Presidente Tridico, dai conti dell’Inps risultano ulteriori risparmi su Quota 100?
Il numero di domande pervenute a inizio novembre è di circa 200 mila, quasi 100 mila in meno rispetto a quello previsto per il 2019. Ciò consente un risparmio, già accantonato per il 2019, di oltre 1 miliardo sui 3,9 previsti che ora, più realisticamente, può essere stimato in 1,5 miliardi. Nel 2020, col medesimo tasso di adesione, il risparmio potrebbe essere più importante, circa 2,5 miliardi di minore uscita su quasi 8 previsti in relazione tecnica.
Quei risparmi possono andare alla legge di Bilancio?
Ci sono dei vincoli dettati da documenti finanziari già presentati e chiusi. Ma alla fine, una buona parte del risparmio stimato per Quota 100 potrebbe essere già consolidato in vista del bilancio 2020. Si tratta di una scelta politica.
Fosse per lei come li utilizzerebbe?
Al presidente dell’Inps compete al massimo l’onere di una proposta, le decisioni sono politiche. Ciò detto, mi aspetterei che i risparmi di Quota 100 restino allocati nel settore pensionistico. I campi non mancano: riprendere le perequazioni piene, ferme dal 2000; ma soprattutto iniziare a pensare a un fondo di garanzia per giovani con carriere di lavoro instabili e precarie.
Quota 100 deve rimanere oppure occorre una revisione generale del sistema pensionistico?
Quota 100 è una misura sperimentale. Abolirla, dopo solo 8 mesi, sarebbe inopportuno con rischi di esodati e frustrazioni di legittime aspettative. Allo scadere naturale della misura si può pensare a una revisione complessiva del sistema, che abbia l’ambizione di essere strutturale. Abbiamo due anni di tempo per riflettere e per condividere proposte con le parti sociali. A mio parere bisognerà mettere a frutto soprattutto i lavori della commissione sui lavori gravosi. E a strumenti come la proposta del Fondo integrativo pensionistico pubblico condivisa con il ministro Catalfo.
A cosa servirebbe questo Fondo?
Il ministero del Lavoro sta pensando, attraverso un processo più partecipato anche con le parti sociali, a una legge delega all’interno della quale ci sia il Fondo che sostenga in modo anticiclico le pensioni del futuro, soprattutto quelle dei giovani con carriere instabili. L’idea è permettere a chi ha redditi bassi o instabili oggi di avere anche una pensione integrativa domani, e di canalizzare le risorse del fondo nell’economia del Paese e non all’estero.
Passando al Reddito di cittadinanza, come risponde a chi dice che è stato un provvedimento assistenziale?
A ottobre abbiamo raggiunto il milione di domande accolte. Il Reddito di cittadinanza è sia uno strumento di contrasto della povertà sia uno strumento di inclusione sociale e politica attiva del lavoro. Era un passaggio necessario per ridare dignità alle persone. Ci tengo a sottolineare che si tratta di una misura strutturale di grande impatto, che quindi richiede il giusto tempo per avviarsi, ma a mio parere più di 1 milione di domande accolte, oltre 2,5 milioni di persone coinvolte, è già un risultato straordinario. Se consideriamo il numero di poveri raggiunti rispetto alla platea prevista dalla misura, dopo solo sei mesi siamo già a un tasso di espansione del- l’80%. Ricordo che il grado di espansione di misure simili in Europa è intorno al 50%. Lo stesso ReI aveva un grado di espansione molto più basso, intorno al 50% e per il 70% andava al Sud.
Ma serve per creare lavoro? Al momento non sembra.
Il lavoro si crea con gli investimenti, pubblici e privati. Il Reddito di cittadinanza è un’indispensabile rete di sicurezza per la parte più debole della popolazione, è un imperativo morale, oltre che giuridico, di sostegno, di sicurezza sociale nel senso più autentico dell’espressione. Poi tutto è perfettibile. Probabilmente si può lavorare ancora sul rendere più efficienti le politiche attive per il lavoro, il reinserimento e la formazione. Da oggi, con effetti retroattivi, è attivo sul sito Inps la procedura per l’incentivo alle aziende che assumono beneficiari del RdC, con uno sgravio contributivo pari a 18 mesi.
Che tipo di povertà emerge dai dati sul Reddito?
I nuclei percettori sono concentrati al sud e isole (60% del totale delle prestazioni erogate), il che mi pare ovvio considerate le statistiche sulla povertà, ma il dato che può apparire sorprendente è il 24% del Nord, soprattutto nelle grandi città metropolitane, maggiore anche del dato del Centro (16%).
Non c’è un problema di dimensioni dell’Inps? Da ente di previdenza ormai è l’organismo che provvede a tutto.
L’Inps rappresenta il Welfare degli italiani. I governi che si sono succeduti hanno razionalizzato e semplificato diversi strumenti assistenziali e previdenziali, riconducendoli in un unico ente, più efficiente. Lo considero un bene. Ciò non toglie tuttavia che il bilancio possa e debba essere contabilmente trasparente dal punto di vista della divisione tra assistenza e previdenza, in modo da catturare ciò che è previdenza e ciò che è assistenza. Ad esempio, dire che l’Inps ha la spesa pensionistica più alta della Ue è sbagliato perché all’interno di quel 15% c’è sia assistenza (finanziata dalla fiscalità generale) che previdenza, finanziata dai contributi.
L’ex presidente, Tito Boeri, ha sollevato di nuovo il problema delle pensioni ai sindacalisti. È d’accordo con lui? Interverrete?
L’Istituto ha ribadito un concetto importante: la contribuzione aggiuntiva dei sindacalisti in distacco è valorizzata come richiede la legge solo se è fissa e continuativa. Ciò mi sembra giusto, pone fine a privilegi e allo stesso tempo non scoraggia il lavoro dei sindacati. Altre interpretazioni, propugnate dall’ex presidente Boeri, sono impossibili e i governi che si sono succeduti li hanno considerati non conformi alla normativa attuale.