Le stelle sono sempre cinque, ma i guai del Movimento sono molti di più. E attorno al capezzale del M5S malato c’è già qualche presunto medico che per ora alimenta volentieri la febbre. Basta ascoltare un sottosegretario grillino: “Sono giorni che Giancarlo Giorgetti la butta lì ad alcuni di noi. ‘Salvini e Di Maio dovrebbero tornare a sentirsi, a parlarsi. Guardate che situazione c’è ora…”. E le sillabe che il Richelieu della Lega semina con sorriso da Aristogatto sono brace per l’ansia di tanti 5Stelle. Timorosi che il Carroccio stia già di nuovo strappando anima e soprattutto patti futuri al capo politico, al Di Maio che non tiene più a bada i gruppi parlamentari, che non è riconosciuto. Il leader che riunisce il caminetto dei big e ai maggiorenti che invocano una segreteria politica risponde dilungandosi su una “fase costituente” o con il silenzio. E anche per questo martedì ha messo la crisi di governo sul tavolo quando il premier Giuseppe Conte e alcuni eletti pugliesi hanno discusso forte dello scudo penale per Mittal, ribadendolo nell’assemblea congiunta. “Se servirà metteremo la fiducia e ognuno si assumerà le sue responsabilità in aula”, ha ammonito il capo politico da Statuto. Quello che ci sarà ancora, qualunque cosa accada ai giallorossi. E di guai ne sono già capitati, ai 5Stelle, incapaci perfino di eleggere un capogruppo alla Camera.
Voto, non voto. Ieri lo ha scritto La Stampa: “Di Maio ha la tentazione del voto anticipato”. E di seguito l’elenco di big e ministri, che sospetterebbero della voglia del capo di sparigliare.
Il Movimento ha reagito con una lunga teoria di smentite, e con un post di condanna sul blog. Diverse ore dopo una fonte di governo assicura: “Luigi in realtà non vuole tornare con il Carroccio. Ma farlo sospettare serve come strategia, per tenere a bada i gruppi deve tenerli sulla corda, ricordando che lui può tenersi aperta ogni strada”. Però i cattivi pensieri non sono mica affare dell’ultima ora. Per esempio gli incontri con amministratori locali e simpatizzanti organizzati per la a Scuola Open Comuni, altra emanazione dell’associazione Rousseau di Davide Casaleggio, a tanti suonano come una via per selezionare i parlamentari prossimi venturi, graditi a Di Maio e al figlio di Gianroberto. E salutoni ai parlamentari al secondo mandato, che senza una deroga andranno pacificamente a casa, e alla loro urgenza di un congresso e di un coordinamento politico. Mentre il capo ha ancora anni davanti a sé. E può ricollocarsi in un eventuale, nuovo governo, come ministro. “Il M5S deve essere l’ago della bilancia” ripete da mesi Di Maio. E la traduzione è che in futuro dovrà e potrà accordarsi con chiunque. A sinistra, e magari soprattutto a destra.
Correnti e gruppi. Continuano a scandirlo, quel mantra: “Nel Movimento non esistono correnti”. Però i centri di potere sì, eccome, con squadre annesse. Quest’estate l’asse Di Maio-Casaleggio, quello che immagina candidati, ha dovuto cedere il passo al fondatore Beppe Grillo e al presidente della Camera Roberto Fico, fautori dell’accordo con il Pd. Nel frattempo attorno a Di Maio, reduce da un disastro nelle Europee, è esploso un po’ tutto. La distanza tra i vertici si è allargata. E certe voci critiche si sono compattate. Per esempio gli eletti siciliani, capeggiati dall’europarlamentare Ignazio Corrao, furioso per la scelta di capilista esterni per le urne del 26 maggio. Una ferita che Di Maio ha cercato di suturare chiamando come viceministro ai Trasporti l’ex capogruppo nella Regione Sicilia Giancarlo Cancelleri. Ma in queste settimane Corrao aveva disseminato altri post severissimi con il capo politico, fino a invocare un ritorno in prima fila di Alessandro Di Battista. Così pochi giorni fa Di Maio è volato a Bruxelles e si è chiuso in una stanza con lui e un altro europarlamentare critico, Piernicola Pedicini. Risultato, un “disgelo”, raccontano fonti qualificate. Ma sul versante italiano il clima è da trincee contrapposte. Ex ministre come Giulia Grillo o Barbara Lezzi, assieme a un discreto gruppo di ex sottosegretari, marciano in un’altra direzione (anche se con Lezzi si è riaperto il dialogo). E una big come Paola Taverna è descritta come “preoccupata”. Con il capo è rimasta una ridotta di fedelissimi, come il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora. Gli sono tuttora vicini il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro e il Guardasigilli Alfonso Bonafede, perplessi però da alcune scelte. Molto ascoltata è la viceministra all’Economia Laura Castelli, in buoni rapporti anche con Giuseppe Conte. Di Maio sta poi ricucendo con il senatore Gianluigi Paragone, mentre c’è gelo con Stefano Buffagni, viceministro al Mise, addetto a quasi tutte le nomine di peso. E Alessandro Di Battista? “Alessandro è totalmente allineato con Luigi” giurano dal “giro” del capo politico. Ma tanti malpancisti lo invocano. E lui, in mezzo al fuoco, sa di potersi ancora giocare un mandato.
Senato. D’accordo le strategie e gli scenari, ma poi anche in politica decidono i numeri. E quelli dei grillini in Senato raccontano di un gruppo che potrebbe perdere altri pezzi. Perché dopo l’espulsione di Elena Fattori, già passata di sua sponte al Gruppo misto, ora ci sono altri due senatori con “le dimissioni in mano”, come riassume un big del M5S: il docente di Diritto civile Ugo Grassi, tentato dalla Lega ma destinato in caso di addio al Misto, e l’avvocato ligure Mattia Crucioli. Il Movimento sta tentando in ogni modo di trattenerli. Ma se lasciassero il M5S scenderebbe a 103 eletti, portando a otto il conto dei senatori cacciati o fuggiti. E i giallorossi, Pd e Movimento più i quattro di Leu, sarebbero sempre più appesi ai voti degli ex grillini (alcuni, come la stessa Fattori, giurano di voler comunque sostenere il governo) e soprattutto dei 17 del gruppo Psi-Italia Viva. Ossia dei renziani, tornati attivissimi nel corteggiare i grillini. Ma anche il Carroccio ammicca che è un piacere, nel Palazzo dove il governo si regge su un pugno di voti di maggioranza.
Restituzioni. Ieri dai piani alti hanno fatto piovere il monito: “Il collegio dei probiviri è pronto a sanzioni contro gli eletti non in regola con le restituzioni”. E non è casuale. perché molti dei peones irati o semplicemente disamorati di Di Maio non versano da tempo immemorabile. Al punto da rivendicarlo in alcune email recapitate ai vertici: “Non ho pagato perché non ritengo giusto pagare”. Sono parecchi quelli che non versano perché non tollerano l’obolo di 300 euro mensili per la piattaforma web Rousseau, il cuore operativo del Movimento gestito da Casaleggio. Ergo, la contesa sui soldi è un altro capitolo della sfida al capo e al suo riferimento milanese, in fondo a tutto il sistema a 5Stelle. “Ma in diversi vogliono solo tenersi il denaro”, ghigna un veterano.
Capogruppo. I candidati entrano ed escono, le squadre cambiano, ma nulla. Anche ieri sera la votazione per il capogruppo a Montecitorio è andata a vuoto. Non è bastato il passo di lato dell’attuale vicecapogruppo Francesco Silvestri, perché l’ex sottosegretario Davide Crippa si è fermato a 85 voti, mentre lo sfidante Riccardo Ricciardi non è andato oltre i 73. Numeri troppo bassi, visto che la (demenziale) regola interna esige il consenso del 50 per cento più uno dei deputati. Ma la stupidità della norma incrocia la chiara fame di caos di un gruppo sfaldato in frange. E le 17 schede bianche e le 15 nulle di ieri sono uno sberleffo rumoroso, innanzitutto al Di Maio che invocava la fine della vicenda dopo oltre due mesi di votazioni inutili. Mentre il Pd guarda da fuori, preoccupatissimo. Perché le croci dei 5Stelle pesano anche sui dem. Sempre di più.