Vendere l’Anime al diavolo: Sony & C. vogliono i manga

Gli anime, cioè i cartoni animati giapponesi, sono sempre più richiesti. E lo stesso vale per i manga, ovvero i fumetti nipponici. Nel 2021 gli investimenti in questo settore sono stati grossissimi, e hanno riguardato gran parte dei colossi dell’intrattenimento: ad agosto Sony ha acquistato per circa 1,2 miliardi di dollari Crunchyroll, una piattaforma di streaming dedicata solo agli anime; l’anno precedente Netflix ha raddoppiato gli investimenti per l’animazione giapponese, mentre Disney, dopo il successo di Star Wars: Visions (la serie nipponica su Guerre Stellari), ha annunciato nuovi contenuti simili in arrivo. In Italia, invece, lo scorso settembre l’edizione speciale del numero 98 di One Piece, notissimo manga su una ciurma di pirati a dir poco bizzarri, è risultato essere il libro più venduto della settimana con quasi 15mila copie. “Anche se i numeri sarebbero molto più alti, visto che queste classifiche non tengono conto della distribuzione nelle fumetterie” dice Cristian Posocco, publishing manager del settore manga di Star Comics, la casa editricee che pubblica One Piece in Italia. Agli occhi di Posecco, numeri del genere stupiscono ma fino a un certo punto: “Per noi è stato inaspettato un po’ come vincere un premio Oscar, ma in realtà è un lavoro frutto di anni di semina, da parte nostra ma anche dell’intero settore, che ha iniziato a crescere in maniera esponenziale dall’inizio della pandemia”. Secondo una ricerca di Parrot Analytics, negli ultimi due anni la domanda globale di anime è aumentata del 118 percento. “Il lockdown ha di certo contribuito a questa crescita – prosegue Posecco – però c’entra anche il fatto che oggi il pubblico di anime e manga è molto più ampio rispetto al passato”. A partire da metà anni Settanta, quando i primi cartoni animati giapponesi iniziavano ad arrivare nelle tv private italiane, gli anime catturavano lo sguardo e l’interesse dei più giovani. “E questi giovani, col tempo, sono cresciuti, allargando così un pubblico oggi davvero vasto” commenta Posecco. La prima vera esplosione ha coinciso con il celebre Dragon Ball, a metà anni Novanta; e nel mentre, anime e manga sono diventati sempre più raffinati. “E sono cresciuti anche i budget messi a disposizione – dice Posecco – perché i grandi player si sono resi conto di quanto sia redditizio questo settore. Che certo, interessa sempre una grande fetta di giovani, i quali vedono in questo tipo di intrattenimento qualcosa in linea con i loro gusti, grazie ai ritmi serrati e alle forti emozioni che opere del genere garantiscono”.

Thomas Mann: era mio padre. “Austero e giardiniere”

Nostro padre era riservato e non entrava molto in contatto con la nostra vita quotidiana. Per contro lui aveva una forza ancora più suggestiva quando ci rivolgeva la parola oppure prendeva un’iniziativa (tipo una visita a teatro). Le sue affermazioni per noi diventavano presto delle citazioni classiche, per il semplice motivo che erano piuttosto rare. Come quando a tavola offrì a Erika – solo a lei – un dattero e spiegò questo orribile gesto arbitrario con le parole: “È bene che vi abituiate per tempo all’ingiustizia” – un’osservazione che mi parve stranamente frivola e insieme degna di apprezzamento.

Mentre Mielein sapeva fare quasi tutto, lui non s’intendeva che di qualcosa, però in modo talmente perfetto che ne derivava subito una leggenda. Per esempio lui sapeva sbattere con una forchettina su un piattino un tuorlo d’uovo in maniera così perfetta che l’uovo diventava tutto rigido, e inoltre era capace di spruzzare con una gomma sul prato per annaffiare il giardino a tal punto che veniva considerato un maestro in questa operazione: si trattava di due abilità che, come lui diceva, richiedevano soprattutto una mano agile e leggera. Inoltre possedeva il dono di renderci interessanti e nuove le lunghe passeggiate nei dintorni di Tölz, da noi per niente amate, con l’abilità di ridefinirle in stile fiabesco… Per il resto lui si tratteneva in genere nel suo studio, dove noi quasi non potevamo metter piede. Venivamo prevenuti che dovevamo essere silenziosi e se lo dimenticavamo ce lo ricordava un secco colpo di tosse ammonitore che proveniva da dietro la porta chiusa…

Era solo fin troppo ovvio che i genitori ricominciassero a preoccuparsi per noi. Ci presentavamo a pranzo con tracce sanguinose di morsi alle mani e al collo e con le facce stralunate. Ci vedevano come invasi da una febbre che ritenevano più pericolosa di quanto in realtà fosse. Poi vi si aggiungevano le chiacchiere che venivano loro riportate e che esageravano e distorcevano tutto quello che facevamo e organizzavamo con grande ingenuità. Loro potevano pensare che ogni notte nei bordelli ci mettessimo a ballare sui tavoli. E invece lo strano era che si trattava sempre di cose innocenti che venivano travestite da crudeltà o da brame sensazionalistiche… Le “scene” con i genitori si svolgevano per lo più in forma di discussioni filosofiche. Con una pazienza, che oggi ammiro, mio padre ascoltava tutta la paccottiglia sconnessa e patetica di argomenti che tiravo fuori per difendermi…

Il conflitto padre-figlio durò appena un anno della mia vita. Visto come stanno oggi le cose, lo considero il più superfluo e il meno interessante dei problemi. È passata da tempo l’epoca in cui il padre era un rigido conservatore e il figlio un rivoluzionario (oggi è quasi l’opposto). E lo dico in generale non riferendomi al mio caso dove tutti i malintesi e i rapporti penosi da anni hanno ceduto il passo alle leggi dell’amore e della ragionevolezza. La cosa più fatale per i miei genitori in quel mezzo anno fu lo sgomento per tutto quello che mi sarebbe potuto accadere. Mi consideravano decisamente troppo giovane per lasciarmi già stabilire a Berlino come libero letterato erotico-religioso…

Proprio allora, quando in molte cose dipendevo intellettualmente da mio padre, tentavo con forza di sviluppare in me quello che sentivo di opposto a lui. Mentre leggevo La montagna incantata, che stava arrivando alla sua conclusione, lo conoscevo pezzo per pezzo così come rileggevo sempre di nuovo tutte le sue opere precedenti, cercavo di chiarire a me stesso cosa avrei mai potuto contrapporre a quel blocco intellettuale compatto. Mentre stavo costruendo queste opposizioni e le vivevo realmente sulla mia pelle, nessun plauso mi premeva come il suo. Il corso irrazionale del tempo lo coglievo con animo bramoso, solo che corrispondeva fin troppo seriamente alla mia condizione. Mi ci adeguai del tutto con il risultato che a diciassette anni ero asociale e apolitico come un ragazzo di tredici o quattordici…

Non si può negare che il mio nome e la fama di mio padre, che vi si accoppia quando ci si pensa, mi abbiano facilitato il debutto. Ma dopo un mezzo anno quei vantaggi apparenti si trasformarono in svantaggi che si potevano superare solo con estremo ottimismo e grande vitalità. È strano che si sorvoli normalmente su questo immenso svantaggio, mentre si fa un gran parlare del primo vantaggio. Lo svantaggio a cui non è esposto nessun altro autore debuttante consiste nella prevenzione con cui ci si accosta al sottoscritto. Non ho ancora trovato un lettore non prevenuto nei miei confronti. Non solo l’invidioso, ma anche chi ha sentimenti amichevoli si mette istintivamente a costruire una relazione fra quello che scrivo e l’opera paterna. Mi si giudica in veste di figlio. Avrei potuto liberarmi fin dall’inizio di questa grave zavorra usando uno pseudonimo. Però – ammesso pure che questa maschera avessi potuto conservarla – è lecito semplicemente nascondersi dinanzi alla più cocente problematica della propria vita che rappresenta al contempo anche un obbligo?

Durante uno dei miei giri berlinesi a cui mi spinse una cattiva stella, una signora, a cui venni presentato, disse: “Ah – molto interessante – all’ombra del titano –”. Dio l’ha punita creandola così stupida.

Non serve desiderare di nascere in un tempo più tranquillo oppure in una sorte individuale meno sconvolta. Perché non abbiamo scelta.

© 2022 Lit edizioni Sas, per gentile concessione

Attacco con i droni, Abu Dhabi accusa: “Sono stati gli Houti”

Tre morti e sei feriti nell’attacco con i droni avvenuto ieri a un oleodotto; sono stati colpiti tre cisterne per il petrolio e una parte dell’aeroporto internazionale ancora in costruzione, dove si è sviluppato un incendio. Gli Emirati hanno accusato gli Houti contro cui combattono in Yemen assieme alla coalizione guidata dall’Arabia saudita; gli Houti, di contro, sono appoggiati dall’Iran e non è la prima volta che prendono di mira i sauditi e gli emiratini con la tattica dei droni. Ultimamente gli Houti hanno subito diverse sconfitte e stanno reagendo: la notte dell’1 gennaio hanno sequestrato anche una nave di Abu Dhabi. Il conflitto in Yemen è iniziato nel 2015 e non accenna a trovare una soluzione; almeno 130 mila i morti tra civili e combattenti, e di pari passo sono cresciute fame e carestia, portando allo stremo gran parte della popolazione.

Poroshenko e il processo “politico”

Nonostante le accuse di alto tradimento e sostegno al terrorismo, l’ex presidente ucraino e tuttora figura di spicco dell’opposizione, Petro O. Poroshenko, ha lasciato Varsavia per tornare a Kiev. Appena atterrato nella capitale dell’Ucraina, il re del cioccolato, uno degli uomini più ricchi del paese, si è recato davanti ai magistrati che al termine dell’udienza potrebbero chiederne l’arresto, aggiungendo turbolenze politiche interne alla crescente minaccia di un’invasione russa. Il leader molto amato dall’Occidente tuttavia non avrebbe problemi a pagare la cauzione, che si annuncia milionaria, qualora dovesse venire rinviato a processo. Poroshenko è però certo che non dovrà comparire in manette davanti al giudice poiché i crimini per cui è indagato non solo non li ha commessi ma sarebbero stati prefabbricati dal suo successore, Volodymyr Zelensky. Del resto è noto che l’attore nonché attuale presidente detesti personalmente il suo predecessore, ma la sete di “vendetta” è andata aumentando con il suo costante calo di popolarità in questi 3 anni di presidenza. Ad avvantaggiarsene, secondo i sondaggi, sarebbe proprio Poroshenko (che peraltro ha il proprio partito in Parlamento, ciò che manca a Zelensky). Ormai i due rivali avrebbero gli stessi indici di gradimento: circa il 17 per cento, un numero basso di per sè, ma tutti gli altri contendenti sono molto più in basso nella lista dei possibili candidati alla prossima presidenza della Repubblica. Per questa ragione, le accuse di aver acquistato carbone sotto banco e a prezzo inferiore a quello di mercato dai separatisti filo russi del Donbass, bollati di terrorismo non solo da Kiev, potrebbero essere parte di un tentativo di Zelensky di mettere fuori gioco per sempre colui che considera il suo più acerrimo nemico. L’ex presidente filo europeista, eletto subito dopo la rivoluzione di Euro Maidan nel 2014, ha ribadito in udienza che acquistare carbone nel Donbass allora non era ancora illegale. La maggior parte degli analisti suggerisce dunque che Zelensky potrebbe sfruttare la distrazione dell’ammassamento di centomila soldati russi al confine ucraino per mettere da parte un avversario. Un’altra ipotesi è che voglia reprimere preventivamente eventuali proteste dell’opposizione se fosse costretto a fare concessioni impopolari a Mosca per evitare un’invasione . “Forse pensa che con le forze al confine, gli ucraini non protesteranno” contro l’arresto del leader dell’opposizione, spiega Volodymyr Yermolenko, caporedattore di Ukraine World, un periodico di analisi politica. “Se è così, ha è una mossa rischiosa”, ha sottolineato.

Con la crisi in corso con Mosca risulta surreale lo spettacolo dei due leader politici ucraini più influenti che litigano nonostante la minaccia esistenziale per il loro paese.

A BoJo non piace la Bbc: vuole eliminare il canone

Si riaccende lo scontro fra il governo Johnson e la Bbc, e stavolta il colpo per l’emittente pubblica rischia di essere fatale. Fra le misure dell’Operazione Red Meat, una serie di nuove iniziative politiche con le quali Johnson cerca di riguadagnare il consenso perduto a forza di scandali e feste in violazione delle regole Covid, c’è l’eliminazione del canone obbligatorio, a partire dal 2027, anno di scadenza dell’attuale Royal Chart, il contratto decennale fra la Bbc e il governo, e il congelamento dell’attuale abbonamento annuo, 159 sterline, fino al 2024.

Lo ha annunciato ieri, in una concitata seduta parlamentare, la ministra della Cultura Nadine Dorries, una fedelissima del primo ministro, confermando voci uscite, o fatte uscire, domenica. Secondo la Dorries, i vertici Bbc avevano intenzione di alzare il canone a 180 sterline per far fronte ai costi del servizio pubblico, dopo una serie di tagli imposti dal governo che negli ultimi anni hanno reso necessario ridimensionare o eliminare interi servizi e canali. Dorries ha dichiarato di non poter approvare questo aumento, “perché deve essere realista rispetto alla situazione economica e all’aumento del costo della vita che aspetta il Paese. Il governo è determinato a supportare le famiglie”. Ha anche anticipato che, dopo l’aprile del 2024, il canone potrà aumentare in linea con l’inflazione per altri 4 anni, ma l’intero modello di finanziamento, su cui il governo ha l’ultima parola dovrà essere ripensato: non ha però indicato una chiara alternativa al canone. Una presa di posizione considerata dai detrattori opportunista e populista, anche perché un intervento sul finanziamento della Bbc, pur annunciato nel programma elettorale di Boris Johnson del 2019, non era minimamente atteso in questi giorni. Sono diversi i commentatori che interpretano questo annuncio come una manovra politica con una doppia finalità. La prima è distrarre gli elettori dagli scandali con cui Johnson ha dilapidato il proprio notevole capitale politico in due anni, e nulla funziona meglio che indicare un nemico. La seconda è vendicarsi di una emittente che, seppure in crisi, che ha tentato di mantenere la propria indipendenza editoriale scontrandosi apertamente con il governo Johnson e che ancora gode di prestigio e seguito nel paese e nel mondo. I rapporti fra la Bbc e la politica sono tradizionalmente tesi da decenni, soprattutto a partire dagli anni Novanta, quando il premier laburista Tony Blair strinse una controversa alleanza con l’impero mediatico dello ‘squalo’ Rupert Murdoch. Il taglio dei fondi è iniziato poco dopo, con il governo Cameron, ma la pressione sui contenuti e sul finanziamento si è molto esacerbata con Johnson fin da quando era il campione di Vote Leave ai tempi della campagna referendaria per Brexit.

E non si sono mai ricomposti: da premier ha imposto ai suoi ministri una lunga censura della Bbc, con il rifiuto a comparire sull’emittente pubblica proprio nelle fasi più drammatiche della diffusione del Covid, quando la popolazione cercava risposte alla gestione governativa della pandemia: una strategia punitiva che ha colpito anche altre voci critiche del governo, che in un panorama mediatico estremamente polarizzato può contare su media molto più favorevoli. Il braccio di ferro con la Bbc ha portato, nel gennaio 2020, alle dimissioni anticipate del direttore generale Tony Hall, sostituito da Tim Davie, considerato più vicino ai Conservatori. Ieri, in un comunicato congiunto con il presidente uscente Richard Sharp, ha definito il congelamento del canone ‘deludente – non solo per gli utenti ma anche per le industrie culturali che contano sulla Bbc. Saranno necessarie scelte dure che avranno un impatto sugli spettatori”. Intanto è esploso lo scontro politico, con la ministra ombra per la Cultura, Lucy Powell, che ha definito la manovra di Johnson ‘dittatura da quattro soldi”. Ma, va chiarito, una Bbc davvero indipendente non ha sponsor nemmeno fra i laburisti

 

Bibi, un patto per evitare le sbarre

Nei due anni trascorsi da quando è stato incriminato in tre casi di corruzione, l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu è sempre stato pubblicamente irremovibile sul fatto che non avrebbe né cercato né accettato un patteggiamento in Tribunale. Da diverse settimane, secondo indiscrezioni di tv e giornali, uno dei suoi avvocati, Boaz Ben Zur, si è invece rivolto al procuratore generale Avichai Mandelblit per avviare discussioni sulla possibilità di un simile accordo.

Per la procura un patteggiamento sarebbe anche possibile e il procuratore Mandelblit avrebbe avanzato il “quadro” di un possibile accordo, che appare difficile da accettare per il leader del Likud e che andrebbe chiuso prima di fine mese, quando scadrà il mandato del procuratore. L’accusa di Stato eliminerebbe la più grave delle accuse contro Netanyahu, quella di corruzione nel Caso 4000. Si tratta dell’inchiesta in cui si presume che l’ex primo ministro abbia lavorato illecitamente e con lucro a vantaggio degli interessi commerciali dell’ex azionista di controllo della società dei media Bezeq, Shaul Elovitch, in cambio di una copertura positiva sul sito di notizie Walla, di proprietà di Elovitch. L’accusa di Stato alleggerirebbe le accuse anche sul Caso 2000, in cui Netanyahu avrebbe negoziato, ma mai attuato, un accordo illecito di quid pro quo con l’editore del quotidiano Yedioth Ahronoth Arnon Mozes che avrebbe visto l’ex premier indebolire un quotidiano rivale – Israel Hayom, dell’amico miliardario Sheldon Adelson – in cambio di una copertura più favorevole da Yedioth.

In cambio, Netanyahu si dichiarerebbe colpevole di frode e violazione della fiducia nel Caso 4000, e allo stesso modo di frode e violazione della fiducia nel Caso 1000, in cui si presume abbia ricevuto illecitamente benefici e regali costosi da benefattori miliardari, incluso il produttore israeliano di Hollywood, Arnon Milchan. Secondo questo schema di patteggiamento presentato da Mandelblit, il Bibi nazionale non andrebbe in prigione per questi reati, ma potrebbe scontare la sua pena (breve) ai servizi sociali. Per ottenere ciò Netanyahu dovrebbe accettare che i suoi crimini costituiscano “turpitudine morale” – una designazione che lo escluderebbe da cariche pubbliche per sette anni. Secondo quanto riportato da Channel 13, sui contatti tra le parti, Mandelblit ha chiarito che, a meno che Netanyahu non sia disposto ad accettarlo, non ha senso negoziare. Tra gli ovvi vantaggi di un simile patteggiamento per Netanyahu c’è che lo terrebbe fuori di prigione, porrebbe fine al suo calvario prima anziché dopo e gli risparmierebbe ulteriori potenziali testimonianze dannose, come quella attesa dal testimone di Stato, Shlomo Filber, l’ex direttore generale del ministero delle Comunicazioni, le cui prove vanno al cuore del caso più grave, il 4000. Tra gli ovvi svantaggi: la designazione “turpitudine”. Netanyahu ha 72 anni. Una condanna con “turpitudine”, ha riassunto seccamente il giornalista della giudiziaria di Canale 12 Guy Peleg, “chiuderebbe e bloccherebbe la gloriosa carriera politica di Netanyahu”. Per quanto riguarda Mandelblit, che sta per concludere la carica di procuratore generale dopo sei anni, il patteggiamento sarebbe comunque una vittoria e la chiusura degna di un incarico di Stato per tornare alla libera professione di avvocato. Netanyahu, secondo alcuni dei rapporti più recenti, si sta attualmente consultando con gli assistenti – e soprattutto con la moglie Sara e il figlio Yair – sull’opportunità di accettare un accordo. Mandelblit, da parte sua, avrebbe lavorato per placare la rabbia dei colleghi dell’ufficio del pubblico ministero, compresi quelli direttamente coinvolti nel processo Netanyahu, tenuti fuori dal giro durante i suoi contatti segreti con la difesa.

Ma l’opzione “patteggiamento” è limitata. Mandelblit si dimetterà il 31 gennaio. Non si può fare affidamento sul prossimo procuratore generale, o procuratore generale ad interim, come sarà inizialmente il caso, per ottenere condizioni simili.

Ciò che sembra frapporsi tra Bibi è un accordo con cui potrebbe convivere, uno che non “chiuderebbe e bloccherebbe la sua gloriosa carriera politica”. Ma il procuratore generale, secondo quanto raccontano gli insider, è irremovibile ed esclude ogni possibilità di patteggiamento che non contempli la definizione di “turpitudine morale”, calando così il sipario sulla vita politica del leader più longevo dello Stato ebraico, dell’uomo che metà Israele amava e l’altra metà amava odiare. Secondo il sondaggio della tv Kan, il 49% del campione si è detto contrario al patteggiamento, preferendo che sia il Tribunale a raggiungere una decisione sul caso contro un 28% che crede sia diritto dell’ex premier percorrere questo compromesso.

Sparatoria a S. Siro, faida tra rapper e contratti musicali

Piazza Falterona, via Dolci, ex case popolari dell’istituto autonomo, maggioranza islamica di terza generazione. Viale Aretusa, rom italiani, carne alla griglia, auto di lusso, sguardi torvi. È San Siro. A far linea di confine, piazzale Selinunte, l’ippodromo, lo stadio Meazza, le case di calciatori e Dj, i nuovi progetti immobiliari. Roba che a Milano scorre sotto traccia. Eppure bastano sette colpi di pistola per riportare a galla una città diversa dalle risacche dell’Expo e dalle nuove onde delle Olimpiadi invernali. Qui in Falterona: i ferri (armi, ndr), in mano, un tentato omicidio, che si tiene nel movente per roba di territorio e faide tra rapper di zona che si contenderebbero contratti musicali. Chi spara, per l’accusa, è Carlo Testa, curvaiolo milanista, già con precedenti per droga, già in batteria con calabresi vicini alla ‘ndrangheta. Lui di base nel fortino di via Fleming. L’8 gennaio rimonta in Falterona per risolvere un conto a un passo dai locali che furono delle cosche reggine. Colpirà, per il pm, quasi a morte un egiziano di 26 anni estraneo alla faida. Si spara ad altezza d’uomo. Chi indaga è il pm Stefano Civardi (titolare di altre delicate inchieste, come quelle sulla Lega) che preso il caso per il suo turno ci si appiccica e lo risolve grazie alla Squadra Mobile. Testa viene fermato domenica, ieri il gip conferma l’arresto. A dare benzina al movente le intercettazioni. Chi parla è anche Islam Abdel Karim, rapper, alias “24K” (probabilmente obiettivo dei colpi), il quale, scrive il gip, indica “il coinvolgimento di Testa nella sparatoria”, ma fornisce anche “una (…) chiave di lettura”. Qualcuno gli dice: “Dovrebbero prendere il mandante”. 24K: “Quel figlio di p….. di Rondo? È iniziato per colpa sua (…) era un’esecuzione (…) m’hanno cercato di centrare più volte”. Karim (24K), per il giudice, fa riferimento “alla possibilità che il mandante della spedizione (…) sia altro rapper noto (…) come Rondo da Sosa per questioni legate all’ottenimento di contratti musicali”.

Rigopiano, 5 anni fa la valanga che travolse il resort: 29 morti

Diverse cerimonie sono programmate oggi per ricordare le 29 vittime dell’albergo Rigopiano devastato da un valanga il 18 gennaio 2017. A Montesilvano, in provincia di Pescara, verrà deposto un mazzo di fiori nel giardino intitolato alle vittime di Rigopiano. Nel pomeriggio ci sarà una cerimonia nell’area in cui sorgeva l’albergo. Intanto, a 5 anni dalla tragedia il processo è ancora impantanato con udienze rinviate che hanno non hanno fatto luce sulle cause della valanga che distrusse il resort di lusso, lasciando sotto le macerie 29 morti e 11 superstiti.

Editoria, Gazzetta del Mezzogiorno: rischio nuovo stop

La Gazzetta del Mezzogiorno, storico quotidiano con 134 anni di vita alle spalle, rischia di nuovo la sospensione delle pubblicazioni. E c’è da temere anche che il giornale non torni più in edicola. Il prossimo 31 luglio si scioglieranno i contratti di gestione della testata fra la società Mediterranea che ne è proprietaria e la Ledi srl, società del gruppo di ristorazione Ladisa che ne è affittuaria. Quest’ultima, subentrata all’Edisud dopo il fallimento, s’è vista respingere dal Comitato dei creditori la proposta di concordato e ora toccherà al Tribunale decidere il futuro del giornale e dei suoi giornalisti.

Nel frattempo, s’era già fatta avanti un’altra pretendente: la Ecologica S.p.a. che fa capo al gruppo Miccolis (autobus, lavori portuali, bonifiche, rifiuti), che “manifesta la propria disponibilità a mantenere inalterati gli attuali livelli occupazionali a partire dal prossimo agosto e fino alla definizione di un piano industriale da concordare con le relative rappresentanze sindacali”. Giudice e curatori fallimentari dovranno prenderne atto e valutare la praticabilità. Sotto la gestione Ladisa, la Gazzetta ha cambiato il direttore responsabile: al posto di Giuseppe De Tomaso è stato nominato Michele Partipilo, soprannominato in redazione “Mister Bce” perché ai tempi della Brexit incorse – da caporedattore centrale – in un clamoroso infortunio professionale. Il giornale uscì con il titolo “La Gran Bretagna resta in Ue”, mentre gli inglesi abbandonavano l’Unione europea. Da allora, il quotidiano ha continuato a perdere copie, scendendo ormai sotto quota 8 mila.

Rai, parte l’avviso di sfratto di Pd e M5S all’ad Fuortes: partita dei Tg gestita male

Sembra un ribaltone quello andato in scena col voto sul budget Rai per il 2022, approvato giovedì scorso. Ben tre consiglieri (Riccardo Laganà, Francesca Bria e Alessandro Di Majo) si sono espressi contro i numeri presentati dall’ad Carlo Fuortes (bilancio in pareggio, ma posizione finanziaria netta a – 625 milioni). Il dato politico non è irrilevante: contro si sono schierati Pd e 5 Stelle, con l’ad tenuto in sella dai voti di Lega (Igor De Biasio) e Forza Italia (Simona Agnes), con una certa sorpresa dell’ad, che non ne è stato per niente felice ma, dicono, nemmeno si è fatto spaventare. Fuortes è arrivato a

in Rai targato Pd, legato al mondo del centrosinistra romano dell’asse Bettini-Zingaretti. E avrebbe dovuto guidare l’azienda con una maggioranza draghiana: tutti dentro tranne Giorgia Meloni. Dopo questo voto, però, sembra poter fare affidamento solo sul centrodestra. E alla viglia della partita sul Quirinale e del festival di Sanremo, non è un segnale incoraggiante. “Se fossimo in Parlamento, è come se due forze importanti della maggioranza votassero contro la legge di Bilancio. Un minuto dopo cadrebbero premier e governo”, osserva Michele Anzaldi (Iv), chiedendo che i tre consiglieri vadano in Vigilanza a spiegare. “Da parte mia non si tratta affatto di una bocciatura dell’ad, ma una critica al taglio dell’informazione senza aver presentato un piano più generale di rilancio. E anche un invito a porre più attenzione alle relazioni coi sindacati”, sostiene Bria. “Avendo votato contro il taglio di tgr e tg sport, come potevo dire sì al budget che proprio su quei tagli è basato?”, si chiede, retoricamente, Laganà. Il voto sul budget ha risentito della chiusura dell’edizione notturna dei Tg regionali, battaglia in cui il Pd si è schierato al fianco dell’Usigrai, ma pure del malcontento dem per il fatto che, sempre alla Tgr, Alessandro Casarin (Lega) sia riuscito a mantenere come condirettore Roberto Pacchetti, anch’esso vicino a Salvini, mentre il Pd chiedeva un “riequilibrio”. Mentre per M5S può aver contato la drastica rimozione di Giuseppe Carboni dalla direzione del Tg1, oltretutto senza trovargli una ricollocazione. A proposito del Tg1 di Monica Maggioni (che sta facendo buoni numeri), c’è nervosismo per il mancato rispetto della regola secondo cui un vicedirettore non possa andare in video: qui ci vanno eccome, a partire da Francesco Giorgino. E al Tg2 e Tg3 non gradiscono.