Quella villa da 1,3 milioni col prestito del nominato

Riccardo Maestrelli, imprenditore fiorentino (in passato finanziatore di Open) con la sorella Elena elargisce, attraverso un bonifico dal conto corrente della madre, l’anziana signora Anna Picchioni, 700 mila euro a Matteo Renzi. Causale: “Prestito”. Estate 2018. La casa costa 1,3 milioni di euro ed è in una delle zone più nobili e belle di Firenze. A rivelare il giro bancario – emerso dalle carte dell’inchiesta sulla fondazione Open – è il settimanale l’Espresso con un’anticipazione dell’articolo che sarà pubblicato nell’edizione in edicola da domenica prossima.

Ma chi è Riccardo Maestrelli? Lo raccontava Marco Lillo sul Fatto del 3 ottobre 2014, con Renzi saldamente a Palazzo Chigi da premier: “Riccardo Maestrelli è diventato famoso questa estate quando Matteo Renzi ha scelto l’albergo Villa Roma Imperiale per le sue vacanze e i giornali si sono ricordati che era stato un finanziatore del sindaco di Firenze. Il lussuoso resort di Forte dei Marmi appartiene infatti alla sua famiglia. Il presidente del Consiglio ha alloggiato con moglie e figli in alta stagione ad agosto pagando una somma importante (5 mila e 100 euro) ma più bassa del listino dei clienti ordinari. Questo aveva attirato le attenzioni sui suoi rapporti con Maestrelli (…), che non è stato solo un suo finanziatore, ma ha organizzato e pagato le spese di una cena all’Hilton di Firenze nella quale sono stati raccolti circa 80 mila euro”. E Lillo scriveva anche della soluzione per il nuovo stadio della Fiorentina di cui si parlava in quei giorni del 2014, l’area Mercafir: “In quella zona ha interessi importanti proprio Riccardo Maestrelli. Con la sua società, infatti, la famiglia Maestrelli è titolare dal 2007 di un’area di 13 mila metri quadrati di proprietà del Comune che ha ceduto il diritto di superficie per 50 anni al gruppo. Nel caso in cui lo stadio della Fiorentina fosse costruito proprio nella zona in cui oggi si trovano gli stabilimenti di trasformazione della frutta dei Maestrelli, è facile prevedere che in loro favore il Comune troverà un’altra area o pagherà un indennizzo notevole”.

Torniamo al 2018, il giorno dopo il bonifico dal conto corrente di Anna Picchioni, madre dei Maestrelli, il 13 giugno. Matteo Renzi, ormai solo “senatore di Lastra a Signa e Scandicci” e la moglie Agnese Landini chiedono l’emissione di quattro assegni da 400 mila euro. Scrive l’Espresso: “Quelli per usare la caparra. Possibile che il capo di Italia Viva abbia usato i soldi dei Maestrelli per comprarsi la villa? Possibile che il senatore non ricordasse che Riccardo Maestrelli fu nominato dal suo governo nel consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti Immobiliare spa, società pubblica di Real Estate controllata dal ministero dell’Economia, e che quindi il rischio di un conflitto d’interessi era enorme?”.

Replica Renzi su Facebook: “Ho comprato casa a Firenze per 1.300.000 euro e ho venduto la mia casa di Pontassieve per 830.000 euro. Prima che si perfezionasse la vendita – in attesa di avere la disponibilità finanziaria – ho chiesto un prestito nel giugno 2018 a una conoscente, prestito che ho prontamente restituito nel novembre dello stesso anno (…) una cosa del tutto legittima e ineccepibile. Prestito restituito in meno di cinque mesi. Ovviamente tutto tracciato con bonifico. Ho poi acceso un mutuo di 1.000.000 di euro che sto pagando con la mia indennità parlamentare”. Poi Renzi svela i suoi redditi: “ho dichiarato 830 mila euro nel 2018 e dichiarerò oltre un milione di euro nel 2019. Nel 2019 ho pagato per adesso circa mezzo milione di euro di tasse”.

Renzi ieri sbotta dopo un incontro con imprenditori nel Parmense: “Questa storia non ha niente a che vedere con la fondazione Open. Non ha alcuna attinenza, tanto che ci sarà una denuncia per divulgazione di segreto bancario”. Tra dichiarazioni pubbliche e post su Facebook, l’ex premier scava l’ultimo solco tra lui e la magistratura: “Non ho nulla da nascondere e non ho paura, la velina sulla mia casa è da brividi”. Lo sfogo di Renzi continua così: “È l’ennesima indagine di due magistrati che adesso hanno deciso che ho fatto un partito politico senza che io lo sapessi, che nel 2019 hanno deciso per l’arresto dei miei genitori che altri magistrati e giudici hanno annullato”. In realtà per completezza va detto che gli arresti furono sì sostituiti dalla semplice interdizione ma il quadro indiziario delineato dai pm anche per i giudici del riesame “è da qualificare grave in relazione a tutti i reati da loro iscritti”.

Open sotto inchiesta per le spese dei politici e il bancomat di Lotti

Luca Lotti aveva una carta di credito intestata alla Fondazione Open. Quel bancomat, assieme ad altre carte di pagamento appoggiate sui conti della Fondazione e assieme alla contabilità di Open, sono ora finiti al vaglio della Procura di Firenze che analizzerà se e come siano state effettuate le spese.

La contabilità relativa alle carte di credito, come pure a tutta la gestione della Fondazione Open, è stata acquisita due giorni fa dalla Finanza che ha ribussato alla porta dello studio legale di Alberto Bianchi su ordine dei pm Luca Turco e Antonino Nastasi. I finanzieri hanno acquisito anche la documentazione relativa alle spese pagate dalla Fondazione per l’attività di Matteo Renzi. I pm fiorentini indagano su Bianchi per finanziamento illecito e traffico di influenze in relazione a un incarico per un contenzioso con Autostrade affidato nel 2016 al suo studio legale dalla Toto Costruzioni Generali. Iscritto nel registro degli indagati, ma solo per finanziamento illecito, anche Marco Carrai, l’imprenditore “fedelissimo” di Matteo Renzi e già membro del Cda della stessa Open.

I pm ritengono dunque che la Open abbia agito da “articolazione di partito politico” e per questo hanno chiesto alla Finanza di verificare – tra le altre cose – anche le “ricevute di versamento da ‘parlamentari’”. “La Fondazione Open – scrivono i magistrati nel decreto – ha rimborsato spese a parlamentari e ha messo a loro disposizione carte di credito e bancomat”. Secondo quanto spiegano al Fatto fonti vicine alla Open, un bancomat era stato dato a Lotti che però – a detta delle fonti Open – non l’avrebbe praticamente mai usato. Adesso i magistrati dovranno accertare se ci siano state queste spese e che natura abbiano. Anche se le carte della Fondazione Open o le sue risorse in genere fossero state usate da Lotti o da altri consiglieri del passato della Fondazione (c’erano con Lotti e Bianchi anche Maria Elena Boschi e Marco Carrai) per viaggi, cene o alberghi, potrebbe trattarsi di spese lecite.

In fondo, che la Open fosse la cassaforte dei renziani e di Matteo Renzi in particolare non è una novità. Era già noto per esempio che l’ex premier nel 2014 – allora sindaco di Firenze – usava un telefonino intestato alla Fondazione Big Bang poi diventata Open. La circostanza era emersa infatti dagli atti di un’altra indagine, quella napoletana denominata Cpl-Concordia. Il Fatto ne scrisse ad aprile 2015 e allora Bianchi ci spiegò: “Il telefonino fu dato a Renzi al momento in cui iniziò l’attività connessa alle primarie e alle varie Leopolde, in cui la Fondazione è stata coinvolta”. Il Noe segnalò senza commentare l’intestazione del telefonino e i pm napoletani non ravvisarono reati.

La novità dell’inchiesta di Firenze è quindi tutta contenuta in quella frase del decreto dei pm Turco e Nastasi: “La Fondazione Open – scrivono – ha agito come articolazione di partito politico”. E così i magistrati vogliono capire se negli anni passati la Fondazione abbia raccolto donazioni dai privati senza rispettare gli obblighi previsti per il finanziamento dei politici e dei partiti. Per questo nei giorni scorsi sono stati perquisiti (nella qualità di terzi non indagati) anche i donatori della Open.

Come detto, l’indagine fiorentina parte dalla consulenza tra lo studio Bianchi e la Toto Costruzioni Generali. I passaggi di denaro li ha ricostruiti il Tribunale del Riesame in un’ordinanza del 7 ottobre con la quale confermava un sequestro precedente a carico di Bianchi. I giudici scrivono che, nel 2016, Bianchi “aveva ricevuto la somma di 801.600 euro” per una consulenza con i Toto. Poco più di un mese dopo l’incarico dei Toto, Bianchi versa circa 200 mila euro alla Open e altrettanti al Comitato per il Sì al referendum costituzionale.

Il Riesame spiega che sempre nel 2016 lo studio Bianchi aveva ricevuto dai Toto 1,9 milioni (Iva inclusa) “quale pagamento di prestazioni professionali”. L’ipotesi dei magistrati è quindi che i soldi versati dall’avvocato alla Fondazione siano quelli dei Toto. Così il Riesame parla di operazioni “dissimulatorie di trasferimento di denaro”. I 200 mila euro a titolo di “contributo volontario” alla Fondazione, secondo quanto spiegavano in passato fonti vicine a Bianchi, erano stati versati perché la Open era in un momento di difficoltà economica. Secondo i pm poi, a partire dal 31 dicembre 2017 fino al febbraio 2018, ci sarebbero bonifici in senso inverso per 190 mila euro da Open a Bianchi a titolo di “restituzione parziale prestito”.

La sensazione è che la Procura di Firenze sia andata giù dritta senza timori riverenziali e senza troppe cautele. Chi ha assistito alla perquisizione dei finanzieri nello studio legale Bianchi due giorni fa, è rimasto sorpreso dalla profondità degli accertamenti svolti: la Finanza ha infatti acquisito, tra le altre cose, anche email e dati dell’archivio dello studio legale a partire dal 2001.

Natale ad Hammamet

Sullo scandalo Open si leggono così tante scemenze, fra l’altro copiate da B. senza pagargli i diritti d’autore, che è meglio mettere qualche puntino sulle i.

“Mi scuso con le persone perbene perquisite perché colpevoli di contribuire in modo onesto alla politica. Subiscono la gogna mediatica pur avendo seguito le regole con la massima trasparenza” (Matteo Renzi). Gli imprenditori in questione non sono stati perquisiti per la loro “onestà” e “trasparenza”, ma perché sospettati di aver finanziato la fondazione renziana Open dal 2012 al 2018, cioè dall’inizio della scalata al Pd fino all’ultima débâcle elettorale, aggirando la legge sul finanziamento privato ai partiti. Come? Pagando una fondazione anziché un partito o suoi eletti. Con due possibili finalità, tutt’altro che incompatibili fra loro: non far sapere di foraggiare Renzi (possibili illecito finanziamento e appropriazione indebita, anche tramite false fatture) e ricevere favori dal suo governo e/o partito (possibile traffico d’influenze).

“Non si può abolire il sostegno pubblico ai partiti e poi demonizzare quello privato” (Matteo Orfini, deputato Pd). Il finanziamento pubblico fu abolito dagli italiani nel referendum del ’93, truffaldinamente riesumato sotto le mentite spoglie del “rimborso elettorale” e riabrogato nella forma diretta dal governo Letta nel 2014 anche col voto di Orfini. Ma il “sostegno privato” è sempre stato lecito, solo che qui non c’entra una mazza: i soldi arrivavano a una fondazione, cioè a una società privata messa su da politici e pubblici ufficiali come Renzi, Boschi, Lotti, Bianchi, Carrai & C. che nascondeva i donatori con la scusa della privacy. La legge consente a qualunque imprenditore di dare soldi a partiti e a politici, purché: il donatore li registri a bilancio (altrimenti è appropriazione indebita, falso in bilancio e frode fiscale); il percettore li dichiari nel registro parlamentare (se no è illecito finanziamento); il contributo sia gratuito e disinteressato (in caso contrario, anche se dichiarato, è corruzione). E qui risultano finanziamenti da Toto (beneficato dal governo Renzi nel 2017 con l’abbuono di 121 milioni per la concessione delle Autostrade dei Parchi). Ma non solo: l’altra fondazione renziana Eyu era finanziata da Msc Crociere (che sotto il governo Renzi firmò un contratto da 2,1 miliardi con Fincantieri e di cui Renzi scarrozzò il top manager Pierfrancesco Vigo nella visita ufficiale a Cuba); da Lottomatica (altri aiutini dal governo Renzi); da Google (devota a Renzi che fece saltare la Web tax voluta da Letta); ecc. Tutte coincidenze?

“Nel 2018 ho guadagnato 830 mila euro. Nel 2019 saranno più di 1 milione. Dovendo effettuare un anticipo bancario (per la sua nuova villa sulle colline fiorentine, ndr) ho fatto una scrittura privata con un prestito concesso e restituito in 4 mesi”. Intanto siamo curiosi di sapere chi gli ha dato quel milione. E poi l’autore del prestito di ben 700 mila euro, per una villa pagata 1,3 milioni, è l’anziana madre di Riccardo Maestrelli, imprenditore che Renzi nominò a Cassa Depositi e Prestiti nel 2015 e finanziava Open. Farsi pagare da chi si è nominato a cariche pubbliche è inelegante. Come minimo, è conflitto d’interessi.

“Chi decide come si fonda un partito? La politica o la magistratura? Colpisce il silenzio di commentatori” (Renzi). Sì, colpisce, ma nel senso opposto: Renzi dovrebbe ringraziarli, i commentatori silenti. Quando finì sotto inchiesta la Raggi, per fatti infinitamente più lievi di questi, tutti i giornali ci aprirono le prime pagine. Come quando le Iene scoprirono una baracca abusiva e una carriola abbandonata del padre di Di Maio. O quando il Corriere partì in quarta contro l’ex ministra Trenta perché occupa lecitamente (fino al 5 dicembre) un appartamento dell’Esercito. Invece ieri le prime pagine dei giornaloni si tenevano ben alla larga dal mega-scandalo Open. I pm comunque non “decidono come si fonda un partito”, anche perché indagano su una sigla chiusa prima che Renzi fondasse Iv, ma aperta mentre affondava il Pd. Si accontentano di accertare perché tanti imprenditori riempirono le casse di Open con 6 milioni in 6 anni e dove finirono i soldi, mentre il Pd era in bolletta, licenziava i dipendenti, chiudeva le sedi e pure l’Unità. Come il Psi di Craxi nell’immortale definizione di Formica: “Il convento è povero, ma i frati sono ricchi”.

“Qualcuno unirà i fili di ciò che è successo in questi mesi: a me sembra tutto chiaro. I pm sono gli stessi che hanno arrestato i miei genitori. Arresto annullato dopo qualche giorno dal Riesame” (Renzi). L’arresto di babbo Tiziano e mamma Laura fu revocato dal Riesame dopo 20 giorni, col divieto di esercitare attività imprenditoriali per 8 mesi, perché erano scadute le esigenze cautelari, non perché le accuse di bancarotta e false fatture fossero infondate, anzi: la chiusura-indagini prelude alle richieste di giudizio. Solo Renzi può menare scandalo perché, su fatti avvenuti a Firenze, indagano i pm di Firenze. E chi dovrebbe farlo: la Procura di Vipiteno? Fra l’altro il procuratore Creazzo è quello contro cui tramava Lotti con Palamara&C. L’ultimo a doversi augurare che qualcuno unisca i fili è lui: collegando le innumerevoli indagini su suoi genitori e fedelissimi, un maligno potrebbe pensare malissimo di lui.

“I pm attaccano la democrazia… Presto parlerò in Parlamento”. Qui il copyright, oltreché a B., andrebbe versato agli eredi di Craxi. Anche lui nel ’93 attaccò i pm alla Camera e chiamò in correità gli altri partiti col famoso “così fan tutti”. Poi si diede alla latitanza. Per completare l’opera, a Silvio Renxi manca poco: un mausoleo egizio nel parco della villa di Firenze e le vacanze natalizie ad Hammamet.

Scorsese, Amelio, Garrone: il 2020 della Rai

Dalle fiabe alla Storia italiana passando per il gusto della grande narrazione. Il tutto per una prossima stagione cinematografica di Rai Cinema definita dal suo ad Paolo Del Brocco “scintillante”. Chiaro, nulla riluce preventivamente, ma di fronte a grandi firme come Martin Scorsese, del cui nuovo film Killers of the Hower Mooncon l’accoppiata d’oro De Niro-DiCaprio “ci siamo presi i diritti di distribuzione strappandoli direttamente a una major”, si può solo applaudire.

Composto da una ventina di titoli “fra autori e commedie pop, mescolando qualità e varietà per nostra vocazione” il listino di 01 Distribution (il braccio distributivo di Rai Cinema) si è così offerto alla stampa presente a un Torino Film Festival che (finora) stenta a fare il pienone nelle sale con una settimana di anticipo sulla convention della filiera industriale che si terrà alle Giornate Professionali di Sorrento. E, giocando d’anticipo, non sono mancate le “chicche” in esclusiva. Come le prime sequenze tratte da Hammamet di Gianni Amelio, in uscita il 9 gennaio, in cui Craxi/Favino viene riconosciuto e animatamente affrontato da un gruppo di turisti italiani in Tunisia che lo accusano di “aver rubato l’Italia”, e quelle da Gli anni più belli, ovvero il nuovo di Gabriele Muccino, in uscita il 13 febbraio, commedia coralissima (e al solito urlatissima) interpretata da Claudio Santamaria, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti e – anche qui – Pierfrancesco Favino. Forte di incassi corposi “da gennaio a oggi siamo la prima società italiana al botteghino, seconda solo a Disney e Warner”, Rai Cinema/01 va particolarmente fiera del successo ottenuto dai film d’autore, quelli festivalieri per intenderci, come Martin Eden (1,8 milioni di euro) e il magnifico ma notoriamente discusso L’ufficiale e la spia di Polanski capace di una performance da € 1,3 milioni in 5 giorni.

Peccato, Matteo Garrone non sarà ad alcun festival. Ma questa è una litania che appartiene solo alla critica, giacché “Pinocchio è il nostro film di Natale, e di andare ai festival non importava nulla, né al regista né a noi” chiosa Del Brocco. “Si tratta di un family puro dai toni fiabeschi, ed è sorprendente come Matteo riesca a passare dai toni cupi che ben conosciamo a favole così positive, senza rinunciare alla sua visionarietà”.

Se dai trailer mostrati impressiona ancora una volta la bravura di Elio Germano “mutato” nel pittore freak geniale Ligabue in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, non lascerà a desiderare Sergio Castellitto trasformato in un mimetico Gabriele D’Annunzio ne Il cattivo poeta di Gianluca Jodice, ritratto degli ultimi anni di vita del Vate. Una famiglia Castellitto che, titoli alla mano, è la principale frequentatrice del listino 01, con Sergio ancora protagonista nella commedia romantica da lui anche diretta (e co-scritta con la moglie Margareth Mazzantini) Il materiale emotivo, mentre il loro figlio Pietro è fra i protagonisti dell’atteso Freaks Out di Gabriele Mainetti, ancora in montaggio. Se i Tre piani di Nanni Moretti sono previsti in tarda primavera (e a Cannes), il war movie 1917 di Sam Mendes uscirà a inizio 2020, seguito in ordine sparso da Diabolik dei Manetti Bros e dalla commedia caustica di Stefano Mordini, Gli infedeli. Altre anticipazioni? Certamente, e ancora fuori listino: Colt di Stefano Sollima (“sarà girato in tarda primavera, cast internazionale, budget multimilionario”), Caravaggio di Michele Placido con Scamarcio e Isabelle Huppert e il nuovo documentario di Gianfranco Rosi, girato nei Paesi arabi.

Dalle orge a Maria vergine: la rosa è il loto dell’Occidente

“Nessuno si è seduto ad aspettare che la rosa si apra, ma tutti parlano della rosa”. Ultima venne Claudia Gualdana, che ha licenziato con Marietti 1820 il delizioso saggio Rosa. Storia culturale di un fiore. Sì, perché la rosa è “un archetipo della coscienza collettiva: come il loto è simbolo dell’Oriente, la rosa lo è dell’Occidente”.

Il nostro mondo è un giardino infiorettato; tutto profuma di rosa: la letteratura, l’arte, la religione, la musica e il cinema, da La rosa tatuata al lolitesco bagno nei petali di American Beauty. Di petali e spine si nutre da sempre il nostro immaginario, anche alle più algide altitudini della filosofia – vedi lo Zarathustra nietzschiano – e alle più torride latitudini della poesia: “Immarcescibile” è il fiore di Borges, “sconcertante” quello di Rilke; seguono le favole di Esopo con protagoniste le piante vanitose, il sempreverde che invidia la rosa perché bella e la rosa che invidia il sempreverde perché vive a lungo.

“Sia essa un’essenza, un fiore o un’idea”, la rosa è associata a un’ambigua simbologia: da un lato è metafora di caducità, dall’altro d’immortalità; rappresenta la castità ma anche la lussuria, la purezza e il peccato, il pudore e la seduzione. Gli artisti hanno sempre giocato con questa ambivalenza, a partire dal nome, dal Nome della rosa di Eco al “Rose is a rose is a rose is a rose” della Stein, alla celebre battuta di Giulietta: “Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”.

Pure nella Storia ambigua e altalenante è la fortuna del “flos florum”, il fiore dei fiori, rigoglioso e venerato dagli antichi, a Babilonia, a Creta, a Rodi, nell’Egitto di Cleopatra, che conquista Antonio su un talamo fiorito, e nel mondo greco-romano. All’occhiello di Afrodite e Adone la rosa è protagonista dei riti dionisiaci e orgiastici, in cui piovono petali dal cielo: si pensa, infatti, che siano utili per contrastare i postumi della sbronza ed evitare agli ubriachi di parlare a sproposito. Tale credenza sopravvive fino al XV secolo, quando nelle locande si appendono rose al soffitto per serbare i segreti di chi, brillo, si lascia andare alle confidenze. Di rose è pieno il mare, il golfo di Napoli ad esempio, ricoperto di fiori per propiziare la navigazione dei nobili patrizi. “Iacere in rosa si dice per indicare l’ostentazione del lusso e c’è chi accosta la crescente infatuazione per il fiore all’avanzare della decadenza romana”. Profana ma pure sacra, la rosa è portata in processione durante le Rosalia, i culti sepolcrali, e sotto forma di oli e unguenti viene spalmata sul corpo dei defunti – come testimonia l’Ettore dell’Iliade – per rallentare la putrefazione ed eternare la fama del morto. Per i pitagorici rappresenta addirittura il numero perfetto del 5, ovvero “l’unione di maschile e femminile”.

Con l’editto di Costantino del 313 inizia il declino della rosa, “appassita di vergogna” e declassata a fiore pagano e peccaminoso; oltretutto “Gesù preferisce piante utili” e fruttifere. Venere, “la sgualdrina” per sant’Agostino, viene bandita insieme alla sua flora, ma sarà proprio un altro Padre della Chiesa, sant’Ambrogio, a riabilitarla, dopodiché tornerà a sbocciare: nei chiostri monacali, nei rosoni delle chiese gotiche e infine nelle celebrazioni per la vittoria di Lepanto nel XVI secolo. A Maria si associa il rosario, la rosa trionfa a Pentecoste, viene istituita la Dominica rosarum e nasce la Rosa-Croce; persino Lutero il bacchettone la esalta come simbolo cristico.

La rosa rifiorisce anche in letteratura con il duecentesco Roman de la Rose fino allo Stilnovo, al De amore e a Dante, che canta nella Commedia “la larghezza di questa rosa ne l’estreme foglie”. Persino l’imperatore Federico II si improvvisa poeta di fiori “fronzuti”, e la rosa ritrova il suo originario statuto erotico, amoroso e fin bellicoso, come “figura d’arme”. Con Shakespeare si fa la Guerra delle due rose, mentre in Germania il fiore e il sangue hanno lo stesso lemma (bluot).

Chiude il saggio una “aulentissima” antologia – letteralmente una raccolta di fiori –, con versi di Goethe e Dickinson, Pascoli e Ungaretti, Metastasio e Pound, Pierre Louÿs l’erotomane e Caproni il sibillino: “Nessuno è mai riuscito a dire/ cos’è, nella sua essenza, una rosa”.

“Michelangelo, un uomo ossessionato da arte e vita”

Michelangelo, chi era? Il regista russo Andrei Konchalovsky traccia un identikit inedito, fuori dagli schemi e dentro l’arte: Il peccato, da domani nelle nostre sale, rintraccia come da sottotitolo Il furore di Michelangelo e libera lui e il Rinascimento tutto dai cascami del devozionismo e della museificazione. Interpretato da Aberto Testone, Buonarroti snobba Sansovino (Federico Vanni), compete con Raffaello (Glenn Blackhall), si barcamena tra Medici e Della Rovere (Francesco Maria è Antonio Gargiulo), cincischia tra Papa Giulio II (Massimo De Francovich) e Papa Leone X (Simone Toffanin). All’opera non lo vediamo mai, al più ci sono i suoi bozzetti, i progetti in sedicesimi, ma Konchalovsky quasi pare disinteressarsene: la sua camera afferra il sudore, inquadra lo sforzo, annusa il lercio e sonda l’immorale. Dal marmo di Carrara Konchalovsky trae il sangue della creazione e la frustrazione della professione: che significa esprimersi, e a che condizioni è lecito farlo? Già nel Cinquecento si lavorava per poter lavorare, e Il peccato non ha alcuna remora a mostrarlo, quasi a stigmatizzarlo: non è un film sul cinema, ma un film sulla (im)possibilità di fare cinema.

Perché Michelangelo?

In realtà, non riesco a dare una risposta coerente a questa domanda. Mi sento come un compositore che scrive una sinfonia, e se chiede a un compositore perché ha scritto la terza o quarta sinfonia… cosa potrebbe rispondere? Mi è arrivata quella musica e l’ho buttata giù. Non voglio razionalizzare certi impulsi che mi vengono in mente. Non voglio spiegare o dare una spiegazione intellettuale del perché l’ho fatto. È semplicemente accaduto, a livello interiore. Ogni volta mi trovo a rispondere: perché è successo, tutto qui.

“Tutta questa bellezza – viene detto nel film – per tiranni, assassini, e puttane”. Eppure sono loro ad averne facoltà, disponibilità, indirizzo. Oggi come allora?

Certamente qualcosa cambia sempre, ma l’essere umano è favorito dalla natura e da un immediato senso della bellezza. Uomini di oggi come di 200 mila anni fa percepiscono che un fiore o un tramonto sono belli senza alcuna ragione, e che il profumo di un fiore, l’aroma di un fiore è bello è basta, senza alcun motivo. Ed è una percezione immediata anche per me: questo intimo senso della bellezza è ciò che salva le generazioni da una mera comprensione estetica della bruttezza.

Chi ha frainteso, vilipeso, pervertito l’immagine del Rinascimento per come lo conosciamo oggi?

Certo i mass media hanno creato dei miti, a cominciare dai pittori di accademia nell’antica Grecia e poi il cinema con la sua mitologia, e poi le miniserie, i kolossal e quant’altro hanno creato un falso mondo materialistico.

Con qualche colpa?

Non si possono accusare i registi di oggi e del passato di aver fatto serie su ogni cosa: devi avere una curiosità noiosa e ostinata per scavare e capire. Neanch’io ho fatto abbastanza per riflettere l’uomo del Rinascimento, sarebbe un’illusione quella di aver fatto un film che possa restituire l’intera verità: è solamente una piccola parte, la mia.

Non si può andare oltre?

Non credo che ne sarei capace o che chiunque altro possa esserlo, a meno di non passare l’intera esistenza a capire. E penso che il meraviglioso Antonio Forcellino, storico dell’arte, sia stato molto gentile a sostenere che il mio film abbia restituito il Rinascimento nella sua vera essenza.

Nel film “un mostro”, un blocco gigantesco di marmo di Carrara, rimane inutilizzato e sospeso a guardare il mare: il suo mostro, ovvero il progetto non trasformato, qual è?

In realtà non ne ho, credo che il “mostro” sia qualcosa da cui l’Artista è ossessionato. Michelangelo era un uomo ossessionato, dalla sua arte e dal suo temperamento, e ne pativa. Io non sono ossessionato: ho dei film che non sono arrivati a compimento, ma non ne sono turbato. Perché ho accettato la fede e non sto cercando di combattere con la realtà. Al contrario, sto seguendo altri modi per esprimere la mia comprensione del mondo. Senza entrare in conflitto con il destino.

David, Mosè, il Giudizio Universale, la Pietà: qual è la sua opera preferita di Michelangelo?

Non posso dire ce ne sia una. Ogni opera di Michelangelo è parte del suo spirito e lo spirito è unico.

Konchalovsky, ha lavorato in Russia, America e in Italia: analogie e differenze?

L’Italia è il Paese della grande cultura e della civiltà. L’America è solo civiltà. E la Russia ha entrambe, cultura e civiltà.


“Il peccato” non è ancora arrivato sui nostri schermi che è già al montaggio del nuovo film: “Cari compagni” racconterà il massacro di Novocerkassk del 1962, quando le forze armate sovietiche spararono sugli operai in sciopero facendo ventisei morti e ottantasette feriti.

Posso dire che in ogni film che faccio cerco di capire il destino dell’ essere umano, ma non voglio aggiungere altro. Primo, perché sono molto superstizioso; secondo, perché ogni film è un salto nel vuoto.

 

Impeachment: Commissione giustizia riunita il 4 dicembre

La Commissione giustizia’ della Camera ha fissato la sua prima udienza nell’ambito dell’indagine per l’impeachment, il 4 dicembre. Il presidente Jerrold Nadler ha inviato una lettera al presidente Donald Trump chiedendogli se lui o i suoi legali hanno intenzione di partecipare. La Casa Bianca ha tempo fino all’1 dicembre per rispondere. La Commissione giustizia è quella in cui saranno votato gli articoli per l’impeachment. Intanto un giudice federale del District of Columbia ha sancito che l’ex consigliere legale della Casa Bianca Donald McGahn dovrà testimoniare in Congresso. Il giudice ha accolto una richiesta venuta dai democratici, che vogliono sentire McGahn sugli sforzi di Trump di ostacolare le indagini sul Russiagate condotte dal procuratore speciale Robert Mueller. A maggio, Gahn non aveva risposto a un’analoga convocazione della Camera (ma non c’era ancora stato il pronunciamento di un giudice). Il verdetto del giudice per McGahn può essere un segnale anche per John Bolton, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, che dice di avere cose da dire, ma intende dirle solo se un giudice lo autorizza a farlo. Per McGahn, il Dipartimento della Giustizia ricorrerà probabilmente in appello. L’Amministrazione sostiene che i consiglieri del presidente non possono parlare di questioni relative al loro incarico (e possono quindi rifiutarsi di testimoniare davanti al Congresso). Per il giudice, invece, “i presidenti non sono dei sovrani e non hanno il potere di ostacolare la testimonianza dei propri consiglieri”, “infondate e non sostenibili” appaiono, quindi, le motivazioni della Casa Bianca. Donald Francis McGahn, 51 anni, fece parte nel team legale di Trump dall’insediamento al 17 ottobre 2018. Il suo ruolo nell’assistere il presidente sul Russiagate è stato difficile. Fra frizioni con il presidente e imbarazzi con Mueller, di cui è stato il principale referente, McGahn, alla fine, lasciò.

Sisma e macerie: in crisi i call center

Sarà una giornata di lutto nazionale oggi in Albania, in memoria delle vittime del terremoto che ha colpito il paese due notti fa. Lo ha annunciato il premier Edi Rama, ieri sera, durante una visita ai ricoverati in uno degli ospedali di Tirana.

Tirana, Durazzo e Valona hanno vissuto momenti di terrore, il terremoto ha provocato la morte di 21 persone e 600 feriti.

Coinvolti anche i dipendenti delle tante aziende italiane che hanno trovato sedi nelle tre città. Nella maggior parte dei casi si tratta di operatori dei call center, settore che in Albania conta 804 sigle e 30 mila occupati, in gran parte giovani e istruiti. A Tirana, ormai da anni, hanno trasferito una parte del servizio clienti nella nostra lingua Vodafone, Tre, Sky, Enel e altri colossi, attratti da costo del lavoro. Ieri, dopo il sisma quasi tutti gli uffici sono rimasti chiusi e non hanno potuto smaltire le telefonate. Le aziende più grosse, quelle con i call center sparsi in tutta Europa, hanno tamponato il problema dirottando il traffico altrove: ma altre, ieri e forse anche oggi e nei prossimi giorni, hanno dovuto sospendere il servizio. Come Just Eat, la piattaforma di consegna cibo a domicilio, che intorno alle 15 ha alzato bandiera bianca sul proprio account Facebook: “A causa del terremoto che si sta verificando in Albania, vi informiamo che si è reso necessario sospendere parte dell’attività del nostro servizio clienti. Vi preghiamo quindi, in caso di necessità relative ai vostri ordini su Just Eat, di contattare direttamente il ristorante”. C’è scritto “parte”, ma in realtà è tutto. Chiamando il numero (con prefisso di Milano), la voce registrata recita: “Tutti i nostri operatori rispondono da Tirana. Il servizio clienti è momentaneamente sospeso per cause fuori dal nostro controllo”. Stessa situazione per il portale di consulenza facile.it, il cui numero verde è irraggiungibile per l’intera giornata. “Oggi abbiamo deciso di tenere chiusa la sede di Tirana”, fa sapere l’azienda. “È presto per dire quando riapriremo, monitoriamo la situazione e decideremo, l’importante è garantire la massima sicurezza ai nostri dipendenti”. Gran parte dei servizi di call center con sede al di là dell’Adriatico sono terziarizzati, cioè affidati dalle aziende a società esterne, spesso multinazionali con sede anche in Italia. Lo stipendio medio di un operatore è intorno ai 500 euro.

“Stiamo cercando di mappare la situazione della aziende italiane associate che hanno una sede operativa in Albania”, ha detto Francesco Andriani, segretario generale di Assocontact, l’associazione italiana delle aziende di call center. “Fino questo momento non ci risultano crolli alle strutture e non risultano vittime tra gli operatori. La maggior parte delle aziende associate ha comunque sede nella capitale, meno danneggiata dal sisma, che ha avuto epicentro a Durazzo”. Dall’Italia la Protezione civile si è mobilitata per far partire gli aiuti.

Caso Galizia, via in tre Ora Muscat resta solo

“Mr Schembri sostiene di non essere corrotto, malgrado abbia creato una società segreta a Panama insieme al suo ministro preferito Konrad Mizzi […] solo pochi giorni dopo che il Labour aveva vinto le elezioni politiche del 2013, l’abbia protetta con un trust in Nuova Zelanda e abbia cercato in tutto il mondo una banca abbastanza losca da accettarli come clienti […] Ci sono criminali ovunque. La situazione è disperata”. Il 16 ottobre 2017, alle 2:35 del pomeriggio, Daphne Caruana Galizia pubblica sul suo blog queste parole, con il titolo Quel criminale di Schembri era in tribunale oggi, e ha giurato di non essere un criminale. Poi esce di casa, avvia la sua auto e salta in aria.

Per più di due anni quelli che lei aveva indicato come criminali restano al loro posto, ai vertici del governo maltese, mentre le indagini su quell’omicidio procedono a rilento. Poi l’accelerazione degli ultimi giorni, l’arresto di Yorgen Fenech, la pressione politica e mediatica. Ieri, le dimissioni di entrambi. Prima Schembri, il potentissimo capo di gabinetto del primo ministro Joseph Muscat. Lunedì sera la sua auto è stata vista fuori dalla residenza del premier. Ieri mattina è stato interrogato dalla polizia, che ha anche perquisito la sua abitazione. Poi l’annuncio delle dimissioni. La famiglia della giornalista assassinata ha chiesto che le autorità lo incriminino immediatamente per “la sua vasta e duratura attività criminale” e indaghino sulle ragioni che hanno spinto il primo ministro Muscat a proteggerlo per anni. A fare il nome di Schembri sarebbe stato Yorgen Fenech, l’uomo d’affari che con Schembri e Mizzi, secondo quanto emerso dalle inchieste giornalistiche del Daphne Project, aveva rapporti d’affari molto opachi. Dall’analisi del suo cellulare risulta che, prima di salpare da Portomaso e tentare la fuga, aveva chiamato proprio Schembri: una lunga telefonata durante la quale, questa l’ipotesi, il capo di gabinetto lo avrebbe informato degli sviluppi investigativi. Secondo il Times of Malta, Fenech ha chiesto la grazia in cambio della verità sull’omicidio: lui non sarebbe il mandante, ma l’intermediario. Mandato da chi? Mentre il primo ministro Muscat valuta la richiesta di grazia, Fenech è stato rilasciato su cauzione per la seconda volta, allo scadere delle 48 ore del terzo fermo. Ha avuto un malore, non potrà essere interrogato fino a oggi pomeriggio. Novità potrebbero arrivare venerdì, giorno della prima testimonianza in tribunale di Melvin Theuma, il tassista-usuraio che avrebbe fatto da tramite fra mandanti ed esecutori ed ha ottenuto la grazia in cambio di prove conclusive. Poche ore dopo si è dimesso anche Konrad Mizzi, uno dei principali artefici dell’ascesa del partito laburista maltese, la mente della vittoria politica del 2013 e uno dei registi della strategia economico e finanziaria dell’isola, prima con il progetto della centrale a gas da cui sono partite le inchieste di Daphne, quando Mizzi era un giovane ministro dell’Energia con delega alla Salute (e alla controversa privatizzazione di tre ospedali) poi, da ministro del Turismo, con il rilancio di Air Malta e dell’industria del gioco online. Le ripercussioni sono imprevedibili, sia sul fronte interno che su quello internazionale.

Fonti vicine al governo forniscono al Fatto il contesto: Mizzi è il garante di una serie di operazioni finanziarie internazionali di alto profilo, vitali per l’economia di Malta, che con la sua caduta rischiano di arenarsi. Non è chiaro se le dimissioni siano spontanee o forzate, ma nell’annunciarle ha dichiarato: “Voglio chiarire ancora una volta che non ho nessun rapporto, né diretto né indiretto, con 17 Black o Yorgen Fenech”. Per ora non risulta indagato in relazione all’omicidio. In attesa dell’esito delle indagini si è sospeso anche Chris Cardona, titolare dell’Economia, sentito dalla polizia sabato. Joseph Muscat è sempre più isolato.

Silurato il figlio di al-Sisi. Gli 007 al Cairo li sceglie il principe degli Emirati

Che i rampolli dei tiranni siano peggio dei padri, anzi spesso mettono in difficoltà i loro genitori con comportamenti maldestri e/o esageratamente autoritari, è cosa risaputa: da Teodoro Obiang, leader della Guinea Equatoriale che saccheggia le casse del suo Paese, al figlio Teodorino, insaziabile sanguisuga; dall’ex presidente dell’Angola, Edoardo Dos Santos, alla figlia Isabel, che sino alla caduta del padre era considerata la donna più ricca di tutta l’Africa. Poco si sapeva e sta emergendo ora sul primogenito del dittatore generale egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, Mahmoud Al Sisi, nominato mesi fa ai vertici dei servizi segreti (il Gis, General Intelligence Service) e ora declassato a funzionario della sua ambasciata a Mosca. Un incarico certamente importante, che occuperà nel 2020, ma nulla a che fare con quello precedente. Il posto attuale, nonostante l’illustre lignaggio, gli ha comportato giudizi negativi e feroci critiche.

Certo, Al Sisi padre in questi 5 anni di potere, conquistato con un colpo di Stato nel giugno 2014, ha cambiato tutti gli alti quadri del governo del suo Paese, ma nessuno si aspettava che rimuovesse anche il figlio maggiore. È stato quindi allontanato prima di provocare ulteriori danni all’immagine padre e del Paese

La mossa, comunque, segna anche un contemporaneo giro di vite contro la stampa indipendente e in particolare il giornale online Mada Masr che per primo ha dato la notizia dell’allontanamento di Mahmoud, condita da rivelazioni tutt’altro che lusinghiere per il dittatore e il suo supposto erede. Innanzi tutto secondo Mada Mars, che sostiene di aver parlato con alcuni funzionari del Gis (già questa è una notizia interessante: non tutti gli uomini dei servizi sono allineati con il regime), la rimozione è stata sollecitata dalle alte sfere del governo degli Emirati Arabi Uniti, sembra addirittura da principe della corona Mohamed bin Zayed, uno dei più stretti alleati dell’Egitto, anche nella gestione della crisi libica. Antipatico, scostante, incapace, corrotto: ora a Mahmuod al Sisi viene rimproverato tutto. A lui era stata data la gestione dei rapporti con i media, cioè costringere i giornali i canali Tv a tenere un atteggiamento benevolo verso il governo. I suoi critici, anche all’interno del Gis, sostengono che non solo non ci è riuscito ma ha ottenuto il risultato opposto: ha esasperato gli animi.

Nel 2017, il Gis ha cominciato ad acquistare una partecipazione azionaria importante che gli ha permesso di prendere in controllo nel gruppo egiziano Media, il più grande conglomerato editoriale in Egitto. La società comprende diversi quotidiani influenti, come Youm 7, e varie reti televisive, tra cui ONtv e DMC.

Il presidente Abdel Fattah Al Sisi però, nonostante la presenza del figlio ai piani alti dell’intelligence, è sembrato insoddisfatto delle prestazioni dei diversi media e addirittura in alcune riunioni ufficiali ha criticato apertamente e pubblicamente, la copertura mediatica di eventi secondo lui particolarmente importanti.

L’ira del padre si è poi scatenata contro l’incapacità di Mahmoud al-Sisi di gestire adeguatamente la tempesta di polemiche scatenata da Mohamed Ali un paio di mesi fa. L’ex attore ed ex beneficiario di commesse dell’esercito, attraverso messaggi postati su Facebook e su Twitter corredati spesso da video e foto, ha accusato il presidente e la sua cerchia di familiari e fedelissimi di non avergli pagato gli appalti realizzati negli ultimi anni e di sperperare il denaro dello Stato in spese personali di lusso.

La campagna mediatica sui social di Mohammed Ali, che chiede le dimissioni del governo parlando del livello di corruzione altissimo, dei prezzi alle stelle, della disoccupazione senza rimedio, della povertà che avanza inarrestabile, hanno fatto presa sulla popolazione che il 20 settembre scorso è scesa in piazza per protestare. I video di Ali hanno rivelato le sontuose spese della famiglia del presidente e accusato Mahmoud al-Sisi di coinvolgimento diretto in fatti di corruzione.

In queste ore – racconta lo stringer del Fatto Quotidiano al Cairo – si susseguono gli arresti di giornalisti, avvocati, difensori dei diritti umani che hanno diffuso documenti e commenti sulla vicenda. A parte quattro redattori di Mada Masr, arrestati per un paio di giorni e poi rilasciati, ora le retate sono continue e le manette scattano facilmente. L’accusa che apre le porte delle celle è sempre la stessa: offese al gran capo. In Egitto esiste un apparato (il Sis, Servizi Informazioni di Stato) che in continuazione diffonde comunicati e avvisi di un tenore a senso unico: “Non diffondete notizie che non siano controllate da noi. Solo quelle ufficiali sono vere. Le altre sono false”. Così tutto diventa offensivo e passibile di galera.