Matteo fortissimamente volle. “La sigla della sua trasmissione a Radio Padania era una nostra canzone: Il vento del nord. Non ci azzeccava nulla con la secessione, l’indipendenza, le cose leghiste. Parlavamo di fiori. Ma a lui bastava il titolo, la sola suggestione. È il suo animo così. Non va al fondo delle cose, non spiega, non ragiona. Io chiedo ai miei amici della Lega: ditemi perché bisogna votarla. Ditemi cosa non va, e ditemi cosa fareste voi. Qui casca l’asino: quando devono proporre restano con la bocca cucita”.
Senza i Nomadi, buona parte degli anni Sessanta e Settanta sarebbero orfani di una grande voce e di una melodia che coniugava il sentimento e popolo, carezze e socialismo. Senza Augusto Daolio, Beppe Carletti, che oggi ha 73 anni, non avrebbe mai potuto fondare la band più longeva e familiare della canzone italiana che ha resistito alla morte prematura del suo frontman. “Non ci siamo mai mossi da Novellara, dalla Bassa, dalla nostra nebbia e dal lambrusco. I manager a dirci: dovete venire a Milano per avere successo. Invece non è mai passato per la testa di spostarci. Noi emiliani siamo fatti così. Adesso ti faccio vedere dove abita Ligabue, a due passi da qui”.
Senza l’Emilia il nostro giradischi sarebbe morto di fame. Col suo pulmino ancora in attività, “perché noi facciamo almeno 70 serate all’anno, e viviamo sazi e anche felici”, Beppe Carletti, 73 anni e nonno, spiega cos’è la contentezza. “Quel che si guadagna si divide in parti uguali perché con Augusto, al tempo di mettere su il gruppo, ci dicemmo: un gruppo si può chiamare tale solo se tutti ricavano la stessa moneta dal lavoro. Io dico lavoro, ma è passione, è una fortuna sfacciata di andare ovunque ed essere sempre accolti bene. Siamo fortissimi nell’Italia rurale, nei paesini che hanno cuore, che addobbano con le luminarie le loro giornate di festa. Ecco, scusa, dietro questi vigneti di lambrusco vive Ligabue. Lui è il top, ma neanche si muove dalla nebbia della Bassa che pure porta umidità d’inverno e un esercito di zanzare d’estate. Se ti allunghi un po’, viri sulla via Emilia e trovi Cavriago, dove abita Orietta Berti. Di Roncocesi, un piccolo paesino, è Zucchero, l’unico che è andato via. Ma non ha scelto Miami, è andato a Pontremoli, tanto per capirci”.
Vota l’Emilia, e canta, canta sempre. Io vagabondo, Noi non ci saremo, Canzone per un’amica. “Guccini ci dava i testi prima che iniziasse lui a cantarli, e noi abbiamo costruito il successo grazie anche alle sue strofe. Ancora oggi non c’è posto che visitiamo nel quale non si chieda il bis di queste canzoni. Noi voliamo basso, sia chiaro. La televisione non ci chiama, le radio non si occupano di noi, ma noi comunque ci siamo”.
Novellara, 13 mila abitanti. Piana come un tavolo da biliardo, è tra i bastioni ex comunisti ancora difesi. “C’è mia figlia Elena che fa il sindaco. Una brava donna, coraggiosa e tenace. Lavora da mattina a sera e non tocca nulla. Una brava amministratrice”. La figlia dei Nomadi perché “di base qua siamo tutti riformisti. Di sinistra, ma riformisti”.
Come ha spiegato bene lo storico Alberto Melloni, l’Emilia è rossa solo nell’immagine esterna: “Il socialismo fa da scudo all’amministrazione più liberal che ci sia. Dietro la falce e martello si è sviluppata la più ricca energia creativa del riformismo. Tutto il liberal possibile, altro che socialismo”. Che secondo Graziano Delrio risponde al principio della curvatura permanente: “Significa che la tua azione politica deve sempre curvare, piegarsi a qualcosa di nuovo, imboccare nuove strade. Abbiamo la capacità di cambiare senza pregiudizi o ideologismi”.
Sulla via Emilia, all’ultimo semaforo prima di svoltare verso Modena, Carletti illustra: “Si sta tutti qua perché qua si vive bene. Al mio paese i nonni in difficoltà vengono aiutati ogni giorno. I ragazzi del comune li vanno a trovare in casa, li portano al laboratorio d’analisi. Se serve gli portano il cibo. Gli asili nido sono uno spettacolo, la rete pubblica è efficiente e solidale. Poi, certo, puoi sempre migliorare. Anzi devi sempre chiedere di più. Adesso c’è questa moda del cambiamento. Si vota Lega, ma non si sa perché. Io lo chiedo ai miei amici e loro zitti e mosca. Non sanno che pesci prendere”.
A Modena un altro gruppo della canzone pop dell’Italia disimpegnata, l’Equipe 84, e Modena è invece partigiana come pochi. Sotto la torre della Ghirlandina i volti dei combattenti, nome, cognome: “Eroi”, c’è scritto nella targa di marmo che li ricorda.
“Io ti dico che Salvini spara cazzate. Gli voglio bene, ma dice cazzate. L’ultima sulla Nutella. Nemmeno sapeva che le nocciole italiane non bastano alle necessità. La penultima sugli ospedali che nei weekend sarebbero chiusi, che la nostra gente va a farsi curare in Veneto. Ma cosa dice? Chiedesse a Berlusconi, che quando ha avuto i suoi problemi con la prostata è corso a Reggio Emilia”.
Carletti, nonno felice e una figlia sindaco del Pd, è tastierista indomito e autista impenitente: “Ci facciamo le nostre serate e prendiamo di ferie solo novembre”. Non come Francesco Guccini che ha scelto il silenzio di Pavana. Il crostone di montagna che separa Pistoia da Bologna, sul confine della Toscana. Milva, un’altra grande, vive a Ferrara e non si muove. E Vasco è il re di Zocca, dietro Bologna. Anche Iva Zanicchi, l’unica che abbia tentato la fortuna politica arruolandosi nel centrodestra, resta legata a Ligonchio. Solo la Pausini ha deciso di dire ciao a Solarolo, il paese della Romagna che l’ha fatta crescere e conoscere.
La canzone, impegnata o solo melodiosa, è intruppata in ordine sparso nel centrosinistra, oggi nel moto ondoso delle Sardine, nell’area vasta dei simpatizzanti silenti, degli osservatori interessati. “La musica è sempre quella, e non cambierà”, annuncia l’oste di Cognento, frazione di Campagnola, il triangolo d’oro di quel che fu il comunismo italiano: falce, martello e lambrusco.