Si sono cambiati di uniforme, lasciati alle spalle la divisa nera dello Stato islamico per indossare i panni dell’Esercito libero siriano. E quindi partecipare all’incursione turca nel Nord-Est della Siria. L’agenzia di stampa Hawar News ha pubblicato un dossier con 80 nomi, cognomi (e relativi crimini commessi) di jihadisti diventati miliziani turchi: da una parte all’altra del fronte. Transitati in Turchia, dopo essere stati sconfitti dalle Forze democratiche siriane o dal regime siriano, sono stati addestrati da Ankara per poi essere rimandati in Siria, assieme ai soldati turchi, per l’operazione “Sorgente di Pace”.
Dal 9 ottobre scorso, e in 35 giorni di guerra, il Turkish free syrian army e l’esercito di Ankara hanno compiuto crimini di guerra e violenze, terrorizzando la popolazione, nonostante i diversi cessate il fuoco. L’idea di Ankara era quella di creare una safe zone lunga 110 chilometri e profonda 30, ma a un mese di distanza è chiaro che la Turchia mira a invadere più territorio possibile, eliminare l’amministrazione autonoma dal confine, e spostare la popolazione curda il più a sud possibile.
Nelle zone occupate di recente è già cominciata una “turchizzazione” del territorio: le bandiere rosse sono ovunque, tutti i simboli curdi cancellati.
Nel rapporto, un fascicolo dettagliato, spicca il nome di Abu Saddam al-Ansari, conosciuto anche come Salim Turchi Al-Antari. Il 12 ottobre Al-Antari si è fatto un selfie durante l’esecuzione della famosa attivista Hevrin Khalef. La donna – segretario generale del Partito del Futuro della Siria, un movimento politico che dava fastidio perché testimoniava come curdi e arabi potessero lavorare insieme per un domani di pace – stava viaggiando sulla M4, una delle arterie principali del Paese, quando, complice un’imboscata, fu tirata fuori a forza dall’auto blindata e uccisa. Il tutto ripreso dai telefonini. Al-Antari era lì, lo si vede nei filmati. L’uomo si è unito allo Stato Islamico nel 2014. Ha combattuto a Palmira, al-Shair, e ad al-Tanf contro la coalizione internazionale. È un comandante di brigata tra le file del gruppo Ahrar al Sharqiya. Oggi nella città di Serekanye (Rais al Ain), caduta in mano turca il 17 ottobre scorso in seguito a una tregua negoziata dagli Stati Uniti con la Turchia. Nella stessa brigata c’è anche Samir al-Nasir Al-Anah o Khebab Al-Iraqi. Nato nel 1989 nella provincia di Anbar, Iraq, si è unito al Califfato nel 2013 e ha combattuto nel deserto iracheno. Poi si è spostato in Siria, è diventato emiro, comandante del fronte di Hasakah, e quindi a capo delle munizioni di Raqqa. Dopo la battaglia per la capitale di Isis è andato ad Azaz e poi a Gire Spi (Tal Abyad): l’altra città interessata dall’operazione turca.
Una traiettoria simile per Abdullah Ahmed al-Abduallah, originario di Homs. Nel 2014 si è unito allo Stato Islamico come emni, cioè ufficiale per la sicurezza interna, e ha vestito spesso i panni di agente sotto copertura per Isis. Oggi è responsabile dei silos a Serekanye. Abua Maria Al-Ansari, o Ahmed Khaled al-Rahmon, invece è stato addestrato sia dagli americani sia dai turchi. Con gli Stati Uniti ha lavorato nei primissimi anni della guerra civile, nel 2013. Poi è scappato e ha deciso di unirsi alle milizie islamiche, quindi è stato trasferito in territorio turco per un nuovo addestramento, quindi la battaglia di Afrin. Oggi si trova a Tal Abyad.
I dettagli del dossier sono impressionanti. Fa sorgere molte domande, e soprattutto dubbi, sui valori che la Turchia porti nella Nato. Dubbi sollevati anche da William Roebuck, inviato speciale della Casa Bianca per la Siria. In un memo diventato pubblico, il funzionario dice chiaramente che bisogna evitare questa incursione e, soprattutto, che gli Stati uniti hanno la consapevolezza che nel Nord-Est della Siria si stiano commettendo crimini di guerra. Una posizione che non ha fermato la visita ufficiale di Erdogan alla Casa Bianca. Mentre i curdi attendono, sempre più soli.
Intanto è cominciata una campagna per boicottare tutti i prodotti made in Turchia. “Non comprate le loro merci, altrimenti finanziate la guerra”, dicono i cartelloni sparsi per le città. La gente è stanca, e non sa quello che potrà accadere domani. Tra le milizie turche e le cellule dormienti dell’Isis, il sogno della pace è oramai svanito.