C’è un altro nome nell’inchiesta per corruzione elettorale sul deputato regionale di Italia Viva Luca Sammartino. Si tratta della compagna e senatrice renziana Valeria Sudano, iscritta tra gli indagati nell’informativa di reato trasmessa dalla Digos alla Procura di Catania. Un documento con 14 nominativi, risalente al 22 febbraio scorso, in cui nei confronti di Sudano si ipotizzano però, in concorso con Sammartino, i reati di abuso d’ufficio e falsità materiale.
Sotto la lente d’ingrandimento il periodo in cui entrambi erano deputati regionali all’Ars ma con la bandiera del Partito democratico. Il 16 aprile 2015 Sudano, stando alle accuse, avrebbe firmato al posto del collega durante una seduta della commissione Cultura e lavoro. Quel giorno Sammartino si trovava in Brasile insieme alla mamma. Presenza fuori dai confini nazionali che gli investigatori hanno accertato incrociando sia i dati dei passeggeri forniti dalla compagnia aerea Alitalia ma anche analizzando gli scambi di messaggi tra i due deputati. “Ho firmato ora per te, così non perdi i soldoni”, scriveva Sudano. Il deputato da oltreoceano avrebbe dato indicazioni precise: “Mettetemi in congedo solo quando necessario”. Per gli inquirenti il falso sarebbe “assai grave e rilevante in relazione alle figure istituzionali che lo hanno realizzato”.
Sulla vicenda uno dei magistrati titolari dell’inchiesta, il sostituto procuratore Fabio Saponara, il 7 novembre scorso ha disposto lo stralcio della posizione della senatrice. Poco prima, a settembre, lo stesso pm aveva ottenuto alcuni chiarimenti dall’ufficio legale dell’Ars tramite una nota di poche pagine. Documento in cui da Palermo confermano l’assenza di Sammartino ad aprile 2015 ma in cui evidenziano anche come il regolamento interno del parlamento siciliano dia la possibilità di firmare in sostituzione di un deputato assente senza prevedere compensi. Tutti elementi che porterebbero dritti a una probabile archiviazione per la senatrice.
Fondamentale nel filone principale dell’inchiesta è l’iPhone 6 di Sammartino. Lo smartphone viene sequestrato al deputato durante l’indagine sul voto di alcuni anziani all’interno di una casa di cura. Procedimento che per Sammartino, eletto nel 2017 con 32 mila voti, si conclude con l’archiviazione ma dal quale, di fatto, prende il via l’inchiesta sulla presunta corruzione elettorale. Il telefono diventa una fonte inesauribile di informazioni. I numeri sono spaventosi: 74 mila pagine di messaggi trascritti, 1.200 video analizzati e oltre 2.000 audio WhatsApp ascoltati. Conversazioni in cui il luogotenente di Matteo Renzi in Sicilia chiede il massimo impegno in campagna elettorale e assicura assunzioni in alcune società private. Nello scambio di messaggi c’è una sorta di borsino in cui ai sostenitori viene pure chiesto l’elenco con il numero di consensi che ciascuno è in grado di racimolare. I più meritevoli sarebbero stati segnalati direttamente al deputato. “Ottimo ragazzo, buon potenziale. Da solo 130 voti. Mica male”, gli scriveva Carmelo Santapaola, ormai ex vicesindaco di Misterbianco, costretto alle dimissioni dopo il coinvolgimento in un blitz antimafia.
I galoppini a caccia di favori, come l’indagato Damiano Capuano, avrebbero cercato di accreditarsi al cospetto di Sammartino in ogni modo. Emblematico il caso in cui proprio Capuano inoltrava al deputato la foto con una scheda elettorale votata in suo favore. Altri avrebbero adottato metodi diversi predisponendo un servizio di accompagnamento ai seggi elettorali. A chiederlo sarebbe stato proprio il renziano: “Chiama tutti. Portate la gente a votare”, chiedeva all’assessore di Mascalucia Nino Rizzotto, anche lui finito indagato.