La storia è complicata, ma la notizia “politica”, per così dire, è che i renziani non temono l’imbarazzo: ieri in Consiglio dei ministri hanno prima bloccato la discussione per ore sul tema delle concessioni autostradali (un articolo del “Milleproroghe” potrebbe aprire la porta alla revoca delle concessioni), poi le ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti – nonostante il decreto sia stato approvato “salvo intese” proprio su quel punto – hanno preteso di inserire a verbale il voto contrario della delegazione di Italia Viva. È appena il caso di ricordare, a questo punto, che un pezzo dell’inchiesta sulla fondazione renziana Open verte attorno ai rapporti tra l’inner circle dell’ex presidente del Consiglio e alcuni signori delle Autostrade, l’abruzzese Toto in testa. E i signori delle Autostrade, attraverso la loro associazione Aiscat, già gridano – a un coro con le note stampa dei renziani tipo Davide Faraone e Raffaella Paita – che così si “mina la credibilità dello Stato agli occhi degli investitori”: “Si distrugge un intero settore produttivo del Paese” e si causa “il licenziamento di decine di migliaia di persone”.
E qui veniamo al merito. All’interno del cosiddetto Milleproroghe è infatti finito un articolo nato originariamente – così spiegano fonti di governo – “per sbloccare l’autostrada Catania-Ragusa”, intenzione che può essere tradotta anche così: fare un regalo da 40 milioni a Vito Bonsignore, ex sottosegretario andreottiano, poi deputato ed eurodeputato rito democristiano, infine imprenditore nel settore autostradale. E il nostro, attraverso una sua società, era il concessionario in project financing della Catania-Ragusa: il progetto, però, era talmente scombiccherato dal punto di vista finanziario che alla fine è subentrata l’Anas.
La società pubblica, a sua volta, ha deciso di comprare il progetto già predisposto da Bonsignore pagando 40 milioni (7 milioni in più di quanto lui stesso lo valuti a bilancio): un primo tentativo al Cipe di giovedì è saltato e allora è arrivata la norma nel Milleproroghe, che – “in caso di estinzione anticipata del rapporto concessorio” – consente ad Anas “di acquistare gli eventuali progetti elaborati dal concessionario previo pagamento di un corrispettivo”. Il regalino a Bonsignore, però, è all’interno di un articolo assai più complesso e dirompente, che mira – così hanno spiegato i ministri Pd Gualtieri (Tesoro) e De Micheli (Infrastrutture) – a rovesciare i rapporti di forza tra Stato e concessionari quando si dovrà “revisionare” i contratti in essere come previsto dall’accordo di governo.
In realtà, il testo va assai più in là e pare il mezzo legislativo che anticipa la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia: i rumors sulla conclusione entro l’anno dell’iter di revoca iniziato all’indomani del crollo del Ponte Morandi (agosto 2018) si rincorrono da giorni al ministero e a Palazzo Chigi.
Tecnicamente funziona così. La concessione è scandalosamente favorevole alla società controllata dai Benetton e prevede un indennizzo calcolato in 20 miliardi di euro persino in caso di revoca per colpa grave: una clausola palesemente nulla secondo il codice civile (art. 1229 e 1419), ma che essendo stata approvata per legge (un decreto nel 2008) avrebbe una sua forza in Tribunale. Per questo la relazione giuridica chiesta dal governo consiglia di “abolire” la legge pro-Benetton.
L’articolo approvato “salvo intese” del Milleproroghe stabilisce che sia Anas a subentrare nella gestione dell’autostrada in un primo momento e poi che, in caso di revoca, gli unici risarcimenti dovuti siano per “i costi effettivamente sostenuti, nonché le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza dell’estinzione del rapporto concessorio”. Già così il costo di far fuori Autostrade sarebbe dimezzato, ma c’è di più: se la revoca avviene per “inadempimento” (tipo il crollo del ponte), quanto dovuto dallo Stato sarà al netto di quel che l’azienda dovrà risarcire e sarà pagato solo alla fine del processo. Insomma, poco e niente e pure a babbo morto. Infine, l’abolizione della concessione-legge dei Benetton: queste nuove regole varranno per tutti i contratti – anche quelli in essere e “anche ove approvati per legge” – e le clausole contrarie sono “da considerarsi nulle ai sensi dell’art. 1419, comma 2, del codice civile” (il quale, a sua volta, stabilisce che la nullità di alcune clausole non annulla il contratto “se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”).
Un quadro giuridico che consentirebbe la revoca ai danni di Autostrade per l’Italia o (nella versione Pd) di mettere la pistola sul tavolo nelle trattative per la revisione dei vantaggiosi contratti in essere di Aspi & C. Il ministero dei Trasporti, ad esempio, ha da tempo sotto osservazione sia la concessione del gruppo Toto per le condizioni dei viadotti abruzzesi che quella con le società controllate dai Gavio, a cui è di recente venuto giù un viadotto della Savona-Torino. Entrambe queste grandi concessionarie, sia detto per provare la mancanza di imbarazzi di Italia Viva, sono state in passato generose finanziatrici della fondazione renziana.
Questo rovesciamento dei rapporti di forza tra Stato e privati non è ovviamente andato giù all’Aiscat, che denuncia “l’incostituzionalità” della norma, esclusa però dal legislativo di Palazzo Chigi). Più complicato capire la posizione che potrebbe prendere l’Ue: nel 2007, infatti, Bruxelles bocciò il sistema tariffario proposto dall’allora ministro Antonio Di Pietro perché non tutelava a sufficienza gli interessi dei privati.