Un copione da commedia all’italiana

Nell’intramontabile commedia all’italiana della politica, Vittorio Sgarbi che scorre l’agenda dello smartphone per raccattare voti per la presidenza Berlusconi (“questo è incerto, Silvio, chiamiamolo”) è preciso sputato a Enzo-Carlo Verdone di Un sacco bello. Quello con l’armamentario di penne a sfera e calze di nylon che cerca un compagno di viaggio per recarsi in Polonia a cuccare (“Pronto Amedeo? Ciao sono Enzo… no Renzo, Enzo! Se te ricordi ce siamo conosciuti due o tre mesi fa al distretto… io ero quello che stava dietro de te con una maglietta de spugna, girocollo… tipo mare”). Così, nell’impatto con la strepitosa pagina imperial promozionale con vista Quirinale, dal titolo “Chi è Silvio Berlusconi”, pubblicata dal Giornale (i famosi valori della famiglia), leggendo il punto primo (“ è una persona buona e generosa”) torna in mente il Pietro Ammicca di Gigi Proietti.

Ora, non per pensare sempre male, ma con l’autocandidato all’affannata ricerca di voti in Parlamento quella generosa bontà appare così sperticata e ammiccante da ricordare un altro celebre cimelio patrio. L’incipit della risposta di un Caltagirone alla telefonata di Franco Evangelisti, braccio destro (piuttosto prensile) di Giulio Andreotti: “A Fra’ che te serve…?”. Ma in quella commossa lista di benemerenze firmata “Forza Seniores” (la casa di riposo di Forza Italia) – e infatti scolpita sulla carta come una lapide commemorativa – si segnala anche il punto tre: “Un amico di tutti, nemico di nessuno”. Da leggere in stretta connessione logica con il punto uno, talché il senso compiuto ricavabile sembra tanto ricordare ai Grandi elettori di cielo, di terra e di mare il principio evangelico del bussate e vi sarà aperto, del chiedete e vi sarà dato.

Tutto fa Colle, perfino il trentennale del Tg5 che il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, celebra come (insieme alla Mondadori) prova provata dell’assoluta libertà di pensiero garantita dall’uomo di Arcore, che giammai potrebbe essere “un presidente fazioso e di parte”.

Mettiamoci, infine, nei panni dei tanti clientes, a libro paga dell’ex Cavaliere (famigli, alleati, onorevoli, giornalisti, ecc.), tafanati dalla batteria di simil Sgarbi addetti alla bisogna (“carissimo, ho qui accanto a me il presidente Berlusconi che vorrebbe salutarla”). Un pressing tambureggiante che ne ricorda un altro, quello di Mario Carotenuto in Febbre da cavallo: “…halò? Telefono a proposito di quella cosuccia… di quella cambialetta…”.

“Pronto, sono quello del Bunga bunga”

Un po’ come in un film distopico ma demenziale, nel quale la peggiore nemesi dei destini collettivi viene presentata come fosse una barzelletta, il candidato al Quirinale Silvio Berlusconi si accredita presso i grandi elettori come “quello del bunga bunga”. L’ha raccontato a Un giorno da pecora la senatrice ex 5Stelle, Bianca Laura Granato, oggi nel Gruppo Misto. Come noto, B. fa campagna acquisti per il Colle tra i peones, passa le giornate a blandirli al telefono, a volte fa pure confusione tra di loro (secondo Repubblica ha chiamato il renziano Luciano Nobili convinto che fosse l’ex grillino Lello Ciampolillo). Mercoledì è toccato anche alla Granato: “Mi ha chiamato Vittorio Sgarbi, verso l’ora di cena, e poi, senza annunciarmelo, mi ha passato il Cavaliere”. Che si è presentato proprio così: “Mi ha detto una cosa tipo ‘sono il signore del bunga bunga’”. Benissimo: l’uomo che vuole rappresentare la nazione si qualifica giocando sullo scandalo sessuale di cui è stato ottimo protagonista. Come ha reagito la senatrice? “Mi sono fatta una risata”. Beata lei.

Nonostante Ilva, dai Benetton fiducia rinnovata a Enrico Laghi

Edizione, la holding del gruppo Benetton, completa la transizione alla seconda generazione della famiglia e, nonostante indagini e arresto poi revocato per la vicenda Ilva, conferma la fiducia a Enrico Laghi, nominato ad. Ieri l’assemblea dei quattro rami della famiglia di Ponzano Veneto (Treviso) ha trasformato la società in spa e nominato il nuovo consiglio di amministrazione, con quattro consiglieri espressi dalla famiglia Benetton e sino a cinque indipendenti. In rappresentanza dei quattro rami familiari sono stati nominati presidente Alessandro Benetton e consiglieri Carlo Bertagnin Benetton, Christian Benetton ed Ermanno Boffa. Laghi, che era presidente dal 23 novembre 2020, è stato nominato amministratore delegato. Gli altri quattro consiglieri indipendenti saranno scelti entro fine mese. Laghi era entrato in Edizione a novembre 2020, quando dopo 30 anni era uscito di scena Gianni Mion, storico manager di famiglia. Il commercialista romano, specializzato nelle amministrazioni straordinarie e con una vastissima rete di incarichi manageriali, in passato si è occupato di ristrutturazioni come quelle di Sorgenia, Alitalia (per la quale è stato indagato e archiviato) e Ilva. È stato Laghi a gestire la trattativa con il Governo sulla cessione di Autostrade da parte dei Benetton, dopo il crollo del ponte Morandi di Genova del 14 agosto 2018 che fece 43 morti.

Proprio per la sua carica di commissario straordinario dell’acciaieria di Taranto, assunta a gennaio 2015 su nomina del governo Renzi e lasciata ad aprile 2019, a settembre scorso Laghi è stato arrestato su mandato della procura di Potenza, che indaga sulla gestione dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Secondo le accuse, il manager avrebbe partecipato, insieme ad altri, a un “patto corruttivo con scambi di favori e utilità” per “ammorbidire” l’allora procuratore capo di Taranto, Carlo Maria Capristo, nelle indagini su alcune vicende del gruppo siderurgico. Laghi, poi tornato in libertà, dovrà rispondere anche di concussione. Nei giorni scorsi sono state chiuse le indagini. Le nuove regole di Edizione prevedono cinque anni di lock up, il periodo nel quale non si possono vendere titoli, e meccanismi che “consentono di preservare il controllo alla famiglia Benetton nei prossimi passaggi generazionali”.

“L’Europa rischia un black-out”

In giro per l’Europa se ne parla da un po’, ma per la prima volta in Italia un’istituzione sottolinea il rischio in questa forma: “L’impennata dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale espone l’Europa al rischio di black-out energetici”. Parole tratte dalla Relazione sulla sicurezza energetica nell’attuale fase di transizione ecologica, approvata ieri dal Copasir, vale a dire il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, quello – per capirci – che vigila sull’attività dell’intelligence.

Se la sicurezza energetica è “la disponibilità ininterrotta di fonti energetiche affidabili a un prezzo accessibile” (così l’Agenzia internazionale dell’energia), oggi il pericolo di un evento estremo esiste: “Il timore è che in un sistema di approvvigionamento energetico estremamente interconnesso come quello europeo, lo spegnimento di una singola centrale – ad esempio per mancanza di carburante – possa generare una reazione a catena in vari Stati membri”. E l’Italia, anche se “possiede un livello di scorte più solido rispetto a Germania e Paesi del nord Europa”, “potrebbe, comunque, subire indirettamente gli effetti di razionamenti energetici condotti a livello europeo ovvero di fenomeni di black-out in uno dei Paesi dell’Unione che inciderebbero sugli scambi commerciali intra-Ue e quindi sulla tenuta del sistema produttivo nazionale”.

Le cause di questa fragilità sono molteplici e ovviamente devono tener conto del fatto che il mercato dell’energia, oggi così frammentato e finanziarizzato (cioè esposto alla speculazione), è anche un immenso campo di battaglia geopolitico.

I problemi odierni, com’è noto, riguardano soprattutto il gas: un mercato caratterizzato da “abbondanza dell’offerta e prezzi bassi” prima del Covid è oggi in “una situazione di crisi con innalzamento dei prezzi e l’insorgenza di fragilità che potrebbero avere ricadute sul processo di transizione energetica”. In numeri, “dai minimi toccati nel maggio 2020, il prezzo spot dell’energia elettrica in Italia (PUN) è balzato del 659% (passando da 22 euro/MWh a 166 euro/MWh) e, con specifico riferimento al gas naturale è stata registrata un’impennata del 1100% (da 4 euro/MWh a 62 euro/MWh); rincari, questi, in grado di tradursi in un pesante aggravio della bolletta energetica per consumatori e imprese, stimato in circa il +40%”.

È appena il caso di ricordare che quasi tutto il gas necessario all’Italia è importato: la Russia col 42% del totale è il nostro maggior fornitore e, a giudicare dai numeri, anche il maggior problema dell’Europa a questo riguardo. Il dataset aggiornato a mercoledì dal think tank Bruegel di Bruxelles mostra che nelle prime due settimane del 2022 il flusso di gas dalla Russia è la metà di quello registrato negli stessi giorni del 2021 ed è stato il 25% in meno nell’ultimo trimestre dell’anno scorso rispetto all’inizio.

“Forti rincari anche nel 2022”

Il caro energia e i ritardi nelle forniture di componenti hanno fatto alzare i prezzi dei prodotti delle imprese italiane. Un rialzo che proseguirà nel 2022: è la sintesi dell’analisi arrivata ieri anche da Banca d’Italia sulla base di uno studio condotto sulle aziende fra novembre e dicembre del 2021. Per Bankitalia, le aziende italiane “hanno rivisto significativamente al rialzo i listini nell’ultimo trimestre del 2021, e le loro aspettative sull’inflazione al consumo sono salite ben oltre la soglia del 2 per cento”. Le imprese, si legge nel rapporto, prevedono che “il recente rincaro dei costi energetici e le difficoltà nelle catene di fornitura porterebbero a un aumento dei propri prezzi di vendita nei prossimi 12 mesi”. Quindi, prosegue, “i giudizi sulla situazione economica generale e le attese sulle proprie condizioni operative nei primi tre mesi del nuovo anno sono meno favorevoli rispetto al periodo precedente. La dinamica della domanda resterebbe robusta, ma i ritardi nelle catene di fornitura e la recrudescenza della pandemia comporterebbero rischi al ribasso sull’attività per più della metà delle imprese”.

E ora l’Enel dà battaglia per tenersi gli extraprofitti

Il caro energia rischia di schiantare la ripresa e il governo, con qualche mese di ritardo, sembra essersi deciso a prendere di petto la situazione. Si annuncia una battaglia con i colossi del settore, in testa l’Enel, ma anche A2a, Edison etc. L’idea è un decreto da approvare entro fine mese, ma da impostare subito visto che non è chiaro che governo ci sarà dopo il voto del Quirinale. I partiti lo chiedono in coro.

Ieri si è tenuto un incontro tecnico a Palazzo Chigi. Il ministero della Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani ha fatto sapere di aver inviato prima di Natale 10 proposte a Mario Draghi. Al centro c’è l’ipotesi di tassare i “produttori, fornitori o intermediari, che hanno fatto profitti stellari” in questi mesi, per usare le parole della viceministra all’Economia, Laura Castelli. Ipotesi avanzata mercoledì dal leghista Giancarlo Giorgetti e cavalcata dalla Lega: Matteo Salvini ha già individuato l’Enel come principale bersaglio.

Il caro prezzi sta martellando famiglie e imprese, specie quelle energivore: per le aziende si parla di costi per 30-40 miliardi (stime Confindustria e S&P). I rincari dell’energia hanno origine dall’aumento del prezzo del gas, su cui pesa – speculazione a parte – l’aumento dei consumi e lo strozzamento delle forniture russe legate alle tensioni sull’Ucraina.

Il meccanismo che lega il prezzo dell’energia a quello del gas naturale è complesso, ma spiega perché sono stati fatti e si stanno facendo “extra-profitti stellari”. In estrema sintesi e tecnicismi a parte, il costo dell’energia dipende dalla fonte energetica cosiddetta “marginale”. Le rinnovabili infatti non riescono a coprire tutto il fabbisogno elettrico, pur avendo priorità nell’approvvigionamento rispetto all’energia termica e quest’ultima deve coprire la parte mancante: la quota più importante è prodotta usando gas naturale e detta il prezzo alla Borsa elettrica. Questo sistema in teoria dovrebbe ottimizzare i prezzi, ma non tiene conto del tutto della crescita delle rinnovabili che oggi hanno costi di produzione molto bassi.

Ieri l’ad di Enel, Francesco Starace ha replicato a Salvini dalle pagine di Repubblica. Il manager ha spiegato che “Enel non ha fatto extra-profitti. Noi produciamo il 18% dell’energia prodotta in Italia e la vendiamo direttamente ai nostri clienti, al mercato libero a prezzi fissati due o tre anni prima”. Quindi “anche ora, avendo già venduto la nostra energia, non abbiamo avuto extra-profitti e i nostri clienti, che hanno avuto i prezzi fissati tempo fa, sono al riparo da questa volatilità del gas”.

L’uomo che guida la più grande impresa italiana, controllata dallo Stato, finge di ignorare che gli extra-ricavi li sta facendo eccome visto che il meccanismo del prezzo marginale oggi lo premia e sui contratti che sta siglando. Enel produce oltre il 30% dell’energia da rinnovabili, soprattutto dall’idroelettrico. Sono fonti che hanno costi di produzione molto inferiori a quelli attuali alla Borsa elettrica, anche perché molti impianti risentono ancora in parte degli incentivi o, come per l’idroelettrico, sono vecchi e ammortizzati e con bassi costi operativi.

A Palazzo Chigi stimano l’incasso del possibile “contributo di solidarietà” in 1,5-2 miliardi, ma sono numeri bassi rispetto allo tsunami in corso. Per dare l’idea, in Italia la produzione idroelettrica è di 45 miliardi di Chilowattora annui. Se ipotizziamo un prezzo di 70 euro per megawattora, ogni anno i ricavi supererebbero di poco i 3 miliardi. Se il prezzo dell’energia arrivasse, per esempio, a 125 euro il megawattora (cioè quello medio registrato nel 2021) si sale a 4,6 miliardi: gli extra-ricavi sarebbe così di 1,3 miliardi nel solo 2021. Coi prezzi inauditi visti in questi mesi (250 euro MWh) si arriverebbe a 5 miliardi.

Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “il costo di produzione dell’idroelettrico non supera i 20 euro MWh, per cui – spiega al Fatto – nel solo 2021 gli extra-ricavi hanno sfiorato i 4,5 miliardi” senza contare le altre rinnovabili, la produzione elettrica da carbone (che ha costi più bassi del gas) e chi produce a gas con contratti a lungo termine che consentono di tenere basso il prezzo.

A ottobre Starace, insieme ai manager di molti colossi energetici dell’Ue, ha scritto a Bruxelles per chiedere di bloccare qualsiasi ipotesi di tassare gli extra-ricavi: la Spagna aveva varato una misura per imporre un tetto ai ricavi di vendita ai produttori, che ovviamente hanno fatto ricorso. La soluzione ideale sarebbe ripensare il meccanismo di formazione del prezzo in base alla fonte energetica, magari con prezzi regolati. Una vecchia idea di Starace.

La zarina di Gedi temeva i pm: “Da quando parlavo con B…”

“Loro oggi possono avere le prove della truffa (…) consumata solo relativa al dipendente Inps… a noi dovrebbero arrivare (…) per induzione, ma a quel punto (…) non è una prova”. Da questa frase, pronunciata da Monica Mondardini il 13 settembre 2018 in un ristorante romano, per la Procura di Roma emerge che l’allora ad di Gedi Spa stesse “cercando di capire quali fossero le imputazioni ascrivibili all’azienda”. In quell’anno infatti sui giornali era già finita la notizia dell’indagine sui “dipendenti prepensionati che hanno indebitamente riscattato periodi contributivi attraverso libretti di lavoro falsi”. “Io sono una negoziatrice nell’anima (…)” l’alternativa è beccarne cinque (…)”, dice riferendosi ai dipendenti la Mondardini, a tavola con l’allora direttore centrale delle Risorse umane, Roberto Moro e l’allora direttore generale di Gedi, Corrado Corradi.

L’indagine è andata avanti. E Mondardini, Moro e Corradi, sono fra i 101 indagati nell’inchiesta sulla presunta truffa all’Inps relativa i prepensionamenti irregolari che la società che edita Repubblica e L’Espresso. Il fascicolo nasce da un’informativa dell’Inps del marzo 2017. Su Tito Boeri, allora presidente dell’istituto previdenziale, il precedente ad del gruppo, Marco Benedetto, non indagato, al telefono diceva: “Boeri è un pezzo di merda, leccaculo di De Benedetti”.

Secondo la Procura sono quattro gli escamotage messi a segno dal 2009: “fittizi demansionamenti di dirigenti a quadro”, “illeciti riscatti di annualità pregresse”, “utilizzo come collaboratori esterni (…) di dipendenti già posti in prepensionamento” e “trasferimenti di personale eseguiti al solo fine di poter accedere indebitamente alle procedure (…)”. “Meccanismi di frode” con “un’unica regia a livello aziendale” che per i pm ha portato a Gedi un “risparmio illecito” di circa 38,9 milioni di euro. Fondi sequestrati a dicembre, come rivelato da La Verità.

Fra gli indagati ci sono decine di ex lavoratori Gedi, due ex dipendenti Inps accusati di aver “alterato i requisiti” dei prepensionati e pure un ex dipendente dell’Ansa per il suo presunto ruolo di tramite. Per chi indaga, le operazioni di Gedi sarebbero avvenute “a discapito (…) della libera concorrenza nel settore commerciale di riferimento”. Fra il 2007 e il 2008, ricostruisce una delle persone sentite dai pm, “la decisione finale di procedere con i prepensionamenti veniva presa direttamente dalla Mondardini” e “nelle occasioni della discussione finale del documento di budget era presente anche la proprietà, nelle persone di Carlo e Rodolfo De Benedetti (estranei all’inchiesta, ndr)”. Dei demansionamenti, invece, “si è occupato direttamente Moro”.

Le prime acquisizioni risalgono a marzo 2018. Il 12 luglio di quell’anno, a cena anche con l’ex direttore Ezio Mauro (estraneo all’indagine), Mondardini racconta di aver scoperto che i trasferimenti “sono stati comunicati agli interessati” i quali “non hanno mai risposto, né mai posto obiezioni”. Per i magistrati è un’ammissione implicita “che i trasferimenti erano solo sulla carta”. Dal decreto di sequestro del gip Fanelli emerge anche il timore delle intercettazioni: in una successiva conversazione con Corradi, è scritto negli atti, Mondardini “ribadisce di non voler parlare liberamente al telefono per paura di essere intercettata”, e dice: “Faccio attenzione (…) dal 2010… quando ci fu la questione di Berlusconi, siccome (…) ci sentivamo quasi quotidianamente, io subito ho avuto l’idea”.

Fra i possibili “artifizi” su cui sta lavorando la Procura, si racconta la presunta falsificazione dei libretti di lavoro, per i quali “appare riconducibile alla medesima mano la grafia utilizzata per la compilazione”, con una dipendente che dice ai pm di non conoscere l’azienda dove risultava aver lavorato per due anni. “Non è che nel 2009 abbiamo esaurito tutte le cartucce (…) pensavamo di averle esaurite, dopo ce ne siamo inventate delle altre”, racconta sempre Mondardini, intercettata il 28 agosto 2018 al telefono con Moro. Lo stesso che per i pm, nel settembre 2018, aveva tentato una “ulteriore tipologia di frode, differente dalle quattro sin qui emerse, ma anch’essa in danno dell’Inps”. Vi era infatti per i pm la “volontà dei vertici (…) di proseguire (…) con le procedure di prepensionamento (…) evitando in tal modo di sostenere i costi legati alla riqualificazione professionale”. Negli atti si fa anche riferimento a una conversazione del 2 settembre 2018 fra Mondardini e Francesco Dini (non indagato), dirigente Cir Spa, che “nel riferire gli esiti dell’incontro da lui avuto con Vito Crimi (estraneo all’inchiesta, ndr), precisa alla Mondardini (…) di averlo convinto ‘a parlare di lavoro ristrutturazione ammortizzatori sociali e pubblicità’ e che ‘la cosa è andata straordinariamente’”. Nell’indagine è iscritto il gruppo Gedi (ma la nuova proprietà di Exor è estranea ai fatti) in base alla legge sulla responsabilità delle società in quanto “avendone gli strumenti non ha rilevato e segnalato, le innumerevoli anomalie riscontrate in sede di indagine”.

Ex assessore latitante estradato da Romania

È rientratoin Italia con un volo da Bucarest il latitante Gianpaolo Bellavita, ex assessore provinciale a Bergamo dal 1999 al 2004, condannato a una pena definitiva di 19 anni e 8 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla truffa, truffa nei confronti dell’Ue, emissione di false fatture e riciclaggio. A riportare in Italia il latitante è stato il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia della Criminalpol: Bellavita era stato arrestato grazie all’attività di cooperazione informativa tra le polizie italiana e romena il 12 giugno 2021 a Bucarest dopo un controllo nel corso del quale aveva esibito documenti d’identità e di guida falsi. L’uomo si trovava in Romania dal 2012 dopo che passò in giudicato la prima condanna a 12 anni.

Stuprarono minorenne. Due arresti a Roma

Tre giovanihanno ricevuto un’ordinanza di custodia cautelare per aver violentato una 16enne durante una festa di capodanno per l’arrivo del 2021, a Roma. I ragazzi, fra i 19 e i 21 anni, sono accusati di violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravata: due di loro sono finiti ai domiciliari, mentre per il terzo è stato disposto l’obbligo di dimora. La svolta arriva a un anno dai fatti, accaduti in una villetta nel quartiere di Primavalle: la ragazza aveva raccontato di essere stata abusata da tre giovani che non conosceva. Le forze dell’ordine, accertato lo stato psicofisico alterato della giovane (forse per un mix di alcol e droghe), riuscirono a a effettuare le indagini grazie agli elementi forniti, risalendo agli autori dell’abuso.

Cinghiali uccisi dalla peste suina, l’epidemia al Nord: “A rischio l’export di carni e salumi”

C’è una nuova emergenza sanitaria, che riguarda i cinghiali e rischia di incidere pesantemente sull’economia. Tra Liguria e Piemonte circola la peste suina africana (Psa), malattia virale che porta in pochi giorni alla morte degli animali contagiati: “È stata innalzata al massimo livello di allerta la vigilanza sulle misure di biosicurezza nel settore domestico, con particolare riguardo a tutte le operazioni di trasporto e movimentazione di animali, mangimi, prodotti e persone”, ha annunciato martedì l’assessore piemontese alla Sanità Luigi Genesio Icardi.

Tutto è cominciato il 7 gennaio quando l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Umbria e Marche ha confermato il sospetto di infezione da Psa riscontrato dall’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta in un cinghiale rinvenuto morto nel territorio di Ovada, in provincia di Alessandria. Da allora altri casi sono emersi a cavallo tra le due regioni. Per evitare il propagarsi del virus (capace di sopravvivere per settimane nelle carcasse), martedì il ministero della Salute ha stabilito che 114 comuni tra Piemonte e Liguria sono “zona infetta” e mercoledì il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, ha ordinato lo stop alla caccia nella provincia di Alessandria: i cacciatori potrebbero spingere i cinghiali in altre aree non ancora infette. Nel frattempo il timore del contagio è arrivato in altre regioni: Lombardia, Veneto, Marche, Umbria ed Emilia-Romagna, dove si teme che il morbo arrivi negli allevamenti e per precauzione anche il presidente Stefano Bonaccini ha ordinato lo stop ai fucili nelle province di Parma e Piacenza: “Potrebbe rappresentare un grave danno economico per le aziende emiliano-romagnole che operano nel settore”. Anche le organizzazioni come Coldiretti e Cia-Agricoltori italiani chiedono soluzioni per tutelare la filiera, che rischia un grave “danno di immagine”, ha spiegato il presidente di Coldiretti Piemonte, Roberto Moncalvo. L’export di salumi e carni suine vale 1,7 miliardi e Cina, Giappone, Taiwan e Svizzera hanno già bloccato l’import dall’Italia. “Bisogna agire – è l’allarme di Maurizio Gallo, direttore dell’Associazione nazionale allevatori suini -. Se perdiamo il 15-18% sarà a rischio la sopravvivenza degli allevamenti”. La risposta del governo arriva in serata: i ministri Roberto Speranza e Stefano Patuanelli hanno firmato un’ordinanza che “consente alle attività produttive di continuare a lavorare in sicurezza, fornendo rassicurazioni in merito al nostro export”.