C’è un fiume che scorre tra il Messico e gli Stati Uniti, un fiume di droga, alimentato da una cascata di soldi. Milioni e milioni di dollari con cui i cartelli del narcotraffico hanno oliato per anni le polverose strade al confine tanto odiato dal presidente Donald Trump. Sembra la trama di una nuova serie tv sui cartelli messicani. È la realtà. Illuminata dai fari delle pattuglie della polizia del Texas che il 15 novembre 2015 fermano un’auto che non ha rispettato lo stop. “Favorisca la patente”, deve aver chiesto l’agente; “lei non sa chi sono io”, deve aver risposto l’altro, agente anche lui, capo, per l’esattezza, della polizia messicana, all’anagrafe: Genaro García Luna, assurto a quel tempo da quasi dieci anni a Segretario della sicurezza pubblica dell’amministrazione del presidente Felipe Calderón e ancora in carica con il successore Enrique Peña Nieto. Vale a dire, l’architetto della lotta al narcotraffico messicano messa in piedi dal primo e sostenuta dal secondo capo di Stato per 12 lunghi anni.
Da lunedì sera, l’alto funzionario García Luna è di nuovo in compagnia della polizia di Dallas, in Texas, accusato dalla Corte di New York – la stessa che ha appena comminato l’ergastolo al più grande narcotrafficante della storia, “El Chapo” Guzman – di aver collaborato con il cartello di Sinaloa proprio negli anni della guerra al traffico di polvere bianca tra Messico e Stati Uniti. Sulla testa del massimo esponente della guerra alla droga – costata 100 morti al giorno per 12 anni, 20 mila desaparecidos per un totale di 1,8 miliardi di pesos pubblici – pendono ora tre capi d’accusa tra cui quello di aver sostenuto il crimine organizzato; per la giustizia statunitense Luna è stato il braccio del governo che permise al cartello più forte del mondo, in cambio di tangenti milionarie, di agire in totale impunità in Messico. A denunciare il “commissario” García è stato uno dei fratelli Zambada, detto “El Mayo”, uno dei due soci di “El Chapo”: ha confessato che dal 2005 pagava il Segretario per la sicurezza per avere protezione per sé e per suo fratello. Nello specifico si parla di due versamenti che il cartello criminale avrebbe effettuato sul conto di García fino al 2007, per un totale di circa 8 milioni di dollari. Una quantità di denaro che spiegherebbe anche la sontuosa residenza che quella famosa sera di novembre del 2015 la polizia del Texas registra come abitazione del conducente fermato per non aver rispettato il codice stradale, residente a Golden Beach, in una villa con piscina per un valore di 3,3 milioni di dollari. In quel momento, García Luna aveva già lasciato il proprio posto nel governo messicano e viveva con sua moglie tra la villa e l’attico di lusso di Aventura, in Florida, valutato 2,3 milioni di dollari. Ma quel fermo è solo un escamotage, un tentativo di mettere alle strette l’ex capo della guerra al narcotraffico sul quale già da anni circolavano voci di corruzione e sulla cui condotta, in Messico, c’erano già forti dubbi. Nel 2005, infatti, era stata la volta dello scandalo diplomatico tra Messico e Francia, seguito all’arresto di Florence Cassez, la cittadina francese il cui fermo per l’accusa di sequestro venne trasmesso in tv. Peccato si trattasse di un’accusa montata ad arte proprio dalla polizia di García Luna a favore di telecamere. Ma non fu questa l’unica strategia mediatica del Segretario per la sicurezza, che in questo ruolo, qualche anno dopo, nel 2011, pagò Televisa perché realizzasse una serie che esaltasse il lavoro della Polizia federale, in quel momento in cattiva luce a causa delle maniere eccessivamente forti utilizzate nella famosa guerra contro i narcos. La segreteria di García mise a disposizione di Televisa per l’occasione anche personale specializzato, pattuglie, elicotteri e armamenti di ogni genere. Il programma – andato in onda nell’ora di punta – fu causa di molte polemiche perché, tra le altre cose, metteva in scena una realtà ben distinta da quella che il paese viveva realmente, oltre a costare tantissimo.
Eppure nessuno di questi due scandali, né le successive 20 indagini interne aperte dalla polizia a carico di García Luna sono mai arrivate a concretizzarsi e, alla fine, l’unico risultato è stato che una volta lasciato il suo posto, il segretario fu costretto ad abbandonare anche il paese, essendo ormai la sua immagine del tutto compromessa. Prima di lui, solo due mesi fa, un altro alto funzionario di Calderon è stato accusato di corruzione: niente di meno che il ministro della Corte Suprema, Eduardo Medina Mora. Questo a dimostrazione che le accuse rivolte ai due presidenti messicani, che della guerra al narcotraffico hanno fatto tema di propaganda politica, nonché ragione unica del proprio mandato, non sono state affatto campate in aria. In particolare quelle che tracciavano una linea diretta che dal denaro pubblico impiegato per combattere il crimine organizzato, portava ai funzionari che dovevano fare in modo che quest’ultimo venisse sconfitto.