Cassazione, Csm verso la conferma dei vertici (cassati)

Il Csm vuole riconfermare i vertici della Cassazione, il presidente Pietro Curzio e la presidente aggiunta Margherita Cassano. Come anticipato dal Fatto, ieri, a maggioranza, la Quinta commissione presieduta da Antonio D’Amato, ha votato per non ottemperare alla sentenza del Consiglio di Stato che venerdì scorso ha annullato le due nomine a favore del ricorrente Angelo Spirito, presidente di sezione civile in Cassazione. La Quinta ha, invece, deciso di riproporre Curzio e Cassano con una motivazione che proverà a rispondere ai rilievi di palazzo Spada. Mercoledì il voto del plenum, in modo che Curzio possa aprire l’anno giudiziario, venerdì in Cassazione, da primo presidente legittimato e non “azzoppato” dal Cds. In commissione tutti d’accordo su questa linea, tranne i togati Sebastiano Ardita e Michele Ciambellini, astenuti. Intanto ieri si è insediato il procuratore di Roma, Franco Lo Voi, presente anche Michele Prestipino, definito da Lo Voi “amico e grande magistrato”, la cui nomina a procuratore fu annullata dal Consiglio di Stato.

I garantisti a targhe alterne che usano ancora Tortora

La morte di Silvia Tortora ha riportato alla memoria la drammatica vicenda di suo padre Enzo, il famosissimo presentatore di Portobello, arrestato all’hotel Plaza di Roma (17 giugno 1983), esibito in manette, condannato e alla fine, dopo tre anni di penoso calvario, assolto dall’accusa di essere un camorrista.

Sono stato il primo a difendere Tortora (non Biagi, non Bocca che arrivarono molto dopo, dimenticanza, veniale, in cui incorre anche l’amico Verdelli), con un articolo pubblicato sul Giorno solo sette giorni dopo l’arresto e che titolai: “Io vado a sedermi accanto a Tortora” (lo si può ritrovare nel mio libro Il conformista pagg. 121-124). Ovviamente in quel momento non potevo sapere se Tortora fosse colpevole o innocente. Diversi sono i motivi che mi spinsero a scrivere quell’articolo che poteva apparire azzardato. Il primo è il disgusto. Disgusto per il linciaggio che si scatenò immediatamente contro il presentatore da parte dell’opinione pubblica e di molti media. C’era in questo linciaggio la meschina e piccina soddisfazione di far pagare in un colpo solo a un personaggio famoso la sua popolarità. Era accaduto una decina di anni prima anche ad Alain Delon. A sfavore di Tortora giocava anche il fatto che in quegli anni di orgiasmo sinistrorso, quando quasi tutti gli intellettuali e quasi tutti gli artisti erano di sinistra, lui si permetteva di essere un uomo di destra (ma io direi piuttosto un autentico liberale). Il secondo è personale. Conoscevo Tortora dal 1971 quando seguivamo entrambi, da sponde opposte, lui per il Resto del Carlino, io per l’Avanti!, il processo ai sei ragazzi anarchici accusati per le bombe del 25 aprile 1969 alla Fiera di Milano. Io ero innocentista, lui colpevolista. E ci fu anche in quel caso una sorta di linciaggio. Il pubblico era tutto di anarchici e qualcuno più scalmanato degli altri tentò di aggredirlo. Fu salvato a stento dalla polizia. Il giorno dopo quell’episodio in sala stampa nessuno dei colleghi osava avvicinarglisi, come fosse un appestato (era questo il vero linciaggio). Tortora, pallidissimo, se ne stava isolato. Mi alzai e, fra lo stupore dei miei amici anarchici e dei colleghi, andai a sedermi accanto a Tortora, mi presentai perché non gli avevo fin lì mai rivolto la parola, gli diedi la mano e cominciai a chiacchierare con lui. Fu l’abbozzo di quella che sarebbe diventata in seguito un’amicizia. Tortora era un uomo colto, elitario e anche un po’ sprezzante, con una radicata vocazione all’indipendenza. E a me sembrava impossibile già allora in quel giugno del 1983 che un simile uomo, che non si sarebbe iscritto nemmeno a una bocciofila, avesse potuto aderire a un’organizzazione come la camorra dove uno, in cambio di protezione, rinuncia alla propria indipendenza, alla propria anima, a se stesso.

Il terzo motivo è strettamente giuridico. Quasi subito venne fuori che Tortora era accusato sulla base di dichiarazioni di “pentiti” che si riferivano a dichiarazioni di altri pentiti, insomma de relato come si dice in gergo giuridico. Erano gli effetti perversi delle leggi sui “collaboratori di giustizia” volute nel 1982 dal governo per combattere i terroristi, ma che si sarebbero rivelate una mina pericolosissima perché, come denunciai in un articolo sul Giorno del 2 dicembre 1981 (“Sono contro il condono ai pentiti”), da allora sarebbe bastata la parola di un mascalzone, purché mascalzone, per far finire in galera un innocente. È quanto avvenuto puntualmente nel caso Tortora, che però è solo il più famoso ma ha distrutto la vita anche di molti altri innocenti.

Nei periodi di libertà provvisoria fui più volte ospite a cena, in via Piatti 8, nella casa di Tortora che mi era grato per quel mio intervento. Conobbi così la sua compagna, Francesca Scopelliti, la sorella Anna, autrice, fra le altre cose, di Portobello e strettissima collaboratrice del presentatore e il marito di lei, il dottor Carozza. In quelle occasioni Enzo Tortora riusciva a conservare il suo aplomb ma si sentiva che era un uomo profondamente scosso. E non per nulla fece appena in tempo, una volta risultato innocente, a riprendere Portobello, che morì di tumore nel 1988. Oserei dire che fu un tumore psicosomatico.

Mi ricordo che Anna Tortora, che morirà anch’essa di tumore ma molti anni dopo, si infuriava quando nell’ambito delle inchieste di Mani Pulite i corruttori e i corrotti si permettevano di paragonare, strumentalmente, le loro vicende a quella di suo fratello. Perché nel caso degli inquisiti di Mani Pulite le accuse non si basavano su dichiarazioni di “pentiti”, ma su carte, documenti bancari, confessioni. Questo lo dico a pro di coloro che, di destra o di sinistra che siano, si sono scoperti “garantisti” solo quando sott’inchiesta sono finiti i politici, ma che a suo tempo non hanno difeso né Tortora, né Valpreda, né Naria, né tanti altri stracci che han fatto anni di carcere da innocenti. È il famoso “garantismo a targhe alterne”.

Mail box

 

Addio David Sassoli, resterai nel mio cuore

L’11 gennaio è stata una di quelle giornate che non vorresti mai vivere, sentire una notizia così triste alle 5 del mattino ti annienta, rimani senza parole anche se avresti molte cose da dire. Le persone come David Sassoli non dovrebbero mai morire. Onesto, leale, sincero: purtroppo il destino decide per noi, e questa volta è stato molto crudele. Una persona schietta senza peli sulla lingua, è questo non è da tutti. Ci mancherai tantissimo, anche perché per chi prenderà il tuo posto non sarà un compito facile. Resterai nel mio cuore: insegna l’onestà anche alle persone che incontrerai. Grazie David, e sincere e sentite condoglianze alla famiglia.

Elena Mulas

 

I pezzi di Adriano Sansa vibrano di passione civile

Complimenti per la pubblicazione dell’articolo, che vibra rigore morale e passione civile, di Adriano Sansa: non dimenticato magistrato del gruppetto dei “pretori d’assalto” (ma anche poeta e padre di Ferruccio). Di lui ricordo pure i pregevoli scritti che 15-20 anni fa apparivano su MicroMega. Perché Il Fatto non si avvale più spesso di una mente lucida come la sua?

Ennio Lombardi

Caro Ennio, anch’io spero che Adriano Sansa scriva più spesso per noi.

M. Trav.

 

Se il Nano viene eletto, al Csm devono dimettersi

Se fossi un membro del Consiglio Superiore di Magistratura e B. dovesse essere eletto presidente, mi dimetterei.

Gianfranco Bressi

 

Rosy Bindi è la figura giusta a capo dello Stato

Mi permetto, a pochi giorni dalla prima chiamata per l’elezione del presidente della Repubblica, di fare un nome: Rosy Bindi. Curriculum di tutto rispetto: non ha avuto incarichi alla Goldman Sachs (sarebbe quella banca che ha massacrato milioni di risparmiatori); non è stata direttrice del ministero del Tesoro (dove si palleggia un po’ di tutto); non è stata governatrice della Banca d’Italia; non è stata nemmeno presidente della Banca Centrale Europea (quella roba che ha spezzato le reni ai greci) e, soprattutto, non ha avuto una condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale; non ha processi in corso per favoreggiamento della prostituzione e altre “sciocchezzuole”; non è indagata per stragi; non s’è fatta leggi ad personam per non finire in carcere; non ha minacciato, corrotto, comprato parlamentari: quindi niente prescrizioni, archiviazioni e amnistie. Unico neo: beh, è credente, ma alla maniera di don Milani e don Gallo, e quindi tutto sommato mi sta benissimo. Avremmo una donna presidente della Repubblica, e finalmente una figura che è presidente solo degli onesti.

Bruno Navoni

 

Silvio: candidatura condivisa, ma da chi?

Caro direttore, al tuo elenco di “figuriamoci”, che dimostra l’inattendibilità e l’inaffidabilità dei giudizi di tantissimi politici e giornalisti, ne aggiungerei uno: “figuriamoci se un bel po’ di cittadini non si riverserebbero nelle piazze in risposta a una eventuale elezione del Caimano alla più alta carica dello Stato”. Sul numero di cittadini in piazza è difficile fare previsioni, ma sul fatto che ciò accadrebbe non vedo dubbi. Sarebbe la prima volta che l’elezione del presidente della Repubblica susciterebbe una reazione di accesa protesta. E se, come ha detto Conte, l’elezione di un condannato per frode allo Stato è improponibile, detto dal capo politico della forza tuttora di maggioranza relativa, mi chiedo che senso abbia continuare a parlare di “candidatura condivisa”. Ma condivisa da chi? Chi continua a sfornare queste fesserie ha la minima idea della fine che farebbe una istituzione fondamentale del nostro ordinamento democratico in mano al Caimano?

Angelo Testa

 

E intanto, multa da 41€ per un finestrino aperto

In base alla legge 361/57, B. era ed è ineleggibile, e quella legge è stata violata dal 1994 a oggi. In compenso, leggo di una multa ricevuta da un giovane lavoratore che, in un Autogrill nei pressi di Torino, dopo nove ore di duro lavoro, si è visto rifilare una multa di 41 euro per aver lasciato aperto il finestrino della macchina. Quindi ha dovuto pagare esattamente quanto ha guadagnato col suo duro lavoro di nove ore sulla strada. Quante persone sanno che, se lasci il finestrino aperto, prendi una multa da 41 euro?

Biagio Stante

B. al Quirinale. “Care parlamentari, ribellatevi al maschilista repellente”

Se non fosse drammaticamente vero quanto avviene nella politica istituzionale italiana, si potrebbe pensare alla sceneggiatura di una scadente opera teatrale. Un uomo corrotto e corruttore, spregiudicato esponente di una orrenda cultura maschilista, frequentatore seriale di minorenni, viene legittimato e sostenuto da tre partiti come candidato alla Presidenza della Repubblica. Più semplicemente e anche più drammaticamente, un politico che considera le donne oggetti sessuali, prede da usare per il suo desiderio incontinente, bambole da comperare, cinico detentore di un potere che nasce e affonda nel danaro, quest’uomo viene indicato a ricoprire la più alta carica dello Stato che, cioè: ha il comando delle forze armate; dichiara lo stato di guerra; presiede il Consiglio superiore della magistratura.

Una commedia sinistra che farebbe imboccare al nostro Paese la strada buia che vede governare come un sovrano assoluto il danaro, considerato nella sua perversa oggettività, che non dà alcun significato alla sua provenienza (dalla mafia, dalla frode fiscale, da spregiudicate azioni finanziarie).

Vincendo il senso di smarrimento che la vicenda suscita in noi e consapevoli di quanto sia urgente porsi e rispondere alla domanda ‘’perché siamo arrivati a tutto questo?’’, rivolgiamo un appello non solo a chi come noi prova orrore davanti a quanto accade ma, anche, a tutte quelle e a tutti quelli che sottovalutano il rischio cui è esposto il nostro Paese e sperano in una soluzione che restituisca, come per miracolo, dignità alla politica delle istituzioni.

Ci rivolgiamo anche alle parlamentari e alle ministre perché sappiano trovare e sperimentare concretamente forme efficaci di opposizione. Dentro il poco tempo che abbiamo è urgente una controffensiva culturale che renda leggibile e repellente per molte e per molti il grado di misoginia raggiunto dal nostro Paese. Non pensiamo a nessun gesto salvifico, ma auspichiamo la formazione di un’onda di disgusto morale capace di rendere osceno anche solo il pensiero di tale evento. Berlusconi non è un uomo malato è “solo” l’esponente forse più significativo di un maschilismo che si avvale di mille resurrezioni che sarebbe gravissimo sottovalutare.

Luisa Cavaliere, Lia Cigarini e Luisa Muraro

Le infanzie infelici di Rizzoli, Bianchi e il cardinale Scola

Vie. “In Italia su 100 vie solo 8 sono dedicate a donne, e di queste oltre il 50 per cento a Madonne e sante”.

Preti. Da piccolo, il futuro cardinale Angelo Scola, nativo di Malgrate (Lecco), “è, sì, un secchione, come dicono gli amici di allora, ha una memoria prodigiosa, studia latino e greco talmente ad alta voce che al piano di sotto non ne possono più. Ma è anche un ragazzino introverso, taciturno, capace di mattane come tuffarsi d’inverno nelle sfumature di grigio del lago e fare la traversata fino a Lecco, un chilometro scarso ma ci sono le correnti. Certo che va a messa, come tutti, compreso il padre socialista, ma non è un bigotto (‘Stavo in ultima fila, con una certa voglia di uscire’). Al liceo classico si butta su Dostoevskij, Faulkner, persino Kerouac. Prova anche l’ebbrezza di un amore, fidanzato con una ragazza che ricordano molto bella. Finirà con lui che sceglie la strada del Signore e lei lo stesso: monaca di clausura fra le trappiste, di cui diventerà badessa”.

Transessuali. “Secondo stime a spanne, i transessuali in Italia sarebbero 40 mila, ma è un dato per difetto. Quelli che si prostituiscono sono soltanto uno su dieci, la gran parte sudamericani (gli schifati ma ben frequentati ‘viados’). Il resto sono cittadini comuni, informatici, dirigenti d’azienda, impiegati, laureati in cerca di prima occupazione, parrucchieri, designer di pellicce o di calzature con vendita online. Chiamarli transgender fa sembrare la cosa più accettabile”.

Mutanti. “La regina dei mutanti, anzi dei mutati, è al momento Caitlyn Jenner, che quando era Bruce vinse l’oro olimpico a Montréal 1976 in una disciplina da superuomini come il decathlon. Dopo la gloria sportiva, tre matrimoni e sei figli (due con ciascuna moglie), a 64 anni ha fatto il salto più lungo della sua carriera: si è operato, è diventato Cait, ha conquistato la copertina di Vanity Fair America e un milione di follower su Twitter in poche ore, meglio di Obama al debutto da presidente. Spiegazione: ‘Bruce ha sempre dovuto raccontare bugie dalla mattina alla sera. Cait non ha più segreti. Adesso, finalmente, sono libera’”.

Orfani. Dall’orfanotrofio Martinitt di Milano “sono usciti l’editore Angelo Rizzoli, figlio di un ciabattino analfabeta che morì prima che lui nascesse; Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, uno degli uomini più ricchi d’Italia; Edoardo Bianchi, che inventò la prima bicicletta moderna, con la ruota anteriore più piccola e i pedali abbassati”.

Scomparsi. Le persone scomparse in Italia, dagli anni Settanta a oggi, sono complessivamente oltre 64 mila. “Certo, ci sono gli incidenti, gli omicidi occultati, i rapimenti senza il riscatto, i malati psichici che perdono la strada e non la ritrovano. Ma il dato più sconvolgente è che 7 su 10 lo fanno per libera scelta. In totale, 1.600 al mese, con un rallentamento per il lockdown da Covid nel primo semestre 2020: ‘soltanto’ 4.883, quasi la metà minorenni”.

Giovani. “Comunque i giovani della mia età non muoiono di Covid. Neanche mio padre che ha 50 anni muore di Covid. No, dài, muoiono solo le persone anziane. Quello che penso io, arrivati a questo punto… Anche i miei nonni: tengo molto ai miei nonni, ma se devono morire, morissero, cioè” (una ragazza romana di circa vent’anni intervistata in strada dalla trasmissione televisiva di Rete 4 Dritto e rovescio).

Appetito. “Non c’è lingua africana dove esista l’espressione ‘buon appetito’”.

2. Fine 

Notizie tratte da: Carlo Verdelli, “Acido. Cronache italiane anche brutali”, Feltrinelli, 2021

 

Ormai ci vuole uno psichiatra per questi “patrioti” di destra

Ci vorrebbe uno psichiatra e non solo un comico per indagare le ostinate ragioni che inducono la nostra destra patriottica a sterzare sempre all’ultimo momento per andare a sbattere, a tutta velocità, contro il muro più massiccio della decenza. E quello della realtà.

Stavolta per la corsa al Colle – che sulla carta e senza eccessivi sforzi li vedrebbe favoriti – hanno scelto di caricarsi sulle spalle il bagaglio più intrasportabile, l’ultra corpo del capo, Silvio B, esibendo la loro sottomissione quando forse non ce n’era più bisogno, visto che i malanni e l’età del loro padre-padrone consigliavano la meta più quieta di una panchina al sole, con annesso monumento equestre per farlo contento. È ricco che più non si può. Ha scampato i rigori della legge e sopporta in silenzio quelli più tormentosi delle giovani arpie che ancora battono cassa a fine mese. Ha più badanti in conto spese che nipoti. Più medici che processi. E guardie del corpo. E pregiudicati di varia entità, di vario calibro, come amici di penna. E demoni non ancora sazi dei danni che in mezzo secolo l’ex Cavaliere si è intestato, dalla diseducazione sentimentale di intere generazioni alla guerra permanente contro i codici civile e penale, alimentando l’odio contro i magistrati e le regole della legalità che i suoi soldati chiamano garantismo, avvelenandolo.

Perché umiliarsi pedalando controvento per farlo girare ancora una volta in giostra? Per i soldi che fabbrica? Per il suo strapotere mediatico? Per gli scheletri che maneggia in numerosi armadi a Roma, a Palermo, a Mosca? Per il suo minaccioso potere di ricatto? Sì, certamente. Ma tanta legna da ardere non basta a spiegare questo pubblico rogo della ragionevolezza, del decoro, se ci fosse decoro, questo cupio dissolvi che li muove.

Forse va aggiunta una ulteriore ragione a tanto masochismo, il piacere capovolto che consiste non nel vincere la partita, ma nel perderla. Perderla alla grande, rovinosamente. E in quella perdita trovare quel vincolo identitario di vittime del sistema, vittime della sinistra e dell’élite, vittime della matrigna Europa, che è di gran lunga il modo più comodo per sopravvivere senza troppi pensieri e senza mai il peso delle responsabilità. È già successo in modo persino spettacolare dentro la bella cornice delle pupe leopardate del Papeete, con il pubblico suicidio alcolico di Matteo Salvini, quando era al massimo del suo potere e a un passo dalla vetta. E in forma di farsa, il cortocircuito si è ripetuto nella corsa elettorale per i sindaci di Roma e Milano quando Salvini e Meloni hanno scelto tra i mille possibili i due candidati peggiori. A Roma un tale radioamatore che scappava dai dibattiti, travestito da centurione. A Milano addirittura un inconsapevole pediatra, costretto a buttarsi dalla finestra elettorale, da una Licia Ronzulli, che quando non gioca a burraco, fa ancora il bello e il cattivo tempo tra gli arcoriani milanesi.

Diranno i politologi che solo alla fine della partita si vedrà chi vince e chi perde davvero la corsa del Colle. Se issare Silvio B. sia solo tattica per liberarsene una volta per tutte, assorbire la sconfitta, ripartire. O strategia per perdere ancora di più, distruggere quel che resta dell’Italia intera. Poi spingerla ai margini dell’Europa, sulla scia dell’Ungheria di Orban o addirittura contro, come la Serbia isterica di Djokovic. Giocarci la borsa, la faccia, il futuro. Scenario non del tutto inverosimile. Visto che a perfezionarlo nel danno contribuisce l’eterno pigolio della sinistra delle larghe intese. Quella che invece di rispondere con una risata e con l’elenco completo dei misfatti di Berlusconi, ne ammette uno solo “quello di essere divisivo”. Un neo maligno, ma che sul mantello del giaguaro neanche si nota. Specialmente dopo averci fatto quattro governi insieme, unitariamente.

 

B. presidente è uno sputo in faccia alla Repubblica

A tutte le cose gravi a cui un italiano mediamente perbene ha da pensare – Covid, lavoro, vaccini, saturazione dell’ossigeno, malanni dei propri cari, eventualità della morte – adesso si è aggiunta quest’altra cosa, invero raccapricciante. L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale, infiltratasi come una boutade nell’opinione pubblica rintronata dalla pandemia, si è fatta strada, si è solidificata, e ora, pur con qualche risata nervosa (come se non potesse avvenire per davvero), se ne parla seriamente, presentando i pro e i contro, come fosse ormai pienamente nel regno del concepibile. Soprattutto, rimuovendo psichiatricamente la voragine che la persona di Berlusconi ha aperto nel Paese, al di là della sua pedina penale e morale.

Si ha l’impressione di assistere a una catastrofe, a un crollo: innanzitutto di fiducia in chi ci dovrebbe rappresentare, che valuta uno sfregio simile come plausibile; di senso, persino, come se l’egemonia dello spettacolo grottesco, egotico e deresponsabilizzato che Berlusconi ha incarnato per trent’anni si fosse infine realizzata senza drammi.

Giornali che hanno passato un quarto di secolo a spiegarci quanto quel signore fosse un tipo da evitare, al massimo uno a cui chiedere conto di ragazzine di Casoria e candidature di escort, hanno cominciato a prenderlo sul serio già qualche anno fa. Tra foto patetiche di lui che coccolava cani e allattava un agnellino col biberon, gli si è cominciato a chiedere conto del “pericolo rappresentato dai grillini” (era il periodo del governo giallo-verde e del “meglio Berlusconi che Di Maio” di Scalfari). Così Forza Italia, accolita di miracolati costruita su misura delle esigenze finanziarie e penali del leader, diventò “argine al populismo”; fino ad ascendere al governo del Paese con Draghi, in quanto partito pieno di Migliori da far ministri e sottosegretari.

Oggi pullulano le interviste alle ossequiose nullità del suo partito-azienda, che si prendono la libertà di sbeffeggiare chi s’indigna per l’ipotesi che uno come Berlusconi possa comandare le Forze Armate e la magistratura, contro la quale il pregiudicato potrà esercitare la sua beffarda vendetta.

Il “perseguitato dalla Giustizia” ascende al discorso pubblico non per l’ennesimo processo o per vicende geriatriche, ma per il conteggio dei voti che lo porterebbero alla carica più alta; privo di disciplina e onore come pochi, delinquente naturale, finanziatore della mafia, frodatore dello Stato, utilizzatore finale di prostitute che lo ricattavano, corruttore di giudici e di agenti della Finanza, senatore decaduto e pluri-prescritto: “la figura più adatta” per il Quirinale, secondo Meloni e Salvini. I quali ammettono implicitamente il loro fallimento: non riescono a tirare fuori un nome dignitoso dalla pletora di loro parlamentari perché sono circondati da incapaci, a capo di partiti personali tutti fondati sulla comunicazione e zero sulla politica. Decidono il candidato alla Presidenza della Repubblica a pranzo nella villona del padrone sulla via Appia: una scena tra Plauto e i Vanzina.

La propaganda pacchiana del berlusconismo si ringalluzzisce: ha messo fine alla Guerra Fredda, è tra i primi contribuenti italiani, è l’eroe della libertà: ma chi non sa che Berlusconi è stato un politico mediocre, un pessimo servitore dello Stato (che ha frodato, già che c’era), un uomo poco coltivato, coi libri finti sugli scaffali e il gusto estetico per la paccottiglia di una magnate russo, un manipolatore della realtà che ha asservito un esercito di fedeli esecutori allo scopo di farsi le leggi per guadagnare di più, pagare meno tasse, restare impunito dei suoi reati, etc.?

Ex parlamentari della Repubblica che nella vita hanno fatto solo i servitori dei propri affari e di Berlusconi (e poi, quindi, i sostenitori di Renzi) brigano tra loro per fare un dispetto a “Travaglio, Zagrebelsky, Gruber” (così Verdini); stiamo parlando di gente ai domiciliari per traffici illeciti ai danni dello Stato che potrebbe deciderne il Capo: neanche gli sceneggiatori di Gomorra avrebbero osato tanto.

Ed è una pena vedere la mandria di suoi dipendenti pronti a scrivere sulla scheda le varie combinazioni di nome e cognome per farsi “contare”, invece di provare vergogna.

La candidatura di Berlusconi non è solo irragionevole: è uno sfregio, una bestemmia, uno sputo sulla Repubblica. È il trionfo del nichilismo. Pochi dubbi che Renzi, in combutta con Verdini, lo voterebbe, se occorre; non perché ami Berlusconi, ma perché odia l’Italia, e di mestiere fa il guastatore.

Il Pd, nella persona di Letta, ha maturato qualche remora perché Berlusconi è “divisivo”. Perché sono arrivati a questo punto? Perché sono inetti, certo, ma anche perché temono di passare per moralisti, nel Paese in cui non è chiara la differenza tra l’essere moralisti e l’essere persone morali.

 

Paragone, uno Zelig senza morale alcuna. Neo idolo dei No-vax

Il punto più basso di Gianluigi Paragone è stato raggiunto (per ora) sabato scorso, quando l’ex (molto ex) giornalista sorrideva sul palco dell’adunata no-vax mentre Montagnier, o per meglio dire quel che ne resta come neuroni e credibilità, diceva che tra pochi anni saranno i non vaccinati (ovvero gli unici a sopravvivere) a dover salvare il mondo. Un trionfo di complottismo delirante e sciacallaggio “politico”. Qualcosa che pareva assai prossimo, purtroppo, alla circonvenzione reiterata e compiaciuta di incapaci. Eppure Paragone era orgogliosissimo del baraccone che aveva tirato su, e tutto sommato non aveva torto: riuscire a portare migliaia di persone in piazza a sentire Montesano, Parisi, Melandri e Puzzer – che parlano di scienza! – attiene come minimo alla metafisica.
Paragone è un personaggio bizzarro.
Nato leghista talebano e divenuto grillino per comodo, è ora assurto ad “Adinolfi dei no-vax” e “Pillon dei complottari”. Son soddisfazioni. Su Facebook è fortissimo, vero e proprio aedo di boomer con spiccata propensione all’analfabetismo funzionale. Paragone non è sempre stato così. Negli anni di transizione dal suo iper-leghismo al suo quasi-grillismo, faceva persino una tivù (a tratti) coraggiosa. Una tivù spettinata, maleducata e non di rado più adatta al retequattrismo che non a Rai2 o La7. Vero. Eppure, in quel gran casino di risse e chitarre, c’era del buono.
La saltuaria presenza di musicisti di pregio (Bennato, di cui è grande fan). L’attacco al renzismo. Le battaglie e la controinformazione sulle banche. Ai 5 Stelle è capitato spesso di portare nelle istituzioni casi umani strazianti e caricaturali, ma puntare su Paragone (nel 2017/18) poteva avere senso. Da quel momento in poi è però cominciato il tracollo. Non tanto per l’opposizione a Draghi, che in lui (e a dire il vero pure per i 5 Stelle) sarebbe coerente e sensata, quanto per questo suo perdurante, colpevole, scellerato e orripilante khomeinismo no-vax. Il suo tramonto etico e morale va davvero oltre ogni incubo possibile. Paragone sa fare tivù, è intelligente e adora essere scorretto. Non ha ritegno e si diverte come un matto a épater le bourgeois. Per questo è pericolosissimo. Negli scontri televisivi, sapendo di non avere argomenti, la butta sempre in vacca. E sa come farlo. Chiunque provi a confutarlo viene deriso, diffamato (Bassetti lo ha giustamente querelato) o comunque scimmiottato a prescindere, perché il Paragone attuale sa di non avere contenuto. Quindi deve giocare tutto sulla (non) forma, imbastendo ogni volta il “teatrino del caciottaro” e vincendo quasi sempre per distacco (ne sa qualcosa Selvaggia Lucarelli, che giovedì a Piazzapulita aveva ragione sul “cosa” ma che è stata spazzata via sul “come”). Paragone non vive di passioni, ma di fasi e convenienze. Non gliene frega nulla (e non ne sa nulla) di vaccini e diritti negati, solo che adesso gli conviene giocare all’idolo delle Brigliadori. Essere il re degli ignoranti 2.0 è moralmente avvilente, ma ha i suoi vantaggi. Se si votasse domani, Paragone avrebbe più voti di Renzi, Calenda e Bonino. Forse anche di Fratoianni e D’Alema. Non andrà lontano, perché la sua resistibilissima ascesa porta con sé uno sputtanamento costante e industriale, ma Paragone è uno Zelig senza morale alcuna. Vedrete che, quando la pandemia finirà, si cucirà un nuovo ruolo adatto alla bisogna. Magari il Maradona dei terrapiattisti. Oppure il Nureyev delle scie chimiche. Insomma, e con rispetto parlando: il pifferaio dei coglioni.

 

La regina Elisabetta, il tweet di Cattelan e il Premio Strega

In un Paese dove tutto va a commedia, niente di meglio che affidare il nodo delle inquietudini contemporanee alle proprie Pagine di diario.

Il conduttore tv Alessandro Cattelan, riportano le agenzie, domenica ha twittato questo pensiero bombastico: “#djokovic ha tutto il diritto di decidere se vaccinarsi o meno ma considerarlo un martire o un simbolo è surreale. Rosa Parks è scesa dall’autobus, non si è nascosta sotto il sedile per fregare il conducente”. Noto che ai trenta-quarantenni di oggi capita spesso di mancare il bersaglio dei loro argomenti in questo modo: è come se non fossero in grado di far collimare un giudizio con l’esempio che dovrebbe illustrarne i canoni. Inesattezza storica a parte (Rosa Parks, rifiutandosi di cedere il posto sull’autobus a un bianco, si opponeva alla legge sulla segregazione razziale, una legge ingiusta: non scese dall’autobus, infatti fu arrestata), Cattelan sbaglia il ragionamento poiché il suo parallelismo implica due incoerenze rispetto alla premessa di Djokovic non-martire e non-simbolo: da un lato implica che Djokovic, disobbedendo alla legge australiana, possa essere un paladino dei diritti civili come Rosa Parks; dall’altro, che Rosa Parks avrebbe dovuto obbedire alla legge come Djokovic. Il fatto che queste implicazioni siano contraddittorie non deve mascherare l’unicità del fenomeno di cui sono la conseguenza, e che andrebbe indagato. (Troppi videogiochi? Troppa MTV? Il tweet di Cattelan ha ricevuto 14mila like.). Né va tralasciata una terza implicazione del suo ragionamento, altrettanto non sorvegliata, ma più gravida di conseguenze: che l’obbligo australiano di vaccino sia razzismo. Resta il fatto che Rosa Parks vinse l’Australian Open.

Una mia ex era una vera artista del pompino: lo sapeva fare alla perfezione, ma dandomi l’impressione che fosse un talento naturale, e non il risultato di anni e anni di pompini con amici e parenti.

Scrive Sandro Ferri (L’editore presuntuoso, edizioni e/o): “È piuttosto ingenuo pensare che il vincitore dello Strega sia deciso dai 400 giurati su ‘raccomandazione’ degli editor dei grandi gruppi editoriali. In realtà i libri candidati dai grossi editori sono scelti insieme al management economico, in base a precisi calcoli sulle probabilità di vittoria e ovviamente in base alle pressioni esercitate dalle varie lobby che si formano attorno agli autori più noti”. Credo che nella vita ci siano cose più importanti delle squisitezze raggiunte da una casta di mandarini, ma ogni volta che danno a un libro il premio Strega penso: “Come si fa a non apprezzare l’ironia dei giurati?”.

Alle prossime Politiche, nella scheda stampate anche il simbolo del Gruppo Misto: si fa meno confusione, e si perde meno tempo.

Mi piace dormire in posti diversi, case diverse, stanze diverse, letti diversi, perché danno sogni diversi. A Manhattan sogno cose diverse se dormo a Soho o nell’Upper East Side, in Francia idem se dormo a Mentone, Avignone o Tolosa, a Valencia idem se dormo dalle parti di Nazareth o dei Giardini del Real. Si attivano zone diverse del mio immaginario: divento persone diverse. Infatti, quando torno nello stesso posto, riprendo a sognare le cose di quel posto: a Fregene, per esempio, sono sempre una graziosa hostess con un succhiotto sul collo che si sta scolorendo.

Perché i giornali non pubblicano mai una foto della regina Elisabetta con il suo sassofono?

 

Troppi errori, cambiare il coach

La cortina dell’assolutismo ideologico che ha utilizzato per quasi due anni lo schermo della scienza e “del parere degli scienziati” per sostenere le proprie asserzioni, sta mostrando qualche cenno di cedimento. Ciò è dovuto alla stanchezza della popolazione stremata da una lotta che sta diventando infinita, e alla tenacia di chi ha salutato su un’ambulanza una persona cara e la ha avuta restituita in un’urna di ceneri. Gli errori inevitabili sono certamente comprensibili in una situazione senza precedenti, ma assolutamente da condannare tutti (tanti) quelli evitabili. È arrivata la sentenza del Tar Lazio sulla tristemente famosa indicazione “Paracetamolo (tachipirina) e vigile attesa”. È stato accolto il ricorso del Comitato cura domiciliare Covid-19 e annullata la circolare del ministero della Salute, aggiornata al 26 aprile 2021 che indicava, in caso di positività a SarsCov2, di attendere a casa l’arrivo di sintomi gravi, quali una scarsa saturazione d’ossigeno, prima di somministrare terapie diverse dal paracetamolo. Erano state sollevate molte critiche da parte di noi medici, soprattutto dopo la pubblicazione di diversi lavori scientifici che dimostravano come il paracetamolo addirittura favorisse la gravità del Covid. Non è valso a nulla. Peraltro, si sono esautorati i medici dalla loro libertà di prescrivere quella che si reputasse la migliore cura per il proprio paziente. Il numero dei decessi non si è mai arrestato e le terapie intensive si sono affollate. Un altro errore incomprensibile è che si continui a sostenere che il Green pass (di fatto, certificato vaccinale) serva per controllare la pandemia. Non solo non contiene i contagi, ma li favorisce, soprattutto nella situazione attuale che è caratterizzata da molti asintomatici. Essere vaccinati non significa non infettarsi e, a propria volta, non infettare. Asserirlo è inaccettabile. Ci è sempre stato comunicato che ogni decisione è stata presa secondo quanto indicato dagli “scienziati” del Cts, diventato lo scudo ministeriale. Dopo solo alcune sconfitte, le squadre di calcio cambiano l’allenatore. In quel caso sono in ballo quantità enormi di denaro. Nella partita contro il Covid è in ballo la nostra salute. A buon intenditor, poche parole.