In queste sere la Capitale indiana, Delhi, è grigia, fredda, appannata dallo smog e anestetizzata dal traffico costante. A sovrastare il baccano sono gli slogan scanditi dai manifestanti che, da tre giorni a questa parte, protestano per tutta la città. Ad accendere la miccia di un’ondata di malcontento che ora tocca tutta l’India (e che ha causato per il momento almeno sette morti) è stata l’approvazione da parte del Parlamento, lo scorso 11 dicembre, di una nuova legge sulla cittadinanza, voluta dal governo guidato dal partito nazionalista induista Bharatiya Janata Party. La Citizen Amendment Bill (Cab) prevede una l’amnistia per i migranti clandestini non musulmani provenienti da tre paesi confinanti a maggioranza musulmana (Afghanistan, Bangladesh e Pakistan): secondo i suoi detrattori, marginalizzerebbe i musulmani e violerebbe i principi costituzionali che difendono la libertà religiosa. “Prima il governo ha cancellato l’autonomia del Kashmir. Poi ha creato il Registro Nazionale dei Cittadini contro i musulmani di Assam. Ora, con il Cab, la gente ha capito che in gioco ci sono la nostra libertà, la democrazia, il secolarismo indiano. Neppure la demonetizzazione (il ritiro delle banconote da 500 e 1.000 rupie avvenuto tre anni fa ndr) era riuscita a far scendere in strada così tanta gente” sbotta Mallika Taneja, 35 anni, artista di Delhi. “Domenica, poi, la violenza della polizia contro gli studenti dell’università di Jamia Millia Islamia ha scatenato l’indignazione generale”. Quella notte centinaia di persone si sono radunate di fronte al quartiere generale della polizia di Delhi per protestare: “Non era la solita manifestazione cui siamo abituati, dove arrivi, resti un’oretta e torni a casa. Siamo rimasti seduti a terra, pacificamente, dalle nove di sera alle quattro del mattino, nessuno voleva andarsene. Mi sono detta: questo è cibo per la rinascita della società civile”.
La reazione, nelle stesse ore, è dilagata tra le università più prestigiose della nazione, da nord a sud, unendo gli atenei di Mumbai, Calcutta, Pondicherry, Hyderabad, Lucknow e Bangalore: “Per le strade non ci sono solo ragazzini ma persone di ogni età, provenienza, professione. Casalinghe e ristoratori, tassisti e nonne. C’è rabbia, c’è voglia di combattere un’idea ristretta del nazionalismo indiano” spiega la scrittrice Snigdha Poonam, 36 anni. “Quel che sta avvenendo è inquietante per chiunque creda nella costituzione secolare d’India. Si sta indebolendo la storica pluralità nell’accogliere i rifugiati indipendentemente dalla loro fede, ma c’è anche il timore che i musulmani che vivono nel Paese possano essere perseguitati politicamente. Pochissime persone in India sarebbero in grado di fornire i documenti di nascita che abbracciano generazioni della loro famiglia”. A protestare anche induisti come il filmmaker Nakul Singh Sawhney, 37 anni, rientrato nella Capitale dalla vicina Meerut dove, racconta, è stata bloccata la rete Internet: “Vogliono sabotare l’organizzazione delle proteste e bloccare la libera informazione. Ma se l’intento era metterci gli uni contro gli altri, hanno fallito. In tanti mi dicevano che esageravo a considerare questo governo teocratico, e ora si stanno ricredendo”. Dal canto suo, il premier Narendra Modi, che alle ultime elezioni ha ottenuto una maggioranza schiacciante, è intervenuto cercando di calmare gli animi via Twitter, chiarendo che la legge non è contro i musulmani e, al tempo stesso, puntando il dito contro gli atti vandalici che hanno accompagnato alcune proteste: “Il dibattito, la discussione, il dissenso sono elementi essenziali della nostra democrazia: azioni che danneggiano le proprietà pubbliche e stravolgono la vita normale non fanno parte della nostra etica”. Domani, intanto, è attesa una maxi-manifestazione nazionale: “Lo slogan sarà Ham Bharat Ke Log, noi cittadini dell’India” spiega Hasina Khan, 50 anni, storico volto dell’organizzazione delle donne musulmane Bebaak Collective, di Mumbai. “Siamo tutti cittadini di questa nazione. Come osa questo governo metterlo in dubbio, come osa violare in questo modo i principi della nostra Costituzione?”. La società civile, ripete, lo ha capito: “Ieri mentre manifestavo mi si è avvicinata una signora anziana, spaesata, con stretto al petto un giornale. Era la prima volta in vita sua che sceglieva di scendere in piazza. Ma ora, mi ha detto, è tempo di farlo”.