“Il giardinaggio andrebbe messo fuori legge”: questa e altre irresistibili scorrettezze regala Saverio, protagonista de Il cielo sopra il letto del britannico David Hare. Il titolo non proprio felice dell’edizione italiana – al posto dell’originale Skylight, “lucernario” – non inficia comunque la felicità dell’allestimento, firmato da Luca Barbareschi, anche in scena con Lucrezia Lante della Rovere e Paolo Marconi.
La pièce è stata originariamente prodotta dal National Theatre di Londra nel 1995, vincendo il Laurence Olivier Award, ed è poi stata riallestita per Broadway nel 1997, aggiudicandosi un Tony Award; ora in Italia ne cura la traduzione e l’adattamento – molto romano, invero – il regista-attore che, nelle note, spiega: “Pur essendo una straordinaria introspezione del rapporto uomo-donna, Il cielo sopra il letto diventa mirabilmente uno statement politico sullo scontro tra politically correctness e pensiero razionale”, tra la lucidità e il cinismo di Saverio (Barbareschi) e il candore bacchettone di Elisabetta (Lante della Rovere), sua ex amante.
La trama, dunque: Saverio è un rampante imprenditore, da un anno vedovo della bellissima moglie Alice; Elisabetta, viceversa, conduce una vita modesta in periferia, tra la Magliana e il Corviale, dove insegna a ragazzini disagiati e borderline. Sono tre anni che la donna è fuggita dalla casa dell’adultero, una volta scoperto il loro tradimento, ma l’uomo non l’ha mai dimenticata, soprattutto ora che è rimasto solo con un figlio perdigiorno da mantenere (Edoardo, alias Marconi) e una figlia all’estero a studiare. Dlin dlon: chi mai potrà essere a suonare alla porta di casa di Betta, in una gelida serata prenatalizia? L’intreccio amoroso di (ex) corna e rimpianti è il più scontato, ma l’incontro non deflagrerà tanto sui sentimenti quanto sulle inconciliabili visioni del mondo e posizioni ideologiche, trasformando il fogliettone in una riflessione politica, lato sensu. Perdibilissimi, quindi, l’inizio e il finale dell’opera, cui l’autore si è affezionato per dare alla trama circolarità graziosa e una boccata d’aria speranzosa: è Natale, dopotutto. Apre e chiude la pièce, infatti, il figlio scapestrato, mediatore tra i due spasimanti e il più pallido personaggio in commedia, tra lo stinto e lo scemo, come chi compra una “sciarpa dell’intifada firmata Dolce e Gabbana”.
Il beffardo realismo anglosassone rende digeribili le due ore e mezza di chiacchiere – oggettivamente scorciabili – e il secondo atto, in particolare, è un trattato di nevrosi contemporanee filtrate dal buco della serratura e interpretate dai bravi primattori, entrambi molto in parte e con un ottimo feeling scenico, lui dal piglio sbruffone ma anche ironico, lei composta eppur intensissima. Si vorrebbe tanto fare il tifo per Betta, ma alla fine il più simpatico è proprio il sardonico e alticcio Saverio, che almeno non confonde la bontà col buonismo, non ha bisogno di amare l’umanità per disprezzare il prossimo (malattia tipica di chi ha letto i Karamazov), non vede premi Nobel in ogni straccione incontrato sull’autobus. Anche perché lui, sull’autobus, non ci sale nemmeno.
Roma, Teatro Eliseo, fino al 5 gennaio
Il cielo sopra il letto
di David Hare
Luca Barbareschi