Da poco in libreria “Lontano dagli occhi”, il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo: la storia di tre donne, nella Roma degli anni 80, alle prese con la maternità. L’autore ne ha parlato per noi con Dacia Maraini.
In questo mio nuovo romanzo, ho scelto come protagoniste tre donne che stanno per diventare madri. Ti confesso che ho avuto parecchi dubbi, e l’ansia di non saper raccontare, da uomo, l’attesa, la gravidanza. Ma era una sfida interessante, no?
DACIA MARAINI: Strano questo tuo interesse per la maternità, in cui sei voluto entrare con tutti e due i piedi, come in una tinozza dove si pigia l’uva, umilmente ma con decisione. I tuoi personaggi – Luciana, Valentina, Cecilia – sono donne molto diverse ma unite da qualcosa che le fa diventare improvvisamente consapevoli e perdute nello stesso tempo, appagate e spaventate, e tu hai raccontato bene questi sentimenti contraddittori che le donne conoscono dal vivo. Ne parla per esempio in maniera esemplare una scrittrice americana che si chiama Adrienne Rich. Una femminista degli anni Settanta, ma che risulta attualissima. La maternità, più di tanti altri fenomeni naturali, è profondamente forgiata e influenzata dalla storia dei valori e dei sentimenti.
PDP: Più volte ti è capitato di ragionare su come, nella storia letteraria, gli scrittori uomini non abbiano “chiesto il permesso” di raccontare le donne. Hanno parlato per loro, molto a lungo…
DM: Alle donne, nella storia, è stata proibita la parola sacra, la parola prestigiosa. La Madonna, infatti, è muta. E alcuni degli scritti più belli delle mistiche sono ancora chiusi nei cassetti dei conventi. Sante sì, ma mai dotate di parola. Le parole sono pietre, come diceva Carlo Levi, e le donne non dovevano avere pietre fra le mani, chissà contro chi le avrebbero gettate. Ricordiamo anche che gli studi superiori sono stati proibiti alle donne per secoli. Famoso il caso di Gaetana Agnesi, talmente brava in matematica che l’università di Bologna le offrì una cattedra. Lei cominciò a insegnare, ma aveva intorno tutti studenti e colleghi maschi. A un certo punto si dimise: scrisse che si sentiva come un fenomeno da baraccone, che venivano a toccarla per vedere se veramente era una donna. Ha piantato tutto in asso e ha aperto una scuola per i figli dei contadini. È chiaro che questi tabù hanno creato nelle donne un senso di inferiorità e un senso di inadeguatezza difficile da vincere. Molte donne sono le prime nemiche di sé stesse.
PDP: Che differenza senti, quando scrivi, nel lavorare sulle psicologie maschili e femminili?
DM: Il penultimo romanzo che ho scritto si chiama La bambina e il sognatore. Per la prima volta ho deciso di raccontare la storia di un giovane maestro, mi sono concentrata su un protagonista maschile. All’inizio avevo paura di sbagliare, ma poi mi ci sono trovata benissimo. Quando ho descritto il momento in cui lui si fa la barba e si taglia colorando la schiuma bianca di rosso, ho sentito il bruciore sulla guancia e ho capito che veramente uomini e donne sono uguali sul piano dei sentimenti e dei sensi. Le differenze, che certamente ci sono, appartengono tutte alla storia e alla cultura.
PDP: Nel tuo libro Corpo felice parli a lungo del bambino che anni fa avevi in grembo e che purtroppo non è mai nato. Scrivere quel libro è stato un modo di pacificarsi con quel dolore? Che madre saresti stata?
DM: Sì, credo che bisogna sempre fare i conti con i nodi che sono rimasti nel nostro inconscio. Prima o poi bisogna sbrogliarli. Il solo modo che conosco per sciogliere un nodo è scriverne. In quanto alla madre che sarei stata, poiché non amo la possessività e la pretesa di intervenire nella vita degli altri, credo che l’avrei educato alla autonomia e alla libertà, con tutti i rischi che questo comporta.
PDP: Raccontando le tre gravidanze mi sono sforzato di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia la fatica, le paure, le difficoltà. Nel discorso pubblico tutto questo è ancora piuttosto trascurato.
DM: Nel tuo romanzo sei riuscito a rendere bene i diversi sentimenti che suscita la maternità. Prova che se si fa lavorare onestamente e generosamente l’immaginazione, si può capire e interpretare l’altro sesso. Sul piano sociale, certo, qualcosa è cambiato, ma poco. Basta guardare alle leggi che accompagnano la maternità e il parto. Il mondo del lavoro è ancora fatto a misura di uomo e spesso le donne si trovano svantaggiate. Pensa agli asili nido, per esempio: sono importantissimi per una donna che lavora, dovrebbero essere presenti in tutte le aziende e dovrebbero essere gratuiti.
PDP: Mi piace molto l’idea che si possa educare un uomo a essere “femminista”, capace di sentire e vivere l’eguaglianza con l’altro sesso. Vai molto nelle scuole, pensi che i ragazzi nati negli anni 2000 possano superare certi schemi?
DM: Io, come tu sai, non credo alla guerra fra i sessi. Donne non si nasce, come diceva giustamente Simone de Beauvoir, lo si diventa. È difficile parlare dei ragazzi di oggi in generale. Quelli più sensibili e attenti, quelli che leggono, si informano, cercano di capire, quelli che sono propensi a identificarsi con l’altro da sé, superano facilmente certe vecchie divisioni dei ruoli. Altri, i più deboli, i più ignoranti, quelli che identificano la propria virilità col comando e il possesso, è chiaro che non sono disponibili ai cambiamenti e tendono a vedere le donne come nemiche: più sono autonome e più le sentono pericolose.