna a 10 mesi (con la condizionale) e 5 mila euro di multa.
Meno noto degli zii, Patrick Costa è comunque conosciuto dalla giustizia per i suoi legami con la criminalità organizzata. Nel 2015, è comparso davanti al tribunale di Marsiglia, insieme ad altre 30 persone, per traffico di droga e armi, che venivano imbarcate sulle navi della ex compagnia di navigazione SNCM. Un traffico gestito dal clan del Master Café, nato negli anni 2000. Patrick Costa era stato arrestato nel settembre 2013 in place Saint-Nicolas de Bastia, insieme a Christophe Catta, uno dei cinque allevatori finiti nel mirino degli inquirenti, con un Audi A3 a noleggio carica di armi. Ai giudici Costa aveva dichiarato tre attività: allevatore, gestore di un bar, Le Pont Génois, a Asco, e dipendente del Parco naturale regionale della Corsica, attività quest’ultima che svolgeva solo su carta. Lo stesso è emerso riguardo al presunto mestiere di allevatore. In questo fascicolo, Costa è stato condannato a due anni di prigione (di cui uno con la condizionale), per porto d’armi illegale, ma è stato rilasciato per l’accusa di traffico di droga.
Il suo legale Damien Benedetti, contattato al telefono, nega che ci sia frode ai danni dell’Unione: “È un giovane ben inserito nella società – dice del suo cliente – che non ha più avuto problemi con la giustizia da quella condanna per un errore di gioventù. Aveva fornito agli inquirenti i documenti relativi ai 12 bovini. Ora vuole solo vivere tranquillo”.
La nuova inchiesta sulla famiglia Costa mostra che i giudici hanno preso a cuore la questione delle frodi agricole. La prima inchiesta, aperta il 13 novembre 2018, è già chiusa: Jean-Dominique Rossi, ex direttore della Camera dell’agricoltura di Corsica del sud, dovrà comparire davanti al tribunale di Ajaccio, il 7 aprile 2020, per truffa e riciclaggio in associazione criminale. Negli ultimi tre anni, si sarebbe appropriato indebitamente di 1,4 milioni di euro di fondi europei a vantaggio di diversi membri della sua famiglia, approfittando della sua posizione e delle sue conoscenze negli organismi del settore agricolo. Rischia fino a 10 anni di prigione. Nega tutti i reati di cui è accusato. La seconda inchiesta, aperta l’8 aprile 2019 in Alta–Corsica, è ancora in corso. Essa riguarda la famiglia di Jean–Sauveur Vallesi, allevatore anche lui e anche lui ben inserito nelle istanze di settore in quanto impiegato alla Federazione dipartimentale dei sindacati degli agricoltori (FDSEA) d’Alta-Corsica. Il sistema che Vallesi ha creato è simile ai precedenti: la sua azienda è stata suddivisa in parcelle fittizie tra più gestori (lui, la moglie e i due figli) e la famiglia avrebbe quindi dichiarato vasti terreni (1.200 ettari per 180 bovini), senza che l’attività venisse realmente svolta.
Altre tre inchieste giudiziarie sono state aperte in Corsica del Sud per fatti analoghi. La scelta di ricorrere a indagini preliminari, che producono risultati rapidi, presenta però degli inconvenienti. Il metodo è criticato soprattutto dagli avvocati degli indagati, che scoprono il fascicolo dei loro clienti solo una volta che questi vengono convocati. “Di solito, in questo genere di casi complessi, viene privilegiata l’apertura di un’informazione giudiziaria, con il giudice che esamina gli elementi a carico e a discolpa, in modo tale da garantire i diritti della difesa”, osserva Camille Romani, avvocato di Jean–Dominique Rossi, sentito al telefono. Il legale ha chiesto la revoca del controllo giudiziario del suo cliente e ha fatto appello per le confische realizzate su dei terreni e appartamenti.
La scelta procedurale non soddisfatta neanche Anticor, l’associazione di lotta contro la corruzione, che dubita dell’indipendenza dei procuratori di Ajaccio e di Bastia rispetto al potere esecutivo. “Chiediamo che venga nominato un giudice istruttore che possa intervenire, più in generale, su tutto il sistema di frode, comprese eventuali complicità all’interno dell’apparato dello Stato. Bisogna indagare tanto su chi riceve le sovvenzioni che sulle autorità che verificano le assegnazioni. Le inchieste devono poter essere portate avanti senza che ci siano pressioni né geografiche né istituzionali”, ha dichiarato Jérôme Karsenti, avvocato dell’associazione. Anticor ha dunque sporto denuncia, constituendosi parte civile, il 15 maggio 2019, per “appropriazione indebita su larga scala di finanziamenti europei in Corsica”, presso il polo finanziario del tribunale di Parigi. Da allora nessuna notizia. Eppure la situazione è urgente. La Francia è in effetti bersaglio di aspre critiche da parte dell’Unione poiché i contributi erogati rientrano nel bilancio europeo. All’Agence France Presse, il prefetto della regione, Josiane Chevalier, ha detto di aver registrato il 40% di dichiarazioni anomale sui terreni effettuate dagli agricoltori in Corsica, contro il 10% di quelle in Francia continentale.
Ciò ha portato Bruxelles a imporre alla Francia 650 ispezioni di aziende agricole sull’isola oltre alle 200 previste quest’anno. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), il primo ad aver sollevato la questione in un rapporto confidenziale del 2018, ha anche di recente inviato un team di ispettori in Corsica, con la missione di verificare i sistemi di gestione e controllo implementati dalla Francia. La saga delle frodi ai fondi per l’agricoltura non finisce qui.
Jean–André Albertini, l’vvocato di Patrick Costa, non ha voluto rispondere alle nostre domande. “Il mio cliente non ha mai rifiutato un controllo, non essendo mai stato informato di controlli. La sua professione di allevatore – ci ha risposto via email – non può essere messa in discussione. Il mio cliente può presentare tutti i documenti che lo attestano. Aggiungo inoltre che ad oggi non è stato informato di eventuali capi di accusa in procedimenti penali o amministrativi e non mancherò di avviare una procedura in diffamazione se dovesse essere necessario”.
(traduzione Luana De Micco)