Ribadire l’ovvio può essere noioso, ma utile. Farlo con una discreta messe di dati – come fa Lo stato della sanità in Italia dell’Ufficio parlamentare di bilancio – è senz’altro utile. E allora com’è messa la sanità? Bene, ma non benissimo. Bene, perché il nostro Ssn è universale, nella media (ma le medie si sa…) discretamente efficiente e meno costoso di “altri sistemi, basati su mutue e assicurazioni pubbliche (Francia o Germania) o su una preponderanza del privato (Usa)”. D’altra parte, i tagli hanno comportato “conseguenze sull’accesso fisico ed economico (alle cure, ndr), soprattutto durante la crisi, e uno spostamento di domanda verso il mercato privato”.
Spesa. Ci dice l’Autorità di controllo sui conti pubblici: “Il Ssn spende in media 2.545 dollari per ogni cittadino, un importo molto lontano dai 5.289 dollari della Norvegia e dai 5.056 della Germania (gli 8.949 dollari degli Stati Uniti includono la spesa delle assicurazioni individuali obbligatorie)”. La spesa pro capite reale, cioè al netto dell’inflazione, è oggi più bassa di quella del 2010 in tutta l’Europa del Sud. E ancora: il tasso di crescita della spesa pubblica per la salute “di poco inferiore al 7 per cento in media tra il 2003 e il 2005, si riduce al 2,8 per cento tra il 2006 e il 2010 e mostra un valore sostanzialmente nullo nel periodo 2011-15, per superare l’1 per cento nel triennio successivo”. Dal 2011, in buona sostanza, la spesa aumenta meno dei prezzi: è un taglio.
tagli. I due settori più colpiti sono posti letto ospedalieri e personale. I primi, calcolandoli ogni mille abitanti, sono passati “da 3,9 nel 2007 a 3,2 nel 2017, contro una media europea diminuita da 5,7 a 5”. I dipendenti del Ssn a tempo indeterminato sono diminuiti in dieci anni di 42.800 unità (scarseggiano soprattutto gli infermieri). Insieme al blocco dei contratti, questo ha comportato un taglio “in valore assoluto di quasi 2 miliardi tra il 2010 e il 2018”. La conseguenza è stata “una dilatazione degli orari di lavoro” che, insieme ad altri fattori, “hanno alimentato il disagio nel personale”. Tanto più che il blocco del turn over ha comportato un aumento dell’età media: “Da 43,5 anni nel 2001 e a 50,7 nel 2017”.
Spesa privata e poveri. Ticket e altre forme di “compartecipazione alla spesa” hanno aumentato “la quota di cittadini che hanno rinunciato a visite mediche per il costo eccessivo, passata, secondo dati Eurostat, dal 3,9% nel 2008 al 6,5 nel 2015”. Calcolando solo il 20% di popolazione più povera si passa “dal 7,1% nel 2004 al 14,5 nel 2015”. Nel frattempo la spesa privata per la salute “aumentava in media da 710 dollari pro capite a 776 (dal 2,1 al 2,3% del Pil)”.
Due Ssn. Sono “ampi i divari territoriali che mettono a rischio l’erogazione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) sul territorio”. Ad esempio nessuna Regione del Sud assicura i Lea (ma neanche Lazio, provincia di Bolzano, Valle d’Aosta e, per la prevenzione, Friuli Venezia Giulia). “In Italia le differenze dovute a variabili socio-economiche sono superate da quelle geografiche”. Insomma, chi sta messo peggio sono i poveri del Sud.
Rischio dissoluzione.Ticket, lunghe liste d’attesa, mancanza di prestazioni sul territorio tendono “a spostare la domanda verso il privato” e “nello stesso senso vanno le agevolazioni fiscali concesse alle misure di welfare aziendale. Queste misure favoriscono un sistema categoriale-corporativo alternativo al servizio pubblico (…) Assecondare questa tendenza e contemporaneamente continuare nella compressione del finanziamento del servizio pubblico potrebbe mettere in discussione l’universalità del sistema vigente”. E poi? “Nel medio-lungo periodo il mercato privato tende a farsi più aggressivo, sfruttando i margini di prezzo resi disponibili”.