Stavolta non c’è manco la scusa del mojito o del caldo torrido di Ferragosto. Capita che Matteo Salvini, dopo aver chiesto ossessivamente per mesi un ritorno alle urne qui e ora, invochi all’improvviso la nascita di un “Comitato di salvezza nazionale” per evitare che il Paese, fra crisi bancarie e industriali, “sprofondi nel baratro”. Il segretario della Lega ha detto sabato: “Stiamo vivendo un momento drammatico in cui tutti dovrebbero fermarsi, smetterla di far polemica. Chiediamo di sedersi tutti intorno a un tavolo a riflettere sui rischi che l’Italia sta vivendo. Se rischia di saltare una banca come la Popolare di Bari e con i licenziamenti all’Ilva rischia di saltare un’intera Regione e con lei l’Italia”. Inaspettatamente, dopo mesi di polemica quotidiana, non è più il momento della polemica. Fermi tutti. O meglio fermatevi, anzi fermiamoci. “Faccio un appello a tutti quelli che hanno a cuore il futuro dell’Italia, fermatevi, fermiamoci. Sediamoci attorno a un tavolo. Scegliamo alcuni interventi urgenti comuni, ridisegniamo le regole, salviamo il Paese che altrimenti rischia di affondare”.
Come abbiamo più volte sottolineato è da qualche decennio che i politici, quando per una qualunque ragione si trovano in un momento di impasse, invocano una ridefinizione delle regole, come se il guaio fosse nelle regole e non in chi gioca. Larghe intese, assemblee costituenti, riforme costituzionali, governi di salute pubblica, governi tecnici, governi di unità nazionale, monocameralismo, presidenzialismo… E attenzione: il riformismo a vanvera è un vizietto di destra quanto di sinistra (ammesso che esista ancora una sinistra in Italia e che l’ultimo esecutivo che tentò una riforma costituzionale si potesse chiamare di sinistra). Ora sul fronte del riformismo sono più attivi a destra: ha cominciato il Richelieu della Lega, qualche settimana fa, con la Costituente per cambiare tre o quattro regole. Ora Salvini si accoda a Giorgetti, avendo capito che per ora le urne sono un miraggio. Giorgia Meloni non è d’accordo perché non vuole allungare la vita alla legislatura (la quale però non pare per adesso sul punto di cadere); ma soprattutto dice che le riforme sono una cosa seria e per evidenti ragioni non le può fare questo Parlamento. Però vuole subito l’elezione diretta del capo dello Stato, riforma per la quale sta raccogliendo le firme. Come se trasformare una Repubblica parlamentare in un sistema presidenziale fosse una cosa che si fa dalla sera alla mattina.
Detto tutto ciò è abbastanza chiaro che il problema non sono le regole. Il fatto è che il funzionamento delle istituzioni è diventato il miglior alibi di una classe politica non solo inetta (e già questo è grave) ma anche cinica e opportunista come mai. Prima bisognava sapere chi aveva vinto la sera delle elezioni, adesso quasi tutti invocano il proporzionale per questioni di sopravvivenza. Prima si invocava la governabilità, ora si porta di più la rappresentanza… Per quanto riguarda Salvini, sarebbe già qualcosa se si fermasse lui e provasse a non contraddire se stesso un giorno sì e l’altro pure perché non si sa a quale dei due Salvini dare retta: all’incendiario o al pompiere? Ieri per dire ha detto che il prossimo governo dopo questo lo decidono gli italiani. “Non penso a un governo senza prima passare dal voto, con un altro presidente del Consiglio, con Renzi, Di Maio e Zingaretti”. Quanto alla vis polemica e al fermiamoci, è durata poco: ieri ha annunciato ricorso alla Corte costituzionale per denunciare la mancata trasparenza sulla manovra, criticando i tempi e i modi dell’esame parlamentare.