“State attenti”: cyber-attacco a Kiev, la Nato accusa Mosca

“State attenti e aspettatevi il peggio. Questo è il vostro passato, presente e futuro”: è questo il messaggio che ieri hanno letto (in lingua russa, ucraina e polacca) molti impiegati delle agenzie governative di Kiev quando hanno provato ad accedere ai siti dei loro rispettivi dicasteri o altre infrastrutture strategiche dello Stato. Ucraina, di nuovo bersaglio di attività maligne virtuali. Nelle banche dati violate dagli hacker c’erano dati sensibili, dalle cifre dei passaporti elettronici ai certificati vaccinali dei cittadini ucraini.

Il massiccio assalto virtuale ha colpito i siti di sette ministeri, tra cui quello degli Esteri, del Servizio nazionale per le emergenze, del Tesoro e altri istituti. In tilt i server, probabilmente svuotati di molte delle informazioni segrete che contenevano. Secondo Oleg Nikolenko, portavoce del ministero degli Esteri, “è troppo presto per trarre conclusioni, visto che le indagini sono in corso, ma c’è una lunga storia di cyber-attacchi russi contro l’Ucraina”. Non solo le autorità di Kiev sono certe che dietro questo crimine virtuale ci sia la mano dell’eterna nemica Mosca; lo ha suggerito, senza nemmeno nominare la Federazione ad alta voce, anche l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell: “Puntare il dito contro qualcuno sarebbe una speculazione, ma suppongo che ci sia una certa probabilità sulla provenienza di chi ha attaccato. Siamo pronti ad inviare le nostre squadre, l’Ue è pronta ad aiutare l’Ucraina se necessario”.

A fornire adesso supporto agli esperti informatici ucraini ci sono gli specialisti della Nato e quelli di Bruxelles. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha riferito invece che “nei prossimi giorni la Nato e l’Ucraina firmeranno un accordo su una cooperazione informatica potenziata, che include l’accesso alla piattaforma di condivisione delle informazioni sui malware della Nato”.

L’attacco potrebbe far parte di un piano strategico più ampio per destabilizzare il Paese nelle prossime settimane. “Mosca attende un pretesto per attaccare l’Ucraina, i sabotatori russi sono già sul territorio per compiere operazioni di “false flag”, operazioni di intelligence sotto “falsa bandiera”. Dagli Usa, proprio ieri, è arrivato un altro monito, seguito ai fallimenti diplomatici degli ultimi negoziati tenutesi tra il Cremlino e le alte cariche statunitensi.

Sirhan, killer per sempre. La vendetta dei Kennedy

L’astio dei Kennedy tiene in carcere, dopo oltre 53 anni e mezzo, il giordano di origini palestinesi che il 5 giugno 1968, nelle cucine di un hotel di Los Angeles, uccise a colpi di pistola Robert “Bob” Kennedy. Sirhan Sirhan, l’assassino di quello che sarebbe forse diventato, di lì a 5 mesi, presidente degli Stati Uniti, resta in prigione, nonostante il California Parole Board ne raccomandi la libertà vigilata e tre dei nove figli di Robert viventi, Robert jr, Kathleen e Douglas, abbiano dato parere favorevole. Il resto della famiglia, con la vedova Ethel in testa, resta contraria.

Così, il governatore democratico della California, Gavin Newsom, un ‘liberal’ e un ‘kennediano’, cui spettava l’ultima parola, ha negato la concessione della libertà vigilata. Newsom si dichiara grande ammiratore di Bob Kennedy, il suo “eroe politico”. “Dopo decenni di reclusione – ha scritto motivando la sua decisione, presa sentiti i Kennedy –, Sirhan (…) non ha il discernimento che gli eviti di compiere azioni pericolose come quelle compiute nel passato”. I Kennedy continuano a esercitare una forte influenza sul Partito Democratico, anche se non hanno oggi figure di punta in politica. Il presidente Joe Biden ha scelto Caroline Kennedy, 64 anni, figlia del presidente John Fitzgerald, come ambasciatrice in Australia. Caroline era già stata ambasciatrice in Giappone per conto del presidente Barack Obama.

Sirhan, 77 anni, venne arrestato subito dopo avere compiuto il suo crimine. Bob Kennedy, fratello di JFK e suo ministro della Giustizia, l’uomo che promosse la desegregazione razziale nel Sud dell’Unione, fu ucciso nella cucina dell’Hotel Ambassador dov’era sceso a salutare personale e inservienti dopo un evento elettorale.

Inizialmente condannato alla pena di morte, l’assassino si vide tramutare la sentenza in ergastolo nel 1972, dopo che la Corte Suprema della California dichiarò incostituzionale la pena capitale. Nell’agosto scorso, per la prima volta, alla sedicesima richiesta, l’apposita commissione statale aveva detto che Shiran non è più una minaccia per la società e può ottenere la libertà vigilata. Ma Ethel e sei suoi figli sono contrari alla liberazione dell’assassino, su cui il governatore aveva l’ultima parola. Nel 1968, in piena Guerra del Vietnam, con le città Usa messe a ferro e fuoco da sommosse razziali dopo l’assassinio il 4 aprile a Memphis di Martin Luther King, la campagna di Bob Kennedy rappresentava la speranza che un Paese profondamente lacerato potesse ritrovare coesione. Bob aveva appena vinto le primarie californiane e stava per conquistare la nomination democratica, dopo la rinuncia a ripresentarsi del presidente Lyndon B. Johnson.

Rifugiato palestinese e mai naturalizzato cittadino americano, il 5 giugno l’aspirante fantino Sirhan cambiò, forse, il corso della storia. Voleva davvero, come disse al processo, punire Kennedy che aveva sostenuto Israele nella Guerra dei Sei Giorni, di cui quel giorno cadeva il primo anniversario? O il suo fu solo il gesto di un ubriaco – Sirhan aveva in corpo quattro cocktail Ted Collins – da poco entrato nella setta mistica dei Rosacroce? Le otto pallottole sparate nelle cucine dell’hotel ferirono altre cinque persone.

Idealista, ma pragmatico, RFK era il candidato democratico in pectore nella sfida a Richard Nixon. Con la sua morte, i democratici si divisero: alla Convention di Chicago, Hubert Humphrey, grigio e istituzionale, prevalse sul radicale Eugene McCarthy; e, a novembre, Nixon vinse facile. A favore della scarcerazione, poi avallata dal nullaosta dello staff della Commissione statale, s’erano schierati personaggi eccellenti, talora anche sostenendo teorie complottiste che negli Usa vanno sempre forte: il sindacalista Paul Schrade, che fu uno dei cinque feriti, ha scritto al Board, convinto che quel giorno fatale, nelle cucine dell’Ambassador, ci fosse un secondo sparatore mai identificato. Teoria sposata da uno dei figli di Bob, Robert Jr, che nel 1968 aveva 14 anni: avvocato ambientalista e esponente no vax, nel 2018 ha incontrato Sirhan in carcere a San Diego e ne è uscito convinto che non sia stato lui a uccidere suo padre. “Mio padre è stato ministro della Giustizia. Non avrebbe mai voluto un innocente in carcere”, disse al Washington Post, trovando una sponda nella sorella Kathleen Kennedy Townsend: “La sua è un’ipotesi forte. Penso che bisognerebbe riaprire il caso”. Ma, invece di riaprirlo, il resto della famiglia tiene chiuse le porte del carcere per l’assassino di Bob.

Enel, A2a e gli altri: il 2021 è d’oro per i big energetici

Mentre la Francia pone per Edf, il colosso dell’energia controllato da Parigi, un tetto massimo al rincaro delle bollette del 4% (di fatto in linea con l’inflazione, sterilizzando gli aumenti dei prezzi di gas e elettricità), in Italia si naviga ancora a vista. Il governo interverrà ma ancora non si conoscono le modalità. Si vedrà. In ogni caso per le aziende produttrici di energia, il 2021 verrà archiviato con ottimi risultati nei conti. A partire da Enel. Il gigante con lo Stato nel capitale per il 23% delle quote, ha visto i ricavi volare nei primi 9 mesi del 2021. Saliti del 17% a quota 57,9 miliardi con un margine lordo industriale a 12,6 miliardi e un utile netto a 3,3 miliardi. L’incremento dei ricavi non pare riconducibile all’incremento dei volumi venduti, dato che sono aumentati di “solo” il 4,8% nei primi 9 mesi del 2021. L’effetto sarebbe imputabile all’aumento dei prezzi. Ma la coda positiva dei rialzi di gas e luce promette bene per l’intero 2021. Le stime di consenso, elaborate da S&P globalmarket intelligence, indicano ricavi per il 2021 a 74 miliardi, 10 miliardi in più rispetto al 2020 con un margine industriale a 18,5 miliardi e un utile netto a 5,5 miliardi. Con un incremento del peso del margine industriale sul fatturato al 24% (+4% della redditività industriale segnata nel 2019).

Anche la grande municipalizzata di Milano e Brescia, cioè A2a, che ha una forte quota di idroelettrico nel suo portafoglio a costi di produzione ormai molto bassi, sorride a un ottimo 2021. Nei primi 9 mesi i ricavi sono saliti di oltre il 33% a quota 6,4 miliardi. Per A2a, si legge nel bilancio, “la straordinaria dinamica dei prezzi, la crescita della domanda, l’ottima performance di tutte le Business Unit e il contributo delle nuove società acquisite, hanno garantito un forte aumento del fatturato e una crescita della marginalità operativa (+137 milioni, pari a +17%)”. Il balzo grande è avvenuto con gli utili passati da 218 milioni del 2020 a 394 milioni a fine settembre 2021. A festeggiare è anche la multiutility Iren. I ricavi a fine settembre sono aumentati del 18% a quota 3,1 miliardi con costi in linea con l’incremento del fatturato, tanto che il margine operativo netto è salito del 16% e l’utile netto è passato da 153 milioni a 242 milioni. La corsa dovrebbe essere continuata anche nell’ultimo trimestre. Le stime, elaborate da S&P globalmarket intelligence, indicano un traguardo di fatturato a fine anno sopra i 4 miliardi con un incremento vicino al 20% sul 2020. Copione inalterato anche per Hera: +27% il fatturato su settembre 2020, +10% il margine lordo e +39% l’utile netto. Le aziende energetiche in generale hanno avuto gioco facile a veder correre ricavi e profitti. Spesso gli acquisti di gas sono fatti a lungo termine a prezzi che sono lontani dal boom esplosivo registrato nell’ultimo anno. Non ci vuole un genio della finanza per capire che traslando in parte l’incremento dei prezzi sul consumatore, a costi rimasti bassi in virtù di acquisti precedenti al boom, il rialzo del giro d’affari è un gioco da ragazzi. Non solo, ma nel paniere delle fonti, idroelettrico, eolico e solare hanno ormai un ruolo non certo marginale e i loro costi di produzione non sono impattati dal rialzo del gas. Una congiuntura tutta favorevole ai produttori che ora sono chiamati a contribuire al calmieramento delle bollette di vendita finali.

Ita fa flop, ma i vertici vogliono regalarsi maxistipendi e bonus

Non sarà “una Croce Rossa dei dipendenti della vecchia Alitalia”, come mercoledì il presidente esecutivo, Alfredo Altavilla, ha promesso alla Commissione Trasporti della Camera. Ita Airways, alla faccia della legge istitutiva e nonostante la minuscola flotta di una cinquantina di aerei, le migliaia di dipendenti dell’ex compagnia di bandiera non assorbiti che stanno presentando due class action e i ricavi dei primi due mesi e mezzo di attività dimezzati dalla pandemia ad appena 86 milioni rispetto al piano industriale, è però già sulla rotta buona per diventare una fabbrica di mega-stipendi. Il 31 gennaio il consiglio di amministrazione della società, interamente controllata dal ministero dell’Economia e da metà ottobre “subentrata nella discontinuità” ad Alitalia, discuterà per l’ennesima volta la nuova politica di remunerazione dei vertici. Tema che è all’ordine del giorno dal 20 dicembre e che ha già causato notevoli malumori tra i consiglieri. Da un totale di 800mila euro approvato dall’azionista e da dividere tra il presidente e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini, i consulenti della società Mercer – selezionati dallo stesso Altavilla – hanno prima proposto un pacchetto da 2,1 milioni per il solo presidente, poi sono scesi a 1,5, adesso ne ipotizzano uno. Ma chiedono altri 4 milioni da dividere tra i top manager quando i vertici firmeranno l’accordo con un partner industriale strategico che inietti capitale. Se i conti vanno in picchiata, insomma, gli appetiti sono già decollati.

Altavilla, per 30 anni in Fca e già braccio destro di Sergio Marchionne, non si sa in base a quali criteri ha scelto Mercer come consulente per decidere le nuove politiche di remunerazione. Di regola la scelta compete a un apposito e omonimo comitato del Cda. Il tema delle paghe era all’ordine del giorno già nella riunione del consiglio del 20 dicembre, ma è stato rimandato al 27 dicembre e ora sarà discusso il 31 gennaio. La prima ipotesi avanzata da Mercer prendeva a riferimento le paghe dei vertici delle principali compagnie aeree internazionali (dei giganti rispetto a Ita) e delle società quotate partecipate dal Tesoro, come Eni ed Enel (ma Ita, non quotata, al loro confronto è un lillipuziano). I consulenti proponevano di alzare il compenso fisso da 800mila euro a 1,05 milioni l’anno. Il che, con la parte variabile, portava il totale per il presidente a 2,1 milioni. Dopo che l’idea è stata respinta dal Cda, i consulenti hanno proposto una seconda ipotesi con compensi totali da 1,5 milioni per il presidente. Vari consiglieri hanno considerato anche questa somma inaccettabile, chiedendo che si prendessero a parametro le paghe, assai inferiori, dei vertici delle partecipate non quotate del Tesoro come Cassa depositi e prestiti, Fs e Anas. Mercer così ha proposto una terza ipotesi con un fisso di 800mila euro complessivi, come deciso dal Tesoro in assemblea, più una parte variabile del 50% composta al 25% da incentivi di breve termine (Mbo) e al 25% di lungo termine (Lti). In soldoni, il presidente incasserebbe 1 milione l’anno, tra parte fissa (500mila euro), 250 mila euro di Mbo e altri 250 mila di Lti, mentre all’ad Lazzerini andrebbero 600 mila euro, 300 mila fissi e altri 300 mila tra Mbo e Lti.

Sul superbonus, Mercer propone che sia erogato alla firma dell’alleanza industriale strategica – che alla Camera Altavilla ha detto di voler chiudere entro giugno – e che vada diviso tra presidente, ad e dirigenti apicali che lavoreranno alla questione. L’importo dovrebbe essere definito dal Tesoro, con l’eventuale assorbimento degli incentivi di breve termine. L’ipotesi teorica dei consulenti prevede un totale di 4 milioni: 2 al presidente, uno all’ad, il resto da dividere tra i manager. Anche questa proposta, spiegano fonti a conoscenza dei fatti, non è allineata alle remunerazioni dei vertici delle partecipate statali, ma ha il vantaggio di essere legata a un risultato peculiare per Ita e non ipotizzabile per le altre controllate del Tesoro.

Contattata, Ita smentisce: “I dati non hanno alcun fondamento. Il tema remunerazioni del management, come dichiarato nell’audizione della Commissione trasporti del 12 gennaio, è in fase di definizione dai competenti organi sociali. Per quanto riguarda Mercer, è leader di mercato sul tema delle remunerazioni e lavora con le principali aziende del Paese, quotate e non, anche controllate dal Tesoro. Inoltre non ha operato in Alitalia, elemento di discontinuità coerente con la strategia di Ita”, conclude una nota.

MailBox

 

Il discorso di Cromwell vale ancora oggi

Salvini e Meloni uniti per B. al Quirinale? Questo è di Oliver Cromwell, generale britannico alla Camera inglese: “È tempo di fare qualcosa che avrei dovuto fare tempo fa: mettere fine alla vostra permanenza in questo posto, che avete disonorato disprezzandone tutte le virtù e profanato con ogni vizio; siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese con Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda, tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli. Avete conservato almeno una virtù? C’è almeno un vizio che non avete preso? Il mio cavallo crede più di voi; l’oro è il vostro Dio; chi fra voi non baratterebbe la propria coscienza in cambio di soldi? È rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene del Commonwealth? Voi, sporche prostitute, non avete forse profanato questo sacro luogo, trasformato il tempio del Signore in una tana di lupi con immorali principi e atti malvagi? Siete diventati intollerabilmente odiosi per un’intera nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l’ingiustizia! Basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene!”.

Mario Frattarelli

 

Le distinzioni fra i morti “per” e “con” Covid

I più intelligenti propongono di indicare solo i decessi “per” Covid e non quelli “con” Covid. Un’ideona: sarebbe come escludere dalle statistiche delle vittime degli incidenti stradali tutti coloro che hanno avuto una qualche patologia. Aveva un tumore, l’incidente stradale gli ha solo accorciato la vita di qualche mese: dunque è deceduto “con” incidente e non “per” incidente”. E così, mutatis mutandis, per magia si riducono anche le vittime Covid. Per abbassarle ulteriormente basta passare dal “cogito ergo sum” di Cartesio alla nuova logica Renzi-Viola-Bassetti: non conto i contagi, ergo nessuna emergenza sanitaria. Come dire: “Distruggo il termometro, dunque non ho la febbre”.

Maurizio Burattini

 

Caro Maurizio, credo sia giusto distinguere finalmente (con le autopsie) i morti “per” e “con” Covid. Ma non certo escludere dal calcolo dei contagi gli asintomatici, visto che sono anch’essi contagiati e soprattutto contagiosi.

M. Trav.

 

Il ruolo del Movimento in questo governo

Ho letto la risposta che ha dato Conte alle critiche rivoltegli da Di Battista, per essere al governo insieme a Renzi e soci, sulle riforme targate M5S che è riuscito a salvare proprio per quella scelta “responsabile”. Tutto questo avrebbe avuto senso solo se il Movimento avesse conservato più o meno il consenso avuto alle ultime elezioni politiche e fosse lui andato a dettare le regole a Draghi. Invece purtroppo non è così. Non solo, ma stando ai sondaggi, alle prossime elezioni anche quel poco salvato dalle sue riforme verrà spazzato via, non conterà più nulla e il M5S sarà a rimorchio del Pd. Ne valeva la pena? Magari dall’opposizione sarebbe stato più utile per cittadini che hanno votato i 5 Stelle.

Michele Lenti

 

Caro Michele, in questo governo il M5S non sarebbe dovuto entrare, ma dare solo un appoggio esterno condizionato, misura per misura. Purtroppo Grillo lo fece entrare con tutte le scarpe e senza praticamente porre condizioni. Conte è arrivato dopo e sta cercando di salvare il salvabile.

M. Trav.

 

Le regole sul virus cambiano di continuo

Mio figlio è risultato guarito dal Covid, per la prima volta, il 9 novembre 2020. Secondo le regole governative, tuttora consultabili sul sito del governo, “nei soggetti con pregressa infezione SARS- CoV-2, qualora la vaccinazione venga effettuata entro i 12 mesi dalla guarigione, è possibile somministrare una singola dose di vaccino, anche in caso di un vaccino con ciclo a due dosi”. Vaccinato dunque mio figlio il 9 agosto 2021 è arrivato il Green pass rafforzato, tuttora valido. Il 7 gennaio 2022, giorno di pubblicazione dell’ultimo decreto in materia di contrasto alla pandemia, mio figlio è entrato in contatto con un ragazzo poi rivelatosi positivo. Dunque osserva la quarantena che, per uno come lui, dovrebbe durare cinque giorni. Arrivato il quinto giorno, chiamo il medico di mio figlio per sapere che tampone deve fare e mi dice che lui è da considerarsi non vaccinato, secondo le disposizioni che ha ricevuto (sistema sanitario della regione Lazio), e quindi la sua quarantena è durata 10 giorni.

Alessandro Di Manici

Quirinarie. “Silvio è ineleggibile: lo stabilisce pure una legge del ’57”

Caro “Fatto”, all’inizio degli anni 90 il tema della ineleggibilità di Silvio Berlusconi è stato nascosto dalla politica. Il compianto economista Paolo Sylos Labini citava il laburista Harold J. Laski, che già nel 1933 sosteneva che il capitalista non può essere il fiduciario dell’interesse pubblico. Ralf Dahrendorf, intervistato sul tema, disse: Il problema è se gli interessi dei capitalisti riguardano sfere che influenzano il processo democratico. Prosegue Sylos Labini: le concessioni governative private in sé sono un cattivo servizio alla libera concorrenza in un Paese capitalisticamente avanzato. Guai se la concessione statale si trasformasse in un monopolio che impedisce la libera intrapresa in alcuni settori come l’informazione.

Partendo da tali considerazioni, Sylos vede la legge del 1957 come un rimedio essenziale che impedisce l’ingresso in politica dei concessionari pubblici. Giovanni Sartori si è occupato in più occasioni degli aspetti politici dell’ineleggibilità di Silvio Berlusconi. Si tratta di uno snodo vitale per la democrazia soprattutto se il concessionario ha le tv e i media. Soprattutto in campagna elettorale – sottolinea il compianto politologo editorialista del Corriere della Sera – si rivela una diseguaglianza inaccettabile. La fazione del proprietario delle tivù private può fare una campagna gratuita sulle emittenti Mediaset, mentre gli avversari non saranno in parità dovendo pagare l’inserzione al medesimo avversario. Entrambi gli studiosi evidenziano un Berlusconi che vince o perde quando vuole diventato così di fatto il burattinaio della Seconda Repubblica.

Evidentemente i suoi principali avversari politici non hanno osato sollevare la questione. Berlusconi non era e non è eleggibile. Lo stabilisce la legge elettorale n° 361 del 1957, che è stata sistematicamente violata dalla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati. Palese interpretazione da azzeccagarbugli della Giunta poiché, come scrisse il presidente emerito della Corte costituzionale, Ettore Gallo, “ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato”. Il monopolio televisivo si cercò di arginarlo nel 1994 con un ridicolo tentativo, compreso un referendum senza esito. Non passò nemmeno una ipotesi derivata dal Common Law di un congelamento del patrimonio personale fino all’esaurimento del mandato politico. Non se ne fece nulla, lasciando a B. la politica e l’informazione come passaggio dinastico. Il servizio pubblico suo concorrente fu mortificato e indebolito con lo scopo di addomesticarlo. Ancora prima dell’elezione di quell’anno la cassetta dello “Scendo in campo” andò in visione universale anche nel servizio pubblico. La Ferrari di B. partì inseguita dalla bicicletta di Occhetto con la gomma bucata.

 

Tamponi precoci e “diamicron”: Fiorella sprizza genio pirotecnico

Passate le feste così così, ritrovo finalmente l’amica Fiorella Vastità che mi si fa incontro con il sorriso con il quale la conosco da sempre. L’Epifania si è portata via la tristezza che abbiamo condiviso uno degli ultimi giorni dell’anno che si è appena concluso quando, come canta Paolo Conte “siam rimasti lì, chiusi in noi, sempre di più” davanti a un lago insolitamente basso, assediati da suggestioni cimiteriali. Ora invece è di nuovo pimpante, felice di aver fatto un paio di tamponi, “precoci” li chiama lei manco fossero una certa qualità di pomodori, dall’esito negativo. Come d’abitudine non mi sogno nemmeno di correggerla, non voglio correre il rischio che si offenda e mi privi dei suoi siparietti linguistici. Che arrivano come se li chiamassi. Perché infatti mi chiede conto dell’ennesima variante di cui ha sentito dire, la “diamicron”, prendendo in prestito il nome di un antidiabetico orale, nata in quel di Cipro. La rassicuro riferendo che a quanto pare trattasi di una mezza bufala: da quel mare che secondo il mito ha dato i natali alla dea della bellezza e dell’amore nient’altro che altra bellezza può sortire e la invito a godere dell’altrettanta bellezza che abbiamo sotto gli occhi. La mattina è serena infatti, il vento si è placato, il freddo morde appena, quasi non sembra di essere a gennaio. Fiorella approva e, poco prima di salutare, a proposito, mi fa: suo nipote, il primo di tre, è guarito. A dire la verità non sapevo nemmeno che si fosse beccato il virus, ma rispondo che ne sono felice. Anch’io, ribatte lei. Ma, osserva, chi più di lui che così ha potuto riprendere a frequentare l’università. Faccio ammenda per la seconda volta, ma ero all’oscuro che fosse già così avanti con gli anni e quindi con gli studi. L’educazione mi spinge a chiedere cosa studi di bello il giovanotto. La risposta è l’ennesimo colpo di genio di Fiorella Vastità. Ingegneria, mi informa con mal trattenuto orgoglio, al pirotecnico di Milano.

Se non ci fosse posto (idee per Bersani)

Ieri sera,ospite di Piazzapulita, Pier Luigi Bersani s’è fatto portavoce di un’idea, diciamo così, che va assumendo una sua rilevanza nella meglio opinione pubblica democratica: “Finché c’è posto per curare, bene. Se non ci fosse più posto, non sta fuori uno malato di tumore o di leucemia perché qualcuno dice che il vaccino è una roba da ridere”. Animati come siamo da spirito di servizio, abbiamo subito convocato un Comitato tecnico-scientifico – composto da un gesuita, una medica, un giurista, una filosofa, uno svizzero e un napoletano – per approfondire la linea del “triage ospedaliero morale” e permettere al partito di Bersani, qualunque sarà, di presentarla alle prossime elezioni. Scartata per difficoltà tecniche la proposta di consentire l’accesso in PS solo alla percentuale di corpo del singolo no vax eccedente la protezione media del vaccino, queste sono le prime 5 indicazioni del Cts per scriminare, eliminati i non vaccinati, chi s’è davvero meritato le cure

1) In caso di pluri ricovero per incidente stradale va escluso l’eventuale colpevole dello scontro e chi fosse sprovvisto di cinture di sicurezza: si dovrebbe dunque formare il personale paramedico a compilare il Cid.

2) Il o la paziente cardiopatico/a ha diritto alla prestazione a meno che non abbia contestazioni per evasioni fiscali superiori ai 50mila euro o sia condannato/a per frode fiscale (ma no, presidente Silvio, cosa va a pensare?).

3) Il paziente con patologie respiratorie può essere fermato alla porta se ricorrono due condizioni: è un fumatore e abbia denunce per aver ingiuriato, in una lite nel traffico, una mamma in bicicletta che conduceva i suo bimbi al Fridays for future

4) Il paziente diabetico, se obeso, entra solo se può dimostrare di non aver frequentato McDonald’s nell’ultimo anno e non sia stato denunciato dalla moglie per maltrattamenti

5) Il paziente psichiatrico è ammesso alle cure solo se ha preso le sue medicine e mangiato le verdure raccomandate dal suo nutrizionista

A breve il Cts elaborerà un manuale completo di “Triage ospedaliero morale” per evitare dubbi applicativi. Stampa e diffusione saranno a cura di El pueblo unido jamás séra vencido.

La crisi della tv spinge Berlusconi verso il Quirinale

“Prima o poi nella vita arriva un momento che uno capisce che deve chiudere”

(da Il terzo uomo di Graham Greene – Sellerio, 2021 – pag. 55)

 

C’è un nesso fra l’autocandidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica e la crisi della tv generalista che ha fatto la fortuna di Sua Emittenza? L’interrogativo è meno peregrino di quanto posa apparire. E per diversi motivi.

L’ex Cavaliere ha compiuto 85 anni, alla fine del settennato ne avrebbe 92 e a questo punto ambisce a una consacrazione del suo cursus honorum (o “dishonorum”) politico e istituzionale. Una sorta di beatificazione che gli assicuri altri sette anni di potere; un salvacondotto che lo metta definitivamente al riparo dai suoi precedenti e dalle sue pendenze giudiziarie. E lo consacri, magari, fra i “padri della Patria”. Ma se c’è stata finora una “stella polare” nella sua vita, pubblica e privata, questa è la difesa dei propri affari e dei propri interessi, aziendali e familiari. A cominciare, naturalmente, dal suo impero mediatico. La televisione commerciale, però, ha fatto il suo tempo; è entrata in crisi ed è in piena trasformazione, sotto l’offensiva di Internet, dei social network e dei giganti del web (i cosiddetti “Ott”, ovvero gli over the top) che forniscono contenuti video, come Google, Netflix, Disney, Dazon e ora anche Amazon, il colosso della distribuzione.

È proprio questa l’origine della crisi che ha investito la tv generalista: tra il settembre del 2020 e quello del 2021, si registra un calo del 6,1% (1,37 milioni di persone) nelle fasce di massimo ascolto e del 7,6% (0,73 milioni) nel giorno medio. Quello delle piattaforme è un modello alternativo che tende a scardinare il palinsesto tradizionale, per diffondere una comunicazione on demand, a richiesta, offrendo all’utente la possibilità di scegliersi una “dieta mediatica” a proprio piacimento. E la concorrenza di queste media company minaccia ora di spodestare i tycoon tradizionali, come Berlusconi e i suoi cloni.

L’aspirazione quirinalizia di Sua Emittenza, dunque, è un mix di velleità personali e di calcoli venali. A un secolo di distanza, sarebbe una nuova “marcia su Roma”, dopo i successi elettorali del ’94 e del 2001 che portarono il leader del centrodestra al governo del Paese. Non abbiamo sempre detto e scritto, del resto, che Berlusconi era (ed è) l’autobiografia di una nazione? “O Roma o morte”, allora: la storica esortazione alle “camicie rosse” attribuita a Giuseppe Garibaldi, alla vigilia della partenza da Marsala per la conquista della Capitale, rischia di diventare l’inno delle “camicie nere”.

Il ricatto politico di Berlusconi rivolto – in caso di sconfitta – a Mario Draghi e al Parlamento, con la minaccia di elezioni anticipate, è alla base di un tentativo che mira alla presa di potere. E, per così dire, a una “grazia anticipata” che lui stesso potrebbe paradossalmente concedersi. Un “liberi tutti” che equivarrebbe a un’amnistia generalizzata, compromettendo l’immagine e la credibilità dell’Italia sul piano internazionale, la sua ripresa economica e la stessa applicazione del Pnrr con i fondi europei.

“Après moi le deluge”, insomma, dopo di me il diluvio, alla maniera di Madame de Pompadour, senza pensare al destino del Paese e alle drammatiche conseguenze di una tale deprecabile eventualità. Nella sua titanica interpretazione del proprio ruolo politico e istituzionale, l’ex Cavaliere si gioca adesso il tutto per tutto. Dalla “sindrome di Arcore”, di cui il popolo italiano è stato vittima sotto il regime televisivo del suo tiranno mediatico, rischiamo di passare a quella dell’eroe mitologico che, privato della vista, dei capelli e della forza come Berlusconi della tv, fa crollare il tempio al grido “muoia Sansone con tutti i Filistei”.

 

B. Al colle: dove sono i cittadini che un tempo si ribellavano?

Lo stesso Paese che per anni ha onorato Falcone e Borsellino ora sostanzialmente tace. Berlusconi mira al Quirinale: condannato, amnistiato, prescritto, tuttora indagato e imputato, osa farsi avanti. Secondo la Cassazione ha finanziato la mafia, quella associazione criminale che ha ucciso Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica. È una vicenda che ci copre di vergogna. Non solo per la sfrontatezza del candidato, ma per la flebile voce dei partiti, taluni tristemente consenzienti, altri distanti da Forza Italia ma appena balbettanti in questa occasione. Tuttavia non basta: la passività di fronte alla proposta indecente riguarda anche la stragrande maggioranza dei cittadini. Le firme raccolta dal Fatto Quotidiano sono il frutto della reazione di una minoranza illuminata.

Ma l’esperienza quotidiana ci mostra una blanda perplessità, un pigro cinismo, una distaccata rassegnazione nella gran parte delle persone. Colpa della pandemia? In parte forse sì. Ma qualche cosa d’altro è nell’aria. Quello stesso Paese che solo pochi anni fa aveva partecipato con passione al dibattito sulla proposta di modifica della Costituzione ora sembra essersi ritirato. Che siano state le difficoltà economiche e lavorative, o le nuove sensibilità e preoccupazioni ambientali; o le delusioni venute da una politica stanca e incapace di nuove interpretazioni dei tempi, si tratta di un grande errore, perfino di un passo indietro rispetto a stagioni passate che pure non erano età dell’oro.

Ma dove sono finite le voci un tempo gagliarde proprio nei confronti delle deformazioni berlusconiane della giustizia? Come possono non arrossire i grandi quotidiani che battono la fiacca? Perché i sindacati non si ribellano a questa ipotesi di involuzione della democrazia e della civiltà? Perché movimenti e associazioni prima così vivi, come l’Anpi o i comitati per la difesa della Costituzione, non si fanno vedere nelle piazze, non alzano la voce, non gridano di fronte a questa impudicizia, a questa offesa della Costituzione cui abbiamo proclamato di voler essere fedeli? Certo la Costituzione non dice che è escluso dalla Presidenza della Repubblica chi ha riportato condanne penali, o ha accettato amnistie e prescrizioni; ma sappiamo che non lo ha fatto perché nessuno dei costituenti poteva neppure immaginare che osasse ambire al Quirinale una persona con quelle caratteristiche. La reazione della nazione sarebbe stata fermissima, diffusa, incontenibile; se non le barricate, però le proteste in ogni luogo pubblico e privato, in ogni sede politica, civile e culturale. Una rivolta morale. Che cosa ci sta succedendo, che cosa vi sta succedendo, cittadini di una Repubblica che non può vivere se perde la dignità?