Qualche compagno di università e di partito sostiene di averlo visto passare interi pomeriggi davanti a uno specchio, per preparare i discorsi da tenere in pubblico. Di certo, l’ambizione smodata ha segnato la vita di Roberto Rosso, 59 anni, nato a Casale Monferrato e ras del Vercellese. Avvocato civilista, campione del trasformismo, un “girovago delle casacche”, come è stato definito, capace di transitare dalla Dc, e da varie sue correnti, alla lista di Mario Segni, da Forza Italia a Futuro e Libertà; e poi, ancora, di nuovo in Forza Italia e infine in Fratelli d’Italia. Tanto ambizioso, l’avvocato Rosso, da arrivare a pagare esponenti della ’ndrangheta, secondo le accuse che lo hanno portato in carcere, per spuntarla alle elezioni regionali del Piemonte di quest’anno, e diventare addirittura assessore. “Più che ’l dolor poté ’l digiuno”, insomma, per uno che è stato deputato in ben cinque legislature e due volte sottosegretario con Silvio Berlusconi.
Molto, in lui, è sdoppiamento e maschera. Basti pensare che aveva iniziato a fare parlare di sé come giustizialista. “Capace di capire subito da che parte spira il vento”, scrivevano di lui. Con l’amico Francesco Radaelli, agli inizi degli anni 90, crea il movimento “Mani pulite a Vercelli”. Un giorno si presenta al procuratore aggiunto di Torino Marcello Maddalena con dei maxi-dossier su alcuni presunti scandali con mazzette miliardarie, che tuttavia non avranno seguito. Viene ricevuto dai pm del pool di Milano. E riesce comunque a far finire in carcere il sindaco e alcuni assessori della giunta Dc-Psi di Vercelli. Magari quelle denunce erano fondate. Resta il fatto che a Rosso importa assai poco del loro esito. Nel 1994, cambiato di nuovo il vento, approda a Forza Italia e, soprattutto, a Montecitorio.
Maschere e sdoppiamenti. Nel 2001 decide di correre, con la Casa della libertà, per la poltrona di sindaco di Torino, sfidando prima Domenico Carpanini, candidato dell’Ulivo morto tragicamente durante un confronto elettorale con lui, e poi Sergio Chiamparino, che lo sconfiggerà al ballottaggio. A Trino Vercellese, dove Rosso risiede, i commenti dei concittadini non sono benevoli. Interpellato da un cronista di Repubblica, un trinese sbotta: “Chi? Quello che qui si è fatto vedere per qualche ora durante l’alluvione di ottobre in golfino blu e scarpe da mezzo milione mentre noi non sapevamo come togliere il fango?”. E un altro rammenta che, alla fine del 1993, “lasciata la Dc, preparava i santini elettorali per il movimento di Mario Segni e contemporaneamente faceva gli esami ad Arcore per entrare in Forza Italia”.
Con “sentimenti anticomunisti”, Rosso si era iscritto a 19 anni alla Democrazia cristiana, scegliendo, diceva sempre Repubblica, una “delle correnti di maggior peso all’epoca, quella di Emilio Colombo, del quale diventa il ‘cocco’”. Quando la fortuna gira le spalle agli uomini di Colombo, Rosso “si abbarbica ad altri leader in ascesa: Giuseppe Botta, Silvio Lega”. E allorché “Giovanni Goria diventa presidente del Consiglio, Rosso gli è ‘fedelmente’ accanto. E quando Vito Bonsignore, il potente capo degli andreottiani in Piemonte, è sottosegretario al Tesoro, Rosso cambia ancora casacca”.
Un vizio che non perderà mai. Nel 2010, dopo essere stato per qualche tempo vicepresidente della Regione Piemonte guidata dal leghista Roberto Cota, abbandona Forza Italia e aderisce a Futuro e Libertà di Gianfranco Fini. Ritorna quasi subito con il Cavaliere; in un incontro, a Palazzo Grazioli, Berlusconi gli promette qualcosa. Promessa mantenuta: sarà sottosegretario alle Politiche agricole.
Nel 2011 l’ex preteso giustizialista rischia di essere condannato. Viene indagato per associazione a delinquere e peculato in un’inchiesta sull’utilizzo di fondi della Provincia di Vercelli. Verrà assolto nel 2014. La paura è passata, non l’ambizione e la voglia di seggiole & poltrone. Passa in Fratelli d’Italia, lo eleggono in Regione. I voti, però, adesso puzzano di mafia.