Il commissariamento della Banca Popolare di Bari è ormai inevitabile e imminente. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha deciso che non si può salvare l’istituto pugliese senza togliere di mezzo l’amministratore delegato Vincenzo De Bustis. Solo dopo il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) darà il miliardo di euro di capitale necessario a salvare la banca. La posizione di De Bustis si è fatta più critica dopo che, un mese fa, è stato destinato ad altro incarico Lanfranco Suardo, l’uomo della vigilanza che aveva seguito con apparente benevolenza le evoluzioni di De Bustis. E dopo le novità nell’inchiesta della procura di Bari sulla banca. Viene proprio da Bankitalia la segnalazione che ha fatto aprire un nuovo filone d’indagine sul tentativo (fallito) di De Bustis di acquisire nuovo capitale da una sconosciuta società maltese. Vigilanza e magistratura vogliono vederci più chiaro dopo aver letto il verbale del cda del 2 gennaio 2019, quando De Bustis spiegò ai consiglieri la brillante soluzione trovata per evitare il commissariamento o, peggio, la risoluzione, volgarmente nota come bail in.
Per magnificare la propria abilità, De Bustis arringa i consiglieri: “Delle banche non si fida più nessuno e quindi c’è bisogno di fare ricorso alle migliori capacità relazionali. Capacità relazionali significa investire in conoscenze, coltivarle, sedersi al tavolo e discutere, perché sia ben chiaro che in una operazione commerciale o finanziaria nessuno ti usa una cortesia senza pretendere in contropartita una pari opportunità”. Per cui, spiega dando l’operazione per fatta, “ho dovuto chiedere a degli investitori personalmente conosciuti la disponibilità a sottoscrivere questo strumento ibrido di patrimonializzazione”. De Bustis è amministratore delegato dal 12 dicembre 2018, e ha dunque cucinato l’operazione in un paio di settimane, Natale compreso, ma probabilmente si era portato avanti con il lavoro: una settimana prima della nomina si era fatto pagare una consulenza da 127 mila euro.
A usare a De Bustis la cortesia di mollargli 30 milioni al volo e sull’unghia sarebbe stata, se ci fosse riuscita, la società maltese Muse Ventures Ltd, facente capo a Gianluigi Torzi, intraprendente finanziere italiano residente a Londra. Muse Ventures era stata costituita un anno prima con un capitale non precisamente debordante: 1.200 (milleduecento) euro. Come ha ricostruito il 19 luglio scorso sul Fatto Gianni Barbacetto, “l’istituto di credito coinvolto nell’emissione dei titoli, Bnp Paribas, rileva problemi di compliance, cioè di trasparenza e rispetto delle regole” e blocca l’operazione. Diventa evidente, anche dentro la banca, “la sproporzione tra i mezzi propri del sottoscrittore” (la Muse) e il valore dell’operazione. Non solo. Siccome De Bustis propone anche di investire 51 milioni nel fondo lussemburghese Naxos Sif Capital Plus, nasce il sospetto (respinto seccamente dalla stessa Naxos) che si tratti di un’operazione circolare, cioè che i soldi siano sempre gli stessi che escono dalla banca e ci rientrano da Malta.
Ma la sensazione di un collegamento tra le due operazioni nasce in alcuni consiglieri della banca proprio per la presentazione che ne ha fatto De Bustis. Quando il presidente Marco Jacobini gli chiede informazioni “sulla qualità degli investitori”, l’ad sfodera il tono della televendita: “Si tratta di galantuomini, gente per bene (…), hanno chiesto semplicemente di non dare molto risalto pubblicitario all’operazione, perché le condizioni della stessa sono palesemente favorevoli per la banca”. Il consigliere Francesco Venturelli chiede quale sia allora l’utilità economica per l’investitore. Mister Banca 121 ripete: “Le intese sono state sviluppate e definite sulla base di modalità relazionali, le stesse che hanno consentito di ottenere un saggio di interesse del 13 per cento (alla faccia della cortesia, ndr) quando operazioni di questo tipo, normalmente, scontano tassi attorno al 19-20 per cento. Inoltre – prosegue il verbale – considerato che la banca dispone di un’ampia base di liquidità, si è condiviso con il management di realizzare un inverstimento di 50 milioni in un fondo lussemburghese per aumentare la redditività della banca”.
Pochi giorni dopo si è scoperto che Torzi, pur galantuomo e persona per bene, figura insieme al padre Enrico Torzi “nelle liste mondiali di bad press (WorldCheck) per diverse indagini a suo carico avviate dalle Procure di Roma e Larino per reati di falsa fatturazione e truffa”. Inoltre è salito recentemente agli onori delle cronache per la partecipazione, insieme al finanziere Raffaele Mincione, alla “vicenda opaca” (parola del segretario di Stato Pietro Parolin) del palazzo londinese di Sloane Avenue su cui il Vaticano ha perso un bel po’ di soldi e su cui la magistratura di Oltretevere ha aperto un’inchiesta per corruzione, peculato e truffa”. Collegato a Mincione è anche Giulio Gallazzi, l’uomo a cui De Bustis da mesi sta cercando di cedere la Cassa di risparmio di Orvieto, piccola controllata della Bpb.
E a proposito di “modalità relazionali”, ha destato la curiosità degli ispettori il contratto di consulenza per la cessione dei crediti deteriorati e per il necessario aumento di capitale stipulato da De Bustis l’8 aprile 2019 non con una primaria banca internazionale ma con la Tundafin di Valerio Veltroni, fratello del più noto scrittore e regista Walter. Lo stesso 8 aprile la Tundafin si è fatta liquidare 10 mila euro come anticipo per le spese.