“Bloccare le navi non serve”. Il Papa indossa il salvagente

Un giubbotto di salvataggio appartenuto a un migrante anonimo, morto nel Mediterraneo, prende il posto di Gesù sulla grande croce in resina che, da oggi, accoglie chi entra nel Palazzo Apostolico dal cortile del Belvedere in Vaticano. L’ha voluta Papa Francesco, in ricordo di chi ha perso la vita nel grande cimitero che una volta era la culla della nostra civiltà.

L’ha inaugurata incontrando i rifugiati arrivati da Lesbo con i corridoi umanitari, accolti dalla Santa Sede e dalla Comunità di Sant’Egidio, per ricordarci che “dobbiamo tenere aperti gli occhi, tenere aperto il cuore”, per ricordare a tutti “l’impegno inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti”. La croce è trasparente, una sfida a guardare con più attenzione, ed è luminescente (“Vuole rincuorare la nostra fede nella Risurrezione, il trionfo di Cristo sulla morte”). Sta lì, imponente, a ricordare che “non è bloccando le navi che si risolve il problema”. Non gira intorno all’argomento, Bergoglio. Lui che dall’inizio del suo Pontificato, sul tema, ha speso la maggior parte delle sue parole.

La soluzione dev’essere più seria dei proclami: “Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici”. Questo è il secondo giubbotto che Bergoglio riceve in dono. Il primo lo aveva indossato una bimba annegata nel Mediterraneo. Ora si trova nella Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, A significare l’imprescindibile impegno della Chiesa a salvare le vite, ad accogliere, a proteggere, a integrare: “Ho detto ai sottosegretari ‘Ecco la vostra missione!’”. Questo secondo giubbotto, che il Papa ha ricevuto da un gruppo di soccorritori qualche giorno fa, è appartenuto a un migrante scomparso a luglio di cui non si sa nulla, se non le coordinate geografiche da cui è stato recuperato. “Siamo di fronte a un’altra morte causata dall’ingiustizia”, dice Francesco. Quell’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre e che “li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare”. E come si può, si chiede Bergoglio, non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli che “preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile”? L’indifferenza, davanti agli abusi subiti dagli innocenti, sostiene, è corresponsabilità: “La nostra ignavia è peccato!”. Poi ringrazia chi, ogni giorno, decide di non passare oltre, decide di soccorrere senza farsi troppe domande sul come o sul perché quella persona sia finita sulla sua strada: “Bisogna soccorrere e salvare – dice –, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo. E il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio”.

“E difficile per i cittadini non farsi risucchiare qui”

L’operazione di ieri contro la ’ndrangheta è valutata da Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, come “un’operazione di grandissima importanza che dimostra, da una parte, qual è la forza di contrasto degli organismi di polizia giudiziaria sul territorio calabrese; dall’altra, l’ampiezza della presenza delle cosche in Calabria”.

Oltre 330 arresti di affiliati e fiancheggiatori delle cosche di Vibo Valentia.

Un numero così rilevante di arresti evidenzia quanto sia ampia la presenza mafiosa nel territorio calabrese e quanto sia difficile per i cittadini per bene non essere infangati, coinvolti e magari addirittura risucchiati nel vortice ’ndranghetista.

Tra gli arrestati e gli indagati ci sono professionisti, massoni, politici.

Questa operazione dimostra come la ’ndrangheta abbia la capacità di attirare professionisti, la componente che le ha permesso di fare un salto di qualità e di passare dalle cosche dalle regole quasi rudimentali, basate sui legami di sangue, a un’organizzazione che ha saputo esplodere nel mondo economico e ha saputo stringere rapporti anche con la politica. Ha saputo muoversi con un’intelligenza particolarmente raffinata, con scelte che la sottraessero per anni all’attenzione giudiziaria. Nei primi Anni Novanta, la ’ndrangheta era stata coinvolta dai Corleonesi di Cosa nostra nella strategia stragista di guerra allo Stato. Nel 1994 tutti i capi ’ndranghetisti riuniti a Nicotra avevano però deciso di sospendere la loro partecipazione: da ora basta, avevano deciso, noi stiamo bene con le istituzioni, basta guerra allo Stato. Questo è il segnale chiaro di quale sia la strategia della ’ndrangheta, che si muove per infiltrarsi, attraverso la massoneria, nel mondo dell’economia, della borghesia, e per raggiungere anche la politica.

Oggi qualche boss mafioso cerca di alleviare la propria situazione carceraria dichiarandosi “dissociato”, ma senza collaborare con la giustizia.

La dissociazione è stata un fenomeno che si è manifestato tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio dei Novanta soprattutto in alcuni processi di camorra. È stata una mina vagante, in cui i boss si proclamavano dissociati senza dimostrare però una vera rottura con il mondo mafioso d’appartenenza. In un caso, un dissociato, uscito dal carcere, è tornato a fare il capo del suo gruppo mafioso. Oggi torna lo spettro della dissociazione, vuota e impalpabile. È chiaro che la dissociazione non può avere alcun riconoscimento, se non è accompagnata dalla dimostrazione di aver davvero rotto con il mondo mafioso.

Ma la recente sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che la collaborazione con la giustizia non è più l’unico requisito che possa superare l’ergastolo ostativo e aprire alla concessione di permessi premio.

Se la collaborazione non è più l’unica condizione, ora bisogna dunque individuare quali siano i comportamenti che dimostrano la reale frattura con l’organizzazione mafiosa. La decisione non è più automatica, ma rimessa alla valutazione del giudice. Ma dev’essere chiaro che la dissociazione non basta, così come non basta la buona condotta in carcere: il mafioso è uno che osserva le regole delle istituzioni, che considera interlocutori da piegare ai suoi interessi. È necessario dimostrare che si è davvero rotto il vincolo con l’organizzazione mafiosa. Come? Al momento non siamo in grado di indicare le modalità concrete.

Le nuove tecnologie di comunicazioni, come il G5, possono diventare un aiuto alle organizzazioni criminali? Come pure Facebook, Whatsapp e Instagram, che non sono intercettabili.

Il pericolo è concreto. Lo stiamo affrontando insieme, la Direzione nazionale antimafia, le polizie, i servizi di sicurezza. Perché i canali non intercettabili possono essere usati dalle organizzazioni mafiose, ma anche dai gruppi terroristici. C’è un’iniziativa comune anche delle Procure nazionali italiana, francese, olandese, tedesca, che hanno coinvolto il Parlamento europeo e la commissione parlamentare europea sulla Giustizia, per chiedere ai gestori di telefonia e di servizi internet la possibilità di controllo dei sistemi di comunicazione, per rendere possibili le intercettazioni quando richieste per motivi di mafia e terrorismo. È un problema che abbiamo posto a livello europeo.

La riforma della prescrizione, con la sua interruzione dopo la sentenza di primo grado, è un aiuto anche al contrasto alla criminalità organizzata?

Sì. La prescrizione comunque è un problema. La mafia si infiltra nei vari settori e si rafforza laddove la giustizia non riesce ad esercitare la propria giurisdizione, laddove vi sono sacche di illegalità. Le mafie intervengono a occupare gli spazi che sarebbero propri della giustizia. Pensate a un cittadino che non riesce dopo anni a vedere riconosciuti i propri diritti, e si affida allora alla giustizia parallela, quella illegale, quella mafiosa. Forse il primo compito della politica dovrebbe essere quello di abbreviare i tempi dei processi dando le risorse necessarie alla macchina della giustizia. Spesso si afferma che c’è un grande arretrato, facendo intendere che è colpa dei giudici. Ma le rilevazioni comparate con gli altri Paesi europei ci dicono che i giudici italiani sono quelli che producono più sentenze. E allora forse il numero dei giudici non è sufficiente. Bisogna dunque intervenire sul processo, renderlo più veloce, dare più risorse alla giustizia e aumentare anche il numero dei giudici. Resa più veloce la giustizia, la prescrizione può restare interrotta con la sentenza di primo grado. Il processo deve essere celebrato e non deve essere ostacolato. Pensare a una prescrizione interrotta dopo il primo grado è un passo in avanti.

Un vero esercito al soldo dei boss. Dal carabiniere al funzionario

Oltre alle intercettazioni è stato il pentito Andrea Mantella ad aprire uno squarcio non solo sull’ala militare della cosca Mancuso ma anche sull’elenco sterminato di “colletti bianchi” venuti fuori dalle dell’inchiesta “Rinascita-Scott”. Professionisti che, secondo la Dda, sarebbero stati al servizio della ’ndrangheta. Il collante che unisce i due mondi è sempre la massoneria. Tra gli indagati per concorso esterno, infatti, c’è il gran maestro onorario del Goi Ugo Bellantoni, oggi ottantatreenne dopo una vita passata alla guida dell’Ufficio tecnico del Comune di Vibo Valentia. Nei suoi confronti il gip non ha ritenuto sufficiente la gravità indiziaria delle accuse ma il suo nome era stato fatto dal collaboratore Mantella: “Avevano rapporti con la ’ndrangheta, nel senso che gli chiedevano dei favori e loro si mettono a disposizione, per ottenere provvedimenti amministrativi e autorizzazioni, favori in ospedale, posti di lavoro”.

A proposito di massoneria, Mantella punta il dito contro uno dei principali indagati: l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli: “So per certo che è un massone che si prestava a fare favori ai suoi assistiti e a soggetti diversi, anche se non erano stati nominati. Me lo disse Saverio Razionale (che si occupava della gestione economico-finanziaria della cosca, ndr) quando mi disse che l’avvocato Pittelli era un ‘amico’ e lo definiva ‘uno dei nostri’”. I favori all’ex parlamentare li faceva anche l’ex comandante del Nucleo operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli. Il militare era solito, secondo la Procura, passare informazioni riservate a Pittelli e quindi, secondo gli inquirenti, favoriva la ’ndrangheta. In carcere è finito pure l’ex difensore del pentito, l’avvocato Francesco Stilo, difensore dell’uomo che, qualche settimana fa, ha cercato di varcare la frontiera tra Italia e Svizzera con un assegno da 100 milioni di euro.

Partito unico dei clan, terra governata da un solo padrone

I 334 arresti dell’inchiesta “Rinascita-Scott” colpiscono e affondano il centro di potere calabrese condiviso da ’ndrangheta, politica corrotta e massoneria deviata. Tra gli indagati ci sono personaggi che hanno fatto la storia della politica calabrese degli ultimi 20 anni. Ne escono tutti a pezzi: dall’ex parlamentare dem Nicola Adamo, costretto al divieto di dimora in Calabria, passando per il segretario regionale dei socialisti Luigi Incarnato e per l’ex consigliere regionale della Margherita Pietro Giamborino, ai domiciliari, fino al sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, l’ex renziano che nel 2014 si era candidato alle primarie contro Oliverio, omonimo ma neppure parente dell’attuale candidato alle Regionali Pippo Callippo detto “il re del tonno”. Presidente dell’Anci, Gianluca Callipo mollò il Pd ma non avrebbe mollato le famiglie legate al clan Bonavota che lo avrebbero sostenuto alle Comunali del 2017 e adesso è in carcere.

L’ordinanza del gip conferma che, in Calabria, il partito di maggioranza è quello della ’ndrangheta: colpisce la trasversalità di questi politici calabresi che avrebbero sguazzato tra cosche e massoneria. La sintesi plastica di questo “coacervo” è l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia coinvolto più di 10 anni fa nell’inchiesta “Why Not”. Il lavoro dell’allora pm Luigi de Magistris, oggi sindaco di Napoli, era solo la punta di questo iceberg. I magistrati non hanno dubbi: Pittelli è “l’affarista massone dei boss della ’ndrangheta” che con lui è riuscita a relazionarsi “con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università e con le istituzioni tutte”.

Per i pm, in sostanza, era il passepartout del boss Luigi Mancuso. Ogni qualvolta il “mammasantissima” di Limbadi aveva bisogno dell’avvocato, Pittelli ci sarebbe stato. Come quando sua figlia, Teresa Mancuso, studentessa di Medicina all’Università di Messina, non superava l’esame di Istologia. Una telefonata al numero giusto e il problema lo risolve l’ex senatore: Teresa Mancuso faccia a faccia con il rettore dell’ateneo messinese. Lo racconta lo stesso Pittelli in un’intercettazione: “Teresa vieni qua con me, sai chi è questo signore?”. “Sì, il rettore della mia università”. “Bravissima”. “Questa ragazzina scoppia a piangere – ricorda – e mi faceva ‘troppo avvocato, troppo avvocato’…”. I pm parlano di “partecipazione vera e propria del Pittelli alla consorteria”: era “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. Per gli inquirenti, il suo posto era “in quella particolare frangia di collegamento con la società civile, rappresentata dal limbo delle logge coperte”. I boss lo nominavano loro avvocato “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”. Nei brogliacci del Ros è finita una sua telefonata pure “con Lorenzo Cesa tramite il quale sperava di poter ottenere una sponsorizzazione per l’elezione a membro laico del Csm”. Il vizio di ostentare amicizie togate ce l’aveva pure l’ex parlamentare Nicola Adamo, marito della deputata Enza Bruno Bossio, accusato di traffico di influenze. Nell’aprile 2018, l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino sottopone ad Adamo il problema di una società siciliana che, dopo aver perso una gara d’appalto a Vibo Valentia, aveva impugnato il provvedimento davanti al Tar Calabria. Adamo rassicura: “Andiamo e parliamo con Durante allora”.

La questione riguardava i componenti di una commissione che avrebbe dovuto valutare la regolarità dell’appalto. “Gli si dovrebbero dire i nomi da nominare. Che gara è?”. Nicola Adamo si finge possibilista e Giamborino capisce al volo: “Lavori pubblici. Ecco perché gli ho detto ieri 50 mila euro… ma qua già”. Il Durante tirato in ballo è il presidente della II sezione del Tar Nicola Durante che non è indagato. Lo fa Adamo: “Se può nominare una commissione amica è una cosa”. “Per interessare il dottore Durante – scrive il gip – Adamo “si faceva promettere l’importo di 50 mila euro”. Giamborino, invece, è stato il “regista di tutta la vicenda”. Lo stesso aveva fatto con Luigi Incarnato, il consigliere regionale accusato di corruzione elettorale. Mancavano due settimane al 4 marzo 2018 e il politico, segretario regionale del Psi, era candidato con il Pd alle ultime politiche. Erano giorni frenetici. “Per ottenere, a proprio vantaggio il voto elettorale” Incarnato avrebbe offerto a Pietro Giamborino e all’imprenditore Pino Cuomo, la propria disponibilità a favorirli nel loro progetto di realizzazione, nel Comune di Paola, di un centro di accoglienza straordinario per migranti. Ci vuole tempo, intanto i giorni passano e le elezioni si avvicinano: il 3 marzo Giamborino ricorda all’imprenditore “il suo obbligo – scrivono i pm – di consegnargli il denaro pattuito per aver interessato Incarnato”.

“Mi stai preparando i gelati?”. “In settimana chiudiamo pure quel conto”. “Fammi questo piacere”. “Martedì, massimo mercoledì… grazie di tutto”.

Nella Regione distrutta dalla massomafia la politica è a pezzi

L’inchiesta su ’ndrangheta, politica e massoneria in Calabria uccide ogni speranza di riscatto dei calabresi. Oltre mille pagine, un film osceno sui rapporti incestuosi tra uomini delle istituzioni, imprenditori, politici, affaristi incappucciati e boss. Una “camera di compensazione” dove si decidevano appalti, incarichi e affari, dove il potere si sedeva allo stesso tavolo con capi ’ndrine dai nomi fantasiosi: ’o Supremo, Scamuscia, Pitta, Carnera, Pepparijeu, Padre Pio, 38. Tutti insieme allegramente a succhiare il sangue di una regione che sta morendo. Uccisa da chi blatera di lotta alla mafia e di riscatto a favore di telecamera, e poi risponde a una sola regola, quella della “massomafia”. Perché come dice il boss Luigi Mancuso ’o Supremo “la ’ndrangheta fa parte della massoneria, è sotto la massoneria. Hanno le stesse regole”.

Qui si vota il prossimo 26 gennaio e i partiti sono nel caos. Zingaretti ha fatto una coraggiosa operazione di rinnovamento escludendo il governatore uscente Mario Oliverio e candidando l’imprenditore Pippo Callipo. Ma il Pd calabrese è spaccato, Oliverio si presenterà comunque. E ora il coraggio del Nazareno si misurerà sulla trasparenza delle candidature. Anche la destra, che i sondaggi danno vincente con qualsiasi candidato, è in frantumi. In una cena ad Arcore di pochi giorni fa, Silvio Berlusconi ha deciso la candidatura della pupilla di Cesare Previti, Jole Santelli. Da Cosenza, però, dicono no e insistono per il sindaco della città Mario Occhiuto. La Lega ha le liste pronte e Fratelli d’Italia punta su Wanda Ferro. Teatrino. Perché la politica, da queste parti, è da anni lotta per finta. Di fronte agli affari e agli interessi, non esiste destra, né sinistra, esistono le “famiglie”, i gruppi di potere. E allora nell’operazione “Rinascita” della procura di Nicola Gratteri, ecco apparire un grande manovratore: Giancarlo Pittelli. Avvocato di grido e già parlamentare di Forza Italia fedelissimo di Berlusconi, passato due anni fa a Fratelli d’Italia incassando gli applausi di Giorgia Meloni che su Twitter esultava: “La comunità di Fratelli d’Italia cresce, si rafforza e dà il suo benvenuto a Giancarlo Pittelli: un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia”. Già. Massone del Goi, Pittelli, ma anche di logge coperte, ha contribuito, “pur non facendone formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi della ’ndrangheta”, scrivono i pm. L’avvocato era affascinato dal mito del boss Luigi Mancuso, ’o Supremo, per il quale svolgeva il ruolo di “uomo di cerniera” con le logge massoniche. “Per la formazione di Forza Italia, Dell’Utri contattò i Piromalli”, racconta l’ex parlamentare a un suo interlocutore, accostando i potenti boss di Gioia Tauro a Luigi Mancuso.

A disposizione della cosca, l’avvocato metteva la sua fitta rete di relazioni politiche, con uomini dell’economia e apparati dello Stato. Ma Pittelli, ora in carcere, era personaggio in buoni rapporti con Nicola Adamo, già vicepresidente della giunta regionale. Adamo è considerato il “puparo” del governatore Oliverio, il regista delle scelte per le prossime Regionali. Ora Adamo ha il divieto di dimora in Calabria. Per l’accusa avrebbe favorito una serie di interessi imprenditoriali “aggiustando sentenze” grazie a un suo amico magistrato. In cambio gli vengono promessi 50 mila euro. Che lui non rifiuta. Qualcuno forse sapeva dell’inchiesta. E tremava. Il 2 novembre scorso, davanti a una affollata platea di dirigenti del Pd e giornalisti, l’onorevole Enza Bruno Bossio (moglie di Adamo) attacca il procuratore di Catanzaro: “Gratteri ha ordinato a Zingaretti di non ricandidare Oliverio”. Gianluca Callipo, classe 1982, era una giovane promessa del Pd renziano. Sindaco di Pizzo Calabro, guardava con interesse al nuovo partito di Renzi, Italia Viva, ma per le Regionali si diceva pronto a sostenere la candidatura del forzista Mario Occhiuto. Anche lui è in carcere. Formalmente non fa parte della ’ndrangheta, ma di fatto – secondo le accuse – la favoriva negli affari.

Povera Calabria, dove pochi giorni fa è stato arrestato il sindaco di Villa San Giovanni, Giovanni Siclari (Forza Italia), fratello del senatore Marco, dello stesso partito. Sullo sfondo la solita storia di appalti e favori alla Caronte&Tourist che ha il monopolio dell’attraversamento dello Stretto. Fratelli d’Italia, invece, si è vista ammanettare il suo coordinatore regionale Alessandro Nicolò. La Procura antimafia di Reggio Calabria lo ritiene un “pupo” nelle mani della potente cosca Libri. Giorgia Meloni e Wanda Ferro, aspirante governatrice della Regione, brindarono quando Nicolò passò da Forza Italia a Fratelli d’Italia. Povera terra senza speranze e con flebili possibilità di Rinascita. Lo scriviamo con la maiuscola, perché così si chiama l’inchiesta della Procura di Catanzaro.

334 arresti e Gratteri esulta: “Calabria come un Lego”

’Ndrangheta, politica e pezzi infedeli dello Stato. Il blitz dell’operazione “Rinascita-Scott” è scattato ieri mattina all’alba: 334 arresti per un totale di 416 indagati. La Dda di Catanzaro ha smantellato la cosca Mancuso che, in provincia di Vibo Valentia, controlla anche il respiro delle persone. In manette sono finiti i boss di Limbadi, come il mammasantissima Luigi Mancuso detto lo Zio e ’o Supremo e i loro gregari. Ma anche ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci e professionisti al servizio dei clan. E avvocati massoni come Giancarlo Pittelli. Due comandanti della polizia municipale di Vibo e Pizzo e l’ex comandante del Nucleo operativo dei carabinieri di Catanzaro, Giorgio Naselli, da ieri sono agli arresti su disposizione del gip che ha accolto la richiesta della Procura di Catanzaro.

I politici arrestati sono il sindaco di Pizzo Gianluca Callipo (ex Pd), il consigliere regionale Luigi Incarnato e l’ex parlamentare Nicola Adamo. Per quest’ultimo, accusato di traffico di influenze, è stato disposto il divieto di dimora in Calabria. Tra gli indagati c’è anche un maresciallo della Guardia di finanza, Michele Marinaro, poi trasferito in servizio alla Presidenza del Consiglio. In manette è finito Orazio De Stefano, boss di Archi fratello del defunto “don Paolino” che, stando all’indagine si è rivolto a un suo uomo per far riscuotere un debito che interessa alla cosca Mancuso. Gli arresti sono stati eseguiti in 12 regioni e anche all’estero: Germania, Bulgaria e Svizzera. Associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri numerosi reati aggravati dalle modalità mafiose. “È la più grande operazione dopo quella che portò al maxi-processo di Palermo a Cosa Nostra – sostiene il procuratore capo Gratteri – e ha rischiato di essere danneggiata più volte da fughe di notizie, l’ultima volta mercoledì sera. Tanto che i 3mila carabinieri hanno dovuto accelerare anticipando l’operazione di 24 ore. Oggi è giornata storica e non solo per la Calabria. Ho dedicato più di 30 anni del mio lavoro a questa terra: smontare la Calabria come un Lego e poi rimontarla piano piano”.

Secondo Matteo

E siamo a sei in meno di un mese. Con quella annunciata urbi et orbi l’altroieri, le cause civili scagliate dallo stalker di Rignano sull’Arno contro il Fatto e/o il sottoscritto dal 26 novembre a oggi ammontano a sei. Forse ha saputo che, arrivato a quota 10, riceverà in premio una bambolina. O forse, dopo aver infranto i record precedentemente detenuti da B. & Salvini, vuol battere anche quello della presidentessa-avvocatessa-senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare che, per portarsi in vantaggio, suole recapitare ai nostri cronisti appositi avvertimenti a domicilio, sostenendo che lo impone il Codice civile (naturalmente non è vero). Fino a un mese fa, ogni volta che un pm apriva un’indagine su un suo parente o amico, lui denunciava noi. Ora si è aggravato: ci fa causa non appena lo nominiamo o parliamo di lui in termini men che lusinghieri, abituato com’è alle fellatio dei giornaloni. Non potendoci esimere dall’occuparci di lui per via del suo ruolo pubblico, ma volendo evitare sovraccarichi di lavoro ai nostri avvocati, tenteremo l’impresa di parlarne senza urtare la sua augusta suscettibilità.

Il figlio di San Tiziano e Santa Laura nasce il 25 dicembre di pochissimi anni fa in una grotta di Rignano, sormontata da apposita cometa, fra il bue e l’asinello. Dodici giorni dopo riceve la visita di tre magi, provenienti dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dal Lussemburgo, che portano in dono Open, Eyu e Big Bang. Il santo bambinello cresce in sapienza, età e grazia, insegnando le grandi riforme ai sommi sacerdoti del tempio e moltiplicando i pani e i pesci alla Ruota della Fortuna. Poco prima dei 30 anni entra nella vita pubblica predicando il verbo della rottamazione e facendosi nominare dirigente di un’azienda paterna (poi inspiegabilmente fallita) pochi giorni prima di essere eletto presidente della provincia di Firenze, mantenendo ovviamente lo stesso stipendio e gli stessi contributi pensionistici che aveva appena iniziato a ricevere dal babbo. Altri pubblici amministratori, per un simile trucco, sono stati condannati per truffa: lui però è santo e non riceve neppure un avviso di garanzia. Assume nella sua segreteria i suoi primi quattro discepoli, fra cui Marco Carrai, purtroppo privi dei requisiti previsti dalla legge (tipo la laurea) e dunque pagati con stipendi non dovuti, creando un danno erariale che la Corte dei Conti stima in 2 milioni condannandolo a risarcire 14 mila euro. Ma in appello lo assolve perché è sì laureato in legge, ma è un “non addetto ai lavori”, dunque le illegittimità sono per lui “di difficile percezione”.

In pratica: non capisce. È il viatico per diventare sindaco di Firenze, poi segretario del Pd e infine – previo Patto del Nazareno – presidente del Consiglio: il più giovane premier della Repubblica. Ma anche l’uomo più avvenente, muscoloso, slanciato, atletico, arrapante e irresistibile mai visto a Palazzo Chigi, come s’incarica di far sapere, in una conferenza a Dublino, il sobrio evangelista Riotta: “Abbiamo un giovane primo ministro fotogenico, forte, intelligente, sexy, digitalmente esperto, con il suo meraviglioso governo”. Le sue scelte sono improntate alla più rigorosa meritocrazia, come dimostrano le nomine di Alfano all’Interno, Madia alla Pubblica amministrazione, Orlando alla Giustizia, Lorenzin alla Salute, Lotti sottosegretario alla Presidenza e Boschi alle Riforme istituzionali. “Maria Elena Boschi – scrive ancora il Riotta – subisce molte, molte malignità perché è bella e bionda, molto bella e molto bionda, ed è, allo stesso tempo, una giovane avvocato capace di mettere in soggezione e che sa molto bene il fatto suo: non vorrei mai essere dalla parte opposta alla sua”. Ecco perché, in barba ai maligni, è stata scelta: perché molto bella, molto bionda e molto avvocata.

Intanto i miracoli di San Matteo si susseguono senza posa. Con la sola forza del pensiero, sostituisce i 30 denari con gli 80 euro e il Parlamento con la Leopolda. Resuscita Berlusconi, Verdini, Briatore, Presta, Lele Mora e pure Craxi. Fa apparire nei cieli l’Air Force R., costato appena 26 volte più del suo prezzo. E fa scomparire Ignazio Marino, l’articolo 18 e altri diritti dei lavoratori, un buon numero di reati fiscali, Banca Etruria, una dozzina di Rolex sauditi e un terzo della Costituzione. In sua vece, l’Arcangelo Gabriele appare in sogno a Luigi Marroni, capo di Consip, e a San Tiziano, per avvertirli che sono intercettati dal Satana togato; e a Carlo De Benedetti, per informarlo che sta per passare il decreto sulle Banche popolari, facendogli guadagnare 600 mila euro sull’unghia. Così anche Repubblica ed Espresso si aggiungono all’esercito degli evangelisti. Poi, purtroppo, dopo l’ultima cena all’Harry’s Bar con gli open-apostoli, sale sul calvario: il popolo, sobillato da scribi, sommi sacerdoti, costituzionalisti, professoroni, soloni, gufi e troll russi a colpi di fake news, boccia la sua meravigliosa riforma costituzionale, condannando l’Italia all’inferno e l’avvenente Matteo alla crocefissione. Lui, coerente come non mai, avendo annunciato il ritiro dalla politica in caso di sconfitta, resta in politica. Ha già pronti gli ultimi cinque mirabolanti miracoli. L’estinzione del Pd, passato in quattro anni dal 40,8 al 18,7%. Il trionfo dei 5Stelle e della Lega. La villa da 1,3 milioni comprata col prestito di 700 mila euro della madre di un imprenditore da lui nominato a Cdp. Il milione l’anno incassato predicando in giro per il mondo le stesse cazzate che prima diceva gratis. E la Resurrezione non dopo tre giorni, ma dopo tre anni, col nuovo partito Italia Viva, lanciatissimo verso il 4% ma purtroppo bloccato al 3 dal Barabba togato. Ora manca l’ultimo: la fuga non in Egitto, ma ad Hammamet.

Dalle case alle chiatte ai club: tutti celebrano Beethoven

Giubileo: questa l’altisonante parola che, se comunemente associata a infrequentissimi eventi religiosi, il popolo tedesco non teme attribuire al 250esimo anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven, che cadrà il 16 dicembre 2020 e renderà l’anno venturo il più beethoveniano di sempre. Non solo Bonn, città natale dell’immenso musicista, ma l’intera Germania ha infatti voluto celebrare il compositore di musica classica più eseguito al mondo costituendo già nel 2016 la Beethoven Anniversary Society e dando così, con larghissimo anticipo, il via ai preparativi per il giubileo musicale più atteso degli ultimi tempi. Ammonta a un totale di 27 milioni di euro l’ingente somma che il governo federale tedesco ha stanziato per celebrarlo, una cifra che darà luogo a una miriade di iniziative ed eventi tra i quali alcuni decisamente più originali e creativi di tanti altri.

Considerato infatti che il genio di Bonn usava spesso firmarsi con le sole consonanti del cognome, è giocando proprio con le lettere BTHVN che i tedeschi hanno individuato i cinque temi principali delle attività: B come Bonn Cosmopolitan (cosmopolita nato a Bonn), T come Tonkünstler (compositore), H come Humanist (umanista), V come Visionary (visionario) e, infine, N come Nature lover (amante della natura). Ed è dunque lasciandosi ispirare dalla lettera H e dal corrispondente concetto di “umanista” che si è pensato di far emergere una vera e propria moltitudine di concerti direttamente dalle abitazioni dei privati cittadini sparse su tutto il suolo tedesco: è stato il 14 e 15 dicembre scorsi il progetto “Beethoven at Home” a portare nelle case, nei negozi e nei club tedeschi un pullulare di concerti domestici come quando, ai tempi del grande compositore, per i musicisti era assolutamente normale esibirsi nelle abitazioni private. È seguendo invece la lettera V, “visionario”, che ha preso corpo FUTURA, progetto grazie al quale una “chiatta da concerto” eseguirà musica sperimentale viaggiando per tutto l’anno beethoveniano lungo i corsi d’acqua da Bonn a Vienna. È, ancora oltre, devotamente osservando la parola “compositore” che, oltre a realizzare a inizio 2020 un’edizione in più del Beethovenfest, festival già normalmente in programma nel mese di settembre di ogni anno, verrà commissionata nuova musica di modo che il jazz, il rock e la musica pop dei club tedeschi suoneranno con un tocco beethoveniano.

Ciò detto, non è solo la Germania a festeggiare il meraviglioso genio tedesco: in tutto il mondo l’illuminato autore delle sinfonie Eroica e Pastorale, dell’Allegretto più famoso di tutti i tempi (il secondo movimento della sua Settima Sinfonia) e di una moltitudine di ulteriori perle musicali verrà degnamente celebrato. Così come a San Francisco, laddove cioè tutta la Bay Area della città californiana sarà adibita, per tutto l’anno venturo, alla celebrazione del caro Ludovico Van: è stata infatti l’American Beethoven Society a realizzare il calendario e la pagina web Beethoven@250, così da mettere in evidenza organizzazioni performative, singoli musicisti, gruppi, insegnanti, studenti, professionisti e dilettanti che, a vario titolo, prenderanno parte alle celebrazioni. Ma è tornando a Bonn che troviamo ancora una volta un entusiasmo celebrativo decisamente fuori dalla norma: cinque opere, commissionate a compositori di Austria, Germania, Russia, Francia e Italia dal Beethovenfest in occasione delle sue ultime cinque edizioni e ispirate ognuna a un diverso lavoro di Beethoven, verranno ripetute a marzo da grandi orchestre provenienti dai cinque rispettivi paesi. Questo sembra essere quello che si dice investire in cultura, cosa che si capisce concretamente paragonando gli stanziamenti tedeschi per il 250esimo beethoveniano a quelli italiani per il 200esimo verdiano dell’anno 2013: un ammontare complessivo di 4,25 milioni per l’autore di Aida contro i summenzionati 27. Poco meno di 700.000 euro invece sono stati stanziati nel 2018 per il 150esimo anniversario della morte di Gioachino Rossini. Intelligenti pauca.

I premi Ubu incoronano i soliti noti: Piccolo sconfitto, Roma in ripresa

Latella, Popolizio, mk…: più che “aprirsi a nuove prospettive”, come pomposamente recita lo statuto, i Premi Ubu fotografano anche quest’anno quel che già c’è, omaggiando gli happy few del teatro italiano contemporaneo. Difficile riconoscere – negli Oscar nostrani dell’arte cosiddetta drammatica – “un riconoscimento a sguardo lungo, che cerca di individuare non solo il meglio che c’è, ma quello che verrà”: sulla carta, gli Ubu somigliano più alla nottola di Minerva, non una svegliona, insomma, ma con indubbia dignità filosofica.

La quarantaduesima edizione del premio, curata dall’Associazione Ubu per Franco Quadri con il contributo del Mibact, è andata in scena lunedì sera al Piccolo Teatro di Milano e in diretta radiofonica su Rai Radio 3: grande sconfitto è proprio il padrone di casa, il pluriblasonato tempio di Strehler e Grassi, che nel 2019 non ha incassato nemmeno un premio, concorrendo invero in poche categorie. Roma, viceversa – tra Nazionale, festival Romaeuropa e Vascello –, è in ripresa, ma forse è presto per parlare di renaissance, anche perché dovremmo imparare a parlare prima in francese.

Il meccanismo di voto è referendario e ha coinvolto in questa tornata 64 critici e/o studiosi. Tra tutti, l’assegnazione che più colpisce è quella dedicata alla memoria di Franco Quadri, fondatore dei venerati Ubu: questo premio speciale è andato più che meritatamente a Maria Grazia Gregori, appassionata critica dell’Unità e appassionata prof di Storia del teatro alla “Paolo Grassi” di Milano, una istituzione, e di rara autoironia per essere una istituzione. L’omaggio colpisce anche perché Gregori si è defilata dalla giuria degli Ubu qualche anno fa, insieme con altri importanti critici della carta stampata (come Anna Bandettini di Repubblica; Renato Palazzi della Domenica del Sole 24 Ore ; Magda Poli del Corriere della Sera).

Quanto ai premi maggiori, “Miglior spettacolo” del 2019 non è uno, ma due: Aminta diretto da Antonio Latella e Un nemico del popolo firmato da Massimo Popolizio. L’unico altro ex aequo è nella categoria “Nuova attrice o performer (under 35)” – Marina Occhionero e Matilde Vigna –, mentre il corrispettivo maschile è stato consegnato ad Andrea Argentieri. Domani lo spirito del tempo contagerà anche il vetusto teatro e i generi maschio/femmina scompariranno dalle categorie, ma per adesso possiamo ancora agitare il vessillo del girl power al conferimento della “Miglior regia” a una donna: Lisa Ferlazzo Natoli per When the Rain Stops Falling. E poco importa se la “Miglior attrice” è Maria Paiato nei panni di un uomo ne Un nemico del popolo: superba, come sempre, così come il collega Lino Musella che ha vinto – complice il genio di Jan Fabre – per The Night Writer.

“Miglior spettacolo di danza” è Bermudas Forever di Michele Di Stefano/mk; “Migliore spettacolo straniero presentato in Italia” è The Repetition – Histoire(s) du théâtre di Milo Rau; “Migliore curatore” Settimio Pisano con la Primavera dei Teatri; “Miglior scenografia” quella di Stefano Tè, Dino Serra e Massimo Zanelli per Moby Dick; “Miglior disegno luci” a Gianni Staropoli (Quasi niente); “Miglior progetto sonoro” a Hubert Westkemper (Lo Psicopompo e La classe); “Migliori costumi” quelli di Gianluca Falaschi (Orgoglio e pregiudizio e When the Rain Stops Falling). When the Rain Stops Falling di Andrew Bovell è stato giudicato anche il “Miglior nuovo testo straniero”; quello italiano, invece, è andato al commovente L’abisso di Davide Enia.

Chiude l’edizione 2019 una pletora di premi extra: quello alla carriera è per Mimmo Cuticchio, mentre gli Ubu Speciali vanno a Fanny & Alexander, Pupi e Fresedde, Teatro di Rifredi e Angelo Savelli, Associazione Riccione Teatro e Premio Riccione per il Teatro. Che bizzarria: un premio di teatro che premia un altro premio di teatro… Sia mai di sbagliare destinatario.

“Competitivi tra poveri: è la guerra dei precari”

Ken Loach, l’unico regista al mondo che prima di farsi intervistare chiede al suo interlocutore se è soddisfatto del lavoro (e se è pagato a sufficienza), sta provando la rabbia e il dolore “delle peggiori elezioni politiche da quando sono nato”. E per quanto metta sullo stesso piano le mostruosità del thatcherismo e “johnsonismo” (“partono da uguali presupposti e da simili bugie”), fatica a rintracciare oggi un happy end a breve scadenza.

Arrivato a Roma passando per i sindacalisti di Bologna, il cineasta è in pieno tour promozionale del suo nuovo film, Sorry We Missed You, già acclamato al Festival di Cannes e in uscita il prossimo 2 gennaio; ma è chiaro che un militante come lui non voglia né possa sottrarsi dalla responsabilità di spiegare come stanno le cose, o meglio dove stia la grande menzogna che ha devastato politicamente il Regno Unito, la cui ultima settimana “non è stata molto buona” per dirla con britannici eufemismi.

Mister Loach, che spiegazione dà dell’accaduto?

La gente era confusa perché è stata ingannata dalla peggior propaganda mai sperimentata nel mio Paese, un’esperienza feroce e selvaggia. Hanno fatto passare il leader laburista Corbyn per razzista e simpatizzante del terrorismo, il che è completamente falso, essendo lui un uomo di pace.

Inganno, menzogna: sono accuse molto gravi.

La bugia mi è stata personalmente svelata quando sono andato a parlare con le persone porta a porta.

E quali sarebbero, secondo lei, i colpevoli?

Sono stati i socialdemocratici di destra a distruggere volontariamente il programma radicale che la sinistra tentava di portare avanti. E in una situazione già tragica, sapete chi è tornato a dare lezioni di politica sparando a zero sul Labour? Tony Blair, colui che ha messo la Gran Bretagna nelle mani delle corporation privatizzando qualunque realtà pubblica, e che col suo amico Bush ha sulla coscienza almeno un milione di vittime in Iraq.

Nel suo film Sorry We Missed You torna su un tema a lei caro, il lavoro. Come crede sia cambiato quel mondo?

Oggi non sono più i padroni a flagellare gli operai, è lo strumento della competizione – chiave del capitalismo – a governare. Nel film abbiamo tentato di mostrare come si riduce un ‘free-lance precario’ nel mondo delle consegne a domicilio per conto del mercato online. La competizione regna a ogni livello della scala professionale, dai manager ai magazzinieri, permettendo al boss di Amazon di diventare l’uomo più ricco del pianeta.

Quali potrebbero essere le vie d’uscita?

I sindacati devono tornare ai metodi originari, pensando più a organizzare i lavoratori che non ad arredare uffici costosi. E inoltre gli intellettuali devono cercare di non perdere la loro voce, perché anche un sussurro in un coro multiforme più avere un peso.

Però anche il mondo degli intellettuali, e nel suo caso dei cineasti, è decisamente cambiato.

Mi ritengo molto fortunato perché godo di una certa libertà espressiva dagli anni 60, quando ho iniziato con la Bbc. Mi rendo conto che oggi per i giovani autori con personalità sia sempre più complesso trovare spazi nell’industria e mercato audiovisivi, governati da burocrazie piramidali orientate al controllo totale dei progetti.

Torniamo per un attimo alla Gran Bretagna: rileva contraddizioni nel rapporto tra la sinistra inglese e l’Europa?

Dal punto di vista della sinistra british è un paradosso: da una parte vuole solidarizzare con tutta la working class europea, ma dall’altra non può farlo in un’Europa costruita sul libero mercato, principio economico ispiratore dei trattati della Ue. Quindi la sinistra dice sì all’Europa ma non a questa. Il problema è che anche questa distinzione è stata strumentalizzata dalla propaganda.

Ha letto che in Italia si è sviluppato un movimento spontaneo, che è stato denominato “Sardine”?

Se dallo sprofondamento del passato ci hanno salvato le controculture, sono certo risorgeranno come funghi… anzi come le vostre Sardine: a proposito, da che parte stanno loro?

Secondo lei?

Il mio consiglio è che siano chiare sul loro “colore”, la gente oggi ha bisogno di certezze.