Ora tocca alla nutella. “Non la mangio più, è fatta con nocciole turche e io tifo solo e sempre italiano”.
Nel derby di Romagna, dove le sardine lo attendevano alla prova dei numeri, Matteo Salvini non tocca palla e fila via, dopo venti minuti e una incursione spericolata contro l’icona del gusto made in Italy. Ravenna per Salvini si ritrova stretta in una via del centro, e cede la piazza alle camionette della polizia e ai cani usciti per i bisogni quotidiani che vivono una fantastica serata senza auto e senza guinzaglio. “Invece il mio Lampo è super eccitato per l’arrivo di Matteo”, annuncia Marina, esperta di diritto della navigazione, sempre all’opposizione dei rossi e sempre perdente: “Io lo voto, ma chissà. Non vedo speranza”.
Le Sardine, alcune migliaia, sono invece sbucate alla stessa ora (le 19) dal porto canale e hanno occupato la darsena. Tantissime, di ogni taglio ed età. “Sardine, sardone, anche sgombri”, dice Giovanni, militante del Pci al quale oramai il destino ha costretto a divenire pesce per sentirsi comunista. “Dov’è il mio partito?”. Se Salvini è affaticato, e anche la sua macchina di propaganda, la cosiddetta Bestia, un po’ provata da una corsa all’insù che adesso sta deviando verso la pianura, il Pd non c’è proprio. Il centrosinistra nelle strade non si trova e neanche sui muri.
Esiste Stefano Bonaccini, per ora ancora in poster, un verde speranza istituzionale senza simbolo.
Siamo a Ravenna, la città che ha conosciuto in un passato non lontanissimo la miseria, ha patìto la pellagra, ed è venuta fuori dalla palude solo alla fine dell’Ottocento. Il capoluogo della Romagna dei mezzadri e dei braccianti, gli uni iscritti al Partito repubblicano gli altri al Psi e naturalmente al Pci, oggi è una città d’arte, il suo mare è un serbatoio di gas, le piattaforme di Eni e delle altre compagnie pompano e distribuiscono. Però ora si dice: se l’Emilia è rimasta rossa, la Romagna è divenuta leghista. “Non è affatto vero – spiega Alberto Melloni, docente di storia del cristianesimo e osservatore di questo sommovimento sociale. L’egemonia culturale riformista è omogenea, il centrosinistra ha governato con qualità e la giunta Bonaccini ha fatto cose egregie. Sul punto non possiamo dir niente. Quel che paghiamo, oltre la suggestione della paura, questa costruzione a tratti fantastica con la quale Salvini è riuscito a costruirsi un popolo, è di non aver fatto i funerali alla cooperazione”. Lo conferma, ogni volta che può, anche il politologo Gianfranco Pasquino: “Salvini si è cercato il popolo. Uno a uno. Non è onda emotiva, né tratto passeggero. Lui ora ce l’ha, sono gli altri ad averlo perso”.
Se Salvini fa paura, la Bestia come lui chiama la propria macchina elettorale, avanza dietro alla Bella, il volto empatico di Lucia Borgonzoni, la candidata che nelle piazze neanche mette piede (ultimo evento del 27 novembre scorso, penultimo dell’11 novembre scorso), riducendo al minimo il livello del confronto locale, dov’è perdente, e dirigendo il suo corpo, il suo sorriso, le proprie fattezze in tv, dove dà il meglio di sé con un linguaggio banale, basico, intuitivo. Il fatto nuovo, che mette a rischio anche il risultato emiliano, è l’implosione del mondo Coop, storica cinghia di trasmissione tra società e governo. Ecco Melloni: “Da elemento egualitario, le Coop si sono trasformate in un club dove gli amministratori si arricchivano mentre i lavoratori si impoverivano. Nessuna differenza tra il padronato e loro, nessuna diversità, nessuno spirito riformista. E la crisi, il botto che hanno fatto, con la rovina finanziaria dei colossi, da CoopSette a Cmc, ha prodotto prima la stagnazione elettorale e oggi la regressione”.
Salvini ha conquistato Forlì, poi Ferrara, “anche Predappio e Brisighella”, e ora chiama a raccolta i delusi attraverso parole chiave che qui hanno difficoltà ad attecchire. “Basta con le liste d’attesa, basta con la gente che è costretta ad andare in altre regioni per farsi curare”, ha detto nella sorpresa generale dei convenuti. Ravenna non è Cosenza, o Bari, o Napoli. La Romagna ha i migliori centri di diagnostica, di alta specializzazione, primazie nazionali indiscutibili.
Infatti ha ritrovato la connessione sentimentale quando ha parlato del ladro ucciso a fucilate da un custode la notte scorsa in Emilia: “Se fosse andato a lavorare anziché a rubare non avrebbe avuto problemi”. I cinquecento simpatizzanti, chiusi dalla polizia nella via Rasponi, una bella strada che attraversa il centro della città, hanno salutato con un boato questa considerazione piana, elementare.
“Io sono architetto e con la flat tax ho avuto un bel risparmio”, spiega Daniele. “Io anche sono a partita Iva, io voto lui”, aggiunge Giuliano. Due quarantenni con fidanzate e mogli di sinistra e anche nonne, come la signora Paola, che ascolta, “per capire, soltanto per capire. Io sono riformista, non voterò lui”.
Questa è la Romagna, la terra del Papeete, la spiaggia dell’happyhour da dove un Salvini sciolse il governo, chiese le elezioni e i pieni poter.. “Amici, io al Papeete ritornerò” annuncia lui e Massimo Casanova, il proprietario del locale ora salito di grado, è infatti eurodeputato, sorride felice.