Congelato il visto: adesso Djokovic rischia l’espulsione

Il governo australiano ha cancellato il visto del tennista serbo Novak Djokovic per la seconda volta in pochi giorni. L’atleta è ora in stato di fermo con la prospettiva di un’espulsione dal Paese e di un divieto di ingresso fino a tre anni. Djokovic è stato convocato sabato per un colloquio con i funzionari dell’Immigrazione, per valutare i prossimi provvedimenti: secondo gli esperti di diritto australiano è molto difficile che il tennista possa vincere un eventuale ricorso. Il ministro dell’Immigrazione australiano, Alex Hawke, ha detto che questa scelta è stata presa per motivi di “salute e ordine”: dallo scoppio della pandemia l’Australia ha infatti imposto severissime misure restrittive alla popolazione, motivo per cui la cancellazione del visto di Djokovic (avvenuta perché non ha ricevuto nessuna dose di vaccino) ha attirato l’interesse di gran parte dei cittadini. E non solo in Oceania.

Il serbo, tra i più grandi tennisti di sempre, era atterrato aMelbourne il 5 gennaio per partecipare agli Australian Open che inizieranno lunedì. Nonostante l’autorizzazione concessa dagli organizzatori della competizioni per avvenuta guarigione dal Covid, la polizia ne ha bloccato l’ingresso nel Paese, concesso solo a chi è stato vaccinato. Dopo qualche giorno il tribunale di Melbourne ha dato ragione al campione serbo, consentendogli di lasciare l’albergo dov’era bloccato per allenarsi in vista degli Open. La nuova decisione annunciata dal governo può ribaltare nuovamente la vicenda, forse in modo definitivo.

Cassazione, azzerati i vertici: si rischia il via dell’anno giudiziario col presidente a metà

A una settimana dall’inaugurazione dell’anno giudiziario, azzerati i vertici della Cassazione. Il Consiglio di Stato ha annullato le nomine del primo presidente, Pietro Curzio, e della presidente aggiunta, Margherita Cassano. A vincere entrambi i ricorsi il presidente di sezione civile della Cassazione, Angelo Spirito, difeso dal professor Franco Gaetano Scoca. Quanto accaduto è un fatto senza precedenti nella storia del Csm, che si è visto sconfessare ripetutamente in questa consiliatura segnata per sempre dal caso Palamara.

Dopo l’annullamento della nomina di Michele Prestipino a procuratore di Roma, si pensava che il peggio fosse finito. Invece, ieri il nuovo macigno. Che succede ora? È evidente che il Csm non può permettersi che il primo presidente, nominato nel 2020, apra l’anno giudiziario delegittimato, quindi, lunedì, la Quinta commissione dovrà discutere delle sentenze del Cds ed è verosimile, secondo quanto ci risulta, che questa volta, non vorrà ottemperare, almeno per quanto riguarda Curzio. Dunque, è probabile che la Quinta scriverà una nuova motivazione che manderà d’urgenza al plenum di mercoledì 19 con una proposta di riconferma di Curzio in modo da “rinforzarlo” alla vigilia della cerimonia. C’è anche un’altra strada, ed è quella del ricorso alle sezioni unite civili della Cassazione in modo che la sentenza di Palazzo Spada non sia esecutiva, ma lascerebbe Curzio comunque “azzoppato”.

Nelle due sentenze di ieri si parla di violazione della normativa del Testo Unico della dirigenza. Per quanto riguarda il primo presidente, il Cds spiega che da parte del Csm c’è stata una violazione dei cosiddetti indicatori specifici non solo per anzianità di ruolo, ma soprattutto perché “privilegiando” il lavoro della sesta sezione civile presieduta da Curzio, il Csm ha di fatto disegnato una scala gerarchica tra sezioni che non esiste. Quindi, in conclusione, il Consiglio di Stato ribadisce che l’annullamento della nomina “non esautora” il Csm che “ha piena (ed esclusiva) discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri”, ma ha “l’obbligo di riprovvedere, tenendo conto degli specifici motivi che hanno determinato l’annullamento”. Ora tocca al Csm decidere: l’aria che tira è di riconfermare in tutta fretta il presidente, innescando nuovi ricorsi, consapevole che Curzio e Spirito andranno in pensione fra un anno.

Protesta. Prof. senza Ffp2, gli alunni escono

Una professoressa di una scuola media inferiore si è rifiutata di indossare in classe la mascherina Ffp2 al posto di quella chirurgica, dopo che nei giorni precedenti era stato segnalato un caso di positività al Covid tra gli studenti. Gli stessi alunni hanno deciso di abbandonare l’aula per protesta. La prof li ha ripresi col telefonino mentre uscivano dall’aula e ha contattato le forze dell’ordine, ma all’intervento della polizia locale nell’istituto scolastico si è scoperto che la docente non aveva il Green pass rafforzato – obbligatorio per la categoria da metà dicembre – e per questa ragione nei suoi confronti è scattata una sanzione da 400 euro. La vicenda, accaduta ieri a Modena, è riferita dalla Gazzetta di Modena. Secondo la ricostruzione dell’accaduto, riferita anche dal genitore di uno degli studenti, la docente avrebbe anche espresso posizioni “negazioniste” in merito all’esistenza del Covid. L’episodio di ieri, con la conseguente decisione degli studenti di uscire dall’aula, sarebbe avvenuto a fronte anche del fatto che la docente era stata già invitata in altre occasioni a indossare la mascherina Ffp2.

Obbligo e super pass: nessuno segue l’Italia

La scuola è in questo momento uno dei principali problemi per le cancellierie europee, soprattutto in Francia dove c’è stato uno sciopero definito “storico”. Mentre su obbligo vaccinale e super green pass nessuno pare seguire l’esempio italico.

Francia. Giovedì uno sciopero storico è stato definito “rivolta della scuola” contro i protocolli, definiti “norme inapplicabili”, decisi dal ministro Jean-Michel Blanquer. Ha aderito il 75% degli insegnanti, 11 sigle sindacali su 13 e metà delle scuole non ha proprio aperto. Dal rientro a scuola dei più piccoli dopo le vacanze natalizie, il 3 gennaio, le regole sono già cambiate tre volte. Intanto il governo ha accantonato l’obbligo vaccinale, ma non è escluso che si torni a parlarne in futuro. Per convincere gli ultimi 4 milioni di no vax, il governo introdurrà il pass vaccinal, che sostituirà il pass sanitaire, per ristoranti, cinema, treni e altre attività al chiuso. Il tampone negativo non basta più. “È un obbligo mascherato in meglio – ha ammesso il ministro della Salute Véran –. Impedire di andare al bar funziona di più di una multa”. A luglio il pass sanitaire aveva convinto 12 milioni di francesi. All’annuncio del pass vaccinal è seguito un record di prime dosi.

Usa.L’amministrazione Biden ha appena annunciato che invierà nelle scuole 10 milioni di test per aiutare il più possibile i dirigenti scolastici a non chiudere. Intanto la Corte Suprema ha inferto un duro colpo alla nuova, più aggressiva strategia vaccinale del presidente Biden, bocciando la misura che imponeva ai lavoratori delle società con più di 100 dipendenti (circa 84 milioni) la vaccinazione o, in alternativa, maschere e tamponi a loro spese. Per la Corte l’obbligo “eccede l’autorità dell’amministrazione” e può essere imposto solo al personale di strutture sanitarie finanziate dal governo. Biden ha fatto appello alle aziende perché adottino forme di verifica.

Regno Unito.In Uk per gli studenti delle scuole secondarie sono obbligatorie le mascherine dal rientro post-feste di Natale e il governo si è impegnato a inviare tamponi agli istituti e ad intervenire sulla ventilazione delle scuole. I nuovi casi sono in calo del 30% sulla settimana precedente, l’obbligo vaccinale dovrebbe scattare, dal 1° di aprile, solo per il personale delle strutture sanitarie e di cura. Per chi rifiuti il siero è previsto il licenziamento. Un obbligo che potrebbe costare al servizio sanitario altri 73 mila lavoratori. Il mini green pass introdotto un mese fa solo per discoteche e eventi di massa sembra già destinato a essere abolito.

Germania. Gli studenti hanno l’obbligo di mascherina già da mesi e i tamponi vengono regolarmente effettuati a scuola, quotidianamente a Berlino e tre volte alla settimana nel resto del Paese. Il cancelliere Scholz ha annunciato l’obbligo vaccinale, per i maggiorenni, entro marzo. Ieri il governo federale ha approvato nuove misure. Via la quarantena per chi, dopo aver fatto la terza dose, entri in contatto con un positivo. Per accedere a bar, ristoranti, cinema, teatri o ogni altro luogo di aggregazione bisogna aver ricevuto la dose di rinforzo, oppure due dosi più un test negativo. Per lavorare resta invece basta il tampone.

Scuola? è durata come un gatto in tangenziale

Sulla scuola il governo ha messo la polvere sotto al tappeto e ora sta venendo alla luce, con la riapertura in tranquillità durata come un gatto in tangenziale: i numeri arrivano dal sindacato degli insegnanti Gilda che ieri, per sopperire alla mancanza di dati ufficiali, attraverso gli uffici provinciali ha effettuato un monitoraggio sulle classi in didattica a distanza da Sud a Nord e quantificato intorno al 15% la percentuale dei docenti assenti. Il racconto della realtà arriva invece dalle testimonianze dei diretti interessati, dai docenti alle famiglie agli studenti, per molti dei quali la campanella del 2022 è suonata e si è spenta subito, sostituita spesso da didattica a distanza (dad) o integrata (ddi, sia in presenza che a casa). Sono loro a vivere ogni giorno i disagi delle lezioni online o, peggio ancora, di quelle miste.

Dad, ddi e caos.In uno dei più piccoli paesi della provincia di Cremona, Salvirola, per tutta la settimana sono stati molti di più gli studenti collegati dalle proprie camere che quelli sui banchi. In questi cinque giorni, maestri e professori hanno dovuto fare peripezie per riuscire a coinvolgere tutti. Sono arrivati a fine settimana esasperati tra connessioni ballerine, personal computer della scuola che non sempre funzionano e una didattica multi-tasking. Lo spiega bene la professoressa Elke Termini, delle medie “Veneziano Novelli” di Monreale: “Se proprio è necessario attivare la didattica mista è preferibile a settimane alterne, ma sempre rivolta all’intera classe, senza mai spezzarla”. Secondo la docente “finché si tratta di un caso isolato o al massimo due si riesce ancora a gestire la didattica mista ma non si può andare oltre i due casi”.

Connessione lenta. A creare problemi agli insegnanti è, soprattutto, la didattica digitale integrata: “Sono contraria alle lezioni a distanza ma anche alla presenza a tutti i costi in queste condizioni. Avere in contemporanea – spiega la docente di musica, Monica Serafini delle medie – alunni in presenza e a casa è poco produttivo. La connessione a scuola non è il massimo e spesso la lezione viene interrotta. Si perde tempo e l’attenzione dei ragazzi ne risente”. Della stessa idea Valeria Martino, professoressa a Verona: “Per fare lezione senza interruzioni uso come router il mio cellulare. Si rende conto?”.

Genitori in panne.Anche per i genitori sono stati giorni burrascosi. Alla scuola primaria di Zibido San Giacomo, mamme e papà hanno scoperto casualmente una circolare sul registro elettronico che informava dell’inizio delle lezioni online. Purtroppo però da qualche giorno la dad non si può fare per problemi alla Rete. All’istituto “Niccolò Tommaseo” di Torino la comunicazione di dad preventiva “da domani” è arrivata alle famiglie la sera precedente alle dieci e trenta. Altro problema lo segnala Antonella Longato, mamma di Francesco che frequenta le medie in provincia di Biella: “In classe di mio figlio ci sono dei positivi. Il problema per noi è la mensa: i bambini non possono frequentarla e ciò crea un disagio per chi lavora. La scuola poi non riesce a garantire i 2 metri di distanza. Risultato? Vanno a mangiare insieme al bar”.

I certificati.E c’è anche chi, come la preside Giovanna Mezzatesta del liceo “Bottoni” di Milano, si è ritrovata un medico di base che ha inviato alla dirigente una ricetta con scritto “necessità di attivazione dad fino a fine quarantena”. Proprio mentre i pediatri lanciano l’allarme sulle centinaia di richieste che arrivano dalle famiglie e dai presidi per certificati di idoneità/non idoneità alla dad. In più spesso mancano gli insegnanti.

Docenti assenti.“Una situazione molto preoccupante che rispecchia l’andamento generale dei contagi” ha spiegato Cristina Costarelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi per il Lazio e preside del liceo romano Newton. Nei giorni scorsi ha dovuto far uscire alcune classi prima del previsto perché mancavano le supplenze. “Andiamo avanti con una media di 10-15 professori al giorno assenti (4-5 per scuola in media nel Lazio) e non troviamo le sostituzioni”.

Da sud a nord. È caos, come testimonia il monitoraggio del sindacato. Nella provincia di Crotone, ad esempio, i sindaci hanno disposto la chiusura fino al 15 gennaio ma con possibilità di proroga anche per “la difficoltà di tracciamento da parte dell’Asp”, l’azienda sanitaria locale. A Bergamo e Brescia le assenze tra il personale scolastico e gli studenti oscillano in media tra il 10 e il 15%, con punte del 30%. Aumentano dal 5 al 15 anche le classi in dad. A Torino in media si contano per ogni classe tre studenti in didattica integrata, sei assenti, 4 o 5 in Dad. Nota dolente anche le connessioni internet, come segnalano gli insegnanti di un liceo della provincia di Ivrea che oltre ad avere le classi dimezzate non dispongono di una rete internet sufficiente a reggere la didattica mista: “Dobbiamo intervenire con i nostri cellulari”. A Roma la situazione nelle scuole superiori e medie è di 4 0 5 alunni per classe positivi o in quarantena. Il 10-15% dei docenti in alcuni istituti sono positivi o in isolamento. Molti non sono tornati in classe dopo Natale. A Ferrara segnalano che referenti Covid e dirigenti scolastici sono talmente impiegati con il tracciamento da non riuscire a stare al passo e a predisporre in tempi brevi la Dad per chi ne ha diritto. “L’affermazione che la scuola sia aprioristicamente un luogo sicuro è poco più di una battuta – commenta il coordinatore nazionale della Gilda Rino Di Meglio – perché solo in rari casi gli interventi messi in atto da qualche ente locale hanno reso davvero sicura la riapertura. Ben poco è stato fatto per rendere la scuola più sicura di quanto fosse prima dell’inizio della pandemia”.

“Alzano, con zona rossa evitabili 4 mila morti”

“Quando fu scoperto il primo contagiato, domenica 23 febbraio 2020, all’ospedale di Alzano c’erano già 100 persone affette da Covid-19”, dice Andrea Crisanti. Il microbiologo, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, ha depositato ieri la sua perizia alla Procura di Bergamo. Ora il procuratore Antonio Chiappani aspetta l’informativa finale della Guardia di finanza, poi chiuderà l’indagine avviata sulla gestione della prima ondata di Covid 19 nell’area che ha avuto più morti al mondo. La Wuhan dell’Europa è qui, tra la città di Bergamo e la Valseriana, dove i morti furono 6 mila, su una popolazione di un milione di abitanti.

Crisanti conferma l’ipotesi già da tempo segnalata anche dal Fatto, secondo cui l’infezione ad Alzano aveva cominciato a diffondersi almeno dall’11 febbraio 2020. Nella sua relazione – un centinaio di pagine, ottomila pagine di allegati, un anno e mezzo di lavoro – ha risposto a quattro dei cinque quesiti posti dalla Procura: su come è stata gestita la pandemia dentro l’ospedale di Alzano Lombardo; su come il virus si è diffuso dall’ospedale alla Valseriana; sulla necessità di istituire una zona rossa nell’area di Alzano e Nembro; su come è stato applicato in zona il piano pandemico nazionale. Non ha ritenuto di rispondere al quinto quesito, se i pazienti siano stati trattati in modo adeguato nell’ospedale di Alzano (“È un quesito che va al di là delle mie conoscenze”).

Quel 23 febbraio di due anni fa non era dunque il giorno zero del contagio, conferma oggi Crisanti. Il virus era già in circolazione da giorni. Ci sono stati ritardi nella chiusura dell’area, non dichiarata zona rossa: secondo le stime di Crisanti, si sarebbero potute evitare da 2 mila a 4 mila vittime, se la zona rossa fosse stata dichiarata tempestivamente. Sono stati commessi errori anche nell’applicazione del piano pandemico. “Ma io ho ricostruito gli eventi e individuato le criticità”, spiega Crisanti. “Non indico responsabilità: quelle le dovrà decidere la Procura. Spero che la mia relazione possa aiutare chi indaga, so che il procuratore vuole dare alle famiglie la verità su quello che è successo”. Non è stato soltanto un freddo lavoro scientifico: “Devo ammettere che è stato toccante anche dal punto di vista personale lavorare con il pensiero di migliaia di morti per il virus e di tante storie personali legate a questo disastro. Questo incarico mi ha emotivamente provato”. Conclude: “Indipendentemente dalle eventuali responsabilità penali o civili, ho cercato di produrre un documento che possa far capire che cosa è successo, per restituire agli italiani la storia di quei mesi”.

Alzano Lombardo fu la pietra dello scandalo: l’ospedale locale, quella domenica 23 febbraio, fu chiuso per poche ore e subito riaperto, dopo una sanificazione sommaria, per ordine delle autorità sanitarie regionali e dei vertici dell’assessorato alla Salute della Regione Lombardia. Il 2 marzo 2020 l’Istituto superiore di sanità propose di isolare la zona di Alzano e Nembro; per tre giorni, dal 2 al 5 marzo, duecento poliziotti e carabinieri erano pronti a chiudere la “zona rossa”. La Regione, che avrebbe potuto decretarla subito, aspettò il governo; il governo decise domenica 8 marzo e chiuse non il focolaio di Alzano e Nembro, ma l’intera Lombardia, dichiarata “zona arancione”. Il giorno dopo fu lockdown in tutta Italia.

La Procura di Bergamo ipotizza l’epidemia colposa e omicidio colposo. Indagati, finora, sono l’ex direttore generale della Sanità lombarda Luigi Cajazzo; l’allora vice di Cajazzo, Marco Salmoiraghi; una dirigente dell’assessorato, Aida Andreassi; e i vertici della Asst Bergamo Est: l’ex dg Francesco Locati e il direttore sanitario Roberto Cosentina.

Sicilia, l’Isola dei letti fantasma e dei guariti mai stati malati prima

Nel pieno del dibattito su “asintomatici sì, asintomatici no” da conteggiare o non conteggiare nei bollettini quotidiani, la Sicilia si ritrova ancora in giallo grazie a una manciata di posti letto in terapia intensiva liberi. La Regione, tuttavia, sa bene – come del resto sanno altrove in Italia, a cominciare dalla Lombardia, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi – che i numeri del contagio sono molto probabilmente sottostimati e ha così deciso di anticipare le decisioni nazionali. Un’ordinanza del presidente della Regione, Nello Musumeci, ha infatti esteso la zona arancione fino al 26 gennaio a ben 149 Comuni dell’Isola, il 35% del totale. Tra questi anche i capoluoghi Agrigento e Messina e tutta la provincia di Trapani.

I siciliani attualmente positivi e in isolamento sono ufficialmente circa 160 mila, ma è praticamente certo che il numero reale sia ben superiore. Il sistema del tracciamento – messo ovunque a dura prova dall’esplosione del contagio – qui ha sempre fatto fatica. Molte persone non hanno mai ricevuto comunicazioni. A Siracusa, già inserita in fascia arancione, capita di fare ore di fila per un tampone e di ricevere un risultato non prima di 72 ore, visto che al dipartimento devono ancora smaltire circa 1.000 pratiche, a cui si aggiungono circa 300 mail al giorno inviate dai medici di base e pediatri. Nel Ragusano, come denuncia al Fatto Marco Giavatto, ci sono laboratori di analisi che hanno comunicato in ritardo la positività dei loro pazienti, oppure non lo hanno mai fatto perché convinti non spettasse loro, con il risultato che i guariti non hanno accesso al tampone di uscita poiché per la Regione non sono mai stati ammalati. Così come dalle isole Eolie, l’Usca ha fatto sapere che “i dati sono aggiornati con difficoltà, perché le autorità sanitarie non hanno ancora messo a disposizione un dipendente amministrativo”.

Altra questione è la disponibilità di posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva. Non siamo ai livelli drammatici della Sardegna (come abbiamo raccontato ieri), ma il punto è dolente. Secondo l’assessore alla salute, Ruggero Razza, la Regione disporrebbe già di “618 posti di terapia intensiva”, implementabile con altri 200 ritagliati da altri reparti. Ma la tabella di marcia dei lavori programmati in 26 strutture di pronto soccorso in tutta la Sicilia è in grave ritardo. E lo è soprattutto la realizzazione di 571 nuovi posti letto in terapie intensive e sub intensive annunciati in pompa magna nell’estate 2020.

L’accordo con il governo prevedeva un investimento di 237 milioni e il completamento delle opere a gennaio 2021. Ad oggi, tuttavia, sono pronti solo 95 posti letto di terapia intensiva, appena il 16%, ed è stato completato il solo pronto soccorso di Trapani. Attualmente in Sicilia i malati gravi in rianimazione sono 165, con un tasso di occupazione ufficialmente di poco inferiore al 20%, mentre la saturazione dei posti letto in area medica (1.307 ricoverati) ha invece superato quota 30 per cento.

L’emergenza si tocca comunque con mano. In alcuni ospedali per fronteggiare l’emergenza si tagliano posti letto in altri reparti: al “Cervello” di Palermo hanno chiuso ginecologia e ostetricia, mentre all’esterno è stata allestita una tenda da campo. A Messina il sindacato degli infermieri denuncia il “collasso” del Policlinico e si segnalano criticità anche a Catania.

E a due anni dall’inizio della pandemia, la Sicilia vive come se il virus fosse appena comparso. Sotto accusa la gestione dell’assessore della salute Ruggero Razza e del commissario per l’emergenza Covid, Tuccio D’Urso, due catanesi molto vicini al governatore Nello Musumeci. Proprio Razza, tornato dopo le dimissioni per l’indagine della Procura di Palermo sui dati manipolati della pandemia, è stato chiamato nei giorni scorsi in commissione regionale salute per fare il punto sui dati del contagio.

No di Speranza e Cts alle Regioni “Il bollettino adesso non cambia”

Lo stop è arrivato da Roberto Speranza. Per ora i ricoverati positivi al Covid restano tutti nel bollettino, anche quelli che non sono in ospedale per il Covid. La bozza della circolare che consentiva alle Regioni di separarli, preparata dai dirigenti della Salute e trasmessa ad alcuni responsabili regionali, è finita su Quotidiano Sanità ieri mattina prima ancora che il ministro l’avesse vista. E subito l’ha bloccata, almeno per il momento. Se ne parlerà nei prossimi giorni, dopo aver verificato se i primi segnali di appiattimento della curva dei contagi si confermano. Per ora no. E il Comitato tecnico-scientifico ha chiuso dopo una riunione di 5 ore anche la questione delle possibili modifiche al bollettino quotidiano che secondo le Regioni e alcuni scienziati va modificato, se non eliminato, perché dà troppa ansia.

Contrari a questi interventi sono anche gli Ordini e i sindacati dei medici. La preoccupazione è che le Regioni li chiedano per evitare il passaggio in zona arancione. Del resto vorrebbero anche smettere di conteggiare i positivi asintomatici e ridurre ancora quarantene e tamponi. Così da lunedì le restrizioni dell’arancione, limitate a chi non ha il green pass rafforzato, toccano solo alla Val d’Aosta, ma molte altre hanno superato i limiti di occupazione delle terapie intensive (20%): Abruzzo (20,6%), Friuli-Venezia Giulia (23,4%), Marche (28,2%), provincia di Trento (27,8%), Piemonte (23,2%), Toscana (21,6%). La media nazionale è 17,5%. La Lombardia ha superato la soglia del 30% prevista per l’area medica, è al 33%, ma si mantiene in giallo perché le terapie intensive sono al 16,8%. Sono criteri già fin troppo facili da aggirare aumentando i posti letto come ha fatto da ultimo il Piemonte: 970 letti in più e resta in giallo, come la maggior parte delle Regioni a cui si aggiunge, da lunedì, la Campania.

Naturalmente il problema esiste, da noi come negli altri Paesi europei, specie ora che la variante Omicron – secondo l’ultima survey il 3 gennaio era all’81% dei contagi e dovrebbe essere salita ancora, la Delta era al 19% – ha fatto impennare l’incidenza oltre i 2.000 nuovi casi a settimana ogni 100 mila abitanti. Aumentano, infatti, anche nella popolazione ospedalizzata. Si calcola che circa il 30% dei ricoverati positivi non abbia sintomi Covid che giustificano il ricovero, ma sia lì per altre patologie, come rilevato dalla Federazione delle aziende sanitarie (Fiaso) in sei grandi ospedali ai primi del mese. Certo, richiedono isolamento e percorsi separati, ma nulla ci dicono sulla quota di malati gravi per il Covid. Vale in particolare per l’area medica, i dati delle terapie intensive sono più affidabili. Ma se davvero i ricoverati Covid in area medica fossero 12.000 e non i 18.000 contabilizzati ieri, si rafforzerebbe l’idea che il virus fa meno danni.

La pressione sugli ospedali a ogni buon conto resta forte. Nel bollettino settimanale di ieri si legge che è “necessario invertire rapidamente la tendenza per evitare un aggravamento ulteriore delle condizioni di sovraccarico dei servizi sanitari, già oggi fortemente impegnati”. Scriviamo da settimane di interventi chirurgici, visite e screening rimandati che vanno ad aggiungersi a milioni di prestazioni saltate nel 2020 e nel 2021: nessuno sa se, quando e come saranno recuperate, nel tempo si rischiano più danni del Covid.

L’indice di riproduzione del virus Rt, calcolato sui sintomatici, è salito da 1,43 a 1,56 ma questa rilevazione si ferma al 4 gennaio. Secondo le stime dei tecnici della Salute comincia già a scendere. Scendeva già il 4 gennaio, da 1,3 a 1,2, l’Rt calcolato sui casi ospedalizzati. La curva dei contagi sembra cominciare ad appiattirsi, ciò non toglie che per almeno 15 giorni i ricoveri continueranno a salire. Come i morti, che ieri sono stati 360. Prima di rispondere alle Regioni, che non hanno ancora inviato le loro richieste per iscritto, alla Salute attendono di vedere se davvero ci avviamo alla fase endemica che tutti si augurano.

 

Frattini, generale di B., presiederà il Consiglio di Stato

Quando si dice al momento giusto. Perché per Franco Frattini, designato nuovo presidente del Consiglio di Stato, a Roma qualcuno è arrivato a pensare che la promozione sia un viatico nella corsa al Quirinale per uno che è ancora considerato una delle carte coperte del centrodestra. Esagerazioni, ma solo per chi non conosce il cursus honorum di questo giurista per oltre vent’anni stella di prima grandezza di Forza Italia. Vero che gli ha dato qualche dispiacere allontanandosi dall’ovile, ma l’ex Cavaliere gli è pur sempre riconoscente. Nel campo di battaglia delle leggi ad personam fatte per tutelarlo, Frattini è stato uno dei più valenti generali. Epica quella sul conflitto di interessi che di conflitti di B. non ne ha risolto nessuno non prevedendo alcuna sanzione. E Berlusconi è stato con lui prodigo di incarichi promuovendolo ministro della Funzione pubblica e anche degli Esteri. Tempi lontani, ma nella rincorsa ai massimi vertici delle istituzioni, uno al Quirinale l’altro a Palazzo Spada, i due sembrano andare ancora a braccetto.

A bocca asciutta con Conte, in fuga dal virus e dai processi

2018, 1° giugno. Quasi tre mesi dopo le elezioni, nasce il governo Conte sostenuto da M5S e Lega. Per la prima volta nella sua storia, Berlusconi è fuori da tutti i giochi e senza poteri di ricatto per i suoi affari: Giustizia e Telecomunicazioni vanno ai nemici Alfonso Bonafede e Luigi Di Maio. Infatti in pochi mesi passano leggi che l’Italia attendeva da 30 anni, ma lui aveva sempre impedito: Spazzacorrotti (con blocca-prescrizione dopo il primo grado), nuovo reato di voto di scambio politico-mafioso, divieto di spot al gioco d’azzardo, dl Dignità contro il precariato e, nel 2019, manette agli evasori.

28 settembre. Berlusconi acquista il Monza Calcio, che milita in Serie C e nel 2020 verrà promosso in B.

26 novembre. La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, dopo anni di proclami berlusconiani, archivia senza neppure esaminarlo il ricorso avanzato nel 2013 dal Caimano contro la sua decadenza e incandidabilità per la legge Severino dopo la condanna definitiva. A luglio è stato lui stesso a rinunciarvi, prevedendone la bocciatura, con la scusa che ormai è stato riabilitato dal Tribunale di Sorveglianza.

2019, 1° marzo. Imane Fadil, teste chiave nei processi Ruby, muore in circostanze misteriose dopo un’atroce agonia. La Procura di Milano indaga per avvelenamento. La perizia stabilirà che è stata uccisa da una rara aplasia midollare.

4 febbraio. I legali di Berlusconi annunciano che il cliente è capolista FI alle Europee del 26 maggio e chiedono ai tribunali di rinviare i suoi processi. Quello di Bari slitta al 7 giugno. Quello di Milano prosegue.

15 aprile. Anche il Tribunale di Milano sospende il Ruby ter fino al 10 giugno. Ma prima respinge la richiesta della difesa di trasferirlo a Siena. Marysthell Polanco annuncia: “Può darsi che la mia versione ai giudici sarà diversa da quella del Ruby bis, ora ho dei figli e dirò la verità. Magari la mia posizione non è tanto diversa da quella di Imane Fadil”.

26 maggio. Berlusconi è eletto eurodeputato con 594 mila preferenze (il candidato più votato in Italia dietro a Salvini e l’eletto più anziano d’Europa con i suoi 82 anni). Ma FI crolla all’8,8, mentre la Lega balza al 34,3, il M5S precipita al 17, il Pd sale al 22,7 e FdI al 6,5.

10 giugno. Riprende a Milano il Ruby ter, subito rinviato al 1° luglio. I pm chiedono che si svolga di venerdì, perché Berlusconi potrebbe accampare impedimenti al Parlamento europeo che si riunisce dal lunedì al giovedì. Ma i giudici confermano le udienze di lunedì.

19 agosto. Nella causa di divorzio fra Berlusconi e Veronica Lario, la Cassazione conferma la sentenza d’appello che azzerava l’assegno di mantenimento di 1,4 milioni al mese fissato dal Tribunale di Monza. Veronica dovrà restituire a Silvio i 45 milioni finora percepiti.

5 settembre. Nasce il Conte-2, sostenuto da M5S, Pd e LeU dopo la crisi aperta da Salvini l’8 agosto. Anche stavolta Berlusconi non tocca palla.

28 ottobre. Drammatica testimonianza di Chiara Danese al Ruby ter sui festini a luci rosse nel 2010 ad Arcore. La ragazza, 27 anni, già concorrente a Miss Italia, racconta di donne che “si travestivano e facevano spogliarelli al palo della lap dance”, “simulavano rapporti orali con la statuetta di Priapo”, “baciavano in bocca Berlusconi chiamandolo ‘papi’”; e della Minetti che “ballava attorno al palo, si spogliò tutta e poi si fece baciare i seni da Berlusconi”. Poi, in lacrime, aggiunge: “Berlusconi mi ha messo le mani addosso. Ci ha chiesto ‘Siete pronte per il bunga-bunga?’. Poi, mentre ci accompagnava giù, ci toccava dietro, a me e ad Ambra Battilana. Io avevo paura. Ho visto e subìto una violenza psicologica e fisica, poi ho sofferto di depressione e anoressia, sono ancora in cura e sotto farmaci. Questa situazione mi ha rovinato la vita, non potevo più uscire di casa dopo che il mio nome era finito su tutti i giornali, ora ho ripreso a studiare per trovarmi un lavoro”. La donna aggiunge particolari inquietanti sul periodo delle indagini: “Sono stata minacciata a favore di personaggi che fanno parte di questo processo. Mi dicevano ‘stai attenta, guardati le spalle’…”. E indica ai giudici un ex collaboratore di Lele Mora.

2020, 13 febbraio. Al Ruby ter di Siena, il pm Valentina Magnini conclude la requisitoria chiedendo di condannare per corruzione giudiziaria Berlusconi a 4 anni e 2 mesi e il suo pianista Danilo Mariani a 4 anni e 6 mesi (comprensivi anche della falsa testimonianza). Dopo le arringhe tutto è pronto per la sentenza, ma Berlusconi ferma tutto chiedendo di rendere spontanee dichiarazioni. Non si presenterà mai, facendo slittare il verdetto per 20 mesi.

9 marzo. Il premier Conte annuncia il lockdown in tutta Italia per la pandemia da Covid-19. Berlusconi vola da Arcore in Provenza, nella villa della figlia Marina a Chateauneuf-de-Grasse, 35 km da Nizza. Con lui c’è la nuova fidanzata, la deputata forzista Marta Fascina. I suoi processi, come tutti, sono rinviati sine die.

29 giugno. Quarta Repubblica su Rete 4, trasmette gli audio dell’ex giudice di Cassazione Amedeo Franco, registrato a sua insaputa da Berlusconi nel 2013, quando quello andò a casa sua dopo averlo condannato per dissociarsi dalla sentenza: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone!… Ha subìto una grave ingiustizia. L’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… per colpire gli avversari politici… una porcheria… La sentenza faceva schifo”. E giù calunnie al presidente Esposito. Peccato che la sentenza portasse anche la firma di Franco (e in veste di relatore) e che la registrazione venga riesumata sette anni dopo: guardacaso, Franco è appena morto il 9 maggio. Ma tanto basta alla macchina del fango berlusconiana per riattaccare la solfa della persecuzione giudiziaria. E al Caimano per chiedere alla Corte d’appello di Brescia la revisione del processo Mediaset e alla Cedu di condannare l’Italia per violazione delle regole europee sul “giusto processo”.

14 luglio. Carlo De Benedetti dichiara al Foglio: “Sono pronto a tutto, anche a mandare Berlusconi al governo, pur di liberarci di Conte e dei 5Stelle… Conte è il vuoto pneumatico, incapace di decidere, beneficiato dal Covid. Berlusconi rappresenta nel mondo dell’economia e della politica quel che Sordi è stato nel cinema, l’arci- italiano, ma comunque un grande. Sempre sul pezzo, non perde mai un’occasione, non si ferma mai. E in questo è straordinario”. La grande stampa sdogana il Caimano e poi la Lega per preparare il governissimo e lanciare Mario Draghi.

22 luglio. Conte guasta la festa ai suoi nemici, tornando da quattro giorni e quattro notti di battaglia al Consiglio europeo sul Recovery Fund con 209 miliardi per l’Italia. La sua popolarità è alle stelle. Il Parlamento italiano lo accoglie con una standing ovation. Lo elogia persino Berlusconi, in pubblico e con una telefonata da Nizza: “Sei stato molto bravo”.

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