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Il silenzio di giornali e politica sulle minacce ai cronisti

Prima di tutto, per la questione della foto in cui compare la Casellati insieme ai suoi amici, la mia solidarietà va ai giornalisti Ilaria Proietti, Carlo Tecce e ovviamente al direttore.

Di questa notizia mi scandalizza il silenzio di molti giornalisti: la notizia che la seconda carica dello Stato venga fotografata con un condannato per molestie sessuali viene ritenuta gossip. Giornalisti e onorevoli di ambo i sessi non hanno nulla da eccepire? Nessuna domanda? Nessuna solidarietà per la lettera recapitata a casa? Non sarebbe davvero una buona occasione per chiedere una legge che penalizzi chi fa delle denunce azzardate?

Franco Novembrini

 

I nostri militari all’estero usiamoli per l’Italia a pezzi

Il maltempo imperante e le gravi devastazioni in tutta l’Italia hanno evidenziato la necessità di una maggiore presenza, nel nostro Paese, di militari ora professionalizzati e non più di leva, a supporto delle altre forze già utilizzate.

Questo rende ancora di più necessaria la presenza in Italia dei tanti militari ora sparsi ovunque (Iraq, Afghanistan, Giordania, Palestina, ecc.) per conto dell’Onu, mentre i soldati di altre nazioni (come gli Usa) si sono ritirati dopo che i loro governi hanno fatto incetta di petrolio e altri materiali preziosi. Hanno lasciato, così, solamente gli italiani a fare da gendarmi del territorio, odiati dalle popolazioni dei luoghi dove operano. Sono visti come nemici contro i quali lottare e persino da uccidere, come dimostrano le numerose aggressioni e gli attentati contro i militari italiani, spesso feriti o ammazzati.

È ora di smetterla con le costose e inutili missioni militari italiane all’estero. Risparmiamo costi e vite umane, tenendo conto del territorio italiano, che ha sempre più bisogno di interventi urgenti e umanitari.

Mario de Florio

 

Lettere minatorie: perché non una sottoscrizione?

Gradirei che faceste presente alla “Mazzanti Casellati Vien Dal Mare” che, in attesa dell’approvazione della legge sulle liti temerarie, siamo in attesa di aprire una sottoscrizione per contrastare l’invio di queste lettere minatorie in triplice copia.

Nella speranza di poter finalmente dire che “il potere logora chi ce l’ha”, invio i più cordiali saluti.

Vincenzo Capasso

 

La vittoria di Johnson dice che bisogna parlare chiaro

Mi spiace per il direttore Travaglio che stimo, e che non concorderà con me, ma mettendo insieme la nettissima vittoria di Johnson in Inghilterra, il grande seguito di Salvini in Italia, di Trump in America, Putin in Russia, la Merkel e Macron in Germania e Francia, Orban in Ungheria, ormai appare chiara una tendenza: che la gente vuole l’“uomo forte” (e non me ne voglia la Merkel), cioè vuole una personalità, un leader che parli chiaro, abbia una politica chiara, sappia dove vuole andare e faccia poche e precise scelte, anche se le scelte magari non sono quelle che piacciono a una parte dell’elettorato, come in Francia.

La gente si è stufata degli zingarettismi, dei renzismi, dei grillismi, dei berlusconismi, di persone che dicono tutto e il contrario di tutto, che rimandano, poi fanno scelte interessate e guardano soprattutto alle poltrone.

La scelta di Johnson non era facile per lui, pareva che i cittadini britannici ne avessero abbastanza di Brexit sì-Brexit no, invece sorpresa: ne avevano abbastanza dell’Europa, delle sue scelte assurde e dell’ondivaghismo della Von der Leyen e dei maggiorenti europei.

Anche perché votando Johnson sapevano bene per che cosa votavano, una scelta che spazzava le incertezze. La gente ha scelto, e quando il popolo vota ha sempre ragione.

Enrico Costantini

 

Il governo Conte reggerà al mercato delle vacche

Il fatto che il premier Conte abbia convocato un vertice di maggioranza e non ancora di verifica, potrebbe significare comunque che stia preparando la strada per un accordo di legislatura che ponga fine a questa indegna gazzarra fra condomini.

Che ancora Conte abbia dichiarato che si batterà per migliorare il Mes, è la conferma che si muove proprio nella direzione suddetta. E che, infine, il premier abbia garantito il dialogo ad horas con i sindacati e il salvataggio dell’ex Ilva a carico dello Stato, rafforza indubbiamente ancor più il suo secondo governo.

Quel che non cambia, purtroppo, è la situazione all’interno del M5S, che si trova in piena fibrillazione, e segnatamente quella del suo leaderino Di Maio alle prese con i dissensi interni sulla linea politica, ed i conseguenti passaggi dei suoi parlamentari nel gruppo leghista, grazie al mercato delle vacche organizzato da Salvini.

Si ha, però, l’impressione che non si tratti di un esodo vero e proprio. Quanto a Renzi, anche in tal caso niente di nuovo da parte del figlioccio di tale Silvio Berlusconi, e infatti il rignanese si difende in Parlamento dalle indagini giudiziarie nei suoi confronti, sparando a zero sulla magistratura in modo a dir poco irriverente e lesivo della dignità di uno dei poteri del nostro Stato.

Luigi Ferlazzo Natoli

Bertarelli, elogio di un critico sempre libero

Tra i rari meriti della mia vita nel giornalismo c’è aver favorito, seppur involontariamente, la vocazione alla critica cinematografica di Massimo Bertarelli (1943-2019). Correva l’anno 1990, un mio pezzo sul Galà dei Telegatti sul Giornale di Montanelli non fu gradito al direttore di Tv Sorrisi e Canzoni Gigi Vesigna, e a farne le spese fu il vice di Vesigna, Pierluigi Ronchetti, cui fu imposto di sospendere all’istante la collaborazione quotidiana al Giornale sui film in Tv. Montanelli dovette trovare al volo un nuovo esperto di cinema, e la scelta cadde su Bertarelli. Precettarlo era l’unico modo per promuovere un uomo tanto ricco di talento quanto negato al carrierismo. Era già un mito in via Negri da quando era stato indagato come “il capo del totonero” (non era vero, naturalmente, ma quei pochi giorni di galera avevano fruttato Le mie prigioni, un esilarante samizdat dattiloscritto che circolava in redazione di mano in mano). Sulla sua scrivania troneggiava un televisorino 10 pollici sempre acceso; nei turni aveva un’unica esigenza: essere messo di lunga la domenica “così in famiglia nessuno mi disturba quando guardo le partite”. Il suo stile gli assomigliava: totale libertà di giudizio, immunità ai preconcetti estetici come ai ricatti ideologici. Può sembrare bizzarro tutto questo ai ragazzi di oggi, ma non lo era affatto in un tempo in cui esistevano i giornalisti, ma non le scuole di giornalismo (e oggi, a volte, viene il sospetto che valga il contrario).

X Factor. Ascolti in picchiata e futuro incerto: non è che il format “è stanco”?

 

Ho seguito giovedì sera la finale di X Factor. Devo confessare che, a differenza delle edizioni precedenti, questa mi è apparsa fiacca, sia per la giuria che per i concorrenti. Mi chiedo se, a partire dalla vincitrice Sofia, c’è qualcuno che rimarrà nella storia della musica. E mi chiedo se vale la pena continuare a riproporre un format che ormai non ha alcuna novità da offrire.

Adriano Mastrobuoni

 

Dodici mesi fa scrivemmo che la vittoria di Anastasio, così abile nello smantellamento dei clichè del pop-trap italiano, avrebbe dato un colpo di maglio decisivo al format di X Factor. Fu facile profezia. Gli ascolti dell’edizione 2019, i più bassi di sempre (nella finale solo il 6,6% su SkyUno e Tv8 contro il 13% dello scorso anno) hanno confermato l’agonia del talent, che tra 25mila nuove aspiranti star non è riuscita a trovarne una che reggesse il confronto con il passato. Non è solo questione di bravura: la vincitrice Sofia Tornambene, a soli 17 anni, ha il carattere per provarci e un brano emo-generazionale che rimane in testa senza difficoltà. Occhio: la ragazza aveva fatto gavetta a Sanremo Young, così come un altro finalista, Davide Rossi, si era buttato nella mischia in “Ti lascio una canzone”, sempre dalla Clerici. Insomma, due presunti debuttanti li avevamo già visti in Rai, e sono arrivati a contendersi il titolo qui. Il problema di fondo è: cosa se ne farà il mercato di figure tutto sommato esili, buone per una prima colata di streaming ma fra tre mesi chissà? E vale la pena insistere nel setaccio sistematico di tutti i possibili talenti che girano nelle strade e in altre competizioni canore? Forse non più. Gli “uno-su-mille” che in passato ce l’hanno fatta a XF marcano crudelmente la differenza con quelli che hanno meno benzina in corpo. Accanto a Mengoni, la Michielin, lo stesso Anastasio sono rimasti in pista Noemi o i Maneskin, che non avevano neppure vinto. Oltre a loro il bilancio della pesca resta misero: l’investimento è dubbio per la Sony (che pure con il contest tv risparmia sullo scouting), e non è remunerativo per Sky: al crollo di audience corrisponde un onere produttivo faraonico, con un futuro che si annuncia complicato. Altri due anni di contratto tra la pay-tv e i detentori del marchio XF, il probabile abbandono di Cattelan, una giuria fiacca, da ripensare per l’ennesima volta. Un annus horribilis riassunto nello sfogo in diretta, due settimane fa, del concorrente Eugenio Campagna: “Sono stanco“. Ecco, appunto.

Stefano Mannucci

Stampa e libertà (ai tempi di Biagi e Montanelli)

Nell’aldilà s’incontrano Biagi e Montanelli. La battaglia del Mes; la tregua giallorossa; le dichiarazioni di Mattarella. Su questo e altro s’intrattengono a lungo; poi, prima di lasciarsi toccano il tema che più li coinvolge, la libertà di stampa, e il dialogo si riaccende. Riporto le battute finali.

BIAGI – Ne abbiamo viste tante, Indro, ma temo si sprofondi sempre più in basso…

MONTANELLI – Subisti la violenza del potere (l’editto bulgaro): Berlusconi denunciò “l’uso criminoso della Tv pubblica di Biagi, Santoro, Luttazzi”. Un duro attacco all’informazione. Ma dici che si sprofonda sempre di più… A cosa pensi?

BIAGI – A Ilaria Proietti e Carlo Tecce, che si son visti recapitare a casa una lettera anomala e irrituale – diciamo così – dell’avvocato della presidente del Senato.

MONTANELLI – Si tratta di due giornalisti del Fatto…

BIAGI – Non importa la testata, poteva essere il Corriere…; hanno svelato scandali della Casellati e ricevuto un avvertimento a domicilio – non so definirlo diversamente – che preannuncia una causa. Che ne pensi?

MONTANELLI – Tutto il male possibile. La minaccia è gravissima.

BIAGI – L’Ordine dei giornalisti dovrebbe intervenire.

MONTANELLI – L’Ordine non ha l’autorevolezza per incidere, caro Enzo, su fatti di questa natura, tanto più che la maggioranza della stampa tace: la seconda carica dello Stato è protetta e nessuno si preoccupa dei giornalisti intimoriti. Questo è il problema. Io avrei preso la mia Olivetti Lettera 22 e scritto un articolo di fuoco contro l’arroganza del potere che odia il giornalismo; contro i potenti che vogliono interviste sdraiate e minacciano e intimidiscono e…

BIAGI – Una dura denuncia, ma non puoi farla. Dunque?

MONTANELLI – Dovrebbe scriverla chi può: un giornalista autorevole, carismatico, coraggioso. Sto pensando a Eugenio: dovevamo fondare insieme un giornale, l’ha ricordato in Grand Hotel Scalfari; siamo stati spesso su posizioni diverse ma non abbiamo mai permesso alla politica d’intromettersi nel nostro lavoro con pressioni o minacce.

BIAGI – Penso anch’io che dovrebbe intervenire (a “giornali e censure” dedicammo molto spazio in Come andremo a incominciare? pubblicato insieme): di più: “Mestiere difficile il giornalismo” – scrive in L’uomo che non credeva in Dio – “indagare, controllare, denunciare: questo significa Quarto potere.”

MONTANELLI – Proietti e Tecce hanno indagato e raccontato i fatti; hanno avuto il coraggio di essere giornalisti. Come Formigli con le interviste scomode: l’atto squadristico dei renziani di mettere la sua casa su Fb dice che il giornalismo è sotto attacco: torna (anche) l’incubo bavaglio. Casellati, Renzi, chiunque minacci la libera informazione va bloccato: è compito che dovrebbe assumere su di sé pure Eugenio…

BIAGI – …anche perché l’infelice “lettera a domicilio” non è arrivata ai giornalisti di Repubblica: la libertà di stampa si difende soprattutto quando attaccano il giornale concorrente. Si può tacere quando il potere minaccia l’informazione? Su questo tema (almeno su questo) ci dovrebbe essere l’accordo di tutti i giornali.

MONTANELLI – Se conosco bene Scalfari, interverrà, la stampa è sacra: tacere su Casellati che intimidisce i cronisti e sulla casa di Formigli online, non è nel suo stile. Messo il bavaglio ai giornali il peggio è alle porte; l’ho scritto: “Sta arrivando l’uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre”.

Era già sera. I due si salutarono convinti che l’altro grande del giornalismo italiano, sempre attento ai conflitti tra stampa e potere, non li avrebbe, col suo silenzio, delusi.

Le “cinevasioni” per un carcere più umano e civile

 

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

(Dall’articolo 27 della Costituzione)

 

Non è soltanto un’opera buona, cioè un atto di generosità e solidarietà, quella che ha deciso di compiere Rai Cinema nei confronti dei detenuti. È anche un atto educativo e rieducativo che può contribuire al reinserimento del condannato nella società, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione. Mentre la politica si accapiglia sulla riforma della prescrizione, cercando di conciliarla con la ragionevole durata del processo, la consociata del servizio pubblico dona 700 film alla Casa circondariale di Bologna per aprire una videoteca all’interno del carcere, d’accordo con la direttrice Claudia Clemente. Un piccolo gesto concreto, di grande valore morale, che può costituire un esempio da replicare magari in altri istituti di pena.

Se ne occupa l’associazione “Cinevasioni” e il calembour del nome esprime bene l’idea di “far evadere” metaforicamente i detenuti con la fantasia e il divertimento, per rendere più umana la loro permanenza in cella. L’auspicio è che con l’aiuto di Fantozzi & C. possano tornare a vivere nella società, una volta scontata la pena, con una disposizione d’animo più civile e corretta. Ed è proprio ciò che corrisponde all’interesse della collettività, per evitare che escano dal carcere più delinquenti di quando sono entrati.

Con questa iniziativa, la società cinematografica guidata da Paolo Del Brocco ottempera a quel ruolo di servizio pubblico che spesso la Rai tradisce e rinnega. E conferma una volta di più che anche l’intrattenimento, oltre all’informazione e alla cultura, può essere istruttivo e pedagogico. La forza della comunicazione, varcando i cancelli delle carceri, è in grado di rompere temporaneamente l’isolamento del detenuto, per non relegarlo nell’emarginazione e per favorirne la reintegrazione.

Naturalmente, non basta una videoteca per raggiungere questo obiettivo. Occorre innanzitutto ridurre il sovraffollamento nei penitenziari e assicurare condizioni di vita più dignitose per i detenuti. E sarebbe opportuno che anche in Italia, come avviene in tanti altri Paesi europei, fossero previsti tempi e spazi per la loro affettività: finora il diritto alla sessualità viene applicato attraverso i permessi-premio per chi ha già scontato un terzo della pena e ha dimostrato una buona condotta, ma riguarda una piccola percentuale della popolazione carceraria.

Sono 31 su 47 gli Stati che fanno parte del Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale per i diritti umani, in cui sono autorizzate con procedure particolari le visite in carcere di mogli, mariti, compagne e compagni: dalla Francia all’Olanda, dall’Austria alla Svizzera, dalla Finlandia alla Norvegia, fino alla Russia. E anche nella cattolicissima Spagna è consentito il sesso in cella con il partner che frequenta regolarmente i colloqui settimanali.

Nel Parlamento italiano, giacciono due progetti di legge che prevedono la realizzazione, all’interno dei penitenziari, di spazi riservati all’intimità familiare e coniugale. La proposta è stata rilanciata dagli Stati Generali sull’Esecuzione Penale, una commissione di esperti insediata dall’ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha terminato i lavori nel 2016. Ma finora è rimasta lettera morta.

Non si tratta, evidentemente, di introdurre il lassismo nelle carceri. Né tantomeno di allentare il rigore e la severità del regime carcerario. Al contrario, si tratta di renderlo più umano ed efficace nella prospettiva della rieducazione contemplata dalla Carta costituzionale.

Renzi contro i giudici un film già visto

L’intervento di giovedì in Senato di Matteo Renzi va letto – per valutarne la portata – insieme alle dichiarazioni pubbliche rese dallo stesso Renzi nei giorni precedenti. In esse si argomentava di invasione di campo, di vulnus per la politica, di avvertimento, di “quelli che hanno arrestato i miei genitori”, di prossime denunzie contro il procuratore capo di Firenze.

È dunque possibile pensare che Renzi abbia a cuore non tanto una questione istituzionale quanto piuttosto una vicenda “personale”. Per la quale il Senato (la prestigiosa Camera alta) non sembra la sede di dibattito più opportuna. Tanto più se si tratta di una requisitoria senza contraddittorio con toni e parole di tipo muscolar-bellicistico (coraggio contro pavidità, barbarie, retata, piazza, stato etico o etilico…), indirizzata non al servizio giustizia in generale, ma chiaramente a un ufficio giudiziario singolo.

Anche i richiami a Moro e Craxi sono apparsi non pertinenti, più uscite ad effetto che altro. La frase di Moro, “non ci lasceremo processare nelle piazze” non era certo riferita alla magistratura e men che meno a qualche giudice in particolare. Quanto a Craxi (a parte che rifarsi, in Senato, a un personaggio notoriamente condannato non sembra la scelta più felice), citare il suo “orrore del vuoto politico” per teorizzare la debolezza della politica, non basta per dimenticare che il vero nodo del problema sta nella “novità” rappresentata dalla Costituzione repubblicana. Prima di essa dominava la concezione dell’unità assoluta del potere e del primato in tale unità della politica, cui la giurisdizione era del tutto soggetta. Ora invece vige la separazione dei poteri senza supremazia di alcuno sugli altri, per cui la giurisdizione è diventata autonoma e indipendente. Non è quindi problema di vuoti o di pieni, ma di reciproco rispetto nel riconoscimento a ciascuno delle proprie competenze. Senza delegittimazioni fondate su pregiudizi ostili anche di carattere “personale”. Tornando poi ai “processi in piazza”, non ho memoria di magistrati che ne abbiano fatti, ma solo di magistrati che ne hanno subiti. Come nel caso della manifestazione avanti al Tribunale di Milano contro i giudici di un processo a carico di Berlusconi (presente tra l’altro anche la futura presidente del Senato) con schiere organizzate e affluite, appunto in piazza, quasi si fosse sul set del film di Moretti Il Caimano.

Renzi, per altro, non ha inventato nulla. Il tentativo di assoggettare la Giustizia alla politica, o meglio, all’interesse politico di una sola persona, l’ha ideato Berlusconi, scatenando contro vari uffici giudiziari – a partire dal 1994 – una “vera e propria guerra mossa su molteplici fronti e adoperando tutti i mezzi” (Andrea Camilleri). Questo malvezzo è poi diventato per molti politici una specie di riflesso condizionato, ogni volta che la magistratura si azzardi ad accertare, doverosamente, attività denunziate in quanto ipotizzabili come illegittime che riguardino gli interessi di certe cordate. L’attrazione fatale di evocare un contrasto fra magistratura e politica, come fossero fazioni nemiche contrapposte, è stata spesso irresistibile. Anche in campi diversi dalla politica. Per esempio in quei movimenti popolari che (in nome di principi e obiettivi di per sé rispettabilissimi) rifiutano poi con energia la giurisdizione, anche a fronte di forme di lotta che valicano ampiamente i confini della legalità.

Da tempo diffusa a vari livelli, in altre parole, è la tendenza a difendersi – come usa dire – non “nel” ma “dal” processo, cercando di gestirlo come momento di scontro funzionale a contestarne in radice la legittimità. Anche parlando, come ha fatto Renzi, di “giustizialismo peloso”, così indirettamente rivendicando per sé la qualifica di garantista, ma senza far troppo caso al fatto che il vero garantismo funziona come veicolo di eguaglianza, mentre non è di certo garantismo quello che vorrebbe strumentalmente depotenziare la magistratura o singole iniziative giudiziarie.

Da ultimo, attenzione a non innescare percorsi pericolosi. Se un uomo politico di primario livello (com’è Renzi, col peso che gli deriva dalle cariche ricoperte) parla in Senato di persecuzione giudiziaria o di parzialità dei giudici, in pratica autorizza ogni cittadino che abbia qualche problema con la giustizia a pensarla allo stesso modo. Con evidenti effetti devastanti sul sistema. E con riflessi sugli stessi politici, che finiscono per apparire propensi a richiedere “servizi” anziché decisioni imparziali. Con conseguente insofferenza (ci risiamo…) verso i magistrati indipendenti, gelosi di questa loro prerogativa costituzionale.

Che discorso! Peccato l’abbia fatto proprio lui…

Il mondo della politica e/o del giornalismo è in lacrime per il discorso con cui Renzi ha denunciato “la barbarie” a suo danno in Senato. Comprensibilmente gradisce Bobo Craxi: “Renzi cita in aula il famoso discorso del Luglio del ‘92. Il coraggio per averlo fatto va apprezzato. È il primo ex Primo Ministro a farlo dopo 25 anni”, chissà come mai.

Guido Crosetto, ex Fratelli d’Italia, dà il “la” a un particolare genere di apprezzamento: “Ho appena ascoltato il discorso di Renzi al Senato. Invito tutte le persone serie, che amano questa nazione… ad ascoltarlo. Slegando le parole dalla persona che le pronuncia”. Basta chiudere gli occhi, come quando ascoltiamo un imitatore che canta una canzone che ci piace: così un politico screditato può sembrare credibile.

Pure la giornalista Gaia Tortora è per la deprivazione sensoriale: “Togliete Renzi e ascoltate il suo discorso. Assolutamente condivisibile. Ma dirlo o ammetterlo in questo Paese è un problema. Solo che il problema riguarda tutti. Anche quelli che non si chiamano Renzi”, ma di più quelli che si chiamano Renzi. Loquenzi tipo copia-incolla: “Vale la pena ascoltare l’intervento di @matteorenzi oggi in Senato, potete pensarne quello che volete ma ci riguarda tutti”.

Cundari de Linkiesta alza il tiro: “Ho potuto ascoltare solo adesso, integralmente, il discorso di Renzi in Senato. La mia personale opinione è che abbia messo al centro la questione essenziale della politica italiana e che abbia completamente ragione”. I casi di Renzi e della fondazione Open come perno attorno cui ruotano i destini della nazione. Il direttore Christian Rocca ha i lucciconi: “Il gran discorso di Renzi in difesa della politica”, tipo Churchill. Cerasa del Foglio non si contiene: “Il discorso di Matteo Renzi al Senato: da conservare”. Il senatore retwitta infervorato tutti i “non fate caso che sia Renzi a parlare”: pensa sia un complimento.

Rosso Sicilia: “Bilancio, buco di oltre un miliardo”

Due miliardi da recuperare entro fine della legislatura, buio fitto sui conti potenzialmente carichi di debiti delle partecipate e una “impropria capacità di spesa” generata da un “modus operandi della regione che sottrae sistematicamente alla gestione di bilancio una quota rilevante degli accantonamenti di legge’’. Arriva dalla Corte dei conti una forte censura agli amministratori siciliani accusati di avere gestito “fuori bilancio” oltre 415 milioni di euro nella relazione in cui ha parifica to il bilancio regionale rilevando numerose irregolarità nelle scritture contabili nel con to economico e nello stato patrimoniale.

Per i giudici contabili la manovra finanziaria adottata è “inconsistente” e “l’esame del bilancio dimostra l’inefficacia delle politiche pubbliche, la regione non è stata in grado di raggiungere nemmeno gli obiettivi minimi che essa stessa si era data con la legge di stabilità’’. Non solo, “nei giudizi di parifica la sua attività sembra abbia avuto finalità elusive”.

“Non sono responsabile di una storia di disastri finanziari che hanno segna to almeno gli ultimi 25 anni – si è difeso il governatore Musumeci – sono soddisfatto, sanerò il disavanzo”. Per Claudio Fava presidente della commissione regionale antimafia “oggi la Corte dei conti mette definitivamente fine alle favole raccontate dal governo Musumeci. Quel che più imbarazza è che questo governo non ha soluzioni e idee, la necessità di recuperare oltre due miliardi produrrà in mancanza di interventi urgenti un devastante effetto a catena sulle fasce più deboli della popolazione’’. Sono in allarme i comuni che con l’Anci tornano a chiedere un tavolo di confronto con la regione e hanno convocato il consiglio regionale per il 17 dicembre a Palermo a villa Niscemi per discutere le iniziative da assumere in mancanza di adeguate garanzie da parte del governo regionale’’ .

Figc, perché il superpoliziotto Pecoraro ha sbattuto la porta

Due patate così bollenti non le aveva maneggiate nemmeno nella trincea della Prefettura di Roma. Quando ha capito che questa volta rischiava di scottarsi le dita, Giuseppe Pecoraro ha preferito dimettersi da Procuratore della Figc (“ragioni di famiglia”). Il suo ruolo di superpoliziotto del calcio era ormai troppo scomodo e scivoloso dopo il “licenziamento” di alcuni fedelissimi: da una parte, l’inchiesta da chiudere sulle “plurime illegittimità” accertate nell’elezione di Gaetano Miccichè alla Lega di Milano; dall’altra, le indagini sull’audio “rubato” (con un cellulare, in una riunione della stessa Lega) all’ amministratore delegato Luigi De Siervo che lanciava l’idea di censurare gli ululati razzisti negli stadi facendo spegnere i microfoni delle tv sotto le curve.

E per quest’ultimo caso, nelle settimane scorse, Pecoraro ha sentito il dovere – non solo di aprire un fascicolo di indagini – ma di andare a Milano e mettere a disposizione del Procuratore della Repubblica Alberto Nobili (marito di Ilda Bocassini) l’audio incriminato e altri elementi in suo possesso, perché la magistratura possa valutare due aspetti: primo, la portata dell’intera vicenda in tema di contrasto al razzismo da stadio, verificando anche i comportamenti di SKY e DAZN, se cioè l’idea di De Siervo di chiudere i microfoni “per proteggere l’immagine del prodotto” ha trovato accoglienza nelle due TV che trasmettono le partite di Serie A e B; secondo quale sia stata la reazione dei Consiglieri di Lega, tutti presenti alla riunione, che hanno ascoltato dal vivo la proposta di De Siervo e non avrebbero battuto ciglio: il presidente Miccichè (dimessosi nei giorni successivi), Scaroni del Milan, Antonello

dell’Inter, Campoccia dell’Udinese, Percassi dell’Atalanta, assistiti dal verbalizzante Ruggero Stincardini, storico avvocato della Lega, licenziato da De Siervo dopo la diffusione dell’audio incriminato e ora sul piede di guerra, tra richiesta di reintegro e richiesta di danni.

Improvvise ma pronosticate le dimissioni di Giuseppe Pecoraro, accolte con diplomatico sollievo dal presidente della Figc Gravina che già nei mesi scorsi lo aveva invitato a lasciare il posto e alla scadenza di giugno non lo avrebbe riconfermato nel ruolo di Procuratore federale, frutto indigesto di una vecchia complicità del trio Malago-Lotito-Tavecchio.

Resta da capire a questo punto che fine faranno in sede sportiva le due inchieste orfane di Pecoraro. In una relazione al Consiglio della Figc, il procuratore federale ha denunciato “plurime illegittimità” commesse nell’Assemblea che portò Miccichè alla presidenza della Lega di A e fu presieduta dal n.1 del CONI Giovanni Malagò, in qualità di Commissario straordinario, proponente e primo sponsor di quella candidatura. È la vicenda del mancato spoglio delle schede per decisione di Malagò, come risulta dai verbali. Per Pecoraro, quella famosa assemblea aveva un vizio di nullità perché Malagò – garante dello Sport italiano – fece votare i presidenti in violazione dello Statuto Figc. Non era stata ancora approvata, infatti, la modifica ad personam che consentiva al candidato Miccichè – solo in presenza dell’unanimità dei voti – di superare i suoi conflitti di interesse (presidente di Banca IMI ma soprattutto era – fino a ieri, giorno in cui ha annunciato le dimissioni – consigliere di amministrazione di RCS di Urbano Cairo, patron del Torino). Quella unanimità necessaria e indispensabile fu proclamata a voce, ma mai accertata perché le schede dei 20 club di A sono tuttora chiuse in un plico nella cassaforte della Lega e nemmeno Pecoraro ha ritenuto di contarle, nonostante la denuncia tardiva e sospetta di Preziosi del Genoa.

Con la relazione al Consiglio Figc, Pecoraro si era illuso di chiudere la partita, pari e patta, fino a quando qualcuno gli ha ricordato che secondo le norme il Procuratore federale ha il dovere di firmare un provvedimento a conclusione delle indagini: archiviazione o deferimento alla Giustizia sportiva. E ai suoi collaboratori più stretti aveva manifestato il disagio di passi clamorosi e dirompenti per tutto il sistema sportivo. Tanto che martedì scorso aveva fatto sapere che avrebbe preso tempo fino a metà febbraio (40 giorni più altri 20) con una richiesta di proroga delle indagini alla Procura generale del Coni, per valutare “nuovi elementi” prima di decidere.

Toccherà al suo successore (ad interim il vice Chinè) provare a uscire dall’intrigo, mentre il clima tra Figc e Lega resta infuocato: per l’esito dell’inchiesta sull’elezione di Miccichè (parte lesa e già dimissionario), ma anche per eventuali sviluppi legati alle valutazioni della Procura di Milano sui contenuti e gli effetti dell’audio “rubato” a De Siervo e uscito velenosamente dalle stanze della cosiddetta Confindustria del pallone. Forse anche per questo – al di là delle legittime ragioni personali – l’ex prefetto di Roma ed ex Vice capo della Polizia ha preferito sfilarsi e passare la palla.

*L’autore è un profondo conoscitore del mondo del calcio italiano

Lo scioglimento dei ghiacciai ci costerà 236 miliardi

Tra 80 anni, appena la durata di una generazione, l’Italia rischia di pagare l’allagamento costiero quasi 4 volte di più rispetto alle attuali previsioni. I danni dell’innalzamento dei mari potrebbero schizzare dalla soglia base di 65 miliardi di euro a un picco di oltre 236 miliardi. A maggiorare la fattura climatica che peserà sulle nostre tasche è l’accelerazione nello scioglimento del manto glaciale della Groenlandia. Ad annunciarla è stato uno studio della rivista Nature pubblicato a seguito di pochi mesi dall’allarme sul collasso della calotta antartica, lanciato dall’Università inglese di Leeds.

Solo britannici, francesi e norvegesi sborseranno più di noi in Europa. Che dovrà accollarsi complessivamente 2,5 triliardi (2.500 miliardi) di euro, anziché 961, quando il suo litorale di 100 mila chilometri verrà parzialmente sommerso. Il divario tra i costi (al ribasso e al rialzo), quantificati nel 2018 dal Centro Comune di Ricerca della Commissione europea, dipende dalla diversa misura in cui il riscaldamento globale fonderà le gelate coltri polari. Le nuove analisi dei dati satellitari, condotte da un team internazionale di 96 scienziati, dimostrano che la Groenlandia perde ghiaccio 7 volte più velocemente rispetto agli Anni ‘90. Tanto che circa 40 milioni di persone in più saranno esposte alle inondazioni entro il 2100.

Questa scoperta, secondo i ricercatori, proverebbe che lo scenario più catastrofico sugli effetti del cambiamento climatico potrebbe spodestare quello moderato che la comunità scientifica ha finora ritenuto attendibile. Ciò significa, che 67 centimetri d’acqua in eccesso, anziché 60, si riverseranno sulle coste da qui alla fine del centenario. Lo scarto di soli 7 centimetri basta ad allargare la forbice degli zeri in bolletta. Ignorando le molteplici variabili in gioco, si potrebbe semplicisticamente dividere per 7 la differenza tra il massimo e il minimo dei costi (pari a 170 miliardi di euro).

Risultato: ogni centimetro aggiuntivo sottrarrebbe all’Italia 24 miliardi. Un centimetro dopo l’altro, ciascuno dei 60 milioni di italiani accumulerebbe un debito supplementare di 2.800 euro, da saldare allo scadere del secolo. Calcoli che forniscono un grossolano metro dell’incalcolabile crisi ecologica. Già nel 2050 scatterà la prima rata con interessi: 10 volte superiore a quanto prospettato nella versione ottimistica dei conteggi fatti dagli esperti. Ossia 10 miliardi. Questa cifra, come tutte le altre indicate, presuppone pessimisticamente che si continui a usare combustibili fossili e tecnologie energivore che contribuiscono a massimizzare le emissioni di CO2 e l’effetto serra.

Se il sistema economico diventasse più pulito, l’innalzamento delle temperature e dei mari rallenterebbe. In tal caso, la spesa media tricolore potrebbe ridursi, rispettivamente di 11 volte (ammontando a 47 miliardi di euro) e di 26 volte (9 miliardi), a seconda che si avveri lo scenario migliore o peggiore sulla liquefazione dei ghiacci. Quelli della Groenlandia, sciogliendosi, rappresentano la terza principale causa degli allagamenti, dopo l’espansione termica delle masse marine e la fusione dei ghiacciai montani. Nell’equazione ghiaccio-euro resta l’incognita dei bianchi bastioni dell’Antartide che potrebbero sfaldarsi prima del previsto.

Le banchise litoranee che ne impediscono il crollo si stanno infatti assottigliando a un ritmo quintuplo in comparazione a 30 anni fa per via dell’erosione da parte delle surriscaldate acque sottostanti.

*MobileReporter / European Data Journalism Network