È un gioco contro il tempo la partita delle sanzioni che vede gli Usa contro il consorzio russo-europeo di Nord Stream 2 per il completamento del gasdotto del Baltico (costo: 9,5 miliardi).
Dopo essere passate alla Camera dei rappresentanti Usa, anche il Senato martedì le ha approvate. L’obiettivo dichiarato dai promotori delle sanzioni, come il senatore Ted Cruz, è duplice: “Proteggere la sicurezza energetica dell’Europa”, ovvero evitare il potenziamento della dipendenza energetica europea dalla Russia, e difendere il ruolo geopolitico dell’Ucraina come terra di transito privilegiata del gas russo. Ma non è un segreto per nessuno che dietro le preoccupazioni strategiche e geopolitiche degli Usa, ci siano anche ragioni di concorrenza economica di non poco rilievo, come la vendita ai Paesi europei del gas americano estratto dal Fracking. Berlino reagisce: “Noi siamo contro le sanzioni extraterritoriali, come si è già visto anche nel caso dell’Iran, dove abbiamo lo stesso problema”, ha detto la cancelliera Angela Merkel ieri, rispondendo alla domanda di un parlamentare al Bundestag, Oggi prevista una riunione a Berlino fra Russia, Ucraina e Germania coordinata dal- l’Unione europea.
La costruzione della pipeline del Baltico è arrivata alle sue battute finali. Il consorzio di Nord Stream 2 sostiene che sono già stati posati più di 2.100 chilometri di gasdotto e ne manchino all’appello appena 300. Il gasdotto, che si compone di due porzioni di circa 1.200 km l’una da Ust-Luga (Russia) a Greifswald (Germania), è un raddoppio dell’esistente Nord Stream in funzione dal 2011 e trasporterà 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno a partire dal 2020.
A dover essere completata è la porzione a sud-est di Bornholm, l’isola della Danimarca. I lavori potrebbero essere finiti entro i 60 giorni entro i quali la legge Usa renderà pubblici in un documento i nomi delle aziende coinvolte dalle sanzioni. A quanto è dato sapere, potrebbe non essere colpito il consorzio di Nord Stream 2, composto al 50% da Gazprom, l’azienda energetica russa, e per il restante 50% da 5 imprese europee: le tedesche Uniper e Wintershell Dea, la francese Engie, l’austriaca Omv e la britannica-olandese Royal Dutch Shell. Coinvolte potrebbero essere invece le poche imprese al mondo che dispongono di navi in grado di posare le condutture in fondo al mare e di congiungerle fra loro: ecco il tallone d’Achille del progetto. In particolare la svizzera Allseas, con la sua nave Pioneering Spirit, e l’italiana Saipem con la C10. “Le attività in cui Saipem è coinvolta sul progetto non riguardano la posa della condotta, bensì della giunzione (tie-in) di due spezzoni già posati”, specifica l’azienda italiana al Fatto Quotidiano. Il lavoro che resta da fare da parte della nave C10 è “molto limitato”, continua l’azienda specificando che “sulla base delle informazioni disponibili, Saipem non crede che tale progetto di legge si applichi agli impegni contrattuali esistenti da parte di Saipem per North Stream 2”. Dunque, non si prevedono sanzioni. Certo è che le misure mettono con le spalle al muro un’azienda. Prevedono infatti il blocco dei visti di ingresso per i manager, il ritiro di quelli esistenti e il blocco delle transazioni in essere. Secondo Mosca la pipeline non corre nessun pericolo: “Presumiamo che verrà completata” ha detto il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov all’Interfax.