Imu e Tasi, oggi la scadenza. Attenzione al rebus aliquote

Ultime 24 ore per l’ultimo appuntamento alla cassa di Imu e Tasi, vale a dire la seconda rata dell’Imposta municipale unica, che nel 2012 ha sostituito l’Ici, e del tributo che copre le spese relative ai servizi indivisibili come l’illuminazione o la manutenzione delle strade. Ma il saldo 2019 in scadenza oggi sarà probabilmente l’ultimo in cui circa 18 milioni di famiglie proprietarie e affittuarie di immobili diversi dall’abitazione principale dovranno calcolare e pagare i due tributi se verrà confermata la fusione prospettata dalla legge di Bilancio per l’anno prossimo. Numeri alla mano, secondo le stime contenute nel Rapporto Imu/Tasi 2019 del Servizio politiche territoriali della Uil saranno versati più di 10,3 miliardi di euro che, sommati alla prima rata, fanno lievitare il conto a 20,5 miliardi. Nel dettaglio, il costo medio della doppia tassa su una seconda casa, che si trova in un capoluogo di provincia qualsiasi, sarà pari a 1.070 euro, di cui 535 vanno versati entro oggi. Mentre nelle grandi città, tra saldo e acconto, si arriverà a sborsare fino a 2mila euro.

Tuttavia, è la rata in scadenza oggi che potrebbe risultare un po’ più alta rispetto a quella di 6 mesi fa in virtù della correzione apportata dalla scorsa legge di Bilancio (quella del governo gialloverde) che ha permesso dal 2019 ai consigli comunali di votare aliquote più elevate ed eliminare sconti o agevolazioni. In altre parole, mentre l’acconto di giugno è stato pagato sul calcolo delle delibere comunali del 2018, il saldo di oggi va saldato usando le delibere per il 2019 pubblicate sul sito del dipartimento delle Finanze entro il 28 ottobre. Questo comporta che i proprietari di casa prima di pagare il saldo vadano a controllare se il proprio Comune ha modificato le aliquote e, in caso di variazione, effettuare il nuovo conteggio. In questo caso meglio un piccolo ripasso su come si pagano Imu e Tasi. Come al solito, si applicano le stesse regole di calcolo per determinare la base imponibile data dal valore catastale rivalutato del 5% (va moltiplicata la cifra per 1,05) e poi moltiplicato per un coefficiente variabile a seconda della tipologia dell’immobile. Per i fabbricati abitativi il coefficiente è 160, per gli uffici 80 e per i negozi 55. A questo punto, alla base imponibile va applicata l’aliquota del proprio Comune che è diversa per Imu e Tasi. Questa è l’unica differenza di queste due imposte gemelle. Il dato finale va poi rapportato alle quote e ai mesi di possesso dell’immobile (bastano 15 giorni per far conteggiare un mese intero).

Va però anche detto che non si tratta di una mazzata o di rincari diffusi, dal momento che in molte città il livello del prelievo è già al massimo. Secondo l’analisi effettuata dal Servizio politiche territoriali della Uil, quest’anno sono stati 234 i Comuni che hanno rivisto al rialzo le aliquote tra cui 4 città capoluogo: Torino, La Spezia, Pordenone e Avellino.

In quest’ultima, l’aliquota tra Imu e Tasi per le seconde case e altri immobili sale dal 10,5 al 10,6 per mille; a Torino alcune aliquote sono state modificate e, in particolare, l’aliquota sulle case affittate a canone concordato sale dal 5,75 al 7,08 per mille, mentre quella a canone libero dall’8,6 al 9,6 per mille; a La Spezia, sempre sulle case affittate a canone concordato, l’aliquota sale dal 4,6 al 6 per mille; a Pordenone, sui negozi sfitti, l’aliquota sale al 10,6 per mille. Di segno opposto – ricostruisce la Uil – le scelte fatte a Firenze, Grosseto, Pavia, Lucca, Taranto, Biella, Vercelli dove le aliquote sono scese. Quello che invece non cambierà nel 2020 sarà il livello massimo del prelievo. La nuova Imu avrà come limite il 10,6 per mille, che oggi rappresenta la somma massima di Imu e Tasi. Inoltre, verrà fatto salvo l’aumento dello 0,8 per mille applicato da circa 300 Comuni – tra cui Roma e Milano – che l’hanno introdotto nel 2015 e poi sempre confermato. In queste città il massimale rimarrà l’11,4 per mille.

Anche le esenzioni resteranno valide. Sono, infatti, previsti sconti e riduzioni per determinati tipi di immobili come quelli locati con contratto di comodato d’uso gratuito tra genitori e figli, per i quali è prevista una riduzione del 50% della base imponibile per il calcolo, analogamente all’agevolazione prevista per immobili storici e inagibili.

Il saldo di quest’anno sarà anche l’ultimo in cui gli inquilini e gli altri occupanti degli immobili – come i comodatari – dovranno versare la propria quota della Tasi (dal 10 al 30% secondo la delibera comunale; 10% se il Comune non ha deciso nulla in merito). Dal 2020 l’importo ricadrà sul proprietario, e ci sarà anche un rincaro, perché gli inquilini che usano la casa come abitazione principale dal 2016 non pagano la propria fetta di Tasi. L’effetto è stimato in 14,5 milioni dalla relazione tecnica al disegno di legge di Bilancio.

Il Dragone ha già vinto la guerra dell’elettrone

Chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati. Anzi, chiedere a qualcuno di farlo, e aspettare che esegua. Suona così l’autorizzazione data dalla Commissione UE a sette Stati membri, tra cui il nostro, ad investire su un consorzio europeo per la produzione di accumulatori per auto elettriche, di cui si parla nel pezzo accanto. E dopo le miopie e i colossali ritardi degli ultimi anni, è pure una beffa. Il motivo è che la guerra delle batterie noi europei l’abbiamo già persa prima di iniziarla, semplicemente perché qualcuno ci ha creduto e l’ha iniziata prima di noi. La Cina, oltre a vantare il doppio dei brevetti tecnologici rispetto all’Europa, veleggia verso la produzione dei due terzi delle batterie agli ioni di litio utilizzate nell’automotive a livello mondiale. L’impulso e il sostegno dati dal governo cinese all’industria nazionale riguardo l’elettrificazione della trazione sono netti e costanti da anni, con miliardi investiti e incentivi statali distribuiti a pioggia. Talvolta con pochi controlli, subendo truffe ingenti. Comunque sia, il risultato è che attualmente oltre il 60% dei veicoli elettrici venduti nel mondo sono made in China, che ne produce circa un milione all’anno. E non può certo essere una consolazione il fatto che Elon Musk, patron di Tesla, voglia costruire la sua quarta Gigafactory nei dintorni di Berlino, capitale del Paese che è pure il cuore dell’automotive nel Vecchio Continente. L’augurio è che la nostra non sia terra di conquista, e che la Cina non diventi l’Opec dell’industria dell’energia di questo secolo.

“Green Deal” Ue: in arrivo limiti più severi alle emissioni di Co2?

Si chiama “European Green Deal”, e rischia di diventare un grosso spauracchio per i costruttori d’auto che operano in Europa. In poche parole è la proposta, già inviata dalla Commissione europea al Parlamento, di revisione dell’attuale normativa sulle emissioni, che prevede di abbassarne ulteriormente i limiti. Per dirla come è scritto nei documenti anticipati a Bruxelles, si tratta di “norme più rigorose sulle emissioni degli inquinanti atmosferici per i veicoli con motore a combustione”. Il tutto, in un pacchetto più ampio di interventi a tutela dell’ambiente, previsti per i prossimi anni. Che, per quanto riguarda il settore auto nonché veicoli commerciali e industriali, prevede anche entro giugno 2021 la revisione degli standard sulle emissioni di CO2 e l’individuazione di un “chiaro percorso, dal 2025 in poi, verso la mobilità a emissioni zero”. È importante ricordare che, a partire dal 2020 e dunque tra poche settimane, scatterà il limite fissato di 95 g/km di anidride carbonica come media riguardante il 95% della gamma di ogni marchio, che diventerà il 100% dal 2021. Per il periodo 2021-2030, attualmente, ai costruttori viene chiesta un’ulteriore riduzione del 37,5%, con step intermedio al 2025 di un meno 15%. Un impegno già severo, che le case automobilistiche stanno faticando a portare a termine: e all’orizzonte già spunta l’ipotesi multe. Le nuove norme proposte dallo staff di Ursula von der Leyen, poi, renderanno quasi proibitivo il raggiungimento degli obiettivi senza ricorrere all’auto elettrica. A questo punto, la domanda è: le grandi lobby dell’auto europee, soprattutto quella tedesca, cosa faranno?

Batterie, il business. L’obiettivo: sfidare Cina e Usa

Un consorzio europeo per la produzione di accumulatori, destinati anche alle auto elettriche. Germania e Francia sono già in prima fila e c’è già chi parla di una “Airbus delle batterie”, abbastanza forte da contrastare l’industria asiatica e americana. Ad unire le forze enti pubblici e privati, pronti a mettere sul tavolo investimenti per miliardi di euro. Vogliono essere della partita aziende dell’automotive – gruppo Volkswagen e PSA in primis – e del settore energetico, che hanno già manifestato a più riprese il proprio interesse.

Primo step del progetto sarebbe l’inaugurazione, nei prossimi mesi, di una fabbrica pilota, con circa 200 dipendenti, che farebbe da apripista ad altri due siti produttivi, in Francia e in Germania, entro il 2023, con una forza lavoro di 3.000 persone. L’obiettivo dell’Unione Europea è ambizioso: coprire il 30% della domanda globale di batterie entro il 2030 e tra il 10 e il 15% entro il 2025. Oggi l’Europa non arriva all’1% della produzione mondiale di batterie a litio, a fronte del 60% della Cina, del 17% del Giappone e del 15% della Corea del Sud.

Per questo la Commissione Europea ha approvato aiuti di Stato per 3,2 miliardi di euro, al fine di realizzare fabbriche di accumulatori in sette Paesi, tra cui l’Italia. “La produzione di batterie in Europa è di interesse strategico per la nostra economia e la nostra società a causa delle sue potenzialità in termini di mobilità ed energia pulite, di creazione di posti di lavoro, di sostenibilità e di competitività”, ha affermato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager: “Gli aiuti approvati garantiranno che questo importante progetto possa proseguire senza distorcere indebitamente la concorrenza”. I 3,2 miliardi in questione, verranno erogati da sette Paesi: i finaziatori più grandi saranno Germania, con 1,25 miliardi, Francia, con 960 milioni, e Italia, con 570 milioni.

Fra le 17 aziende partecipanti, verranno coinvolte società del calibro di Basf, BMW, Varta, e, per quanto riguarda il nostro Paese, Endurance, FAAM, Solvay, Kaitek e Enel X.

Inoltre, l’aspettativa e che i soldi dell’Europa facciano da traino per ulteriori investimenti di privati, per arrivare a un totale di oltre cinque miliardi di euroda qui al 2031.

Fondi che saranno utilizzati per finanziare la ricerca su batterie a litio e allo stato solido in quattro aree di lavoro: materiali avanzati, moduli e celle, sistemi di batteria, riciclaggio degli accumulatori.

L’obiettivo, come detto, è unire le forze per competere meglio con Stati Uniti o Cina, che hanno già iniziato da tempo la loro scalata al mercato delle batterie.

Arbitro cornuto! Ma perché?

Molti studiosi hanno cercato di capire dove e quando l’espressione cornuto abbia iniziato ad avere il significato attuale. Secondo alcuni, fu a Costantinopoli al tempo dell’imperatore Andronico Comneno. Sembra che questi usasse rendere noti i suoi successi amorosi facendo appendere in giro per la città le teste dei cervi da lui uccisi a caccia. Nell’antichità le corna erano simbolo di virilità e coraggio e gli dei venivano rappresentati proprio con le corna sul capo. Ci sono molte ipotesi sull’origine dell’espressione e la questione è ancora aperta. Spesso abbiamo sentito storie su mariti cornuti, donne cornute, ma l’uso della parola trova particolare frequenza negli stadi. Ieri al derby Roma-Lazio, tutto il pubblico alla minima occasione, quando l’arbitro assegnava un rigore, una punizione o un fuorigioco, in coro urlava: “Arbitro cornuto!”. Come se tutti fossero a conoscenza dei dettagli della vita coniugale di questo signore che corre col fischietto in bocca. Perché non arbitro cretino, arbitro miope, cecato, venduto? No, solo cornuto, cornuto, cornuto! Una fissazione per l’infedeltà coniugale! Non capendo ho chiesto a un tifoso: “Mi scusi tanto, ma lei che ne sa della vita privata di questo signore? Magari ha sempre avuto relazioni felici e compagne fedeli. Non capisco l’insistenza…” – “Ha ragione signorina, ma vede… lui si chiama proprio Cornuto di cognome, Fabio Cornuto, quando si dice nomen omen” –. Uno scroscio insultante sommerge il Cornuto dopo l’espulsione di un giocatore giallorosso: “Cornutaccio, cornutissimo, cornuto da 7 generazioni…” – “Mi scusi ma perché questo Cornuto tra tanti mestieri ha scelto proprio di fare l’arbitro?” – “Mah… forse per essere sicuro che sul posto di lavoro nessuno sbagliasse a chiamarlo… a cornuutooo!”.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

“Prima i pisani”: poesia civile ai tempi delle sardine

Molti da un po’ di giorni si stanno domandando: chi sono queste sardine, e da dove vengono, in un mondo in cui può accadere che un’occasionale discussione precipiti subito nell’aggressione mortale? Un libretto uscito in questi giorni, opera di un autore che è anche musicista, cantastorie, burattinaio e attore (con qualche incursione nei canti yiddish) può farne da guida. Una strana guida perché a suo modo l’autore è un militante, sia Salvini che Meloni non ci metterebbero niente a giurare che è un comunista. Eppure niente è più benevolo e rasserenante della scrittura di Piero Nissim, l’autore di cui vi sto parlando, che questa volta esordisce con un libretto di poesie in vernacolo, dal titolo, che sembra provocazione e invece anticipa la malinconica allegria del testo, “Prima i Pisani” (prefazione di Leonardo Coen, Edistudio Editore). Non sono in grado di dire se il vernacolo pisano sia diverso dal toscano classico. Ma credo di poter dire che la trovata del dialetto ingentilisce quel tanto di satira che è mite presa in giro dei prepotenti che comandano in città, e serve allo scopo: sorridere, non ridere, senza insulti e senza assalti, perché l’idea è di condividere gentilmente un po’ di spazio con un tipo di gente che non concepisce di condividere nulla e si sente grande solo se impartisce ordini, senza verifica sulla ragionevolezza di quegli ordini.

Ma dire questo è già deviare dal respiro di convivenza serena che sentite appena sfogliate queste pagine. Piero Nissim sa che Pisa è governata con cattiveria da quando il municipio è nelle mani dei leghisti, un cattiveria che si è già segnalata nei rapporti con i nuovi venuti e con i bambini dei nuovi venuti. Nissim non vuole passarci sopra, ma, con i suoi poemetti in vernacolo, non cerca vendette, non cerca di dare (come scriverebbe lui) “pan per focaccia”. Nissim vuole che si veda che ci sono persone e gruppi (se fossimo leghisti diremmo popoli) diversi, che svolgono come attività la ricerca di un rapporto, anche se devi stare in guardia per evitare l’improvviso pugno in faccia a chi dissente che è diventato l’orgoglio di certi italiani. Questa sfida a non cercare la rissa e a spiegare in modo gentile, senza sottomissioni e senza accettazioni, funziona bene per Nissim perché in questo piccolo libro ti accorgi che è anche attore, cantautore, burattinaio. Come cantautore dà ai suoi sonetti un senso di leggerezza festosa che ha come scopo di intrattenere. Come attore si mette facilmente nei panni degli altri.

Quanto ai burattini, non sono mai cattivi e non puoi che riderci su, ma non con cattiveria, perché non è di quel mondo. In più Piero Nissim, pisano, usa il campanilismo a rovescio. Questi suoi pisani ridono di se stessi, e niente è più lontano dalla violenza dell’autoironia, specialmente in un tempo in cui tutti si offendono di tutto e sospettano della buona fede di tutti. Ecco ciò che porterebbe Nissim alle Sardine se non fosse già mitemente schierato. Invece dell’impulso a spaccare, c’è la voglia di portare qualcosa.

La Prima Repubblica non passa mai. Il potere è sempre “democristiano”

Il democristiano che comanda al mio paese – magro come uno spillo – non è un sindaco, non è un deputato e cammina in piazza Sant’Antonino dritto come un fuso. Riceve i questuanti passeggiando. Non si ferma per nessun motivo. Lui decide chi diventa sindaco e chi deputato, fa su e giù ascoltando ogni supplica e non prende un solo appunto. Ricorda tutto e non si dimentica di nessuno dei supplici il democristiano che comanda al mio paese. Incede a passo lesto. A fargli largo c’è la gente, i miei paesani, mentre gli avversari politici – i comunisti e i missini della fiamma tricolore – fermi davanti alle vetrate delle proprie sezioni di partito osservano la presa di possesso di Agira, in Sicilia.

I sovversivi e le teste calde fanno la conta di quanti tra loro, cedendo al bisogno, scappano alle mattane di pensarla liberamente. Sono quelli che aspettano al varco quello – secco come uno stecco di agave – per fare atto di presenza, di sottomissione e, insomma, per chiedere un posto di lavoro, un avvicinamento, uno stipendio. Il democristiano che comanda al mio paese cammina e c’è sempre qualcuno a farsi avanti a braccetto della propria moglie per stargli accanto e parlargli.

Ce n’è uno, poi, che accompagnato dal suocero – col berretto stretto in pugno, col vassoio delle cassatelle appena sfornate – a riprova di avere messo la testa a posto offre se stesso, lo stato di famiglia, i parenti e il vicinato: tutta contabilità a disposizione delle singole preferenze e dei voti di lista. Il maresciallo dei Carabinieri in piedi all’angolo del Bar Cardillo veglia sulla domenica pomeriggio accennando un colpo di tacchi quando il democristiano che comanda al mio paese guarda nella sua direzione come a informarsi: “Sta arrivando?”. Sta venendo il Vescovo. E sta per fare il suo discorso in piazza il signor Ministro. Sua Eccellenza il Vescovo non si ferma in piazza, scende dall’automobile, raccoglie i baci sull’anello degli astanti ed entra in una casa da dove, al riparo delle cassine, può ascoltare non visto le note di “oh biancofiore, simbol d’amore” e poi il “vota e fai votare!”.

Il maresciallo dei Carabinieri con una sola occhiata dispone due militi ma anche le guardie municipali sul ciglio della strada per fare ala alla Fiat 131 in arrivo. Ecco finalmente il sig. Ministro. Il democristiano che comanda al mio paese gli dà del tu: “Totò, carissimo”. Dalla porta della canonica escono le pie donne, con loro i bambini e i ragazzi del catechismo – quindi le mamme – e poi i soci della Società Agricola. Sono, questi, perlopiù dei signori in avanti con l’età. Si portano fuori dai locali del loro circolo le sedie e le dispongono intorno per godersi, comodi, il comizio. Ma ci sono le signore e perciò cedono loro il posto mentre l’umanità della Prima Repubblica – il suo granaio di consenso – sciama intorno al mondo piccolo del mio paese dove c’è un democristiano che comanda e che si muove con sapienza. E con misericordia.

Parlo di Agira, ma potrei parlare di Valguarnera Caropepe, di Canicattì o di Mussomeli – la patria di Totò Cardinale – e di qualunque altro posto genericamente indicato tra quelli dove Cristo ebbe a perdere le scarpe. Giuseppuzzo Alberto Falci, straordinario cronista parlamentare, in dialogo con Cardinale – ministro delle Telecomunicazioni nei Governi D’Alema e Amato – ne ha ricavato per Rubbettino un libro che è una sceneggiatura: Un giovane della Prima Repubblica. Un giovanotto dell’eterno immobile sentimento democristiano e siciliano: il potere.

L’amore al tempo dei social: “La mia storia più profonda: like, chat e sesso al telefono”

 

Cara Selvaggia, sono Giovanna, scrivo dalla provincia di Padova. Perché ti scrivo!? Per una questione di cuore. Tu sei originaria di Civitavecchia, e a questa stupenda città di mare io sono legata in modo forte, assoluto, perché la persona per cui ho perso la testa vive lì. Lui è un noto batterista della zona ed è apprezzato nel suo ambito, ci sa fare. Attualmente, non è fidanzato. Noi eravamo solo due tranquilli contatti Facebook, fino all’anno scorso. Sotto sotto, mi ha sempre intrigato, affascinata, ma era fidanzato, in quel momento. Abbiamo cominciato a scriverci dopo uno stupido suo “mi piace” ad una mia foto, e io ho attaccato bottone. Avevo lasciato il mio fidanzato da poco, ero sola, e volevo buttarmi su nuove persone. Per fartela breve, questa nostra specie di storia, di rapporto, è durata circa 8 mesi, ma sempre e solo al telefono. Non ho mai riso così tanto con una persona: lo trovavo acuto, ironico, divertente, maturo e schifosamente sexy, soprattutto alla batteria. Poi, la faccenda è scivolata sul sesso, sempre al telefono, con molte scuse da parte sua, perché non era questo quello che voleva, non voleva darmi false illusioni. Beh, è tutto finito quando io sono andata lì a Civitavecchia, a sorpresa. Lui mai se lo sarebbe immaginato. Mi ha portato a vedere il castello di Santa Severa, spettacolare, ma lui sempre a 8 metri da me, sempre con il telefono in mano. Mi spiega che lui cerca una donna che viva dalle sue parti, no separata, no divorziata, no figli. Non me. Questo rifiuto, dopo tutto l’affetto, la vicinanza emotiva, il supporto psicologo, mi ha devastata. Ho passato tre giorni a guardare il mare di Civitavecchia e a pensare a tutto. Mi ha chiesto un severo distacco, dato che, dice, sta provando un crescente astio verso di me. Astio.. Niente di più vicino all’odio! Verso di me, che avrei fatto chissà cosa per lui. So che lui aveva altre due situazioni del genere al telefono, ma io ho avuto sentimenti diversi, rispetto al solo sesso. So che è depresso per la morte di sua mamma, per il lavoro che c’è e non c’è, per il fatto che non trova un equilibrio affettivo. Io, purtroppo, ho molta rabbia e non navigo in acque tranquille, a livello emotivo. Civitavecchia mi resterà nel cuore: se chiudo gli occhi, ricordo tutto perfettamente, gli odori, il b&b in cui stavo; ma ricordo anche il modo che ha avuto per scaricarmi, senza un saluto, una foto insieme. Amo Civitavecchia e forse amo anche lui, ma ho perso me stessa, per lui, e questo non viene riconosciuto. Questo mi dà rabbia. E mi dà rabbia ancora di più sbirciare su Fb i vari cuoricini e i commenti che lascia ad altre. Che stupida, eh!? Ed ho 43 anni. Eppure, è stato il legame più forte e profondo che abbia vissuto finora. Credo, perché sono veramente innamorata di lui.

Giovanna

 

Il problema è, cara Giovanna, che quest’uomo non aveva alcuna voglia di incontrarti e tu ti sei presentata sulla soglia del suo uscio di casa, senza invito. L’astio, temo, nasca da questo, più che da un sentimento non corrisposto. In più, mi permetto di dirti che se questo è stato il legame “più forte e profondo” che hai vissuto fino a oggi, forse c’è un problema a monte ed è la tua tendenza a idealizzare. Questo povero batterista di Civitavecchia probabilmente si è sentito la proiezione di un tuo desiderio e, comprensibilmente, nel timore di ritrovarsi il suo coniglietto domestico che cuoce nella pentola in cucina, è scappato.

 

Meglio l’ascella o la vagina? “Il sesso non è per imbecilli”

Ho superato i 60 da poco, in fatto di sesso non mi sono mai privato di nulla e sono rimasto single proprio per non avere nessuno a cui rendere conto della mia ingordigia sessuale che mai – e dico mai – un’unica donna sarebbe riuscita ad appagare. Non mi scandalizza o annoia alcuna pratica sessuale, a parte quelle in cui non so cosa stia per succedere alle mie spalle. E ci siamo capiti. L’altro giorno leggo sul vostro sito un articolo sul “sesso ascellare”: “Questo genere di ‘penetrazione’ porta grande piacere in chi ha una parafilia di questo tipo, un piacere maggiore rispetto ad un rapporto vaginale. Le ascelle sono ricche di feromoni che secernono una ricca quantità di odori e questo implementa l’eccitazione. È poi un ambiente tendenzialmente umido, simile a quello vaginale, ma non ha tutte quelle implicazioni che ha la vagina, è vista in modo ‘meno minaccioso’ ma altrettanto eccitante e piacevole”. Cado dalla sedia. Quelli che chiamerò con dolore “i giovani d’oggi” hanno paura della vagina? Preferiscono gli anfratti delle ascelle a quelli lussuriosi dell’organo genitale femminile? Cosa c’è di erotico in un’ascella? Nella mia vita ho trovato erotico il lobo di un orecchio, la caviglia, il collo, il ginocchio, l’ombelico, la nuca, ma giuro che non ho mai sentito l’impellenza, il furore di penetrare una sola di queste parti anatomiche. Col lobo dell’orecchio poi mi sarebbe anche risultato difficile, lo ammetto. Cosa sta succedendo ai giovani d’oggi? (ho ridetto “giovani d’oggi”, sto invecchiando) Vorrei che si facesse un censimento di questi adoratori dell’ascella, andrebbero studiati come gli insetti al microscopio, dovrebbero girare con un segno di riconoscimento, un timbro, un cartellino appeso al collo, un marchio sulla carta di identità. Ho paura di chi preferisce l’ascella alla vagina, è socialmente pericolosa. Le donne dovrebbero scappare di fronte a uomini così e mai assecondare questa fantasia non malata – attenzione – ma imbecille. E il sesso può essere tutto – malato, sporco, allegro, devastante, catartico – ma “imbecille” mai.

Aldo

 

Io, al massimo, nella vita sotto le ascelle ho passato il deodorante roll-on. Non sono riuscita a considerarlo amore solitario, ma forse non ho abbastanza fantasia. O forse non sono un “giovane d’oggi”.

 

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Ciellina ortodossa contro il fine vita: la biografia dimenticata di Cartabia

Marta Cartabia incarna una svolta storica in questo 2019 che volge al termine: è la prima donna a capo della Corte Costituzionale e la notizia è stata accolta con giubilo in maniera trasversale. Lei stessa ha solennemente affermato di voler fare da “apripista” per altre donne ai vertici delle nostre istituzioni. Speriamo.

Nel frattempo il coro mediatico che ha schiacciato sulla vittoria di genere la sua elezione a presidente della Consulta, ha completamente trascurato un tassello fondamentale della biografia di Cartabia. Chissà perché. Cioè la sua militanza nella fraternità di Comunione e Liberazione, fondata da don Luigi Giussani e oggi guidata dallo spagnolo don Julián Carrón, cui la costituzionalista italiana è vicinissima. Non solo, anche il marito di Cartabia è un ciellino di alto rango.

Eppure l’11 dicembre, il giorno della sua elezione, i responsabili del Meeting ciellino di Rimini hanno ricordato con orgoglio la presenza fissa della giurista al loro raduno annuale: “Al Meeting Marta Cartabia è stata relatrice in varie edizioni a partire dal 2003, quando presentò il libro Un’Europa cristiana di Joseph Weiler. Spesso ha parlato di temi legati ai diritti umani e alla giustizia, soprattutto per i risvolti umani ed esistenziali che l’esercizio della giustizia implica”.

Tutto questo pone delle domande su come la Consulta della nuova presidente affronterà il tema divisivo dei temi etici, in primis la questione del fine vita. Nel 2008, Cartabia pubblicò un editoriale sul Sussidiario.net, quotidiano della Fondazione per la Sussidiarietà, sempre di matrice ciellina, sul caso di Eluana Englaro: “Nessuno ha avanzato l’ipotesi che, nel dubbio, potrebbe essere più opportuno proteggere la vita, a puro scopo di precauzione”. E ancora, in un altro articolo: “La vita e la morte non possono essere un affare privato”.

In tempi più recenti, Cartabia si è avvicinata ai gesuiti di Civiltà Cattolica, che formano il nucleo intellettuale del pontificato di Bergoglio. Nella prefazione al libro di padre Occhetta contro i populismi si augura che la dimensione pubblica della fede sia come “lievito”. Lei che lievito sarà nella Consulta?

Un pacco contro la Camorra: il riscatto inizia dai beni confiscati

Caro Coen per Natale ho deciso di fare “Un pacco alla camorra”. Chiarisco a te che vivi al Nord cos’è il “pacco”. È un imbroglio, uno “scartiloffio”, un raggiro semplice ma efficace. Un ipotetico ingenuo viene attirato da un abile truffatore che gli propone l’acquisto di un oggetto a prezzi stracciati. L’ingenuo, sicuro di aver fatto l’affare della vita, compra, va a casa, scarta e nell’involucro trova un mattone. Questo è il “pacco”. Che a Casal di Principe, nota località del Casertano, sopravvive, ma questa volta l’obiettivo del raggiro è la camorra. Quella che per decenni da queste parti ha ucciso, terrorizzato, inquinato politica e istituzioni. Quella dei capi dai nomi terribili che con la complicità di tanti colletti bianchi ha avvelenato acque e terreni. Perché nel “pacco” proposto dalle cooperative riunite nel marchio Nco, che non è quella di Cutolo (Nuova camorra organizzata), ma Nuova cooperazione organizzata, ci sono una serie di prodotti buoni e genuini. Tutti frutto del lavoro di tanti giovani nei terreni sequestrati ai boss, trasformati nelle fabbriche dei boss, e venduti nelle ville dei boss. C’è la pasta con farina di canapa, l’olio di canapa, l’olio genuino, lo spumante del vino asprinio, conserve e pomodori, e, ultimo sfregio ai boss, un libro. “La sedia vuota”, di Raffaele Sardo, che parla delle vittime della camorra, gli eroi della lunga resistenza di Casal di Principe. Sono stato alla Nco (che in questo caso si traduce in Nuova cucina organizzata). Il ristorante è nella villa imponente confiscata a un malacarne. Il pranzo lo prepara un cuoco che ha avuto problemi con la legge, a tavola serve un ragazzo che lotta per uscire dalle nebbie di un disagio mentale, il direttore di sala è un ex imprenditore schiacciato dalla crisi. Persone in difficoltà, che qui hanno trovato una mano tesa. E allora faccio pubblicità: a Natale fate anche voi un Pacco alla camorra. Compratelo e fate un bel regalo che ha il sapore del riscatto.