L’America verde ha uno stimolo in più per mandare a casa, nell’Election Day, il 3 novembre 2020, Donald Trump: se il magnate presidente non sarà rieletto, ci sarà ancora modo di impedire che gli Stati Uniti abbandonino l’Accordo di Parigi anti-cambiamento climatico.
Ieri, l’Amministrazione Trump ha formalmente comunicato alle Nazioni Unite che gli Stati Uniti intendono lasciare l’intesa, conclusa nel 2015 e sottoscritta dall’Amministrazione Obama. Il passo avrà però effettivo soltanto fra un anno, quindi il giorno dopo le elezioni presidenziali nell’Unione. Per Trump, un’incognita in più, anche se nessuno dei candidati alla nomination democratica – sono ancora una quindicina – è un ambientalista dichiarato e alza il vessillo anti-riscaldamento globale. Ma tutti erano favorevoli a che gli Usa restassero nell’Accordo di Parigi. Ci si chiederà come mai Trump si sia sganciato solo ieri, dopo che, dall’inizio del suo mandato, ha sempre detto che gli Stati Uniti non avrebbero rispettato l’intesa. Ieri, in realtà, era il primo giorno utile per uscire dall’Accordo, che impegna circa 200 Stati a ridurre l’effetto serra, cioè le emissioni di anidride carbonica, e ad aiutare i Paesi più poveri a far fronte ai problemi legati al riscaldamento globale.
Una storia che si ripete: nel 1997 Bill Clinton aderì al Protocollo di Kyoto, precursore dell’Accordo di Parigi, ma il suo successore, George W. Bush, se ne ritirò. La sensibilità ambientale sta però crescendo negli Usa, dove da giorni si susseguono proteste sul Campidoglio di Washington e arresti di personalità eccellenti. Come Jane Fonda, che al New York Times dice: “Che senso avrebbe essere la celebrità, se non puoi farne una leva per smuovere qualcosa di importante?”. La mossa di Trump, scontata, impone ora ai Paesi aderenti di capire come l’intesa possa sopravvivere, ed essere efficace, dopo la defezione della più grande economia mondiale: si tratta di compensare l’uscita degli Stati Uniti, mitigata dai comportamenti responsabili di molti Stati e di molti settori economici dell’Unione, come quello dell’auto. Una soluzione sarebbe che i grandi inquinatori, come la Cina e l’India, accettino di fare di più. Segnali positivi vengono da Shanghai, dove i presidenti cinese Xi Jinping e francese Emmanuel Macron impegnano Cina ed Ue a essere leader nella lotta al riscaldamento globale, firmano un patto per l’irreversibilità dell’Accordo di Parigi e preannunciano nuovi impegni. Diffuse le critiche: Mosca accusa Trump di “minare” l’intesa. Solo in Brasile il presidente omofobo e pronto a monetizzare l’Amazzonia, Jair Bolsonaro, condivide la scelta Usa.
L’Ue dichiara rammarico, ma anche fiducia: “L’uscita di uno dei principali partner non ci cambia niente, perché tutti gli altri restano impegnati. Andiamo avanti con il lavoro per la Cop25” di Madrid, sede di risulta, dopo la defezione di Santiago del Cile. “L’intesa ha fondamenta forti. Le sue porte rimarranno aperte: speriamo che un giorno gli Stati Uniti le varchino di nuovo”. Fronte impeachment sul Kievgate: l’ambasciatore Usa alla Ue Gordon Sondland ha cambiato ieri la sua testimonianza alla Camera: disse al governo ucraino che gli aiuti militari Usa erano subordinati ad una dichiarazione pubblica sull’avvio di indagini contro i Biden, gli avversari democratici di Trump a Usa 2020. L’inviato Usa in Ucraina Kurt Volker ha confermato: l’avvocato di Trump, Giuliani fece pressioni su Kiev.