Superbonus, ecco come si può renderlo più equo

La legge che finanzia al 110% le spese sostenute per ridurre i consumi energetici degli edifici eliminando gli sprechi e le inefficienze, può dare un contributo determinante all’obiettivo, stabilito dall’Unione europea, di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Tuttavia le modalità con cui si prefigge di raggiungerlo sono troppo costose per il bilancio dello Stato e accrescono l’ingiustizia sociale, perché questa spesa, sostenuta dalla collettività col prelievo fiscale, è andata prevalentemente a vantaggio dei più abbienti ed è stata pagata prevalentemente dai meno abbienti che non ne hanno ricevuto alcun beneficio. Si è aperta pertanto un’accesa polemica tra chi ritiene che la durata della legge non vada rinnovata al termine della sua scadenza temporale, perché è insostenibile per il bilancio statale, e chi sostiene che la sua validità debba essere invece prolungata perché possa dare un contributo significativo alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti.

Ma è davvero impossibile introdurre in questa legge alcune modifiche che consentano di ridurre il peso della spesa pubblica e l’ingiustizia di far pagare ai meno abbienti un vantaggio economico per i più abbienti, evitando di perdere le grandi potenzialità, non solo ecologiche, ma anche economiche e occupazionali insite nella ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio?

Per esplorare questa possibilità è importante ricordare due dati. Secondo la Commissione europea gli edifici assorbono il 40% dei consumi energetici globali e sono responsabili del 36% delle emissioni di gas a effetto serra. Secondo i dati raccolti dall’Enea soltanto sugli edifici per cui è stato presentato l’attestato di certificazione energetica necessario a effettuare atti di compravendita, il 34% appartiene alla classe G, la meno efficiente, con consumi energetici superiori a 180 kilowattora al metro quadrato all’anno, e appena il 6,6% alla classe A, con consumi energetici inferiori a 15 kilowattora al metro quadrato all’anno. La massima efficienza energetica viene raggiunta dagli edifici in classe NZEB (nearly zero energy building), che annullano quasi del tutto le emissioni di gas con effetto serra. Poiché questi dati non si riferiscono al patrimonio edilizio nazionale, ma solo alle case di cui è stato registrato l’atto di compravendita, è lecito supporre che gli edifici in classe A siano quelli costruiti negli ultimi anni e quindi la loro percentuale sulla media nazionale sia più bassa, mentre sia più alta la percentuale sulla media nazionale degli edifici in classe G, che l’Unione europea aveva addirittura proposto di escludere dalla possibilità di essere messi in vendita se prima non fossero stati ristrutturati in modo da poter essere inseriti in una classe di efficienza energetica superiore. Ha senso non rinnovare una legge che favorisce la riduzione delle emissioni climalteranti in un settore ampio come il patrimonio edilizio, caratterizzato da una diffusione così ampia di edifici così inefficienti e da margini così ampi di miglioramento? Invece di scontrarsi sulla durata, più o meno lunga della legge, non sarebbe meglio mantenerla introducendo correttivi che ne riducano le distorsioni?

Il punto di partenza da prendere in considerazione è un’ovvietà che può sfuggire solo a chi non la vuol vedere. La riduzione dei consumi energetici che si può ottenere riducendo le dispersioni degli edifici e producendo con più efficienza l’energia di cui hanno bisogno, riduce in misura direttamente proporzionale le emissioni di gas serra e i costi delle bollette energetiche. I vantaggi ecologici e i vantaggi economici vanno di pari passo. A partire da questa considerazione basterebbe vincolare i finanziamenti pubblici alla restituzione allo Stato di una percentuale dei risparmi sui costi mensili di gestione energetica che consentono di ottenere. L’importo e la durata della restituzione dovrebbero essere calcolati sulla base di parametri stabiliti per legge. L’utente avrebbe comunque dei vantaggi economici rilevanti senza sostenere spese d’investimento. Il valore commerciale del suo immobile crescerebbe, le sue bollette energetiche si ridurrebbero e verrebbero tenute al riparo dagli aumenti dei prezzi, di cui quest’anno si è avuta un’avvisaglia molto pesante. L’elemento nuovo, significativo politicamente ed economicamente, sarebbe il fatto che lo Stato avrebbe un introito costante e crescente da destinare a ulteriori ristrutturazioni energetiche. Inoltre, l’eliminazione di una scadenza temporale della legge eliminerebbe una delle cause che hanno fatto impennare i prezzi dei materiali edili, si eviterebbe che la ripresa dell’edilizia fosse un fuoco di paglia destinato spegnersi di colpo con la cessazione dei finanziamenti, l’occupazione nel settore rimarrebbe stabile, la platea dei beneficiari si potrebbe estendere alle classi sociali che fino ad ora hanno contribuito a pagare i costi di vantaggi da cui sono rimaste escluse, la riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe significativa.

Oltre a offrire un punto di vista alternativo ai due che si contrappongono nel dibattito sul superbonus, questa proposta potrebbe avere una valenza più ampia. Sino ad ora le tecnologie ambientali sono state finalizzate prevalentemente a integrare o sostituire l’offerta di merci prodotte con tecnologie che accrescono la produttività a prescindere dai danni ambientali che causano. Ed essendo meno concorrenziali non potevano svilupparsi senza contributi di denaro pubblico. Se, invece, fossero finalizzate a ridurre la domanda riducendo gli sprechi e aumentando l’efficienza dei processi di trasformazione delle risorse in beni, comporterebbero una riduzione dei costi di produzione tanto maggiore quanto maggiore è la riduzione dei consumi a parità di benessere che riescono a ottenere. Forse per realizzare una conversione ecologica dell’economia, più che di sussidi di denaro pubblico ci sarebbe bisogno di una conversione economica dell’ecologia.

 

Caimani in Paradiso, Salvini al ristorante e grillini in viaggio

Mentre la turbinosa meteora berlusconiana continua ad ardere nel nostro cielo come qualcosa di malefico, e le anime oneste atterriscono all’idea di un maestro della corruzione assunto al cielo quirinalizio, prendiamo fiato con queste nuove barzellette.

Due ex grillini, ora deputati nel gruppo Misto, si incontrano alla stazione Termini. Causa Covid, non si vedono da un po’, e prendono a chiacchierare con piacere. “Dove vai bello?” dice uno. “A Brescia. Tu?”. “Milano. Che combini?”. “Devo vedere degli imprenditori. Tu?”. “Devo vedere il presidente di una Fondazione”. “Ti ricordi i Meet Up?”. “Eeh, era un’era preistorica fa”. “Uno vale uno!”. “Due mandati!”. “No Tav!”. “No Tap!”. “No F-35!”. “Mai al governo col Pd, il partito di Bibbiano!”. “No Draghi, uscire dall’euro!”. “Legge Spazzacorrotti!”. “Ah ah ah! Quanto ci siamo divertiti!”. “Ricordi la serata con Crimi che portava le pizze ai tavoli?”. “Ah ah ah! E la volta che siamo andati col Dibba a leggere la sentenza Dell’Utri davanti a villa San Martino?”. “Ah ah ah! Bei tempi”. “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia”. Continuano a parlare per tutto il viaggio, ma uno dei due ha l’impressione che l’altro non gliela racconti giusta, e comincia a riflettere: “Mi dice che va a Brescia, ma perché dovrebbe dirmi la verità? Quegli imprenditori interessano anche a me. No, scommetto che viene anche lui a Milano, a farsi un giro delle Fondazioni bancarie. Se Draghi va al Colle, fine della legislatura, e col taglio dei parlamentari, che anche noi come dei fessi abbiamo votato, finiamo tutti a casa, e allora un posticino nel Cda di qualche Fondazione può venire comodo. No, un momento, non può essere. La sua azienda di famiglia va a gonfie vele. Grande distribuzione, figuriamoci. Se fosse per i soldi non si sarebbe neppure candidato alla Camera. Gli piace il potere, ci tiene alla poltrona, i Cda li vuole nominare. Aspetta un attimo. Berlusconi sta facendo campagna acquisti. Ma certo! Ecco dove sta andando: ad Arcore! Il che significa che Berlusconi gli ha garantito un seggio nella prossima legislatura!”. Con un sorrisetto d’intesa, si rivolge al vecchio amico: “Congratulazioni!”. “Come l’hai indovinato?” gli chiede l’altro, sbalordito. E lui: “Era ovvio”.

L’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro esce a fare due passi con Roberto Moro, capo risorse umane Gedi, indagato per una presunta truffa sui prepensionamenti aziendali. Ezio: Ho saputo dell’incendio che ti ha raso al suolo la villa”. Roberto: “Shhht! No, no. La settimana prossima”.

Salvini sta cenando in un ristorante di lusso quando caccia un rutto spaventoso. Una signora al tavolo accanto inorridisce. E Salvini: “Cosa si aspettava, signora? Un carillon?”.

Un giorno Berlusconi muore, e subito le sue aziende si trovano in cattive acque: investimenti sbagliati, nuove indagini dei giudici su vecchi conti offshore, litigi familiari per l’eredità. Una sera, tornato ad Arcore dopo una giornata campale, Pier Silvio si mette le mani nei capelli e si dispera. “Se solo tu fossi ancora qui, papà!” dice fra i singhiozzi. “Non posso farcela senza di te”. Ma in quella, dopo uno sbuffo di fumo e un lampo di luce, appare Silvio. “Papà, come stai? Com’è lassù?”. “È fantastico, figliolo. Mi sveglio al mattino e faccio sesso. Dopo colazione, altro sesso fino a pranzo. Riposino pomeridiano, quindi altro sesso fino a cena. Poi vado a dormire, e il giorno dopo ricomincio”. “Cavolo, papà. Non immaginavo che il paradiso fosse così bello”. “Paradiso?” dice Silvio. “Chi è in paradiso? Sono un maiale in Trentino”.

 

L’origine del virus e i conflitti d’interessi

Il nostro cervello tende a dimenticare, o meglio, archiviare i ricordi cattivi. È la straordinaria scoperta di un team di studiosi dell’Università di Cambridge pubblicata su Nature Communications. Il cervello sarebbe in grado di selezionare i ricordi negativi e di nasconderli, realizzando una sorta di auto-inganno, grazie a un messaggero biochimico, l’acido gamma-amminobutirrico (GABA), in grado di agire sull’ippocampo, ossia il nostro archivio di vita, della memoria. Ciò ci lascia presumere che dopo qualche anno dalla fine della pandemia, molti fatti resteranno chiusi nel nostro archivio biologico. Sarà certamente un fatto positivo che cancellerà amarezza e dolore di una tragedia inaspettata, ma ci auguriamo che in questo cassetto non finiscano responsabilità non chiarite. Dobbiamo pretendere che venga fatta chiarezza su ciò che è accaduto tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. È certo che il focolaio di SarSCoV2 non sarebbe diventato pandemia se non gli avessero concesso imperdonabili ritardi. Dobbiamo individuare l’origine del virus. Dopo due missioni in Cina senza esito, ne è stata promessa un’altra della quale non si fa più cenno. Quando è cominciato tutto? Lo stesso governo cinese ha ammesso di aver omesso informazioni sui casi di polmonite atipica avuti in Cina negli ultimi mesi del 2019. L’Oms sapeva? Perché Tedros Ghebreyesus, attualmente ancora direttore generale dell’Osa, ex ministro della Salute in Etiopia, della quale la Cina copre metà del debito pubblico, ha avuto un comportamento, a dir poco, protettivo? È conflitto d’interessi aver favorito miliardi di investimenti nel suo Paese ed essere stato eletto alla sua carica grazie ai voti dell’Unione Africana che è nelle mani della Cina? Perché ci siamo trovati ad affrontare la pandemia senza scorte di presidi medici, perché avevamo un numero ridotto di posti in terapia intensiva? Il silenzio su questi argomenti minaccia che si archivino nel cassetto della memoria con l’impunità di chi questa tragedia l’ha permessa.

 

Sole24Ore. L’indagato Marrocchio oggi firma l’intesa su 25 prepensionamenti

Nemmeno un plissé, anzi piena fiducia. Non verso i colleghi, ma per il direttore del personale, Romeo Marrocchio, indagato dalla Procura di Roma per truffa ai danni dello Stato insieme all’ex ad di Gedi Monica Mondardini e a decine di altri manager per i prepensionamenti del 2014 alla Rotocolor. L’ha espressa l’altroieri nell’assemblea di redazione del Sole 24 Ore Giovanni Negri, storico leader del sindacato aziendale dei giornalisti. Marrocchio ha trattato per il giornale di Confindustria l’accordo, firmato da azienda e cdr lunedì 10 gennaio e discusso nell’assemblea di giovedì, che prevede 25 tra pensionamenti e prepensionamenti e 17 mesi di cassa integrazione per i giornalisti del Sole. L’ennesimo ricorso agli ammortizzatori sociali nell’infinita crisi della testata che dura da oltre un decennio. A chi gliene chiedeva conto sventolando gli articoli della Verità, Negri ha risposto di aver chiesto a Marrocchio se è indagato e, ricevuto un “no”, di credergli: inusuale metodo di verifica giornalistica, secondo alcuni dei presenti.

L’intesa firmata dal Cdr (il cui mandato scadrà a giorni) prevede, sino a settembre 2023, 25 pensionamenti e prepensionamenti di giornalisti su base volontaria (ma al Sole c’è chi li chiama “spintanei”), preceduti da tre mesi in cassa integrazione a zero ore. Se i prepensionamenti saltassero “per l’indisponibilità di risorse dell’ente di previdenza”, l’accordo decadrebbe “fatti salvi gli effetti già raggiunti”. Per tutti i giornalisti c’è poi la cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione aziendale di 2 giorni al mese per 17 mesi, a partire dal primo marzo. I giornalisti con un reddito aziendale lordo annuo inferiore a 84mila euro (basso, per i parametri del Sole) faranno invece per sei mesi un giorno di Cigs e per gli altri 11 mesi due giorni. Il voto sull’accordo si terrà dopodomani. Sull’intesa, fortemente voluta da Confindustria che chiede il taglio dei costi, si gioca la riconferma l’ad del Sole Giuseppe Cerbone.

Rep. in crisi, ex vertici Gedi cercavano ganci nel Conte I

I vertici del gruppo Gedi volevano agganciare il governo Conte-1, anche attraverso una linea editoriale diversa per Repubblica, visti i problemi economici del giornale. È l’interpretazione che la Guardia di Finanza dà di una conversazione intercettata fra Monica Mondardini – che da poco aveva lasciato il suo ruolo di ad del gruppo – e Roberto Moro, in quel momento direttore delle Risorse Umane. Mondardini e Moro sono fra i 101 indagati dalla Procura di Roma nell’inchiesta sulla presunta truffa all’Inps relativa ai prepensionamenti portati avanti dal 2009 dalla società che edita Repubblica e L’Espresso.

È il 28 agosto, il governo dell’allora premier Giuseppe Conte, sostenuto da M5S e Lega, ha giurato da meno di tre mesi. La Finanza scrive: “Moro e Mondardini discutono delle problematiche che riguardano il giornale in ragione anche del nuovo governo e del fatto che la linea sia non cambiata molto se non addirittura peggiorata”. Mondardini al telefono dice: “(…) un signore che per carità è cortese ma non si sa cosa pensi non si esprime non parla non… in una persona che per carità sarà professionale (…) ma che sicuramente non è in grado così… non fa parte del nostro mondo e non è in grado di dare… sarà questo il leitmotiv”. Moro si dice d’accordo e aggiunge: “(…) comunque l’azienda nel complesso quando ha fatto gli utili no? Per tanto tempo e adesso ci deve essere anche il sacrificio dell’azionista, che è un tema diverso dal fare l’azionista”. “L’azionista” in quel momento è la famiglia De Benedetti (estranea all’inchiesta), che di lì a poco cederà l’intero asset alla Exor degli Agnelli/Elkann (estranea ai fatti). “In questi anni – dice ancora Mondardini – abbiamo cercato di fare tutto quello che si poteva fare (…)”. È del 2 settembre 2018, quattro giorni dopo, la conversazione intercettata tra Mondardini e Francesco Dini (non indagato), dirigente Cir Spa, in cui si parla dell’incontro istituzionale da lui avuto con Vito Crimi, all’epoca sottosegretario all’Editoria. Dini commenta: “La cosa è andata straordinariamente”. Per i pm, si legge negli atti, “il gruppo Gedi faceva e continuerà a fare istanze al ministero del Lavoro per l’autorizzazione al prepensionamento, non sulla base del personale effettivamente in esubero”.

Intanto, dal decreto di sequestro eseguito a dicembre dal Nucleo di polizia Economico-finanziaria della Gdf di Roma, emergono nuovi particolari sulle modalità con cui sono stati portati avanti i prepensionamenti. Il caso simbolo è quello di Barbara Rossi, direttrice Amministrazione finanza e controllo della Manzoni Spa. Formalmente Rossi verrà demansionata a quadro. Nei fatti, per i pm, continuerà a gestire l’ufficio con lo stesso salario, i benefit e i rimborsi delle spese contributive, come emerge dalle email interne alla direzione Risorse Umane. “Rossi ha chiesto una proiezione di quanto erogheremo fino al 31.01.2015 (liquidazione) – si legge in una missiva tra funzionari agli atti – (…) le indicazioni sono le seguenti (…) Sulle differenze retributive potrebbe avere anche ragione, sulla Cigs non proprio”. La risposta è lapidaria: “Moro non è molto appassionato al tema (…) paghiamo e basta, ma con un supporto scritto che comprovi che poi è finita”. Meccanismo, quello del “paghiamo e basta” ripetuto con altri dipendenti “per evitare problemi con gli ispettori”. La conferma ai pm arriva da Paola Bietti (non indagata), sostituta di Rossi nell’organigramma ma che, per i pm, ne rimane la sottoposta: “Rossi – dice a verbale Bietti – ha continuato a coordinare la Direzione (…)”. Il Fatto ha provato a contattare lo Studio Severino, che difende gli ex dirigenti Gedi e le società indagate, senza ricevere ancora risposta.

Sul fronte Inpsfra gli indagati per truffa c’è l’ex funzionario Mauro Gennari, preposto alla “rendita vitalizia” presso la sede Inps di Roma Monteverde. Gennari, intercettato, il 1º agosto 2018 dice: “…bisogna fare un’azione di forza, andare dalla Di Michele (l’allora direttrice generale dell’Inps, ndr) (…) noi mo’ andiamo a denunciare tutte le malefatte che sono state fatte (…) io vado giù, ma con me ci vieni pure…”. Gennari sarà licenziato per altre irregolarità il 27 novembre 2018, provvedimento confermato in Appello e pendente in Cassazione. Il 14 maggio 2020 Gennari è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 2,6 milioni di euro all’Inps, sentenza impugnata in secondo grado. “Le responsabilità sono da ricercarsi a livello più alto. Gennari non ha avuto, né concordato alcuna contropartita per quelle azioni, perché avrebbe dovuto commettere illeciti?”, dice al Fatto il suo legale Sebastiano Pennisi.

 

Altri 5 arresti per i fatti d’ottobre. C’è pure il capo di FN a Catania

Cinque personesono state arrestate per aver partecipato all’assalto alla sede nazionale della Cgil a Roma, il 9 ottobre. Nel procedimento si ipotizzano i reati di devastazione e saccheggio. Tra loro c’è Giuseppe Bonanno Conti, leader catanese di Forza Nuova. L’altro soggetto finito ai domiciliari è un genovese legato ai movimenti “No Green Pass”. Per i restanti, sono state disposte le misure cautelari dell’obbligo di dimora nel comune di residenza per un attivista bolognese e della presentazione dinanzi alla Polizia Giudiziaria nei confronti di due cittadini romani.

’Ndrangheta, Pittelli fa sciopero della fame

Ha iniziatolo sciopero della fame Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, imputato per associazione mafiosa nel processo “Rinascita Scott” a Lamezia Terme. Pittelli ha informato della sua iniziativa il direttore de “il Riformista”, Piero Sansonetti: “Il telegramma che ci ha mandato Pittelli – scrive Sansonetti sul sito del giornale – dice così: ‘Caro Piero, porterò lo sciopero della fame fino alle estreme conseguenze contro un’ingiustizia mostruosa”. Arrestato il 19 dicembre 2019 in “Rinascita Scott” e nell’ottobre 2021 in un’inchiesta su un presunto traffico di rifiuti, Pittelli aveva ottenuto i domiciliari. A dicembre è tornato in carcere dopo aver inviato una lettera alla segreteria del ministro per il Sud, Mara Carfagna.

Alluvione di Livorno, Nogarin va a giudizio

L’ex primocittadino di Livorno Filippo Nogarin (M5S) è stato rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo nell’ambito dell’inchiesta sull’alluvione che colpì la città nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2017, quando esondarono il rio Ardenza e il rio Maggiore causando la morte di 8 persone. Il Gup ha assolto Riccardo Pucciarelli, ex comandante della municipale allora a capo della Protezione civile comunale, che aveva scelto il rito abbreviato. Tra i fatti contestati all’ex primo cittadino l’avere smantellato la struttura della Protezione civile, nominando al vertice della stessa Pucciarelli, in possesso solo di una laurea scienze politiche, al posto del precedente responsabile che avrebbe avuto una qualifica ben più adeguata.

Pratica al Csm: Storari rischia il trasferimento

Paolo Storari, pm di Milano, rischia il trasferimento d’ufficio. La Prima Commissione del Csm ha aperto una procedura per incompatibilità ambientale e funzionale. Non è la prima iniziativa che viene presa nei confronti dei magistrati che sono stati protagonisti dei contrasti alla procura di Milano: un’altra procedura pende nei confronti del pm Fabio De Pasquale. Entrambi saranno ascoltati dalla Prima Commissione. Lo scontro alla procura di Milano è nato attorno alla gestione del procedimento Eni. Ed era venuto alla luce con la consegna da parte di Storari dei verbali dell’avvocato Piero Amara all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo per “autotutela”. Proprio per questa vicenda Storari è sotto procedimento disciplinare.

Processo Sma, il libro mastro delle tangenti. “Così nacque il patto De Luca-FdI sui rifiuti”

Rischia quattro anni e mezzo per corruzione Lorenzo Di Domenico, fino al febbraio 2018 amministratore di Sma, la società regionale dell’ambiente e dei depuratori, imputato col rito abbreviato a Napoli. Li ha chiesti il pm Henry John Woodcock nell’udienza preliminare di ieri, la sentenza è attesa a febbraio.

Di Domenico è la gola profonda del “sodalizio politico” (così lo definisce a verbale) tra il presidente Pd della Campania Vincenzo De Luca e l’ex consigliere regionale FdI Luciano Passariello, imputato di corruzione col rito ordinario. Un sodalizio col quale il governatore (estraneo alle vicende corruttive) affidò il controllo della Sma a un esponente di destra, che la rese – secondo l’accusa – una fabbrica di tangenti chieste meticolosamente a quasi tutti i fornitori, come rivelarono le telecamere nascoste di Fanpage. “Ero esasperato da Passariello che voleva una mano per la sua campagna elettorale… mi chiedeva continuamente soldi…”, dice Di Domenico in due interrogatori, mentre parla di buste e cifre in contanti. Si riferisce alla candidatura di Passariello alle Politiche del 2018. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Di Domenico ha chiuso lo studio di commercialista e ora gestisce un bar. Passariello, che non si è ricandidato, secondo l’ex amministratore di Sma ha aperto un ristorante in Spagna. Di Domenico ha consegnato agli inquirenti un file Word dove ha annotato le mazzette che avrebbe raccolto in nome e per conto di Passariello: 14 ditte che avrebbero consegnato somme tra i 500 e i 3.000 euro. “In ogni busta c’era un post con il nome dell’impresa, perché Passariello avrebbe dovuto ringraziare ciascuno di essi”.

Di Domenico ha anche rivelato dettagli inediti del patto De Luca-Passariello. “Mi disse di aver incontrato De Luca al teatro Trianon e che dopo andarono insieme a cena, in quell’occasione nacque il loro sodalizio per la mia nomina in Sma”. E perché De Luca la diede alla minoranza? “In politica esiste l’opposizione e la finta opposizione”. Secondo l’ex amministratore Sma, un galoppino di Passariello gli chiese un curriculum per la nomina poi firmata da De Luca. Fu preparato, e poi ritoccato su richiesta di Passariello, che gli disse di eliminare i riferimenti alla consulenza per il gruppo regionale FdI. “Circostanza che avrebbe scatenato le polemiche dell’opposizione”. Quella vera.