Violenze a Milano, al vaglio denunce da tutta l’Italia

Potrebbe allargarsi presto il perimetro dell’inchiesta sulle violenze avvenute in piazza Duomo, a Milano, la notte di Capodanno. Numerose segnalazioni e denunce sono arrivate negli ultimi giorni in Procura da tutta Italia da giovani che avrebbero subito molestie. Gli inquirenti stanno vagliando tutti i presunti nuovi casi e hanno acquisito anche un’intervista video in cui due ragazze raccontano di aver subito molestie. L’elenco delle vittime, dunque, potrebbe aumentare rispetto alle 9 che figurano al momento nell’indagine. Per le molestie commesse ai danni di 6 di loro mercoledì sono stati fermati a Milano e Torino Mahmoud Ibrahim, 18 anni, e Abdallah Bouguedra, 21, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo, rapina e lesioni. Secondo la ricostruzione del pm Alessia Menegazzo e dell’aggiunto Letizia Mannella, sarebbero stati loro a selezionare e abbordare le “prede”. Dopo di che avrebbero chiamato i loro amici per accerchiarle. Mentre le due vittime finora accertate si tenevano per mano per evitare di separarsi, gli aggressori le avrebbero divise. A quel punto sono state violentate una per una da una parte del branco mentre l’altra parte avrebbe circondato la scena per nascondere quel che stava accadendo. “Sono fatti inaccettabili – ha detto la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese durante il question time al Senato –. Le Forze di polizia profonderanno il massimo impegno per garantire la sicurezza delle città”. Ma esiste “la necessità di una profonda azione di intervento sociale in chiave educativa e preventiva”.

La Cassazione: “Gli Spada sono un clan di mafia”

Gli Spada sono mafia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nel maxi processo contro il clan del litorale di Roma. Il procedimento era nato dall’indagine della Dda, coordinata da Michele Prestipino con Ilaria Calò e Mario Palazzi, che aveva portato il 25 gennaio 2018 agli arresti eseguiti nell’ambito dell’operazione “Eclissi”. Il 12 gennaio 2021 i giudici della Prima Corte d’Appello avevano confermato l’associazione di stampo mafioso e le condanne per i 17 imputati a oltre 150 anni di carcere: tra queste l’ergastolo per Roberto e Ottavio Spada, detto Marco. Era stata invece ridotta la pena per Carmine Spada, dall’ergastolo a 17 anni. La Suprema Corte ha disposto anche un nuovo appello per l’omicidio Giovanni Galleoni detto “Baficchio” e Francesco Antonini detto “Sorcanera”, avvenuto il 22 novembre 2011. Alla sbarra anche Roberto Spada, già condannato a 6 anni per la testata al cronista Daniele Piervincenzi. “Questa pronuncia – ha commentato Giulio Vasaturo, legale di Libera – smentisce quanti hanno minimizzato la presenza delle mafie a Roma”.

Il guarito fantasma: storia di ordinario “green pazz”

Ho preso il Covid a Natale. Quando me ne sono accorto, con un test fai da te, le farmacie in Lombardia erano già chiuse per le feste, trovare un appuntamento per un tampone in quelle di turno era praticamente impossibile, mettersi in coda voleva dire aspettare una giornata intera al freddo, con febbre e tosse. Perfetto per il ruolo di appestato. Il molecolare prenotato con l’Ats non l’ho neanche preso in considerazione: primo appuntamento l’8 gennaio. Due settimane dopo, quasi sicuramente inutile.

Davanti a questo quadro desolante ho deciso, sbagliando – me ne sarei accorto solo dopo – di starmene in casa in attesa della guarigione. L’inizio è andato liscio. Dopo dieci giorni ho fatto il tampone, sono risultato negativo e la vita è ricominciata. Ma non avevo pensato a una cosa. Stavo diventando uno dei tanti che in Lombardia hanno avuto il Covid durante quest’ultima ondata, uno dei tanti positivi non conteggiati nelle statistiche ufficiali perché, loro malgrado, sfuggiti al tracciamento. Il problema è che ora devo fare la terza dose, a febbraio mi scade il green pass. E qui scatta il dilemma. Dovrei avere gli anticorpi già abbastanza alti, ho fatto due dosi di vaccino e ho appena smaltito il virus. Ma per non perdere il super green pass devo per forza fare il booster entro febbraio. Ho provato a cercare un chiarimento sul sito del ministero della Salute. L’informazione più recente pubblicata sul tema non è rassicurante. La circolare del 24 dicembre 2021, intitolata Aggiornamento delle indicazioni sull’intervallo temporale relativo alla somministrazione della dose booster (di richiamo) nell’ambito della campagna di vaccinazione anti Sars-CoV-2/Covid-19, è firmata da Giovanni Rezza (ministero dalla Salute), Nicola Magrini (Aifa), Silvio Brusaferro (Istituto superiore sanità) e Franco Locatelli (Cts). Scrivono le autorità sanitarie italiane: “Si rappresenta che la somministrazione della dose di richiamo (booster) a favore dei soggetti per i quali la stessa è raccomandata, con i vaccini e relativi dosaggi autorizzati, sarà possibile dopo un intervallo minimo di almeno 4 mesi (120 giorni) dal completamento del ciclo primario o dall’ultimo evento (da intendersi come somministrazione dell’unica/ultima dose o diagnosi di avvenuta infezione in caso di soggetti vaccinati prima o dopo un’infezione da Sars-CoV-2, in base alle relative indicazioni)”.

Quindi, per chi ha avuto il Covid, il booster deve essere fatto “dopo un intervallo minimo di almeno quattro mesi”. Tant’è che per chi è risultato ufficialmente positivo, la terza dose viene posticipata. Non si capisce se questo avviene per risparmiare dosi di vaccino o per ragioni di sicurezza sanitaria. Di sicuro io dovrò fare la terza dose dopo un mese e mezzo al massimo, altrimenti addio super green pass, quindi niente più treni, autobus, alberghi. Dal 15 febbraio alla lista si aggiungeranno banche, posta, uffici pubblici, negozi. Non resta quindi che fare il vaccino, violando le prescrizioni delle autorità sanitarie e del governo. Siamo a metà gennaio, il tempo stringe. Se non voglio superare la scadenza devo prenotare. Ho chiesto un parere a tre medici di famiglia. Due mi dicono che non ci sono problemi, al massimo avrò un po’ di febbre ma non ci sono pericoli seri. L’altro dottore lo sconsiglia: dice che i rischi di effetti inattesi aumentano facendo il booster poco dopo aver contratto il virus. Decido di ascoltare la mia piccola maggioranza relativa. Prenoto. E speriamo bene.

Sardegna: nove posti di terapia intensiva per 850mila persone

Ieri la storia di Alessia, la 25enne che ha subito un aborto nel parcheggio dell’ospedale di Sassari, dopo essere stata respinta dal pronto soccorso ostetrico perché non era possibile farle un tampone molecolare, ha fatto il giro d’Italia. La coppia medita di presentare denuncia e anche il ministero della Salute sta monitorando il caso.

Ma quella di Alessia è solo la punta dell’iceberg di una situazione drammatica. Mentre il Covid corre (soprattutto nel Nuorese), la sanità regionale, soprattutto nel nord dell’Isola, è allo sbando da mesi. A fronte di circa 850.000 abitanti, i posti di terapia intensiva sono solo 9 e tutti nell’Ospedale Universitario di Sassari (lo stesso di Alessia, hub che deve accogliere malati da Sassari, Alghero, Nuoro, Oristano e anche Olbia). A questi se ne aggiungono 48 di sub intensiva. Stop. L’ospedale in queste ore sta tentando di aprire altri 7 posti al Regina Margherita di Alghero, trasferendo lì medici e infermieri. Un’operazione osteggiata dal personale sanitario: “Ad Alghero non si può garantire la gestione della urgenza/emergenza – si legge in un messaggio indirizzato alla Direzione sanitaria – manca uno standard di sicurezza organizzativo-gestionale adeguato per la mancanza di rianimatori h/24, soprattutto in riferimento alla possibile e potenziale criticità acuta di malati Sars-Cov2”,

In realtà, all’Universitario di Sassari il 23 gennaio 2021 erano stati inaugurati in pompa magna 30 posti letto di t.i., 1.300 mq costati milioni di euro. Ma il reparto è chiuso, come denunciato in un’interrogazione dalla consigliera regionale M5S, Desirè Manca. Fu costruito senza rispettare gli standard richiesti per l’accreditamento regionale (e poter essere così utilizzato anche per le terapie intensive post operatorie non Covid). L’ospedale in luglio ha deciso di chiudere il reparto e far partire i lavori che si sarebbero dovuti concludere a settembre. Tuttavia, l’azienda incaricata non ha trovato i materiali necessari, così il reparto è rimasto chiuso per mesi. A inizio dicembre i lavori sono ripresi, ma termineranno solo agli inizi di febbraio.

E nessun aiuto sta arrivando dai privati che si rifiutano di aprire reparti Covid, nonostante le sollecitazioni della Regione che il 12 gennaio scriveva al Policlinico Sassarese e al Mater Olbia di ritenere “opportuno pianificare, secondo quanto previsto dalla Dgr 23/39 del 22.06.2021, l’attivazione progressiva dei posti letto che, in ragione della crescita dei contagi e dell’eventuale crescita dei ricoveri, potranno essere messi a disposizione dalle strutture di completamento privato”. Il Policlinico avrebbe dovuto rendere disponibili 12 letti in area medica, il Mater Olbia 6 di terapia Intensiva, 20 di area medica e 8 di semi-intensiva, ma nessuna delle due strutture ha a oggi ottemperato. Il Policlinico perché ancora in attesa delle parcelle per i ricoveri delle ondate precedenti. Il Mater Olbia, senza dare spiegazioni, nonostante abbia ricevuto il 27 ottobre 2021 20 milioni di euro per “spese di funzionamento”.

E, mentre tutto ciò accade, la giunta del sardista-leghista Christian Solinas pensa a spartirsi le poltrone: la notte del 31 dicembre, infatti, dopo settimane di guerra all’interno della maggioranza, sono stati nominati i direttori generali delle 13 aziende sanitarie, dopo anni di commissariamento. Una spartizione da far sembrare Cencelli uno stagista: al vertice dell’Azienda regionale della Salute è stata messa la 57enne veneta Annamaria Tomasella, scelta da Solinas; mentre le altre se le sono divise Forza Italia (l’ospedale Brotzu di Cagliari), l’Udc (Asl 8 di Cagliari); Lega (Areu), Psd’Az-Lega (Asl 2 della Gallura), Riformatori (Nuoro); Fratelli d’Italia (Asl 1 di Sassari).

Obbligo: solo 73 mila convinti. Scuola: le Ffp2 solo a febbraio

Il governo ne ha fatto un punto d’onore. La scelta di non cedere alle richieste di molti presidenti di Regione di posticipare la riapertura delle scuole nel pieno di una quarta ondata con numeri da capogiro è stata strenuamente difesa dal premier Draghi e dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Tutto bene, peccato che al momento non si sia provveduto a dotare gli istituti di mascherine Ffp2, obbligatorie per tutti alle medie e alle superiori in presenza di un caso di positività in classe e, nella scuola dell’infanzia, per gli insegnanti (i bambini sotto i sei anni non indossano dpi) e per i docenti che hanno alunni in classe che sono esentati dall’indossarle.

Nel primo caso le mascherine sono a carico delle famiglie, ma nel secondo il governo aveva promesso di fornirle, ma le Ffp2 non si sono viste. La conferma arriva dai dirigenti scolastici che, entro il 4 gennaio, sono stati invitati dal ministero a rispondere a un monitoraggio sul fabbisogno di Ffp2. I presidi erano convinti di vederle arrivare alla prima campanella. All’istituto comprensivo “Crema Due”, il preside Pietro Bacecchi non le ha. A Collecchio, il capo d’istituto, Giacomo Vescovini, ci spiega che non le hanno ancora viste. Non sono arrivate nemmeno all’“Einaudi” di Bassano del Grappa e al “Tosi” di Busto Arsizio. Non una Ffp2 al comprensivo “Giuliano Saladino” di Palermo e nemmeno all’Istituto “Niccolò Pisano” di Pisa. Eppure in un comunicato stampa degli uffici di Viale Trastevere del 5 gennaio scorso, si affermava persino che “la distribuzione è già partita” ma non si sa dove siano finite. Al ministero confermano che la distribuzione è partita, ma una determina del Commissario straordinario all’emergenza, generale Figliuolo, datata 11 gennaio – nel dichiarare che “le attuali giacenze non consentono di soddisfare la domanda” – ha attivato una “indagine di mercato” per la fornitura di 60 milioni di Ffp2 per “garantire la salvaguardia del personale impiegato nell’ambito del comparto scolastico”. Insomma, la procedura d’acquisto è stata avviata soltanto mercoledì, due giorni dopo la riapertura delle scuole. La consegna è prevista in cinque tranche: la prima di 12 milioni il 31 gennaio e l’ultima il 28 febbraio. Insomma, per altre 2/3 settimane non se ne parla.

Fortuna che la campagna vaccinale prosegue a ritmi record. Nella settimana dal 3 gennaio – informa il report settimanale della Fondazione Gimbe – si sono registrati ben 483.512 nuovi vaccinati (+62,1%) (+62,1%) rispetto ai 298.253 della settimana precedente. L’aumento riguarda in particolare l’età scolare, ossia la fascia 5-11 (267.412 prime dosi +53,3% in una settimana) e quella 12-19 (61.778, +65,5%).

E gli over 50, quelli obbligati per legge a immunizzarsi? Così così. Sempre secondo i calcoli di Gimbe, tra quei 483 mila e più nuovi vaccinati, gli ultracinquantenni sono appena 73.690, poco più del 15%. Insomma, non certo una marea, a conferma del fatto che lo zoccolo duro no vax tale è e tale (in gran parte) rimane. Gli over 50 a rischio malattia grave ancora senza nemmeno una dose sono 2.184.062 (al lordo degli esentati).

Sul fronte della pandemia, intanto, arrivano prime (timidissime) buone notizie: per il secondo giorno consecutivo il saldo tra ingressi e uscite dalle terapie intensive è negativo: -8 mercoledì e -1 ieri (nuovi ricoveri 156 in entrambi i giorni). Troppo presto per intravedere un’inversione di tendenza, anche perché i nuovi casi ieri sono stati di 184.615. E ancora, purtroppo, 316 morti.

Morisi, si indaga sui soldi per la casa usata a Roma

Un appartamento nel centro di Roma utilizzato anche da Luca Morisi, ex capo della Bestia di Matteo Salvini, già travolto da uno scandalo sessuale che lo ha visto indagato e poi archiviato dalla Procura di Verona. Tra gli ospiti della casa, a quanto risulta dagli atti, altri fedelissimi di Salvini, tutti legati alla macchina social della Lega. A pagare l’affitto la società bresciana Vadolive, già amministrata da una parente del commercialista della Lega, Alberto Di Rubba. Il dato è rilevante perché la società era emersa nell’inchiesta milanese sul caso della fondazione regionale Lombardia Film Commission (Lfc). In quel frangente, grazie a una segnalazione per operazione sospetta, si era compreso come Vadolive, foraggiata dai soldi della Lega e da quelli delle società riferibili ai commercialisti del partito Andrea Manzoni e Di Rubba, pagasse alcuni benefit al direttivo della Bestia, anche quando alcuni membri erano già assunti presso il ministero dell’Interno, all’epoca diretto da Salvini. Ora però emerge un fatto nuovo, grazie all’analisi delle chat e delle email sequestrate dalla Procura di Genova negli uffici bergamaschi del duo Manzoni-Di Rubba e trasmesse a Milano che sta indagando. La vicenda senza titolo di reato per ora è al vaglio dei pm che dopo le condanne ottenute in primo grado per Lfc, puntano a molto altro. Il caso dell’appartamento romano è uno dei 3 nuovi filoni seguiti dai magistrati.

A questo va aggiunta la posizione di indagato, sempre a Milano, del tesoriere Giulio Centemero. Iscritto dal 29 novembre. Con lui, l’assessore regionale Stefano Bruno Galli e l’ex tesoriere del partito Stefano Stefani. Tutti accusati a vario titolo di truffa aggravata ai danni dello Stato e appropriazione indebita. La vicenda, anticipata dal Domani, riguarda l’inchiesta sull’associazione Maroni Presidente e 450mila euro che vanno dalla Lega all’associazione e rientrano al partito. Il fascicolo nel 2018 era a Milano con Galli indagato e poi archiviato. Passerà nel 2019 a Genova che lo inserisce nell’inchiesta sui 49 milioni. Galli resta indagato, ma per riciclaggio anche dopo l’interrogatorio di Marco Tizzoni, ex capogruppo della Lista Maroni Presidente che nel 2018 farà denuncia. Per competenza, il 29 novembre il fascicolo con gli attuali indagati e ipotesi di reato torna a Milano. A Centemero è contestato anche l’aver partecipato a una riunione romana nel 2015 con il direttivo dell’associazione in cui la voce dei rendiconti relativa a quel denaro rubricata come “erogazione liberale” della Lega viene trasformata in prestito che l’associazione si impegnava a restituire. Per i pm alcune voci dei bilanci 2013 e 2014 vengono modificate ad hoc. I reati risalgono al 2017 e si prescriveranno nel 2023. Per evitarlo, l’aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi, nelle prossime settimane interrogheranno Centemero e gli altri. Atto che permetterà di allungare di un anno e mezzo i tempi della prescrizione.

L’arma di Open: l’ultimo ricatto in vista del Colle

La trattativa sul Quirinale si sta condendo di veti, controveti e minacce incrociate. Il primo è stato Mario Draghi che, durante la conferenza stampa di fine anno, ha legato la sua possibile elezione a un governo con la stessa maggioranza che lo sostiene. Poi è arrivato, ça va sans dire, Silvio Berlusconi che lunedì ha fatto filtrare una minaccia ai suoi alleati di centrodestra e ai parlamentari che temono il voto anticipato: “Se Draghi va al Colle si va a elezioni anticipate, Forza Italia non sosterrà altro governo”. Adesso è arrivato anche il primo ricatto. Nemmeno troppo velato. E riguarda il grande protagonista di queste ore, cioè Berlusconi. Il leader di Forza Italia sta facendo uno scouting sfrenato tra i parlamentari per arrivare alla fatidica soglia di 505 voti per essere eletto al quarto scrutinio (l’operazione “scoiattolo”), ma per farlo non può contare solo sui voti degli ex 5Stelle e nemmeno dei “battitori liberi” del Misto. All’ex Cavaliere serve anche qualche preferenza preziosa tra i 43 parlamentari renziani. Gliene basterebbero 4 o 5 per irrobustire il gruppo dei “responsabili”. Per questo, lui e i suoi emissari hanno iniziato a contattare deputati e senatori di Italia Viva: molti dei quali però hanno fatto muro e si sono detti “indisponibili” alle sirene dell’ex premier. Così da Arcore sono passati alle maniere forti. Un ricatto sull’argomento a cui Renzi tiene di più: l’inchiesta Open che lo vede indagato per finanziamento illecito.

Prima però ricapitoliamo i fatti. Il 14 dicembre la Giunta per le Immunità del Senato aveva dato ragione a Renzi votando la relazione della relatrice di FI Fiammetta Modena in cui si proponeva di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta sull’operato dei pm di Firenze che, è l’accusa del leader di Italia Viva, avrebbero violato le sue prerogative di senatore sequestrando presso terzi sms, chat e mail di sue conversazioni senza prima chiedere l’autorizzazione di Palazzo Madama. A votare per Renzi in quel caso erano stati i senatori di Lega, FI, FdI con l’astensione di Pd e M5S. Adesso la decisione definitiva spetterà all’Aula del Senato dove, rispetto alla Giunta per le Immunità, i numeri sono più ballerini e il centrodestra non ha una maggioranza così schiacciante. E qui si inserisce Berlusconi. Che non ha preso bene i molti “no” arrivati dai renziani. E così ha deciso di mettere Renzi sulla graticola del voto dell’Aula.

Martedì, infatti, durante le conferenza dei capigruppo, Forza Italia (con l’ausilio di Fratelli d’Italia) ha chiesto di calendarizzare già per la prossima settimana prima la questione del seggio conteso tra Claudio Lotito e il renziano Vincenzo Carbone (quello del patron della Lazio sarebbe un voto in più per Berlusconi al Colle), e poi il caso Open. Alla fine il blitz è saltato per le divisioni tra i gruppi, ma se ne riparlerà già martedì quando i forzisti chiederanno di calendarizzare i due voti prima del 24, giorno della prima chiama per il Quirinale. Molto difficile che ci riescano, ma il tentativo sarà fatto. Non solo. Il messaggio fatto arrivare da Arcore alle orecchie di Renzi è questo: “Attento Matteo che in Aula i numeri sono ballerini e nel voto segreto anche qualcuno dei nostri potrebbe farti qualche scherzetto”. Come dire: o apri a Berlusconi per il Colle oppure votiamo perché l’inchiesta Open vada avanti senza interruzioni.

Un pizzino che non è piaciuto per niente al leader di Italia Viva che, seppur in privato, ha risposto così: “Non mi farò ricattare”. E martedì pomeriggio, nel salone Garibaldi del Senato, è stato Francesco Bonifazi (braccio destro di Renzi) a prendersela duramente con Maurizio Gasparri, presidente forzista della Giunta per le Immunità. “Guarda che Matteo non l’ha presa per niente bene” si è sfogato il senatore di Italia Viva. Gasparri, palesemente imbarazzato, ha balbettato qualcosa ma non è riuscito a spiegare l’accelerazione che contraddice il “garantismo” sbandierato ogni giorno da Forza Italia. Eppure la minaccia di Berlusconi sembra, in parte, essere andata a buon fine visto che Renzi ancora pubblicamente non riesce a dire “no” alla candidatura del leader azzurro al Colle: “Berlusconi ha chiamato tutti e non me – ha detto ieri a Metropolis – se mi chiamerà gli dirò cosa penso della sua candidatura e poi lo dirò anche in pubblico”. Che però il leader di Italia Viva non sia convinto della sua elezione lo dice chiaramente aprendo addirittura a un’ipotesi Gianni Letta: “Sarebbe un buon nome – continua Renzi – Berlusconi ci crede, Salvini e Meloni un po’ meno. Il rischio è che alla quarta votazione si arrivi a un derby Berlusconi contro tutti, più che destra contro sinistra”.

Frodi, tangenti e bugie: ecco “chi è” il vero B.

“Chi come lui?” si chiede il Giornale in una struggente pagina pubblicitaria in cui enumera le virtù del suo padrone ed editore, auto-candidato alla presidenza della Repubblica. Firmata da “Forza Seniores”, i veterani del partito, che allineano un elenco di meriti, gesta e imprese capace di insidiare il culto della personalità di ogni “Piccolo Padre”, “Lider Maximo” e “Caro Leader” di tutto il mondo e di tutta la storia. Ma Silvio Berlusconi merita di più. Vogliamo dunque anche noi contribuire a questa elencazione di meraviglie, aggiungendo fatti, nomi e situazioni.

“Una persona buona e generosa”. Generosissima, in effetti. Tanto da impensierire i suoi figli, preoccupati per i molti milioni spesi per decine di amiche, accompagnatrici ed escort a cui ha passato per mesi uno stipendio e regalato buste gonfie di banconote da 500 euro, ma anche gioielli, appartamenti, ville da archistar, auto (preferibilmente Mini e Smart). Anche perché alcune di queste mostravano segni d’impazienza e minacciavano di andare a raccontare cose ai magistrati.

“Il padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti”. Lo garantisce l’anagrafe. La storia aggiunge che “Papi” aveva, in più, decine di protette, assistite, aiutate, alcune anche minorenni.

“Un amico di tutti, nemico di nessuno”. Amico di tutti coloro che lo ossequiano. Amico, fino all’ultimo, anche di Vittorio Mangano, boss di Cosa Nostra per anni ospitato ad Arcore come garante dei patti stretti da un altro eterno amico, Marcello Dell’Utri, con la mafia siciliana. Nemico feroce, però, di chi lo ha ostacolato, anche solo per ruolo istituzionale: come i magistrati, definiti “peggio delle Br”, “un cancro dell’Italia”.

“Tra i primi contribuenti italiani”. Non per suo merito e generosità, ma per effetto della sua ricchezza e della Costituzione repubblicana. Effetto a cui però è sfuggito per anni, nascondendo al fisco italiano, grazie allo schermo di società estere, un consistente malloppo: almeno 368 milioni di dollari, che gli hanno procurato la condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale, misurata sui 7,3 milioni sopravvissuti alla prescrizione.

“Tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro”. Nel 2001 prometteva 1 milione di posti di lavoro. Secondo lavoce.info, il saldo netto degli occupati, nel corso dei suoi quattro incarichi da presidente del Consiglio, è di soli +71 mila occupati.

“Un self-made man. Un esempio per tutti gli italiani”. “Mi sono fatto da solo”, racconta. Ha avuto però aiutini consistenti. Da Bettino Craxi, che ha blindato le sue tv (anche con il “decreto Berlusconi” del 1984) e consolidato il sistema delle tre reti, poi legittimato dalla legge Mammì. Aiutini anche dalla P2, che gli permette di accedere al credito di istituti con piduisti al vertice, come Montepaschi e Banca Nazionale del Lavoro.

“L’inventore e costruttore delle città ‘sicure’ con tre circuiti stradali differenziati”. È il modello di Milano 2, copiato dalle “città giardino” francesi.

“Il primo editore d’Italia e il più liberale”. Primo editore dopo aver scippato la Mondadori a Carlo De Benedetti con una sentenza comprata. Liberale? Vallo a spiegare a Daniele Luttazzi, a Michele Santoro, a Enzo Biagi.

“Il fondatore della tv commerciale in Europa”. Le tv private nascono prima di lui. Berlusconi le rende una potenza economica e politica in grado di gareggiare con la tv pubblica (secondo il programma piduista del “Piano di rinascita democratica”).

“Il fondatore con Ennio Doris della ‘Banca del futuro’”. Uno spot: Banca Mediolanum è una delle tante piccole banche online cresciute in tutto il mondo.

“Il fondatore del centrodestra liberale, cristiano, europeista e garantista”. Nel 1994 Berlusconi per vincere inventa un’alleanza elettorale che mette insieme la Lega di Bossi (pagana, secessionista, forcaiola e né liberale, né europeista) e i post-fascisti del Msi (storicamente anti-liberale). Il “garantismo” lo impone dopo, per salvarsi dai processi.

“Il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica”. Sì, e anche quello con più processi a carico, più prescrizioni, più leggi ad personam.

“L’ultimo presidente del Consiglio eletto democraticamente dagli italiani (2008)”. Rileggere la Costituzione, please: nella Repubblica parlamentare (e non presidenziale) il presidente del Consiglio è votato dal Parlamento.

“Il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell’Aquila (2009)”. Il “miracolo” dell’Aquila? Il 29 settembre 2009 si inaugurano i primi 400 appartamenti del progetto C.A.S.E., la new town che avrebbe dovuto far risorgere la città distrutta dal terremoto del 6 aprile. Ma è sufficiente leggere le cronache successive per sapere che quella è rimasta una città fantasma: alloggi inabitabili, balconi che crollano e piattaforme in deterioramento.

“Il presidente del Consiglio che mise fine alla Guerra fredda realizzando l’accordo di Pratica di Mare tra George Bush e Vladimir Putin (2002)”. Svarione storico? La Guerra fredda finisce nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la successiva implosione dell’Unione sovietica.

“Il leader occidentale più apprezzato e più applaudito (8 minuti) nella storia del Congresso americano”. Anche quello più ricordato nel mondo per foto plastiche come quella dell’8 febbraio 2002 quando fa le corna al ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué, o per filmati come quello del vertice Nato a Baden-Baden, in cui invece di dirigersi verso la cancelliera tedesca Angela Merkel che lo aspettava, si apparta sulla riva del fiume per fare una telefonata.

“L’italiano più competente nella politica internazionale, ascoltato e apprezzato, autorevole e umano, capace di intessere e coltivare le amicizie personali più profonde con i più importanti leader mondiali”.

“Com’è umano lei!”.

“E soprattutto l’eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel ’94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale”. Qui il culto della personalità raggiunge il culmine. Nel 1994 Berlusconi “beve l’amaro calice” di fondare un partito e “scendere in campo”, spinto soprattutto da Marcello Dell’Utri, perché capisce che la fine della cosiddetta Prima Repubblica lo lascia privo del sostegno politico che gli arrivava da Bettino Craxi e dalla destra Dc. Sa che i magistrati di Mani pulite prima o poi arriveranno anche a lui, visto le tangenti che ha pagato, come e più di tanti altri imprenditori di Tangentopoli. La sua Fininvest, poi, in quegli anni è in situazione prefallimentare, con 7.140 miliardi di lire di debiti nel 1992. Berlusconi diventa “l’eroe della libertà” per risolvere i suoi problemi politici, giudiziari e finanziari.

Castagnetti: “Su Mattarella lusinghe moleste, ma resiste”

Sergio Mattarella “sta resistendo” alle “lusinghe moleste” di chi gli chiede il bis al Quirinale, in modo da “non creare un precedente pericoloso”. A parlare è Pierluigi Castagnetti, più volte deputato, già leader del Ppi e soprattutto grande amico dell’attuale presidente della Repubblica, con cui ha condiviso gran parte del percorso politico. Intervenuto ieri a un incontro del Movimento ecclesiale di impegno culturale, Castagnetti ha avuto toni molto duri contro l’ipotesi di un nuovo mandato a Mattarella: “La Costituzione non impedisce la rielezione, ma di certo ha inserito tanti e tali argomenti dissuasivi perché ciò accada. Non a caso il presidente diventa poi senatore a vita, affinché non sia neanche lambito dalla tentazione di ascoltare le lusinghe moleste come quelle di chi propone: ‘Richiediamoglielo’. Ma cosa richiediamogli?”. E ancora: “Mattarella sta resistendo perché non vuole che l’eccezione che portò alla conferma di Napolitano diventi una regola, perché, se diventa regola, d’ora in poi un presidente potrebbe essere tentato di accattivarsi una maggioranza. La Costituzione che finora ha difeso la nostra democrazia potrebbe, anche solo per questo aspetto, avere un punto di cedimento, di fragilità”.

“Silvio al Colle? Elezioni. Non faremo la fine di Bonucci”

Stefano Buffagni è un deputato, responsabile del Comitato per l’Economia del M5S, ed è anche molto interista. Perciò la battuta post Supercoppa è quasi inevitabile: “Il Movimento non farà la fine di Bonucci in Inter-Juventus”. Tradotto, non rimarrà fuori del campo a guardare la sconfitta della sua squadra. E in quella a cui allude Buffagni in palio c’è il Quirinale.

Com’è andata l’assemblea congiunta? Molti hanno ribadito la fiducia in Giuseppe Conte, ma c’è chi ha chiesto di far trattare ai capigruppo.

Conte è il Movimento e ha piena fiducia da parte nostra per condurre la trattativa.

Tutti discutono della candidatura di Silvio Berlusconi. Quanto è concreta ad oggi?

Berlusconi è uno che non molla mai, e sta facendo la sua partita. Ma quello del M5S è un no secco. È un candidato non adeguato al Paese: se salisse al Colle non ci sarebbe più la maggioranza di governo e si andrebbe al voto. Sarebbe a rischio la tenuta del sistema.

Se venisse eletto Mario Draghi le elezioni potrebbero essere perfino più vicine, no?

Qualsiasi scelta avrà bisogno di una larga maggioranza. Serve un accordo con tutti, compresa Giorgia Meloni, per un accordo non solo sul Capo dello Stato ma anche sulla continuità della legislatura e su una nuova legge elettorale, proporzionale. È necessaria una figura che unisca e ben rappresenti la nazione.

Per gli ambienti finanziari Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi.

Il Parlamento è sovrano e non deve farsi guidare delle banche d’affari. Dopodiché un Paese vincolato a un solo uomo, per quanto capace, è un Paese finito.

Anche lei è stato avvicinato da emissari di Berlusconi?

Da me non è venuto nessuno, parla la mia storia. Immagino che nei prossimi giorni la pressione sui parlamentari salirà. Se è nella legalità, è legittimo.

Vede molti suoi colleghi che tentennano?

Il M5S è compatto. Ma il larghissimo Gruppo Misto sarà determinante: spero che gli ex 5stelle non si mettano all’asta.

Conte e Letta hanno aperto al dialogo con Matteo Salvini. La chiave per un accordo è un nome moderato di centrodestra, come Marcello Pera o Franco Frattini?

Salvini è schiacciato tra l’esigenza di tenere assieme una coalizione divisa quasi su tutto e la volontà di contare al tavolo. Conte ha la legittimazione e la capacità di costruire una candidatura che unisca. Io non pongo vincoli, ma diremo sempre no a candidati “stile Dell’Utri”.

Perché Salvini propone un governo dei leader?

Penso che speri di tornare al Viminale per riguadagnare consenso. Ma certe valutazioni competono a chi gestisce le trattative.

Il Pd e il M5S dovranno muoversi assieme, partendo con un candidato di bandiera?

Nel merito sarà Conte a decidere. Uniti avremo più forza, ma anche il Pd deve mostrarsi compatto: storicamente sono i dem quelli dei franchi tiratori.

Per questo valutate le schede bianche nelle prime tre chiame?

È giusto fare pre-tattica, studiando ogni scenario. Ma da parte del M5S non ci saranno schede bianche

Voi giallorosa vi aggrapperete a Mattarella, altrimenti accetterete Draghi.

Due profili altissimi, ma tirargli la giacchetta fa solo male al Paese. Di profili in valutazione ce ne sono diversi, è presto per fare nomi singoli.

Virginia Raggi aveva proposto le Quirinarie.

Ascoltare i nostri iscritti è determinante: ogni portavoce farà valere le sensibilità dei vari territori.