Ci mancheranno, Crozza e i suoi fratelli (tornano a febbraio, vacanze lunghe). Ogni volta che compaiono sul Nove, il pensiero corre alla Hit Parade di Lelio Luttazzi. Anni Settanta: l’Italia attendeva con ansia alla radio la classifica dei 45 giri più ascoltati. Crozza fa più o meno lo stesso, solo che al posto dei cantanti ci sono i politici (così si siamo ridotti). Metodo scientifico; ogni imitazione si basa sul Var di quanto è accaduto nella settimana, come deve essere in ogni Hit Parade che si rispetti. Il dubbio amletico di Di Maio davanti al Mes, Gualtieri alle prese con la manovra non tradiscono, autentici habitué dei piani alti della classifica. Poi ci sono le new entry, o per meglio dire gli emergenti; venerdì scorso l’imprenditore-à-penser Alberto Forchielli (“Il bambino è un concetto superato”) e il fondatore di Azione, Carlo Calenda (“Non ho mai capito un cazzo: lo dico per trasparenza. Ci sarà pure un 10 per cento di italiani che non capiscono un cazzo”). E ci sono i coccolini, quelli che anche se non hanno inciso un successo strepitoso Crozza non può fare a meno di mettere in classifica, come Antonio Razzi e Vincenzo De Luca. Infine, c’è Vittorio Feltri. Non il fratello ma il gemello, il sosia di Crozza, roba da Dostoevskij. Mi pare sia stata Pensieri e parole di Lucio Battisti a raggiungere il record di presenze sull’ambito trono di “canzone regina” di Hit Parade; un primato che si avvia a essere polverizzato dai pensieri e dalle parole di Feltri.
Mail Box
5 Stelle, unica discontinuità di una politica sempre uguale
È incomprensibile l’odio trasversale riservato ai 5 Stelle, “incompetenti” a prescindere. Sarebbe interessante individuare gli affermati e noti competenti… Salvini che vede la Madonna? Renzi che ha distrutto il Pd? Berlusconi? Monti e Fornero? Meloni e Calenda? Da destra a sinistra l’urgenza non viene ricondotta al bene del Paese, ma a mantenere storture e privilegi delle vecchie e nefande repubbliche: la politica è avviluppata in un indifferenziato, infimo e speculativo appiattimento, fatto di interessi personali, di partito, di asservimento a lobby varie. In questo desolante panorama il M5S, al netto di inesperienza ed errori, rappresenta l’unica forma di discontinuità e speranza.
Anna Lanciotti
Contro le fake news di Salvini il governo faccia squadra
Giustamente Salvini dice che il governo può cadere solo per le divisioni interne, cioè per implosione, mentre il ministro dell’Economia Gualtieri continua a spiegare che non ci saranno aumenti dell’imposizione nella manovra, solo balzelli a difesa dell’ambiente. Se tutto ciò è vero, Di Maio e Zingaretti dovrebbero trovare la quadra, soprattutto su Mes e prescrizione.
Luigi Ferlazzo Natoli
Abolire l’antifascismo: senza giornali è più facile
Caro Furio Colombo, sono pienamente d’accordo con il suo articolo sul Fatto di domenica. Lucido e sintetico come sempre. Ha ragione su tutto, ma su una cosa di più: “Devono eliminare l’antifascismo. Senza edicole è più facile. E senza giornali si può fare meglio”.
Diego
Diritto di replica
L’articolo “Il reddito è senza software…” merita alcune precisazioni. Invitalia, società del Mef, in forza del Dl n. 34/2019, dopo aver condiviso con i vertici di Anpal obiettivi, contenuti e modalità della piattaforma per implementare le politiche attive del lavoro, ha elaborato una dettagliata proposta, nella quale ha ribadito di avvalersi esclusivamente di fornitori aggiudicatari di gare pubbliche Consip. Invitalia ha aggiunto che i fornitori avrebbero potuto avvalersi esclusivamente di subfornitori già dichiarati in sede di partecipazione alle stesse gare Consip. Ciò per garantire il massimo della trasparenza e il parossistico rispetto delle norme. Presentata la proposta, già asseverata dal Mise (vigilante dell’Agenzia) e predisposta con Anpal una bozza di Convenzione, il direttore generale di Anpal ha affidato a EY una valutazione di congruità sulla proposta stessa. Quindi, una società pubblica, che non consegue profitti ma richiede solo il rimborso dei costi delle prestazioni, si vede sottoposta, da parte di un’altra società pubblica, che le ha richiesto prima (e condiviso poi) una prestazione, a una valutazione di congruità della proposta stessa: valutazione elaborata da una società di consulenza privata. Come se non bastasse la società privata, dopo aver effettuato la valutazione – non a titolo gratuito e su porzioni limitate del progetto – ha dovuto rettificare la propria peculiare analisi di congruità. A questo punto, il Cda di Anpal, ha chiesto all’Ad di Invitalia di partecipare a una riunione del Consiglio per illustrare il progetto. Il Dott. Arcuri si è recato alla riunione ma solo per esprimere la sua indignazione e di Invitalia tutta, annunciare di aver ritirato la proposta e comunicare che Invitalia adirà le vie legali a tutela della propria immagine. Quando si dice che la misura è colma.
Ufficio stampa di Invitalia
Sul Fatto Quotidiano di domenica, nell’articolo “Chi vuole abolire l’antifascismo”, Furio Colombo descrive uno “spregevole professore della Normale di Pisa che cerca notorietà con dichiarazioni di disprezzo per la Shoah e le sue vittime”. Non ci risulta che esista un professore della Normale di tal fatta e anzi questa Scuola è notoriamente lontana ed estranea da quanto riportato nell’articolo. Sarebbe bene che accuse così gravi non fossero generiche, ma debitamente circostanziate, e quindi preghiamo Colombo di esplicitare il nome di questo professore e le dichiarazioni che avrebbe rilasciato contro le vittime delle persecuzioni nazifasciste. Qualora si tratti di un errore, del giornale o dell’autore dell’articolo, riteniamo che la Scuola Normale ne abbia già subito un grave danno. Riservandoci quindi ogni azione di tutela della nostra immagine, chiediamo al giornale di pubblicare al più presto una adeguata smentita alle parole di Colombo.
Prof. Luigi Ambrosio, Direttore, della Scuola Normale di Pisa
Il Prof. Ambrosio ha ragione. L’autore della frase “Hitler anche se non era un santo, in quel momento difendeva l’intera civiltà europea” – a cui faccio riferimento, fra altri eventi barbari di questi giorni, nel mio articolo di domenica 8 dicembre – si chiama Emanuele Castrucci ed è docente di Filosofia all’Università di Siena. Scrivere accanto al suo nome “Scuola Normale di Pisa“ è stato un errore che prontamente cancello (il giornale e io lo avremmo fatto oggi con la dovuta evidenza) e di cui vivamente mi scuso.
Furio Colombo
I nostri errori
Domenica ho scritto che i processi prescritti in Italia sono un decimo della media europea: magari! É l’esatto opposto: sono il decuplo. Me ne scuso con i lettori.
m.trav.
Incontrada. Essere giudicate imperfette è un problema: sì, nella testa degli altri
“La perfezione non esiste, se me l’avessero detto per tempo avrei vissuto meglio”. Questo, in sostanza, ha spiegato la bellissima Vanessa Incontrada l’altra sera e il suo monologo è stato ripreso da tutti i siti. Quello che meraviglia, in un Paese che ancora fa i conti con i misteri delle stragi, è la “normalità”: cioè ciò che altrove non farebbe notizia perché considerato quasi ovvio, la donna libera di vivere (ed esporre) come meglio le aggrada anche il suo corpo. In Italia no, si sente il bisogno di ribadirlo dopo essere stati subissati dagli insulti degli odiatori da tastiera. Chiedo alle vostre autorevoli firme femminili: come dovremmo comportarci noi donne? Ha fatto bene la Incontrada o sarebbe meglio non curarci di loro?
Anita Bellinzona
Cara Anita, credo che non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente consumistico, patriarcale, dis-erotizzato e insieme pornografico, il corpo femminile sia esposto a ogni genere di oltraggio, giudizio e censura da almeno 50 anni a questa parte, in forme diverse. Vanessa Incontrada è una donna bellissima e ciononostante è stata insultata dai sopraffini ed esigenti giudici estetici del web. Figuriamoci a quale grado di stress può essere sottoposta un’adolescente che fa esperienza della sua vita sociale per la prima volta attraverso il web (anche se il body shaming non colpisce solo le femmine ed esistono molte e perfide forme di discriminazione). Per capire il bullismo sadico dei social – che spesso porta i giovanissimi a suicidi e a sindromi depressive – andrebbe riformulata da capo la psicologia delle folle; ma di fronte alla bellezza irregolare che non corrisponde ai canoni del momento si è sempre reagito in modo ambivalente o aberrante (di Picasso i benpensanti dicevano che faceva scarabocchi). Sono dispositivi di controllo della realtà da parte di chi si sente impotente a farvi fronte, realtà che è troppo impegnativo conoscere e avere a cuore per quello che è. “Tutti mi volevano diversa. Ma tutti chi?”, dice Incontrada nel suo monologo; quel terrorizzante “tutti” si rivela solo dopo anni e infinite auto-afflizioni una folla d’aria, una fasulla comunità di sodali perfetti che non ha alcun potere e nessuna realtà. Vanessa si è eretta forte sui giudizi dei miserabili proprio perché ha mostrato la sua fragilità: l’unica cosa sbagliata è infliggere ferite per sentirsi migliori degli altri, per il resto essere giudicate perfette o imperfette è un accidente che non ci riguarda.
Daniela Ranieri
Il nostro problema non è il Cazzaro verde, ma chi lo vota
Spiace dover parlare ancora una volta di niente, e cioè di Matteo Salvini, ma la scorsa settimana sono successe almeno tre cose che lo riguardano. E che raccontano molto: non tanto su di lui, quanto su di “noi”.
1. Il cazzaro verde, dopo aver lanciato strali su Conte parlando addirittura di “alto tradimento”, lunedì viene zimbellato come sempre in Parlamento dal presidente del Consiglio. Poveraccio. Poco dopo lo intercetta un giornalista, che gli pone domande tecniche su cosa sia esattamente il Mes (per esempio “Cosa sono le Cacs?”). Salvini reagisce come quando la Boschi si trovava costretta a parlare di Costituzione, che pure pretendeva con Verdini di stravolgere. La sua performance è straziante (“Le clausole che sono in cauda venenum… eeeehhh… smack!”), denotando con ciò un’ignoranza oltremodo crassa. Non appena Salvini deve argomentare e riempire di contenuto minimo le sue sparate, si rivela più ignorante di una capra vilipesa. Daje Matte’.
2. Ospite di Bruno Vespa, Jabba The Polenta ci rivela che ha capito che Conte mente (sempre sul Mes) grazie a un messaggio non di Calderoli o Borghezio, ma dalla Madonna di Medjugorje. Mica niente: forse gli ha mandato un whatsapp, vai a sapere. Ascoltiamo il futuro presidente del Consiglio: “Ieri c’è stato un messaggio della Madonna di Medjugorje che invitava a giudicare le persone dallo sguardo. E lo sguardo di Conte è lo sguardo di una persona che ha paura, che non ha la coscienza pulita e che scappa”. Capito? Gliel’ha detto la Madonna di Medjugorje in persona. E pensare che, in quelle stesse ore, Salvini – sempre pieno di ore libere – se la prendeva col Vernacoliere perché reo di fare satira (su di lui) scomodando la Madonna. Cioè: lui attacca altri perché parlano a vanvera della Madonna. Povero Basaglia: quanto impegno sprecato invano.
3. Salvini, che a giudicare dalle fattezze non deve essere uno che si fa troppi sofismi davanti alle calorie allo stato brado, si scaglia (per poi tentare pateticamente il giorno dopo di fare marcia indietro su ordine di chi gli cura i social) contro la Nutella: “Non la mangio perché compra nocciole in Turchia”. Ora: detto che in realtà Salvini mangerebbe anche i cofani della Duna se fossero commestibili, e ricordato che se fosse sovranista sul serio non dovrebbe usare né smartphone (per nulla italiani) né bere mojito (in nulla italiani), tale sclerata va contro alcune realtà appena inconfutabili, che ricorda tra le altre Selvaggia Lucarelli: “Ferrero ha 6000 dipendenti in Italia a cui quest’anno riconosce un premio di 2.000 euro, ha il 40% di dipendenti donne, stage per i figli dei dipendenti all’estero, un asilo nido e un’attenzione non proprio comune al welfare aziendale. È il più grande acquirente di nocciole italiane, ma compra anche nocciole all’estero perché la produzione italiana non può soddisfare il fabbisogno per la produzione di Nutella destinata al mercato mondiale. Quindi (Salvini, ndr) sei, nell’ordine: fesso, disinformato e pure anti-italiano”.
Sono solo tre esempi tra i mille possibili, che però molto dicono sul personaggio. Il quale, se anche solo osasse proliferare in qualsiasi altro paese col suo mix truzzo di chiacchiere e distintivo, non lo voterebbe neanche un daino morto. Da noi, stando ai sondaggi e non solo, è invece il politico più amato dagli italiani. Ecco: se un Paese civile e democratico si affida mani e piedi a uno così, dopo aver creduto (noi no, ma la maggioranza dei votanti sì) a gente come Andreotti, Craxi, Berlusconi e Renzi, il problema non è tanto l’ennesimo cazzaro. Quanto chi lo vota. Buona catastrofe.
L’ansia di vivere in un mondo irreale e cinico
Venerdì il Censis, Centro studi investimenti sociali (smettiamola di parlare per sigle e ridiamo alle cose il loro nome) ha pubblicato l’annuale Rapporto sulla situazione sociale del nostro Paese. Uno studio ricchissimo di spunti, che tutti i giornali hanno ripreso, ma in modo più approfondito, dedicandogli tre pezzi, l’Avvenire, quotidiano della Cei, Conferenza episcopale italiana, cioè dei vescovi. Ed è naturale che sia così perché, in un mondo totalmente materialista, la Chiesa cattolica ha al centro della sua riflessione l’uomo, anche se, rispetto ad altre religioni, non è riuscita, per ora, a intercettarne i rinascenti bisogni spirituali.
La giornalista dell’Avvenire, Alessia Guerrieri, scrive che “viviamo fra un’ansia di massa, incertezza del futuro e difficoltà di fidarsi degli altri”. Che esista un’“ansia di massa” è confermato, sul Corriere, dallo psichiatra Claudio Mencacci che afferma che “ben 8 milioni d’italiani soffrono di disturbi d’ansia con conseguenze gravi sulle proprie capacità nella vita professionale”. Ma non c’è bisogno di ricorrere agli psichiatri, tutti noi, credo proprio tutti, poveri o ricchi che si sia, viviamo in un perenne stato d’ansia. Da che cosa dipende? Il Censis lo fa risalire a ragioni economiche: disoccupazione, semi-occupazione, incertezza per il proprio futuro lavorativo, disuguaglianze sociali. Certo sono ragioni importanti, ma io non credo che questo sia il nocciolo più autentico della questione.
Negli anni Cinquanta eravamo tutti – a parte una strettissima striscia di borghesia che aveva almeno il buon gusto e il buon senso di non ostentare la propria ricchezza – molto più poveri di quanto non lo si sia oggi. Eppure non si avvertiva in giro nessuno “stato d’ansia”, ma semmai spavalderia e anche allegria. Il nostro generale smarrimento deriva, a mio parere, da altre circostanze. In primo piano c’è la velocità spaventosa, esasperata dalla globalizzazione, a cui sta andando il nostro modello di sviluppo e la questione qui non è solo italiana, ma riguarda gli stili di vita del mondo occidentale e di quei Paesi che questi stili hanno adottato. Dopo aver letto Avvenire ho visto la sera su Sky uno speciale dedicato ai Bitcoin e a tutte le monete virtuali che stanno prendendo piede in un mondo che non è più reale, ma è appunto virtuale. Che è lo stesso mondo in cui si rifugiano i ragazzi, e non solo loro: secondo il Censis il 73,8 per cento possiede almeno uno smartphone e vive con esso da quando si sveglia a quando va a dormire.
C’è quindi una fuga dalla realtà, una realtà troppo complessa per poter essere in qualche modo governata e soprattutto retta dal singolo. Il fatto è che nel giro di pochi decenni sono saltati tutti i punti di riferimento su cui eravamo abituati a vivere, quei valori che io chiamo “preideologici e prepolitici”: senso della propria dignità, onestà e persino un minimo di buona educazione. C’è nel Rapporto del Censis un dato che a mio parere è decisivo: “il 75 per cento degli italiani non si fida più degli altri”. E non si vive bene quando non puoi mai sapere se chi ti sta davanti è una persona onesta oppure un mascalzone che nei modi sofisticati oggi possibili cerca di portarti via, oltre al portafoglio, anche l’anima.
Identità e leadership i due nodi di M5S e Pd
L’endemica conflittualità interna alla maggioranza mette a dura prova la fiducia anche di chi – io tra questi – ha sempre sostenuto che, bon gré mal gré, M5S e Pd avessero il preciso dovere di cooperare per non consegnare il Paese a una destra illiberale e nazionalista. Non sulla base di un contratto, ma di una comune visione. Conferendo spessore e orizzonte politico al loro rapporto. Spes contra spem merita segnalare due condizioni, che rispettivamente riguardano i 5 Stelle e il Pd. Due “compiti a casa”.
Il M5S dà l’impressione di rappresentare l’epicentro della instabilità dell’esecutivo. Ci si concentra sulla contrastata e ondivaga leadership di Di Maio. Egli effettivamente trasmette l’impressione di essersi acconciato di malavoglia alla collaborazione con il Pd. E tuttavia non esagererei nella personalizzazione del problema. Alla radice sta il nodo irrisolto, più di fondo e oggettivo, dell’identità e della missione del M5S nell’attuale fase. Mi era sembrato che gli annunciati Stati generali del Movimento – il corrispettivo dei vecchi congressi – sottintendessero la consapevolezza di questo cruciale problema. Lessi con soddisfazione la pur sobria nota del blog ufficiale che ne dava notizia. In poche righe si fissavano tre punti: rispetto alle origini tutto è cambiato; non si deve recedere dal costruttivo impegno dentro le istituzioni; s’ha da operare un salto di qualità nella condivisione delle responsabilità. In forma ancor più secca si è espresso il fondatore-garante Grillo: indietro non si torna, è preclusa la via romantica e regressiva di un ritorno alle origini. Mi permetto di riassumere con parole (e attese) mie l’ordine del giorno degli Stati generali: responsabilità di governo, cultura della coalizione, strutturazione e democrazia interna al Movimento, scelta di campo (l’opposto della teoria dal sapore trasformistico dell’ago della bilancia), contendibilità della leadership. C’è un solo modo per razionalizzare e conferire costrutto politico alla stessa competizione per la leadership, altrimenti risucchiata dentro la logica entropica di mere rivalità personali e di gruppo indecifrabili politicamente: quello di legarla a distinte e riconoscibili piattaforme politiche sui punti suddetti. Oggi si obietta che non vi sarebbero alternative a Di Maio. Ma esse, naturaliter, sortirebbero da un aperto confronto “congressuale”.
Va dato atto a Zingaretti di avere scommesso su un rapporto politico strategico con il M5S, dopo le sue prime riserve. Tuttavia, problemi non mancano anche sul versante Pd. Due in particolare. Anch’essi esigerebbero un franco e serrato confronto sin qui eluso. Il primo è un giudizio sul lungo tempo della stagione renziana. La svolta recente presupponeva che si facessero i conti con gli errori del passato, a cominciare dal deragliamento della stagione renziana, oggi retrospettivamente comprovato dalla traiettoria e dall’approdo del suo protagonista. Sul punto ha ragione Bersani che evoca la costituente di qualcosa di nuovo: il centrosinistra, a sua volta, non può riproporre semplicemente se stesso, deve marcare una visibile discontinuità, nei contenuti e nella sua forma politica, se vuole riconquistare appeal ed elettori. Per affrancarsi dal suo profilo governista, dal suo schiacciamento sull’establishment che lo fa inidoneo a raccogliere la domanda di partecipazione espressa da ultimo dalle Sardine. Che pure sono ostili alla destra e per nulla inclini all’antipolitica. Solo così può risultare convincente che la stessa alleanza con il M5S non è meramente occasionale ed emergenziale. Il secondo, connesso problema è il peso, tuttora esorbitante, degli ex (?) renziani che fanno eco (concordata?) alle posizioni di Italia viva e che, di conseguenza, più o meno apertamente, contrastano l’investimento politico strategico nel rapporto con il M5S. Comprendo la difficoltà: escluso Zingaretti, all’epoca appartato nel Lazio, la quasi totalità del gruppo dirigente Pd partecipò o quantomeno si acconciò al renzismo. Ma vi sono casi eclatanti, ai vertici del partito e dei gruppi parlamentari, che francamente sconcertano e trasmettono l’idea di una identità politica irrisolta.
Un tale, doppio chiarimento interno a M5S e Pd può altresì giovare allo scopo di depotenziare il “genio guastatori” di Italia Viva. Secondo la fantasiosa narrazione renziana, i suoi critici di un tempo dentro il Pd facevano la guerra al Matteo sbagliato (lui, anziché Salvini). Ora palesemente è lui che gli sta dando una mano. Una liaison che, concordata o no, è nelle cose.
Adesso pure Goffredo morde
Goffredo Bettini è stato uno dei padri nobili, o almeno degli ispiratori di questo governo giallorosa. Fu lui il primo, nel Pd, a parlare di un “governo politico di legislatura” insieme ai Cinque Stelle, basato su una “profonda riflessione politica”. Nei giorni in cui invece Zingaretti pensava di sfruttare il colpo di sole estivo di Salvini e passare al (magro?) incasso delle urne. Il manifesto di Bettini lo indusse a più miti ragionamenti. Ora però pure Goffredo morde. E si unisce al coro, un po’ stucchevole, delle lamentazioni sul “così non si può andare avanti”. Bettini lo dice a modo suo: “Ci vuole una verifica”. Che è un’altra maniera per ribadire che il Pd s’è rotto le scatole. “A gennaio – dice Bettini – avremo una verifica di governo, o si approva o non si approva, non possiamo stare sospesi ogni giorno a Di Maio e Renzi”. Certo le premesse così non sono proprio ottimistiche. “Conte si presenterà con una sua agenda – aggiunge il dem, ospite ieri mattina di Radio 24 – e terrà conto anche delle cose successe. Discuteremo un programma che o si approva o non si approva. Non possiamo stare sospesi ogni giorno alle dichiarazioni di Di Maio o a quelle di Renzi, che prima dice che si deve eleggere il presidente della Repubblica, poi che si può andare a votare subito”. Vero. Intanto Salvini se la ride.
Dopo il nostro titolo, via la foto
È già diventata un pezzo introvabile la foto che vi riproponiamo in pagina e che i lettori del Fatto hanno già visto sull’edizione di domenica del nostro quotidiano, che ritrae la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, la sua stilista di fiducia Rosy Garbo e il di lei figlio condannato per molestie sessuali a delle giovani modelle. La foto era l’immagine del profilo su Facebook del figlio della signora Garbo, utile a dare un tocco istituzionale all’attività di famiglia, in posa addirittura con la seconda carica dello Stato, la “vice” del presidente della Repubblica. Dopo la pubblicazione sul Fatto, ieri la foto è stata rimossa e così, siccome adesso ha un valore anche artistico, volentieri ve la riproponiamo.
Il sì al Tav resuscita l’eterno pasdaran Foietta
È vero, non sono stato confermato come Commissario governativo per la Torino-Lione. Il ministro Danilo Toninelli non mi aveva in simpatia e il sentimento era reciproco. Ma sono ancora presidente della Commissione Intergovernativa (Cig) per il Tav e finché il governo non mi revoca svolgo il mio compito. Mercoledì a Torino presiederò la Commissione”. È lo stesso architetto Paolo Foietta a descrivere il paradosso: il primo governo Conte aveva deciso di non puntare su di lui per gestire la partita Tav. Il suo posto non è stato preso da nessuno e Foietta non è stato sostituito nell’altro incarico: presidente della Cig.
Così domani sarà lui a presiedere per l’Italia la fondamentale riunione che si terrà a Torino, quella in cui si capirà se l’Unione è disposta a concedere una proroga al finanziamento nonostante il cronoprogramma dei lavori non sia stato rispettato. Foietta rappresenta il governo? Lo chiede un gruppo di parlamentari contrari all’opera, tutti senatori, il dem Tommaso Cerno e i 5Stelle Alberto Airola, Susy Matrisciano, Elisa Pirro e la deputata Jessica Costanzo: “La convocazione della Cig, che non avveniva dall’anno scorso, avverrà senza il cambio di presidenza. Sarà l’ennesima occasione sprecata per ridiscutere le forti criticità del proget- to, ammesse dall’Osservatorio, dalla Corte dei Conti francese e cristallizzate nell’Analisi costi/benefici disposta da Toninelli”. In fondo la questione della presidenza è solo il riflesso di un nodo non sciolto, dopo il voto parlamentare di agosto, quando la mozione No-Tav del M5S venne respinta, mentre passò quella del Pd sostenuta da Lega e centrodestra. Ora la maggioranza è diversa, ma la situazione non pare più chiara.
Domani la Commissione (cinque membri per ciascun governo) affronterà temi cruciali e sarà presente anche Iveta Radicova, coordinatrice Ue per il Corridoio Mediterraneo: “La questione essenziale è quella che parte dalla lettera di Giuseppe Conte in cui si parlava di riprogrammazione dell’opera senza perdere i finanziamenti”. Il professor Alberto Poggio, membro della Commissione Tecnica dei comuni contrari all’opera, tratteggia così la situazione: “Siamo enormemente in ritardo. Bisognerà capire se ci sono ancora i soldi, perché il 31 dicembre scadono i termini per utilizzare i finanziamenti Ue per il 2014-2020. Degli 813 milioni stanziati ne è stata utilizzata molto meno della metà”. Ma se, come probabile, l’Europa concedesse una proroga, resterebbero molti interrogativi: “Le gare sono ferme, nessun capitolato è stato pubblicato, né in Italia né in Francia”, aggiunge Poggio”.
Sullo sfondo un altro nodo: “Sarà presentato l’audit sul tunnel storico del Frejus”, spiega Foietta, “sapremo se la linea esistente sarà ancora utilizzabile e con quali limitazioni”. All’appuntamento l’Italia si presenta senza il nuovo Commissario e con un presidente della Commissione che il passato governo non gradiva. “Le due nomine sono slegate”, sostiene Foietta. Poggio storce il naso: “Negli ultimi anni erano affidate a una sola persona. Foietta rischia di rappresentare l’Italia solo sulla carta”.
Lavori per la barca di un amico, un pm di Avellino indagato
Dopo Andrea Nocera, dimessosi da capo degli ispettori del ministero della Giustizia perché sotto inchiesta a Napoli per corruzione, c’è un altro magistrato indagato nel ‘circoletto’ di armatori, politici locali, toghe e 007 con ‘sede’ al porto turistico di Marina di Stabia. Si tratta di Vincenzo D’Onofrio, aggiunto della Procura di Avellino – ufficio del quale tra pochi mesi con il pensionamento di Rosario Cantelmo sarà reggente – sul quale la Procura di Roma ha formulato una ipotesi di concussione, come ha confidato lo stesso pm a una ristretta cerchia di amici e colleghi. La presunta concussione si sarebbe consumata sui lavori di riparazione della barca in uso al magistrato e di proprietà di un suo amico, l’imprenditore e vicesindaco di Piano di Sorrento, Pasquale D’Aniello.
Giovedì, D’Aniello è stato sentito come teste dai pm di Roma, competenti per i magistrati del distretto di Napoli, e ha risposto a domande sulla barca e sui rapporti con D’Onofrio. Venerdì a Roma è stato il turno del maggiore della Guardia di Finanza Gabriele Cesarano, distaccato a Palazzo Chigi, nei servizi segreti. È indagato. Anche lui frequenta Marina di Stabia e conosce D’Onofrio, anche a lui sono state fatte domande sul procuratore e sulle sue amicizie e frequentazioni – peraltro note e alla luce del sole – con imprenditori della costiera.
A breve anche D’Onofrio sarà sentito: sarà l’occasione per esporre la sua versione.
D’Aniello, indagato e poi archiviato per prescrizione a Torre Annunziata in una inchiesta sugli appalti del servizio idrico gestito dalla Gori, è la figura che collega indirettamente D’Onofrio ai protagonisti del filone primario su Nocera. In una rete di intrecci che si aggroviglia a Marina di Stabia, uno dei porti turistici più grandi d’Europa: 1400 posti barca, 1500 posti auto, capace di accogliere imbarcazioni fino a 100 metri, che la scelgono per la sua vicinanza al jet set di Capri, Positano, Amalfi, e la costa sorrentina.
Marina di Stabia sarebbe però l’epicentro di uno scambio di piaceri raccontato in un lungo verbale da Salvatore Di Leva, imprenditore marittimo con un cantiere in questo porto turistico, amministratore della compagnia di navigazione Alilauro Gruson, consigliere comunale di Sorrento. Di Leva è stato sentito dalle procure di Roma e Napoli: per Roma l’aggiunto Ielo e la pm Affinito, per Napoli i sostituti Cimmarotta e Woodcock. Dalle sue dichiarazioni è scaturita l’indagine su Nocera, al quale Di Leva e l’ex senatore di Forza Italia Salvatore Lauro, patron del gruppo Lauro Navigazioni, indagati anche loro per corruzione, avrebbero offerto tessere gratis per le tratte Napoli-Capri e il rimessaggio gratuito di un gommone a Marina di Stabia in cambio di un interessamento su una vicenda giudiziaria di Lauro. Progettato in un incontro a Marina di Stabia.
D’Onofrio è estraneo a questa vicenda. Ma si è arrivati a lui attraverso il trojan installato il 19 marzo 2019 sul cellulare di Di Leva, che ne ha scandagliato per mesi contatti e interessi. L’attenzione si è focalizzata su un’intercettazione tra Di Leva e D’Aniello, amici da tempo. In cui si fa riferimento alle pressioni ricevute per la riparazione della barca. Conversazione ora al vaglio dei pm romani.