Un altro segnale, se mai ce ne fosse bisogno, delle profonde difficoltà in cui versa la manifattura italiana viene dalla moda: la Corneliani, storico marchio mantovano che confeziona abiti maschili di lusso, ha presentato un piano che prevede 130 licenziamenti. Un taglio che impatta su quasi un terzo delle persone oggi in servizio nello stabilimento lombardo e su oltre un decimo del personale totale sparso tra l’Italia e le sedi all’estero. La manovra è presentata come “necessaria per adattare la struttura ad anni di flessione della domanda”. I sindacati stanno in questi giorni organizzando scioperi a raffica contro questa decisione. Corneliani è un brand non conosciuto da tutti, a meno che non ci si possa permettere di arrivare a spendere 1.900 euro per una giacca misto seta e cachemire o 900 per un maglione. È nata in Italia negli anni cinquanta, poi si è espansa piantando negozi mono-marca anche negli Stati Uniti e stabilimenti produttivi in Cina, Slovacchia e Romania.
Non è bastato a evitare la crisi e nel 2016 è arrivato Investcorp, fondo con quartier generale a Manama, in Bahrein, che ha acquisito il 51% delle quote. È una storia già vista: l’impresa italiana di alta moda è in una fase complicata e arriva l’investimento estero che promette un rilancio. Spesso, però, c’è solo una nuova sforbiciata. A distanza di tre anni, infatti, le cose non vanno bene. In primavera il gruppo ha approvato un bilancio con 12 milioni di perdite, con un presagio di pesanti sacrifici da chiedere ai lavoratori. “I trend – spiegano da Corneliani – vedono sotto pressione specialmente la manifattura italiana di alta gamma, in competizione con i brand internazionali favoriti dall’ampio utilizzo di manifattura a basso costo proveniente da Paesi emergenti. In questo contesto il segmento più colpito appare proprio quello dell’abbigliamento formale maschile”. Tradotto: bisogna dare un colpo di accetta ai costi in Italia. Attraverso un processo di modernizzazione, ma anche liberandosi di 130 addetti. Se da un lato i lavoratori dovranno perdere il posto, dall’altro l’azienda metterà sul piatto 18 milioni per potenziare i canali di vendita e l’e-commerce. Ecco perché, secondo i sindacati, gli esuberi servono proprio a finanziare gli investimenti. Subito dopo l’annuncio, le sigle del tessile hanno organizzato due giorni di scioperi e il terzo è previsto per domani. Come ricostruito da Filctem Cgil e Femca Cisl, ad andare a casa saranno 72 operai e 58 impiegati, ma – come è consuetudine nel mondo della moda, si tratta di donne per il 90%. Anche loro, come i colleghi della Roberto Cavalli, della Stefanel e della Brandamour, costretti a vivere con l’ansia di ritrovarsi disoccupati dopo aver contribuito alla creazione di un’eccellenza.