Se esistesse una categoria morettiana di attrice, Elena Radonicich sarebbe tra le prime iscritte. Seria, posata, soppesa le parole, ma senza pesantezza, solo nel rispetto del significato, poi torna sui concetti, li elabora prima nella testa, poi accetta le accezioni dell’interlocutore, non si nasconde, e conosce il valore dell’esperienza “e per fortuna in carriera ho lavorato con dei grandi”.
Attualmente i “risultati” sono in una tournée teatrale con L’onore perduto di Katharina Blum (ora all’Eliseo di Roma) e nel ruolo di Marlene Dietrich nel programma Io e lei in onda su Sky.
“L’attore sposta i confini dell’infanzia senza farti invecchiare” parole sue.
Davvero l’ho detto? Sono d’accordo con me stessa.
Con “Irishman” l’asticella si è spostata: li hanno ringiovaniti al computer.
Toglie il problema di doversi rifare.
Non toglie anche spontaneità nella recitazione?
Attualmente al pubblico non interessa la spontaneità.
E cosa?
Preferisce trovare qualcosa di eterno, inscalfibile e soprattutto che esprime felicità.
Mentre prima…
Negli anni Settanta era importante il dubbio, le persone si sentivano rassicurate nel vivere in una società viva e plurale; oggi si punta solo ad allontanare il pensiero della morte attraverso l’abbattimento della caducità.
Per Gianluca Guidi frequentare troppe scuole di recitazione toglie spontaneità.
Studiare mi calma, placa il “mito dell’impostore”, soprattutto se uno è ben cosciente di cos’è l’eccellenza e cos’è la mediocrità.
Quindi ai provini è sempre iper preparata.
A volte sono un impostore.
Allora?
Quel discorso è per giustificare che alla fine uno è un gran paraculo.
Sa bluffare?
È il mio mestiere; anni fa sono andata a un provino per un film tedesco, e il mio inglese di allora era basico; a un certo punto mi dicono: “Ora improvvisiamo una scena in mezzo al bosco”.
Morale?
Quel giorno sono stata avvolta e guidata da un istinto di sopravvivenza, quando scopri che in te vivono delle risorse sconosciute, e capisci di non conoscerti fino in fondo: all’improvviso ho iniziato a parlare un inglese ottimo, e mi hanno preso.
E a teatro?
Tutti i giorni si apre il sipario e tutti i giorni mi domando “perché sono qui”, o “che dio me la mandi buona”.
Sobria.
Dura poco, poi si trasforma in potere; un potere che quando sbagli ti si mangia, quando va bene, lo eserciti e godi di quello che stai realizzando.
Tensione.
Le prime volte sul palco per l’adrenalina andavo a dormire alle cinque del mattino.
Comprende i suoi colleghi che optano per la droga…
Certo, e capisco tutti i vizi; va peggio alle rockstar.
Un copione comico le è mai arrivato?
Mi piacerebbe, ma con questa faccia è impossibile.
Cosa la fa ridere?
Le persone patetiche, gli inetti, gli inadatti, i fuoriluogo.
Fantozzi?
Da morire; poi sorrido dei gaffeur, e in casa mia c’è un ramo di gaffeur, e se poi vedo qualcuno cadere per strada…
Lì si sente male…
Un giorno esco con un’amica, camminiamo, passa un ragazzo sul motorino, ci guarda, si distrae, va contro un cassonetto dell’immondizia e ci finisce dentro. Io impazzita.
Un suo vizio.
Il cibo. Penso solo a mangiare. Solo ristoranti. E non voglio regolarmi.
Un suo cruccio.
Da torinese ho sempre paura di offendere gli altri, preferisco sorridere e fingere che va tutto bene, e in quei rari casi in cui riesco a mettere i puntini sulle “i” allora dentro di me scatta la ola.
Ha lavorato con Elio Germano, Luca Marinelli e altri: cosa ha rubato a chi?
Da loro ho imparato la serietà, perché sono attori dediti, che si pongono domande e analizzano le scene.
Cioé?
Ti prendono per mano e ti portano con loro, perché non hanno alcun interesse a brillare da soli, e uno si sente partecipe di un contesto maggiore e magari ritrova sul palco o davanti alla cinepresa i risultati di questo percorso.
(E magari trasformarsi in maniera stupefacente anche in un’icona come la Dietrich).