Giovanni Castellucci teme il processo di secondo grado che dovrebbe iniziare stamane davanti alla Corte d’Appello di Napoli per i 40 morti del viadotto di Acqualonga (Avellino). Sa che da qui potrebbero arrivare brutte notizie. Dopo l’assoluzione in primo grado, sono in cottura istanze della Procura generale e degli avvocati difensori per riaprire il dibattimento, tra le quali quella di acquisire l’imbarazzante telefonata intercettata a Genova dell’ex dirigente Paolo Berti (condannato in primo grado ad Avellino a 5 anni e sei mesi), che rivela a un altro tecnico di aver mentito al processo per non mettere nei guai altre persone. Ci sarà battaglia intorno all’interpretazione dell’articolo 270 del codice di procedura penale sulle intercettazioni provenienti da altra inchiesta, non sempre utilizzabili. Da imputato Berti aveva – e ha – il diritto di mentire, ma l’accusa vuole farla acquisire per dimostrare l’esistenza di una sorta di ‘metodo della menzogna’.
Ma a prescindere da condanne o assoluzioni, con la rinnovazione del dibattimento o una sentenza meno favorevole potrebbero arrivare nuovi argomenti a supporto della decisione del rinnovato management di Autostrade per l’Italia di sospendere all’ex super manager la liquidazione ultramilionaria. L’ex amministratore delegato di Aspi e di Atlantia ne è talmente consapevole che fino a quando ha potuto, ha provato a orientare le strategie difensive del pool di legali di questo processo. Lo ha scoperto – e messo agli atti di un’altra indagine – la Procura di Avellino guidata da Rosario Cantelmo. Come riferito dal Fatto a novembre, Castellucci, pur non avendo più titolo formale dopo le dimissioni a interloquire con gli avvocati, scambiava con loro telefonate e mail “utili ai suoi interessi processuali” nell’ambito delle istanze di Aspi per provare a ottenere il dissequestro delle barriere di un paio di dozzine di viadotti sparpagliati in mezza Italia, e messi ‘al riparo’ su interventi dell’autorità giudiziaria di Avellino con la chiusura delle carreggiate bordo ponte. Provvedimenti motivati da perizie e pareri indipendenti di tecnici esterni e del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici che ritengono i sistemi di ancoraggio dei new jersey scelti dopo il disastro di Avellino, rischiosi come quelli che il 23 luglio 2013 cedettero all’urto del pulmino coi freni rotti.
Le interferenze di Castellucci sono state rivelate da un verbale del direttore legale di Aspi, Amedeo Gagliardi: “Castellucci – ha detto l’avvocato – dopo aver concluso la sua esperienza in Aspi, era molto attento nel seguire il possibile sviluppo che poteva avere ricadute sul processo di appello relativo all’incidente del viadotto di Acqualonga. Castellucci infatti riteneva che le risultanze del procedimento in corso potevano essere oggetto di valutazione in sede di appello”. Dalla documentazione fornita agli inquirenti risulta che Castellucci supervisionò l’iter e diede l’ok finale via mail: “Punto. Ogni altro riferimento è fuorviante. A mio avviso”.
Non appare un comportamento penalmente rilevante. Ma è indicativo delle preoccupazioni dell’ex Ad, che secondo il Gip di Avellino Fabrizio Ciccone era ancora detentore di “una posizione di supremazia all’interno della concessionaria della rete autostradale tanto da prendere decisioni societarie a cui, invece, dovrebbe essere del tutto estraneo”. Il nuovo ad, Roberto Tomasi, sul punto avrebbe aperto un procedimento disciplinare interno all’ufficio legale aziendale. Non è rilevante penalmente, come abbiamo già scritto, nemmeno la telefonata di Berti. Uno di quelli che in ogni caso ha già pagato: Aspi lo ha licenziato.
Il processo che inizia stamane si annuncia agguerrito. Il sostituto pg Stefania Buda intende portare avanti il ricorso della Procura di Avellino, che è convinta della colpevolezza di Castellucci perché secondo loro le barriere insicure di Acqualonga furono il frutto di “una chiara e inequivoca scelta operativa con una contestuale assunzione di responsabilità” e l’ex ad deve assumersi le conseguenze penali dell’approvazione della delibera Cda datata 18 dicembre 2008, che aveva a oggetto, tra l’altro, “il piano pluriennale di riqualifica del bordo laterale”. In cui fu stabilito che non esisteva l’obbligo di sostituire le barriere di seconda generazione, come i new jersey del viadotto irpino. Castellucci è stato assolto con la motivazione che la responsabilità della manutenzione era esclusiva in capo ai dirigenti di Tronco come Berti (tutti condannati a pene tra i cinque e i sei anni).