“Si può parlare anche di una segreteria politica”

Il clima nei Cinque Stelle è quello che è. Ma Francesco Silvestri, capogruppo vicario del M5S alla Camera, prova comunque a sorridere: “Mi ha chiamato per parlare di calcio, giusto?”.

Tradotto in termini calcistici, il capo politico Luigi Di Maio sembra assediato nella sua area. Si lamenta della stampa, ma è oggettivo che i gruppi parlamentari non gli diano più retta. Ad esempio i senatori gli hanno detto no allo scudo per Mittal.

Non è vero che i gruppi non seguono Di Maio, sulla stampa ho letto ricostruzioni prive di fondamento. Questo è un momento particolare per il M5S, perché dopo dieci anni c’è bisogno di una riorganizzazione. In un contesto politico così in evoluzione c’è bisogno di darsi una struttura per rilanciarsi. Di Maio si sta caricando sulle spalle un processo delicato, mettendoci come sempre la faccia. Colpendo lui si colpisce la riorganizzazione, ma Luigi è riconosciuto e stimato dai parlamentari.

Sarà. Ma durante il vertice sull’immunità a Palazzo Chigi assieme al premier Giuseppe Conte e ai parlamentari pugliesi Di Maio ha messo sul tavolo la crisi di governo: “Chi non voterà lo scudo se ne assumerà la responsabilità in aula”. Non è proprio il segno di un Movimento coeso, no?

Io c’ero, e il clima era buono. Dopodiché il tema dello scudo a oggi non è centrale. La vera questione di cui siamo tutti preoccupati è che c’è un’azienda, Mittal, che non rispetta gli impegni assunti per l’Ilva. Detto questo, è normale che i nostri eletti tarantini abbiano una sensibilità particolare sull’argomento, e la trasmettano con più passione. Ma anche mercoledì alla Camera la riunione sull’Ilva con il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli è stata molto positiva.

I parlamentari si sono affidati al ministro e non a Di Maio perché si è impegnato a discutere con loro dello scudo, e magari perché si fidano più di lui….

Non è così. Il rapporto tra Di Maio e Patuanelli è ottimo, di piena fiducia reciproca. Tutti cercano una soluzione, e i parlamentari lo sanno.

Sanno anche che oltre due mesi senza riuscire a eleggere un capogruppo a Montecitorio non è un bello spettacolo? Lei si è sfilato dalla corsa. Voleva favorire una soluzione?

L’ho fatto per provare a sbloccare la situazione. Le difficoltà che stiamo vivendo dipendono anche dal fatto che noi da regola vogliamo un capogruppo ampiamente legittimato, che abbia il consenso almeno del 50 per cento più uno dei deputati.

Regola masochista, no?

È una regola molto ambiziosa. Ma è chiaro che il gruppo ora deve capire perché non riesce a eleggere un nuovo presidente.

Lei che ne pensa? Perché?

Perché come ho detto il momento è particolare, e possono esserci punti di vista molto diversi che si incrociano. Ma sono certo che a breve si risolverà tutto.

Lei potrebbe ricandidarsi?

I passi indietro o avanti si fanno in base al contesto e alla sensibilità del gruppo. Andrà valutato.

Prima accennava alla riorganizzazione. Ma tanti chiedono soprattutto una segreteria politica. Condivide?

È un tema che può accompagnare quello della riorganizzazione. Tutti possono dare una mano a Di Maio con l’aumento del carico di lavoro e impegni. Parlarne non è un problema.

Stasera il senatore Ugo Grassi ha praticamente confermato il suo addio: “Lasciare il Movimento per me è un atto di legittima difesa”.

Penso che Grassi stia affrontando una fase conflittuale con il M5S, e lo sapevamo. Ma se c’è anche un minimo margine per recuperarlo sono sicuro che il capogruppo in Senato Gianluca Perilli saprà sfruttarlo.

5 Stelle sempre più in crisi: già si discute di secondo mandato

Quando è entrato nella sala di Montecitorio per incontrare i deputati, ne ha trovati assai pochi ad attenderlo: “Vedo che siamo già ai numeri della prossima legislatura”. L’ha presa con sarcasmo, il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Ma che ci sia poco da ridere lo sa per primo lui. Il caso Ilva lo tiene impegnato da giorni. E oltre che con ArcelorMittal, gli tocca trattare con i parlamentari del suo Movimento, che – detta in parole povere – stanno “riscoprendo la propria identità” sulla fine annunciata dello stabilimento di Taranto.

La vicenda dello scudo penale per i gestori dell’acciaieria, innescata da un emendamento voluto da un gruppo di senatori M5S capitanati dall’ex ministra Barbara Lezzi, è ormai il simbolo del momento più buio dei Cinque Stelle: in costante calo di consensi, indeboliti nella leadership, lacerati dalle divisioni interne.

I nervi sono talmente tirati che è bastato che Patuanelli ricordasse i vecchi tempi per far commuovere metà dell’esigua platea: è tornato ai giorni in cui lui, ingegnere, insieme al meet up di Trieste si batteva contro l’inquinamento della ferriera di Servola. E adesso che siede al Mise, ammette, “non ha risposte” a molte delle domande sul futuro dell’Ilva che gli fanno i parlamentari. Chiede fiducia, e gliela danno, con la promessa che se l’ipotesi dell’immunità dovesse tornare in auge, dovrà ripresentarsi in assemblea per discutere con loro. Dal Senato ha già ottenuto un documento in quattro punti che i vertici considerano una sostanziale apertura a valutare anche l’extrema ratio del ripristino dello scudo. Luigi Di Maio, però, pare meno soddisfatto. E ieri è tornato a bastonare via Facebook quelli che “rincorrono il proprio ego” e non capiscono che “le scelte del passato ritornano”, che “i nodi prima o poi vengono al pettine” e bisogna farsene una ragione, non solo su Taranto: “Il Mose – cita ad esempio – benché non sia la migliore soluzione possibile, va terminato al più presto per proteggere Venezia subito”. Chi non è d’accordo, conclude, può “accomodarsi in un partito”.

Poche ore dopo arriverà l’addio del senatore Ugo Grassi, assai deluso dai provvedimenti della legge di Bilancio in materia di università: “Abbandonare il Movimento per me diventa legittima difesa”.

Non dice se passerà alla Lega, quella che oggi può certamente offrire le maggiori garanzie di rielezione. Perché al di là delle intenzioni del senatore campano, il tema del “prossimo giro”, con l’aria di crisi che tira, è ormai di discussione quotidiana. Nell’ultima assemblea con i parlamentari – quella in cui ha avvertito gli eletti che su Ilva può saltare tutto – Di Maio ha ribadito che questo è il suo secondo mandato, lasciando intendere che non ci saranno deroghe. Una precisazione necessaria, visto che nei gruppi di Camera e Senato avanza una pattuglia di parlamentari alla prima elezione che sostiene l’ipotesi di concedere un salvacondotto ad alcuni cosiddetti “big”. “Mandano avanti loro per farsi proteggere”, raccontano, a riprova del fatto che la preoccupazione per il voto anticipato è ormai patrimonio comune.

Motivo in più per rimandare anche la faccenda delle restituzioni. Se i probiviri sono pronti a multare i morosi, i parlamentari inadempienti sono invece sul piede di guerra perché il tesoretto accantonato finora con i risparmi dei parlamentari (ammonterebbe intorno ai 3 milioni di euro) è da mesi in attesa di essere distribuito ai destinatari stabiliti da Rousseau. La richiesta è partita tre mesi fa da un gruppo di deputati e appoggiata da colleghi del Senato: “Finché non li donate – hanno scritto – noi non restituiamo più”.

Salvi nuovo pg e Mattarella ringrazia l’indagato Fuzio

Il Csm diviso anche sulla nomina del Pg della Cassazione. Eletto Giovanni Salvi, finora Pg di Roma. Come ci sia spettava, è passato a maggioranza. La vera sorpresa del plenum di ieri, invece, l’ha riservata il capo dello Stato Sergio Mattarella, che, da prassi, ha presieduto. Ha ringraziato Riccardo Fuzio, il Pg della Cassazione che a luglio è stato costretto a dimettersi e ha chiuso la sua carriera con un’onta: l’indagine a suo carico, a Perugia, per rivelazione di segreto d’ufficio a favore del pm sospeso Luca Palamara, indagato per corruzione. “Desidero ricordare – ha detto – l’attività svolta da Fuzio… l’esercizio della funzione disciplinare, nonché il senso delle istituzioni manifestato con la scelta di lasciare l’incarico in un momento delicato e particolarmente difficile per tutta la magistratura”. Parole che pongono l’interrogativo sul perché il presidente si sia spinto a ringraziare l’ex Pg che da alto magistrato, indagato, non poteva non dimettersi, così come avevano fatto consiglieri del Csm neppure indagati.

Mattarella ha avuto parole di elogio pure per il neo Pg Salvi: darà “un contributo prezioso al funzionamento efficace e trasparente del Consiglio, che del resto conosce avendone fatto parte in passato”. Infine, ha ribadito che è la meritocrazia a dover guidare la scelte delle nomine. È la prima volta che a capo della procura generale della Cassazione non vada un interno. Salvi, magistrato di grande e quarantennale esperienza, fa parte di Area, la corrente progressista, ma ha estimatori a livello trasversale. A votarlo sono stati 12 consiglieri: i togati di Area, di AeI e i laici M5s. Riello, pg di Napoli ha avuto 4 preferenze: di MI e di Cerabona, laico di FI. Tre voti per Matera, avvocato generale in Cassazione, quelli di Unicost. Cinque gli astenuti: il vicepresidente Ermini, il presidente della Cassazione Mammone, i laici della Lega Cavanna e Basile, il laico di FI, Lanzi.

“L’Aifa favoriva il farmaco più costoso”

Erano riusciti a limitare la prescrizione del farmaco più economico a favore di quello più costoso procurando un danno all’erario di circa 200 milioni di euro, pari ai maggiori costi sostenuti dal Sistema Sanitario Nazionale (Ssn). Per questo ex dirigenti dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, insieme ai membri pro tempore della Commissione consultiva tecnico scientifica della stessa agenzia, sono finiti nel mirino della Corte di Conti del Lazio che ieri ha notificato un invito a dedurre.

Gli accertamenti svolti dai finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Roma avrebbero consentito di accertare che i farmaci Avastin della Roche e Lucentis della Novartis, entrambi usati per alcune malattie oculari, avevano la stessa equivalenza terapeutica. Ciò che cambiava era il costo: vi era – come riportato in una nota della Finanza – una differenza di prezzo “tra i 600 e i 730 euro per singola dose”. Per i magistrati contabili, l’Avastin non è stato inserito tra i prodotti rimborsabili dal Ssn fino al 2014 e sono state imposte una serie di “ingiustificate limitazioni” al suo utilizzo almeno fino al 2017, causando un aggravio di spesa per lo Stato. “Si ritiene – scrivono i magistrati contabili – che le condotte omissive e commissive connotate dalla colpa grave, tenute dal Dg pro tempore e in parte dai componenti” della Commissione consultiva tecnico scientifica “abbiano di fatto comportato un maggiore dispendio di risorse per il Ssn (…), conseguendone il mancato efficiente perseguimento del primario interesse pubblico, in favore invece di posizioni privatistiche”.

L’invito a dedurre è stato notificato a nove persone tra due ex dg di Aifa, che ora hanno 60 giorni di tempo per fornire la loro versione alla Corte dei Conti. Alla somma di 200 milioni di danno erariale si è arrivati calcolando la differenza di prezzo tra i farmaci messi in relazione con il numero di trattamenti che sono stati effettuati con il Lucentis anziché con l’Avastin. Sulla vendita dei due farmaci nel 2014 l’Agcom ha multato le due case farmaceutiche produttrici, Roche e Novartis, con una sanzione di oltre 180 milioni per aver creato una sorta di “cartello”. La deliberazione dell’Agcom è stata impugnata davanti al Tar del Lazio e poi al Consiglio di Stato. Sentenza, sottolinea la Roche, “non passata in giudicato”. La Novartis invece precisa che “Lucentis a differenza dell’Avastin impiegato fuori indicazione e quindi, tra l’altro, privo di un prezzo negoziato per l’ambito oftalmico, è stato specificamente studiato e autorizzato per l’impiego contro la maculopatia nelle sue diverse forme”.

I pm salgono a bordo dell’Air Force Renzi

I magistrati della Procura di Civitavecchia sono saliti sull’Air force Renzi. Nei giorni scorsi è stato effettuato un nuovo sopralluogo a bordo dell’Airbus A340-500, preso in leasing dalla compagnia Etihad ai tempi del governo del fiorentino per effettuare voli di Stato a servizio di Palazzo Chigi. Su disposizione del procuratore di Civitavecchia, Andrea Vardaro, il sostituto procuratore Roberto Savelli ha visitato il velivolo, ormai fermo da diversi mesi, per l’analisi dello stato di fatto e l’acquisizione documentale.

La Procura di Civitavecchia ha un fascicolo aperto sul crac di Alitalia, nato da un esposto partito dall’ufficio politico dell’ex ministro alle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Ed è nell’ambito di questa inchiesta che sono stati delegati alcuni approfondimenti alla Guardia di Finanza sugli accordi sottoscritti per l’Airbus 340-500.

L’aereo presidenziale fu messo a disposizione del Governo italiano attraverso un contratto di leasing con la compagnia di Abu Dhabi a un costo di 168 milioni di euro per 8 anni di affitto. Proprio la natura dell’accordo è oggetto degli approfondimenti. Il contratto di leasing operativo prevedeva un pagamento anticipato di 25 milioni di dollari, che Etihad fatturò ad Alitalia.

In sostanza, il sospetto (tutto da verificare) dei pm è che lo Stato italiano abbia versato a una compagnia estera, attraverso la sua società di bandiera, una somma di denaro per permetterle di acquistare un velivolo poi preso in affitto.

Il contratto è stato rescisso ad agosto scorso, quando i pagamenti erano arrivati a quota 50 milioni di euro (ma Etihad dichiara di averne incassati solo 37 milioni).

L’Airbus, con una capienza di 300 posti, fra il 2016 e il 2017 ha viaggiato ben 88 volte, con in media 23 passeggeri a bordo.

In un caso, oltre all’equipaggio, ha trasportato un solo passeggero, l’allora ministro degli Esteri, Angelino Alfano, che in totale è salito sul volo presidenziale una ventina di volte, alcune volte con una mini delegazione.

Cosa che evidentemente ha fatto lievitare il costo del mezzo, condizione che i magistrati di Civitavecchia vogliono accertare, visto che in diverse occasioni sarebbe potuto essere più conveniente acquistare voli di linea, anche di prima classe.

Il volo inaugurale è stato effettuato l’11 luglio 2016, a Cuba, in missione per tre giorni all’Avana: al Fatto Quotidiano risulta fossero presenti anche ministri, viceministri, sottosegretari, alla presenza di imprenditori romani e armatori.

Ma gli eventuali sprechi potrebbero non fermarsi qui. Ad esempio, come riportava il Corriere della Sera il 3 agosto 2018, in una lettera del coordinatore del Servizio per i voli di Stato, il colonnello Valerio Celotto, stimava in 16,6 milioni di euro la “realizzazione di un’area dedicata all’autorità, suddivisa nella cabina letto con annesso bagno e doccia, nello studio privato nonché in un’area riunioni con lo staff”, un optional poi saltato per la mancata consegna dei preventivi.

È invece di pochi giorni fa la notizia di Panorama: secondo il settimanale la Procura di Civitavecchia sarebbe in possesso di file excel in cui vengono riportati i costi del cosiddetto “in Flight Entertainment”, in sostanza i monitor per guardare film o giocare ai videogiochi, con ben 7,3 milioni spesi in supporti tecnologici e diritti alle case di produzione.

Qualche esempio: 480 mila euro in diritti a Medusa e 5.500 euro a Rai Cinema per i film italiani, 30 mila euro a Rai Trade per documentari e monografie e 360 mila euro per videogiochi ed e-learning; per i diritti musicali si sono spesi 43 mila euro (un abbonamento premium a Spotify costa 10 euro al mese).

La manutenzione del velivolo, poi, avrebbe richiesto l’impegno di una cifra vicina agli 1,7 milioni di euro, di cui ad esempio 49 mila euro per la pulizia esterna della fusoliera.

Edoardo Agnelli: i misteri del corpo intatto, l’ora del decesso e l’autopsia mancante

Sono le 13:24 del 15 novembre 2000 quando l’Ansa batte la notizia: “Edoardo Agnelli, 46 anni, figlio del senatore a vita Giovanni Agnelli, è stato ritrovato cadavere sul greto del torrente Stura lungo l’autostrada Torino-Savona”, sotto il viadotto “generale Franco Romano”. Giunto sul luogo, Riccardo Bausone, procuratore capo di Mondovì, dichiara al Corriere della Sera: “Non ho le prove inoppugnabili per affermare che si tratti di suicidio. È una delle possibilità che stiamo vagliando. Le altre due sono: malore e omicidio”. Eppure Bausone non ordina di fare l’autopsia, accontentandosi d’una ricognizione sommaria del cadavere. Ai quotidiani, però, viene detto che l’esame autoptico è stato effettuato. Solo nel settembre 2010, dopo una trasmissione tv di Giovanni Minoli, lo stesso magistrato ammetterà: “L’autopsia non fu eseguita, anche se allora fu detto fosse stata fatta”. A 19 anni dal presunto suicidio del figlio dell’Avvocato il giornalista Antonio Parisi riapre il caso con Gli Agnelli. Segreti, misteri e retroscena della dinastia che ha dominato il Novecento italiano, presentato oggi alle 18 a Torino alla Feltrinelli di piazza Cln. L’inchiesta di Parisi fa seguito alle denunce, senza esito, presentate a diverse procure da Marco Bava, amico e collaboratore di Edoardo. E raccoglie il testimone del volume Ottanta metri di mistero di Giuseppe Puppo, del 2009, che nessun giornale importante volle recensire per autocensura e Fiat-dipendenza.

Oltre all’autopsia mancata “c’è almeno una ventina di dati che contrastano contro quest’ipotesi. Tra cui lo stato del corpo, ritrovato dopo esser precipitato da 80 metri di altezza, sostanzialmente intatto e con i mocassini ai piedi. Gli esperti mi hanno spiegato che dopo una caduta da quella altezza persino gli scarponcini ben allacciati degli alpinisti, volano via”. C’è di più. Un pastore ha confermato a Parisi d’aver visto il cadavere del figlio dell’Avvocato sotto il viadotto già alle 8, mentre le risultanze ufficiali fissano l’orario intorno alle 10. Nessuno, tra Procura e investigatori ha mai preso in considerazione il racconto di quell’uomo. L’indagine fu chiusa prima ancora d’esser aperta.

Universiadi 2019: indagato Aponte, armatore di MSC

Il patron di MSC Gianluigi Aponte, il secondo armatore su scala mondiale, leader del colosso elvetico, è uno dei quattro nomi iscritti nel registro degli indagati dell’inchiesta della Procura di Napoli che ipotizza reati di corruzione e turbativa d’asta intorno ai servizi di ospitalità delle Universiadi 2019, che si sono svolte a luglio tra Napoli e altre località campane. Circa 2.000 tra atleti e membri di delegazione furono alloggiati sulla MSC Lirica ormeggiata nel porto di Napoli.

Il nome di Aponte compare in un decreto di perquisizione eseguito nelle settimane scorse dai carabinieri su ordine dei pm Henry John Woodcock e Francesco Raffaele in tre luoghi diversi: il Grand Hotel Salerno, scelto dall’organizzazione delle Universiadi per gli alloggi di atleti e delegazioni di gare previste nella provincia salernitana; il Lloyd’s Baia Hotel, che si trova al confine tra Salerno e Vietri sul Mare; gli uffici della direzione di Napoli di MSC in via Agostino Depretis. Di uno degli altri tre indagati, il vicepresidente della Regione Campania Fulvio Bonavitacola, il Fatto ha dato notizia ieri. Completano l’elenco Rocco Chechile, titolare del Grand Hotel Salerno, e Annapaola Voto, capo relazioni istituzionali di Aru (Agenzia Regionale Universiadi), incarico assunto nel 2016 dopo essere stata capo della segreteria di Bonavitacola.

Per capire il contesto del coinvolgimento di Aponte nell’inchiesta sulle Universiadi e quale sarebbe la presunta utilità ottenuta dall’armatore sorrentino, il nastro va riavvolto alla primavera e all’estate del 2018. Sono settimane di panico, nelle quali l’evento, tra ritardi organizzativi e polemiche, sembra fortemente a rischio. Sono le settimane in cui il commissario governativo, Luisa Latella, un prefetto spedito da Catanzaro, getta la spugna: non condivide la scelta di far alloggiare gli atleti su navi da crociera da ormeggiare nel porto di Napoli. Navi da individuare con appositi bandi. È una scelta sulla quale spinge forte la Regione Campania retta dal governatore Pd Vincenzo De Luca e dal suo vice Bonavitacola, per ridurre l’impatto ambientale sul territorio. Il progetto alternativo, le “casette” nella Mostra d’Oltremare, causerebbe un forte impoverimento del verde pubblico dell’area.

Latella – che è stata sentita dai pm ad ottobre come teste – se ne va dopo aver provato a sospendere l’aggiudicazione di un bando a MSC, ritenendo che la compagnia non potesse trattare con la pubblica amministrazione per tre anni dopo l’accertamento di un caso di pantouflage: un’impresa privata non può assumere ex dirigenti di p.a. che abbiano avuto “poteri autorizzativi” su di loro ed MSC avrebbe violato la norma assumendo l’ex presidente dell’autorità portuale di Genova Luigi Merlo. L’Anac di Raffaele Cantone la pensa diversamente e sostiene che MSC può negoziare, e poco tempo dopo Latella abbandona il ruolo commissariale, dopo aver ripetuto più volte che “avrebbe voluto lasciare qualcosa alla città”.

Un chiaro riferimento agli alloggi che sarebbero rimasti in mostra alla fine delle Universiadi. La cabina di regia si sfascia. Arriva un nuovo commissario, Gianluca Basile (estraneo alle indagini). La gara per le navi viene vinta da MSC e Costa. E così il 29 giugno 2019 De Luca inaugura il villaggio atleti galleggiante. Per un paio di settimane, MSC Lirica (citata nel decreto di perquisizione) e Costa Victoria accoglieranno circa 4.000 atleti e delegati di 129 paesi, allestendo spazi e attrezzature per gli allenamenti. Di questi 4.000, 2.114, vengono destinati alla Lirica, uno dei gioielli di Aponte.

Lo stringato decreto di perquisizione, che segue acquisizioni documentali compiute nei mesi scorsi, compresi alcuni atti dell’Anac, non scopre il cuore delle accuse sulle quali la Procura guidata da Giovanni Melillo sta lavorando, e alle quali gli indagati potranno replicare nel corso del procedimento.

Secondo quel poco che trapela, la dottoressa Voto, interrogata dai pm a fine ottobre, avrebbe ricoperto il ruolo di referente di Bonavitacola ed esecutrice di direttive politiche. E le perquisizioni hanno cercato documenti sulle relazioni tra soggetti “intranei” alla p.a. (e in particolare Voto) e persone di MSC e di Cisalpina, la agenzia leader del business travel. I carabinieri hanno cercato la lista degli ospiti della MSC Lirica tra il 3 e il 14 luglio, il periodo di svolgimento delle Universiadi. E la lista dei pernotti al Grand Hotel Salerno, che sarebbe stato utilizzato qualche volta da uno dei familiari di Bonavitacola, che a sua volta avrebbe potuto disporre di una suite in maniera fissa per qualche mese.

Dopo il baciamano nulla sarà più come prima

A dare il via a questi dieci anni di calvario – non fosse bastato quello a cui fu sottoposto Stefano – furono le foto terribili del suo corpo martoriato sul tavolo dell’obitorio; a mettere una (prima) parola fine a troppi processi ieri è stata un’altra immagine: un carabiniere, in divisa, che fa il baciamano a Ilaria Cucchi, subito dopo la sentenza che ha condannato i suoi commilitoni. Da tre anni in servizio a Piazzale Clodio, e dopo aver seguito parecchie udienze del dibattimento, il militare ha sentito il bisogno di compiere un gesto spontaneo, accompagnato da poche, semplici parole: “L’ho fatto perché finalmente dopo tutti questi anni è stata fatta giustizia. Chi sbaglia paga e doppiamente se porti la divisa”. Una riparazione, una riconciliazione, la dimostrazione plastica che l’Arma non è quella che uccide un ragazzo preso in consegna. Un gesto che, se possibile, vale quanto le stesse parole del comandante generale, Giovanni Nistri, che in serata, ancora una volta, ha fatto pervenire alla famiglia Cucchi la sua vicinanza: “Abbiamo manifestato in più occasioni il nostro dolore alla famiglia. Un dolore che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza che definisce le responsabilità di alcuni carabinieri venuti meno al loro dovere, con ciò disattendendo i valori fondanti dell’Istituzione. Sono valori – ha aggiunto Nistri – a cui si ispira l’agire di 108 mila carabinieri che, con sacrificio e impegno quotidiani, operano per garantire i diritti e la sicurezza dei cittadini, spesso mettendo a rischio la propria vita, come purtroppo testimoniano anche le cronache più recenti”.

L’Arma c’è, finalmente, dopo gli anni in cui una catena di omertà avrebbe coperto la vergogna e l’orrore di quanto accaduto nella compagnia Casilina, la notte in cui Stefano fu arrestato. E non è un caso che sia stato proprio Nistri a volere la costituzione di parte civile dell’Istituzione che rappresenta nel processo per depistaggio che inizierà a dicembre.

In questa vicenda, che resta terribile, ci sarà un prima e un dopo. E non per la sentenza di ieri, che dovrà essere confermata o ribaltata nell’appello che i difensori degli imputati hanno già annunciato. Ci sarà un prima e un dopo rispetto alle coscienze dei militari. Perché non va dimenticato che, oltre al lavoro incessante della Procura di Roma che diede vita all’inchiesta bis, sono stati tre carabinieri a decidere di averne avuto abbastanza dei silenzi: Riccardo Casamassima e Maria Rosati, che per primi hanno testimoniato portando alla luce la verità e adesso giustamente chiedono giustizia per le proprie carriere interrotte, e Francesco Tedesco, il collega che quella maledetta notte era con D’Alessandro e Di Bernardo e ieri si è visto assolvere dall’accusa di omicidio preterintenzionale e condannare per il reato di falso. Dopo aver raccontato in una precedente udienza ciò che aveva visto e fatto per mettere fine al pestaggio di Stefano, Tedesco aveva chiesto scusa alla famiglia Cucchi e aveva stretto la mano a Ilaria. E anche quell’immagine aveva fatto il giro di siti e giornali.

Saranno questi, crediamo, i gesti che ricorderà non soltanto l’opinione pubblica, ben divisa in questi anni tra accusatori e difensori dei carabinieri. Saranno queste, ci auguriamo, le immagini che rimarranno impresse nella parte sana dell’Arma, quella che i fermati li tratta secondo la legge, senza bende sugli occhi né pestaggi. Con la convinzione che un solo baciamano valga più di cento onorificenze.

Cucchi, 12 anni ai carabinieri. Ilaria: “Ora Stefano è in pace”

Dieci anni e tre settimane dopo la morte di Stefano Cucchi, da ieri, come ha detto la sorella Ilaria, finalmente riposa in pace. La Corte d’Assise ha condannato a 12 anni i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per omicidio preterintenzionale. Un carabiniere presente in aula fa il baciamano a Ilaria, in lacrime come i genitori: “L’ho fatto – ha detto il militare – perché finalmente è stata fatta giustizia”. E Ilaria: “Ringrazio tutti gli uomini perbene delle forze dell’ordine”.

Sono stati Di Bernardo e D’Alessandro, dunque, anche per i giudici e non solo per la Procura di Roma, che ha vinto su tutta la linea, ad aver pestato il geometra arrestato la notte del 15 ottobre per droga provocandone la morte una settimana dopo all’ospedale Pertini (ieri all’Appello ter 4 medici prescritti, uno assolto) senza mai aver potuto vedere almeno i suoi genitori, ammirevoli per la dignità che hanno sempre avuto. Condannato a 3 anni e 8 mesi e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici il maresciallo dei carabinieri Roberto Mandolini, ex comandante della stazione Appia, per falso nella compilazione del verbale d’arresto.

Per la stessa imputazione, 2 anni e 6 mesi inflitti a Francesco Tedesco, il carabiniere che dopo quasi 10 anni si è deciso a raccontare il pestaggio a opera dei due colleghi che erano con lui la notte dell’arresto. Tedesco è stato assolto, come chiesto da pm e difesa, dall’accusa di omicidio preterintenzionale. “I giudici gli hanno creduto”, ha commentato il suo avvocato Eugenio Pini. Il solito Matteo Salvini non riesce proprio a chiedere scusa per le offese passate ai Cucchi: “Se qualcuno ha sbagliato paghi. Vicino alla famiglia, ma questo testimonia che la droga fa male”.

La sentenza è stata pronunciata nell’aula bunker di Rebibbia dove si era celebrato il primo processo, quello in cui erano finiti imputati agenti della polizia penitenziaria, sempre assolti. Ascoltata, quasi una preghiera, che Ilaria Cucchi, aveva evocato a inizio camera di consiglio: “È evidente che Stefano sia morto per le conseguenze di un pestaggio. Spero che possa avere giustizia e possa riposare in pace”.

Giovanni Musarò, pm di questo processo, durante la requisitoria aveva avanzato le sue pesanti richieste di pena “non esemplari. Giuste”. Per i due carabinieri aveva chiesto 18 anni. Ne hanno avuti meno, ma la sostanza non cambia. Prima di Tedesco, il pestaggio di Cucchi era già stato riferito da altri testimoni, non imputati. Fra loro l’ex moglie di D’Alessandro, Anna Canino e i carabinieri Riccardo Casamassima e Maria Rosati. La signora Canino ha confermato a processo le confidenze dell’ ex marito, poco tempo dopo la morte del giovane: “Mi disse che la notte dell’arresto era stato pestato, aggiungendo: ‘C’ero pure io, quante gliene abbiamo date’. Raffaele mi raccontò di un calcio che uno di loro aveva sferrato a Cucchi e che aveva provocato una caduta rovinosa. Al racconto, mi sembrò quasi divertito; rideva e, davanti ai miei rimproveri, mi rispondeva ‘Chill è sulu nu drogato ’e merda’”.

In un passaggio della requisitoria, Musarò ha ricordato un’altra importante testimonianza, del detenuto Luigi Lainà, che vide Stefano “acciaccato di brutto”, con la faccia gonfia e a cui il giovane raccontò del pestaggio dei carabinieri. “Stefano Cucchi non si è potuto sedere in aula a raccontare cosa gli fosse successo, ma ha parlato con la voce di Lainà, gli ha lasciato una specie di testamento”. Parlando del pestaggio “degno di teppisti da stadio”, Musarò affonda: “I carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro non è che sono stati sfortunati. Se la sono presa con una persona sottopeso, di appena 40 kg, che consideravano un drogato”. Ma Cucchi da quel pestaggio forse sarebbe uscito vivo se non fosse finito in carcere senza cure adeguate. Il gip che lo mandò a Regina Coeli fu ingannato da un falso verbale, seguiranno altri depistaggi, che hanno appena portato a processo otto alti ufficiali dei carabinieri.

La supercommissaria (ex moglie di Follini) che naviga nel potere

Ancora tu. Il governo giallo-rosa nomina Elisabetta Spitz supercommissario per il Mose. Il suo nome – individuato dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli – certo non è nuovo negli ambienti del potere in cui l’architetto Spitz è apprezzato da decenni. In particolare dalla stagione targata centrosinistra dell’era di Romano Prodi, ma ancora più di Massimo D’Alema: aveva tanti estimatori, a cominciare dall’allora ministro Vincenzo Visco e da Pierluigi Bersani. E in quella stagione che l’architetto romano raggiunge i vertici di agenzie governative. Un legame di stima che aveva suscitato qualche polemica quando era emerso che l’associazione politica Nens di Bersani e Visco era ospitata in un appartamento di proprietà proprio della famiglia Spitz.

 

Il “privato” e quell’ago della bilancia

Le cronache ricordano anche la vita privata di Spitz, allora sposata con quel Marco Follini che era passato dal centrodestra al centrosinistra ed era stato l’ago della bilancia della politica italiana.

Mentre, però, la stella di Follini tramonta, quella di Elisabetta continua a brillare. Classe 1953, Spitz studia da architetto, ma la sua fortuna non arriva progettando case. Il suo curriculum ricorda che nel 1999 viene nominata da Visco nel comitato che predispone un progetto di riforma del ministero delle Finanze. L’idea è quella di creare un corpo snello supportato da 4 agenzie fiscali: Entrate, Territorio, Dogane e Demanio. Visco nel 2001 sceglie Spitz come direttore generale del Demanio, incarico rinnovato nel 2004 e nel 2007. Ruolo molto ambito perché il Demanio amministra la quota più rilevante delle proprietà pubbliche. Intanto nel 2004 Giulio Tremonti, che guida il Mef, istituisce la Patrimonio Spa e Spitz entra nel cda. Ma la sua capacità di destraggiarsi tra le cariche più diverse è quasi un’arte. È lei stessa a presentarle nel suo curriculum: dal 1992 al ’99 è presidente del consorzio di progettazione della salvaguardia delle aree abitate di Venezia. Insomma, le vicende della Laguna e del Mose l’architetto le conosce dalle origini. Poi, appunto, il grande salto nella Commissione che ridisegna la struttura del Mef. Dal 2001 al 2004 Spitz è anche nel cda di Eur Spa, altro ruolo molto ambito a Roma. Un piede nella Capitale e nei ministeri, l’altro a Venezia. In una stagione non proprio felice. Tra il 2009 e il 2010 Spitz è consulente dell’Autorità Portuale di Venezia.

 

Archiviata per “Toghe lucane”. Zero riflettori

Intanto, nel 2008, è anche componente della Commissione per il futuro di Roma Capitale presieduta da Antonio Marzano. E mentre le cronache ricordano che fu indagata e archiviata nell’inchiesta “Toghe lucane”, il rosario di cariche procede inarrestabile. È consulente di Beni Stabili sgr per la start-up di fondi immobiliari con partnership pubblico-privato, nonché (2010-2012) risulta advisor per la riorganizzazione e gestione del patrimonio immobiliare del Gruppo Kos e segue l’avvio di un fondo immobiliare di residenze sanitarie. Non vanno dimenticati gli incarichi nella Commissione per la valutazione delle buone pratiche amministrative e nella commissione del Miur che fissa le linee guida per l’edilizia scolastica. Ma anche la presidenza del comitato di valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti locali di Assoimmobiliare-Confindustria. Infine l’ultimo fiore all’occhiello: il ruolo di amministratore delegato di Invimit Sgr che si occupa della gestione di fondi immobiliari di patrimoni immobiliari di enti pubblici, territoriali e statali. Spitz lavora a testa bassa. La politica e i salotti romani la amano. Ma lei si tiene lontana – prudente – dai riflettori. Adesso l’ultimo passo, una nuova missione: il Mose.