Il privilegio di rovinare il saluto a Casellati

Del video porno piombato ieri in diretta sul canale web del Senato si è sghignazzato quanto basta. Sessanta secondi buoni di performance, seppur digitali, che hanno rovinato la lettura iniziale del saluto della presidente Elisabetta Casellati e, di conseguenza, il pomeriggio di più di qualche funzionario a palazzo Giustiniani. Ma non paghi dell’interferenza, gli organizzatori del convegno – senatori 5S che avevano tra gli ospiti anche il Nobel Giorgio Parisi – hanno dimenticato aperto l’audio per una decina di minuti dopo la fine degli interventi. E s’è svelato l’arcano: per bucare la piattaforma non è servito alcun attacco hacker, bensì – hanno spiegato all’incredula moderatrice Maria Laura Mantovani – è bastato non fare distinzione di “privilegi” tra i partecipanti e i relatori, per cui chiunque era libero di condividere lo schermo con gli altri. “Queste cose però vanno progettate prima, è logico che se uno non ci pensa…”, si è lamentata la senatrice che ha dovuto gestire il fattaccio. Che poi stessero tutti seriamente discutendo di “regole e garanzie sugli open data”, è un dettaglio. Quando “la pubblica amministrazione è trasparente”, mica può mettersi a questionare su quel che passa lo Zoom.

Solo noi cecchini possiam salvare Matteo dal Nano

Fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato, questa rubrica si propone di registrare – attraverso colloqui oltraggiosamente anonimi – manovre, pettegolezzi e cattivi umori di quei Grandi elettori che non contano niente, ma possono impallinare tutti.

Mi chiede se sono orgoglioso di esercitare il mio diritto di voto come meglio mi aggrada e fuori dal gregge dei colleghi pecoroni? Ma certo che sì e con sommo entusiasmo. Cominciamo col dire che il franco tiratore – su cui pesa l’ingiusta nomea di traditore e voltagabbana – è in realtà un libero pensatore, forse l’ultimo libero pensatore di questa nostra agonizzante democrazia parlamentare. Abbiamo infatti a che fare con una storia gloriosa che annovera prestigiosi e insospettabili nomi della politica e della cultura. Si cita, per esempio, il cecchinaggio che nella Prima Repubblica affondò la candidatura di Amintore Fanfani, con la scheda dove c’era scritto: “Nano maledetto non sarai mai eletto”. Ebbene, lei forse non sa che quella rima sontuosa fu attribuita nientemeno che al Premio Nobel e senatore a vita, Eugenio Montale, il quale detestava, ricambiato, il tiranno aretino. Ma veniamo all’oggi e alla candidatura di Silvio Berlusconi, annunciata dalla coppia Salvini e Meloni come se gli stessero cavando un dente. Il perché è scritto sui muri. I voti del centrodestra non ci saranno mai nella misura richiesta perché non sono pochi, anzi sono troppi, coloro che nei gruppi parlamentari di Lega e FdI considerano il “nano”, così viene affettuosamente chiamato un signore bollitissimo e soprattutto una catastrofe politica che farebbe tornare il centrodestra indietro di trent’anni. Poiché i due cosiddetti leader non hanno il coraggio di dirgli di no in faccia, perché è notoriamente lui a tenere i cordoni della borsa, e ci siamo capiti, adesso sperano ardentemente che siano i franchi tiratori a fare il lavoro sporco al posto loro. Infatti continuano a dire che il centrodestra sarà compatto su Berlusconi e intanto già parlano di altre candidature. Mi dia retta, se il “pregiudicato”, come lo chiamate voi del Fatto, nei prossimi sette anni resterà a fare compagnia a Dudù e Dudina, il merito esclusivo sarà di noi cecchini. E, questa volta, senza colpo ferire.

“Congo: l’Eni pagò, ma fu costretta”. A rischio l’indagine su Descalzi&C.

Chiuso, con un’assoluzione in primo grado, il processo per la presunta corruzione internazionale in Nigeria, resta aperto per Eni il procedimento per le corruzioni in Congo. Già sanata la posizione della società: uscita dall’inchiesta nel marzo 2021 con un patteggiamento che ha comportato il pagamento di 11,8 milioni di euro e il cambiamento del reato contestato, da corruzione internazionale alla più lieve “induzione indebita internazionale”. Nelle prossime settimane la Procura di Milano chiuderà l’indagine a carico delle persone fisiche, tra cui l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi.

La società. “Non deve essere pronunciata una sentenza di proscioglimento… esistendo sufficienti elementi circa la sussistenza del fatto”: così scrive la giudice Sofia Fioretta nella sentenza di patteggiamento. Il “fatto” è che quattro persone, tra cui l’ex numero due di Eni, Roberto Casula (oggi uscito dal gruppo), hanno “ottenuto da pubblici ufficiali congolesi quote di permessi di sfruttamento petrolifero a favore di Eni, dopo essere stati indotti a corrispondere ai predetti pubblici ufficiali utilità consistite nel consentire l’ingresso di società private, riconducibili ai medesimi pubblici ufficiali, nei permessi di sfruttamento petrolifero”. Dunque Eni, “a condizioni estremamente più vantaggiose rispetto alle condizioni contrattuali e tributarie precedenti”, ha ottenuto dal consigliere petrolifero del dittatore congolese Sassou Nguesso, Denis Gokana, il rinnovo di quattro licenze petrolifere (Marine VI e Marine VII, Southern Sector e Madigno). In cambio, la società di Stato italiana ha ceduto parte delle sue quote in questi giacimenti (per un valore di 77 milioni di dollari) a due piccole imprese private appartenenti al cerchio magico del dittatore: la Aogc, fondata dallo stesso Gokana, e la Petro Kongo, appartenente a Gokana e ad altri due soci. Una parte di queste quote (per il valore di 23 milioni di dollari) è stata poi retrocessa a uomini Eni, a Casula e ai suoi soci privati (l’italiana Maria Paduano; il britannico con cittadinanza monegasca, Alexander Haly; il francese con residenza israeliana, Gad Cohen) tramite la società Wnr Ltd. Per mesi i pm Sergio Spadaro e Paolo Storari hanno aspettato dai colleghi del Principato di Monaco la risposta alla rogatoria internazionale per poter analizzare i conti correnti di Haly, che oltre a essere socio di Casula lo è stato anche (in un’altra società, la Petroservice, per anni fornitrice di Eni) di Marie Madeleine Ingoba, la moglie congolese di Descalzi. La risposta non è mai arrivata e la Procura ha concordato il patteggiamento con Eni, modificando l’imputazione. “Secondo la nuova ipotesi di reato”, si legge nella sentenza, “non vi è stato alcun accordo corruttivo alla pari ma, al contrario, Eni (…) è stata vittima e persona offesa di quella che oggi viene qualificato come reato di induzione indebita o meglio di concussione per induzione”.

I manager. Ora toccherà al pm Giovanni Polizzi (che ha ereditato l’indagine dopo l’astensione di Storari, coinvolto nel conflitto scoppiato alla Procura di Milano in seguito all’uscita dei verbali segreti di Piero Amara) chiudere l’inchiesta e decidere se derubricare l’accusa, da corruzione internazionale a induzione indebita, anche alle persone fisiche, Casula e i suoi coindagati. Di certo appare arduo considerare una multinazionale come Eni e i suoi manager di vertice concussi e intimiditi come fossero un piccolo imprenditore in balìa di un potente amministratore: Eni ha un fatturato (44 miliardi di euro) quasi cinque volte superiore al Pil del Congo-Brazzaville (10,88 miliardi di dollari); Descalzi ha fatto una parte importante della sua carriera proprio in Congo; e sua moglie, “Madò” Ingoba, fa parte dell’élite di potere congolese, è amica del dittatore Sassou Nguesso e socia in affari di sua figlia.

Polizzi dovrà ora valutare le posizioni dei suoi indagati, per ora ancora accusati di corruzione internazionale: Casula e ai suoi sodali (Maria Paduano, Andrea Pulcini, Alexander Haly) sono secondo la Procura tutti “soggetti collegati a Eni spa”. Casula si è autosospeso dalla compagnia soltanto dopo le perquisizioni subite nella primavera del 2018. Pulcini è stato, dal 1994 al 2005, direttore generale di Agip Trading Services Uk, società londinese del gruppo Eni. Paduano, legata sentimentalmente a Casula, è una sua prestanome, tanto che nel marzo 2016 firma il preliminare d’acquisto di un attico da 200 metri quadri nel centro di Roma (valore dichiarato 1,1 milioni di euro) e nel giugno del 2017 cede il preliminare a Casula, che diventa proprietario del superattico. Tre mesi dopo, Paduano viene assunta dall’Eni. E in una email sequestrata dalla Procura di Milano, “Marinù” Paduano scrive a un avvocato: “Non fare menzione del fatto che sono un prestanome”. Haly era sospettato dai pm milanesi di essere invece il prestanome della coppia Descalzi-Ingoba. Ma ora Descalzi ripete di aver rotto i rapporti con la moglie e di non sapere nulla dei suoi affari. E il Principato di Monaco continua a bloccare la rogatoria che potrebbe far chiarezza sui rapporti Haly-Ingoba-Descalzi.

Conflitto d’interessi. L’inchiesta milanese riguarda anche l’accusa di omessa comunicazione di conflitto d’interessi a carico di Descalzi, per non aver comunicato gli affari che la moglie aveva con Eni. “Madò” Ingoba controllava infatti alcune società (attraverso la lussemburghese Cardon) che negli anni hanno incassato da Eni almeno 300 milioni di dollari per servizi logistici. Un insuperabile conflitto d’interessi, che Madò ha tentato di sciogliere vendendo (l’8 aprile 2014, sei giorni prima che Descalzi fosse designato ad di Eni) la sua quota di Cardon all’amico Haly; e Descalzi dicendo di non sapere nulla degli affari della moglie, intanto iscritta nel registro degli indagati anche per corruzione internazionale. Questa parte dell’inchiesta è a rischio, perché Storari, prima di lasciare il fascicolo, non ha chiesto la proroga delle indagini di cui erano scaduti i termini: Polizzi dovrà ora decidere se archiviare, oppure procedere con i soli atti d’indagine già presenti nel fascicolo che ha ereditato.

“Processate Giuliani, n. 1 dei notai di Roma”

L’ex presidentenazionale del notariato, Cesare Felice Giuliani, rischia un secondo processo per abuso d’ufficio. Davanti al Gup, la Procura di Roma ha chiesto per lui il processo per aver promosso, da presidente del consiglio notarile del distretto della Capitale, un procedimento disciplinare contro il collega Andrea Mosca, omettendo che ci fosse un “conflitto di interessi” con quest’ultimo e quindi “non astenendosi”. Mosca nel 2015 aveva denunciato di aver subito pressioni proprio da Giuliani e altri due notai per alcuni rogiti da stipulare nella Capitale. Per quella vicenda, Giuliani è già imputato per abuso d’ufficio e concussione e si era dimesso dalla carica nazionale.

Agata Scuto, arrestato ex compagno madre

I carabinieridi Acireale, in provincia di Catania, hanno arrestato Rosario Palermo con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere nei confronti di Agata Scuto, la 22enne scomparsa da casa nel giugno del 2012. Secondo la Procura catanese l’uomo, oggi 61enne e che all’epoca era il compagno della madre della ragazza, avrebbe strangolato la giovane fino a ucciderla, dando poi fuoco al cadavere in un casolare nel Siracusano. Il movente sarebbe stato la gravidanza di Scuto, con cui l’uomo avrebbe avuto una relazione segreta. L’uomo, in un’intercettazione mentre parlava da solo in auto, si autoaccusava del delitto: “La ragazza che dovevo far sparire, mi spavento se la trovano”, aggiungendo in seguito di aver paura di essere arrestato.

Saman, lo zio estradato in Italia il 20 gennaio

Danish Hasnain, lo zio della 18enne Saman Abbas scomparsa lo scorso maggio a Novellara (provincia di Reggio Emilia), sarà estradato in Italia il 20 gennaio. L’uomo era stato arrestato in Francia a settembre, con l’accusa di omicidio premeditato, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Secondo gli investigatori sarebbe stato lui l’autore materiale dell’omicidio della giovane di origine pachistana, in seguito al suo rifiuto di accettare un matrimonio combinato. Indagati anche i genitori di Abbas, entrambi fuggiti in Pakistan dallo scorso maggio. Hasnain atterrerà in Italia nel primo pomeriggio di giovedì a Bologna, per poi essere portato nel carcere reggiano a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Genchi, archivio lecito: respinto il ricorso. “Piano per farmi fuori”

Era il gennaio del 2009 e l’allora premier Silvio Berlusconi annunciava: “Sarà il più grande scandalo della storia della Repubblica. Un signore ha messo sotto controllo 350 mila persone”. Quel signore era Gioacchino Genchi, oggi avvocato penalista, all’epoca consulente nelle indagini condotte da Luigi de Magistris. Il più grande scandalo della Repubblica non era uno scandalo: a mettere la parola fine sul caso Genchi è stata ieri la Cassazione.

Secondo il Garante della Privacy Genchi – tra i massimi esperti nelle indagini informatiche sui dati telefonici – avrebbe gestito “illecitamente” la sua banca dati costruita nel coso di 351 incarichi. Già nel 2019 il tribunale di Palermo aveva sconfessato questa tesi (il Garante aveva multato Genchi per 192mila euro) e ieri la Cassazione l’ha confermato: “il trattamento dei dati che avviene per fini di giustizia è scevro da adempimenti di carattere formale e non è perciò sanzionabile”.

Ad attivare il Garante fu l’ex procuratore aggiunto della Procura nazionale antimafia Alberto Cisterna: Genchi scoprì che Cisterna era stato in contatto con Luciano Lo Giudice, esponente di una famiglia legata alla ‘ndrangheta di Reggio Calabria e, proprio per questo motivo, Cisterna fu punito dal Csm. A sua volta, sul presupposto che Genchi avesse illecitamente gestito la sua banca dati, Cisterna lo denunciò al Garante avviando la pratica giudiziaria che si è conclusa ieri con il verdetto della Cassazione. Si chiude così, a 12 anni di distanza (nel 2009 fu perquisito dal Ros dei Carabinieri e il suo archivio sequestrato) la lunga parabola che ha visto Genchi assolto su tutti i fronti. Nel frattempo ha lasciato il suo incarico da funzionario di Polizia e di perito informatico per le procure. E oggi contrattacca: “C’era un disegno per farmi fuori. Fui sospeso dalla Polizia dopo essere stato sentito dai pm sulla strage di via D’Amelio, in seguito alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza”.

In appello saranno sentiti nuovi testi, anche Pignatone

Nella prima udienza in appello a Perugia, per il processo sul rimpatrio di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muhtar Ablyazov, le difese degli imputati ottengono quel che fu rifiutato dal tribunale in primo grado: il 4 aprile saranno sentiti come testimoni l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (che autorizzò l’espulsione), l’aggiunto Nello Rossi e il pm Eugenio Albamonte. Shalabyeva fu rimpatriata in Kazakistan nel 2013 e per questa procedura, ritenuta illegale dalla sentenza di primo grado, sono stati condannati per sequestro di persona l’ex capo della squadra mobile di Roma, Renato Cortese, e l’ex capo dell’ufficio immigrazione Maurizio Improta con altri 5 imputati. I giudici non hanno accolto la richiesta di sentire come testimone l’ex consigliere del Csm Luca Palamara. Respinta anche l’acquisizione delle interrogazioni parlamentari sulla vicenda (il governo due giorni fa ha confermato che la procedura fu regolare) poiché si tratta di “valutazioni già espresse in sede ispettiva e quindi già agli atti”.

“Ai Paesi poveri vaccini in scadenza, i Paperoni sono sempre più ricchi”

Airfinity, società internazionale che studia i numeri della pandemia, ha stimato già lo scorso settembre che 241 milioni di dosi di vaccini acquistate dal G7 e dall’Ue rimarranno inutilizzate e scadranno entro marzo, previsione ora confermata dai fatti. L’Unicef, infatti, ha denunciato che le nazioni più povere hanno rifiutato più di 100 milioni di dosi nel solo dicembre a causa della breve durata di conservazione.

L’amministratore delegato di Airfinity, Rasmus Bech Hansen, ha spiegato: “Questi numeri mostrano che la vaccinazione nel mondo ora è in gran parte un problema di distribuzione e non più un problema di approvvigionamento. Anche dopo il successo del booster, sono disponibili dosi in eccesso che rischiano di andare sprecate se non condivise molto presto. L’emergere di Omicron e la probabilità di future varianti dimostrano che non c’è tempo da perdere”. Matt Linley, capo analista di Airfinity, insiste: “I Paesi hanno bisogno che questi vaccini abbiano una durata minima di due mesi (dalla consegna, ndr), altrimenti non c’è abbastanza tempo per portarli alle persone che ne hanno bisogno. Senza prendere in considerazione questo requisito di due mesi il numero di dosi potenzialmente sprecate potrebbe salire a 500 milioni entro marzo”.

Così, anche se sono disponibili vaccini sicuri ed efficaci, oltre l’80% delle dosi è stato utilizzato dai Paesi del G20, mentre meno dell’1% ha raggiunto i Paesi a basso reddito. La percentuale di persone che muore a causa del virus in questi Paesi, spiega l’Oxfam nel suo ultimo rapporto La pandemia della disuguaglianza, è il doppio di quella dei Paesi ricchi, mentre a oggi è stato vaccinato appena il 4,81% della loro popolazione. Dati che evidenziano come la pandemia abbia inasprito anche le disuguaglianze finanziarie. Come nel caso dei monopoli delle case farmaceutiche. Pfizer Biontech e Moderna sono riuscite a realizzare utili per mille dollari al secondo e creare cinque nuovi miliardari. “Paperoni” che si trovano in buona compagnia. Nei primi 2 anni di pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15 mila dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Ma nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà. Così, il surplus patrimoniale del solo Jeff Bezos, il patron di Amazon, nei primi 21 mesi della pandemia (+81,5 miliardi di dollari) equivale al costo completo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale. Anche in Italia il numero dei miliardari nella lista Forbes è aumentato da 36 a 49. “La disuguaglianza non è una fatalità, ma il risultato di precise scelte politiche”, ha detto Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International che per questo ripropone l’idea di una tassa sui più ricchi.

“Perché in Uk aboliamo Green pass e restrizioni”

La Gran Bretagna pensa di abolire, a partire dal 26 gennaio, il Green pass introdotto prima di Natale, così come gran parte delle restrizioni. Anche la Danimarca, nonostante i contagi e ricoveri da record, ha deciso ieri di riaprire musei, teatri, cinema e impianti sportivi. La via l’ha tracciata la Spagna: il passaggio a una gestione e sorveglianza del Covid come “malattia endemica”. Per orientarci abbiamo intervistato Robert Dingwall, già membro della Commissione governativa inglese per le vaccinazioni e le immunizzazioni (Jcvi) e tra i maggiori esperti di sociologia medica e politiche sanitarie.

Professor Dingwall, la Gran Bretagna cambia strategia?

Il piano è quello di rimuovere tutte le restrizioni, compresi i pass vaccinali, salvo due eccezioni. Potrebbe comunque rimanere il tampone negativo per alcuni casi particolari, così come l’uso delle mascherine: una raccomandazione, non obbligo. Inoltre, è in corso un dibattito sull’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari. Il National Health Service è preoccupato dell’impatto sul personale.

Omicron sembra significativamente meno letale. L’Europa potrebbe trovarsi a seguire la via inglese?

La diffusione di Omicron in Europa, visti i numeri, si tradurrà, per la maggior parte dei cittadini, con un alto grado di immunità naturale contro la malattia grave attraverso le cellule T che costituiscono la nostra memoria immunitaria. Queste cellule si attivano più lentamente, quindi la gente non smetterà di ammalarsi, ma lavorano molto più a lungo degli anticorpi: la protezione calante dei vaccini non dovrebbe costituire più un problema.

Siamo quindi entrati in una fase di endemia?

Il Covid sarà paragonabile per gravità all’influenza: in pochissimi avranno bisogno di cure ospedaliere, a meno che non siano soggetti a rischio. I Paesi europei probabilmente si muoveranno a velocità diverse, a seconda del livello di paura e di ansia delle popolazioni, dei rischi considerati tollerabili e dell’impatto economico. I Paesi ad alta vocazione turistica penso si muoveranno più rapidamente. Potrei viaggiare in Italia, per esempio, ma sceglierei di farlo se le mie vacanze fossero condizionate dalle attuali restrizioni?

Cyrille Cohen ha detto che in Israele “l’onda di Omicron finirà solo dopo che le masse saranno state infettate”.

Con Omicron è più importante che mai distinguere tra infezione e malattia. Dovremmo aspettarci che la maggior parte di noi verrà infettato, ma questo non si tradurrà in grandi ondate di ricoveri e morti. Semmai, in molte assenze dal lavoro a causa di tamponi positivi per soggetti asintomatici o paucisintomatici. Trattare il Covid come qualsiasi altra malattia respiratoria minore sarà inevitabile. I test di massa sono costosi e inutili.

L’Italia ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli over 50. Cosa ne pensa?

È difficile ora vedere effetti della vaccinazione obbligatoria, tolto il conflitto sociale. La mancata adesione alla campagna vaccinale ha molte cause non risolte dall’obbligo. E dato che i vaccinati sono protetti contro la malattia grave ma sono ancora in grado di trasmettere il virus, il problema resta. Sarebbe meglio cercare di raggiungere quei gruppi sociali con una bassa adesione perché socialmente esclusi. Quanto sono bravi i servizi sanitari italiani a coinvolgere rom e migranti, per esempio?

È la strada giusta pensare all’obbligo, quando circa il 90% della popolazione si è vaccinata in Italia?

Ho il sospetto che si tratti molto più di un nuovo modo per stigmatizzare o opprimere certe minoranze. Non so se ci siano dati sugli anticorpi sviluppati dalla popolazione italiana paragonabili a quelli del Regno Unito, ma sarei sorpreso se il quadro – nonostante le strategie diametralmente opposte – fosse molto diverso…

Perché avete deciso di abbandonare il Green pass?

I pass vaccinali non trasmettono alcuna informazione utile. Il vaccino riguarda principalmente la protezione personale più che quella della comunità. Un night club pieno di vaccinati può ancora essere un luogo di diffusione del virus.

Cosa si aspetta nei prossimi mesi?

Le restrizioni diventeranno sempre meno tollerate, anche se in percentuali diverse a seconda dei Paesi. È interessante guardare al caso olandese, dove il lockdown sembra aver ottenuto poco o nulla in termini di contenimento dei contagi da Omicron. È una vergogna che, dopo quasi due anni, non abbiamo ancora indicazioni precise su quali interventi facciano la differenza.