Via il direttore dell’Agenzia delle Entrate. Scontro nel governo, stop al renziano Ruffini

La decisione, assicurano fonti di maggioranza, è presa. E con l’accordo del premier Giuseppe Conte: non sarà confermato il capo dell’Agenzia delle Entrate, nominato solo un anno fa dal governo gialloverde. E in bilico sono pure i capi delle altre agenzie, Demanio e Monopoli.

Ad agosto 2018 il governo Conte 1 sostituì il renziano Ernesto Ruffini con il generale della Finanzia Antonino Maggiore, scelto dai 5Stelle. Come spesso capita al Movimento, però, per scarsa dimestichezza incline a infatuazioni passeggere nelle faccende di sottopotere, il generale ora non va più bene. “È un bravo tecnico, ma ora serve più incisività”, spiegano ai piani alti del ministero dell’Economia. Maggiore ha gestito le rottamazioni e la “pace fiscale” ma, pare, non sia la persona giusta per la lotta all’evasione che deve portare miliardi alla manovra.

Oltre alle competenze, a pesare è pure il ricambio di governo. Al ministero, che vigila sull’Agenzia, siede un nuovo ministro, Roberto Gualtieri del Pd. Per il Tesoro, controllare la macchina fiscale è vitale. Sarà parte del risiko di nomine da discutere la prossima settimana, e che riguarderà un po’ tutto, dalle agenzie alle authority scadute (Privacy e Agcom). Così il governo non riconfermerà Maggiore entro i 90 giorni dal suo insediamento previsti dallo spoil system.

I gialloverdi fecero lo stesso con Ruffini . E, per ironia della sorte, Ruffini è il primo nome che Gualtieri ha portato a Conte due settimane fa. Il tributarista del “fisco amico”, renziano della prima ora, pare sia piaciuto al ministro per alcuni suggerimenti forniti sul decreto fiscale. Il leader di Italia Viva preme da mesi per il suo ritorno e più di tutti conosce l’importanza di controllare uno snodo fondamentale. I dem avevano acconsentito pur di intestargli la nomina e tenerlo lontano da altre. Niente da fare: Conte e M5S hanno fatto muro. Ruffini, peraltro, ha fatto causa (perdendola) al Tesoro per il suo siluramento. La guerra per la spartizione è appena iniziata.

Omissioni su Etruria e Chigi costano il posto al pm Rossi

Roberto Rossi non è più procuratore di Arezzo. La mancata comunicazione al Csm della sua consulenza a Palazzo Chigi anche con il governo Renzi, mentre indagava su banca Etruria, dove nel Cda sedeva Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministra Maria Elena (che a fine 2015 gli era valsa l’apertura di una pratica per incompatiblità ambientale poi archiviata) e le sue omissioni all’organo di autogoverno dei magistrati, hanno portato il nuovo Consiglio a negargli il rinnovo della carica di capo della Procura di Arezzo.

“Ha compromesso almeno sotto il profilo dell’immagine” il necessario requisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti”, si legge nella relazione firmata da Piercamillo Davigo votata ieri in plenum da una larghissima maggioranza: 16 tra togati e laici. Solo quattro i contrari: i tre consiglieri di Unicost capitanati da Marco Mancinetti, relatore di minoranza e il laico di Forza Italia Michele Cerabona. Astenuto il vicepresidente David Ermini.

Rossi, “fortemente deluso” ha annunciato un ricorso al Tar, i pm aretini gli hanno manifestato solidarietà e stima. In un comunicato l’ex procuratore ha definito la decisione “ingiusta, illogica e contraddittoria con la stessa decisione del precedente Csm, che si era espresso per la totale archiviazione di ogni addebito”. Mischia l’archiviazione della pratica di trasferimento per incompatibilità ambientale con il voto di ieri che riguardava, invece, il rinnovo o meno dell’incarico di procuratore dopo i quattro anni canonici (in questo caso cinque, per i vari rimpalli tra Commissione e Plenum). Quel vecchio procedimento, tra l’altro, finì in plenum con un’archiviazione ma anche con un clamoroso ritiro della firma dei relatori Piergiorgio Morosini e Renato Balduzzi, che avevano proposto di inviare il fascicolo alla Commissione che fa, appunto, le valutazioni professionali. Quella richiesta fu cancellata su proposta, vincente, di Luca Palamara appoggiato da Giovanni Canzio, allora presidente della Cassazione.

Il pm se la prende pure con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che aveva negato il concerto rispetto alla proposta che c’era stata di rinnovo dell’incarico: “Che un ministro si esprima circa l’indipendenza e l’imparzialità dei magistrati ritengo sia un fatto che presenti profili di approfondimento di costituzionalità”.

Ieri, il plenum l’ha bocciato perché, in sostanza, con quell’incarico al Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio e “in particolare dopo la trasmissione alla procura di Arezzo della relazione ispettiva della Banca d’Italia del 27 febbraio 2015”, non è apparso un magistrato imparziale. Inoltre, Rossi, non avendo comunicato al Csm il prosieguo della consulenza per Palazzo Chigi, ha tenuto una condotta “non trasparente… In definitiva – prosegue la relazione – la condotta non è stata completamente rispettosa dei principi di imparzialità dei pubblici ufficiali e di indipendenza della magistratura”. Rossi ha pure omesso al Consiglio di aver indagato, più volte, in passato, su Boschi padre “seppure con richiesta di archiviazione… il livello di informazione al Consiglio è deficitario”, scrive Davigo. Si evidenzia, inoltre, che il magistrato si è autoassegnato l’inchiesta su banca Etruria e solo in seguito l’ha co-assegnata ad altri pm.

Rispetto alla consulenza con il governo, non ha neppure fatto “valutazioni di opportunità che devono conformare la condotta di ogni magistrato”, soprattutto il capo di un ufficio. Inoltre, “il riscontro di una pluralità di circostanze non trasparenti mina la credibilità e il prestigio di cui un procuratore deve assolutamente godere, compromettendo in modo decisivo la capacità di continuare a ricoprire il ruolo di dirigente della procura di Arezzo”. Cerabona – unico laico pro Rossi – ha decantato le sue doti di grande organizzatore di un ufficio giudiziario e ha aggiunto che il Consiglio, bocciandolo, stava per creare “un pericoloso precedente”. Al contrario, ha ribattuto Stefano Cavanna, laico della Lega: creiamo “un precedente virtuoso”. Concetto ribadito e articolato dai togati di Area, Giuseppe Cascini e Mario Suriano.

Più carcere per gli evasori: la nuova stretta giallorosa

Sanzioni più elevate, soglie di rilevanza penale più basse, confisca allargata e inasprimento del carcere per reati commessi su cifre superiori ai 100mila euro di imposta evasa. Nel decreto fiscale sono formalmente confluite le norme tributarie invocate dai 5Stelle e oggetto dell’accordo nella maggioranza di governo. Misure che non riguardano solo le pene inasprite – nei casi più gravi si rischiano da 4 a 8 anni – ma anche le soglie penali che erano state innalzate dal governo di Renzi nel 2015. Il pacchetto, collegato alla prossima manovra, non entrerà in vigore subito, ma 15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Ad ogni modo il testo del decreto, approvato formalmente 10 giorni fa, ancora non è stato né chiuso né bollinato dalla Ragioneria. Le obiezioni sarebbero quelle già avanzate nel vertice di maggioranza di lunedì notte sull’inasprimento delle pene per i reati fiscali e sull’uso del Pos per i commercianti. Dubbi che, secondo fonti parlamentari, arriveranno anche al Colle.

La stretta penale contro gli evasori è comunque fissata e per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede rappresenta “una svolta epocale, perché in questo modo i cittadini sapranno che lo Stato fa pagare il dovuto a tutti”. Con le tasse oppure con il carcere. Al momento in cella sono detenute circa 70.000 persone delle quali solo 200 condannate a causa dei guai col Fisco. “Alzando la soglia minima di detenzione – spiega il Guardasigilli – il colpevole non potrà usufruire nella maggior parte dei casi delle misure alternative al carcere”. Inoltre, sottolinea Bonafede, più dell’80% delle somme che sfuggono al fisco sono superiori a 100mila euro, la soglia scelta per la semplice evasione oltre il quale scatta il reato penale, “quindi sarebbe inaccettabile non perseguire questi evasori”. Entrando nel dettaglio, vediamo le novità in base all’ultima bozza del dl.

Frode. Se si commette la dichiarazione fraudolenta mediante fatture e altri documenti falsi è previsto l’innalzamento delle attuali pene da 4 a 8 anni di carcere se l’imposta evasa supera 100.000 euro, mentre vengono mantenute quelle attuali (da un minimo di 1 anno e 6 mesi a un massimo di 6 anni) se l’imposta evasa è inferiore. Stessa stretta per chi emette fatture o documenti per consentire ad altri di commettere frode. Ma le manette non scatteranno nel caso di mancato versamento dell’Iva. “Si fa confusione per generare paura dello Stato che non deve esserci”, sottolinea il ministro Bonafede. Il carcere aumenta anche per la frode “mediante altri artifici” – da un minimo di 3 anni a un massimo 8 anni rispetto all’attuale minimo di un anno e mezzo e a un massimo di 6 anni – che scatta quando l’imposta evasa è superiore a 30.000 euro e la base imponibile sottratta a tassazione è superiore al 5% di quella dichiarata o a 1,5 milioni di euro. Qui c’è un paradosso: nonostante la frode mediante false fattura sia un reato più grave, evadendo fino a 100mila euro con una frode mediante altri artifizi si rischiano più anni di carcere.

Dichiarazione infedele. Nel caso si dichiarino meno redditi percepiti per pagare meno tasse è stato previsto sia l’abbassamento della soglia di punibilità da 150.000 euro a 100.000 euro, sia l’aumento delle pene da un minimo di 2 a un massimo di 5 anni (attualmente si va da 1 a 3 anni).

Omessa dichiarazione. Se, invece, non si presenta affatto la dichiarazione dei redditi scatta l’aumento delle pene da un minimo di 2 a un massimo di 6 anni (attualmente si va da 1 anno e sei mesi a 4 anni), mentre viene lasciata invariata la soglia di punibilità a partire da 50.000 euro.

Per tutti i reati fin qui elencati, dal momento che quest’anno la scadenza per presentare l’integrazione del modello Redditi (l’ex Unico) è il 2 dicembre, anche in caso di approvazione rapidissima della norma, se scatteranno i controlli gli evasori saranno perseguiti con le vecchie regole. Per le manette occorre aspettare la dichiarazione 2020.

Occultamento e omesso versamentoCresce la pena anche per chi occulta o distrugge documenti contabili (si rischia da 3 a 7 anni). E cambia anche la soglia oltre la quale il reato diventa penale per chi non versa le ritenute (da 150mila a 100mila euro) e per gli omessi versamenti Iva (da 250mila a 150mila euro).

Enti-società.Estesa ai reati tributari gravi la confisca per sproporzione al condannato non in grado di dimostrare la provenienza legittima di denaro o beni e la responsabilità amministrativa dell’impresa in base alla legge 231. La confisca potrà colpire anche la società a vantaggio della quale è stato commesso il reato.

“Sono un candidato civico, come Giuseppe. E sui soldi del terremoto ci sarà un garante”

Vincenzo Bianconi, l’imprenditore di Norcia scelto un mese fa da Pd e M5S, tenta il tutto per tutto per respingere l’ondata leghista in Umbria: “Se gli umbri votano con la testa, domenica vinciamo noi; se votano di pancia, vince il centrodestra”. E nonostante molti diano l’ex regione rossa già per persa, lui ostenta una tranquillità che rasenta la rassegnazione: “Sono sereno, abbiamo dato il massimo”.

Lei è la cavia della prima alleanza M5S-Pd: che campagna elettorale è stata?

All’inizio non è stato facile, lo ammetto: la gente era scettica, veniva ai comizi e faceva molte domande. Dopo un po’ ha iniziato ad ascoltare le nostre proposte: ora si sentono garantiti dal nostro progetto.

Com’è stato essere il candidato di due leader fino a ieri nemici?

Pd e M5S hanno avuto l’umiltà di mettersi in discussione aprendosi al mondo civico prima scegliendo il presidente Giuseppe Conte e poi, in Umbria, me. Sono orgoglioso: possiamo essere un modello per altre regioni. Per questo la mia giunta sarà completamente slegata da logiche politiche.

A proposito del premier Conte: è venuto in Umbria due volte in dieci giorni. È una mossa della disperazione?

No, è venuto qui per parlare di economia, le sue visite sono legate al suo incarico. Io e lui condividiamo un’esperienza: siamo due civici, lui avvocato e io imprenditore, che si sono messi a disposizione della politica per il bene dei cittadini.

C’è chi dice che avete chiesto a Renzi di non farsi vedere per non perdere voti.

Ci siamo sentiti e in più occasioni mi ha sostenuto pubblicamente. Non so perché non sia venuto, immagino abbia avuto altri impegni.

Lei nei suoi comizi non fa mai il nome di Salvini: ricorda il Veltroni che nel 2008 chiamava Berlusconi “il principale esponente dello schieramento avverso”. Perché?

Non lo nomino mai perché non è il soggetto al centro del confronto elettorale: siamo qui per fare il bene dell’Umbria. Lui invece quando viene parla di cose che non hanno nulla a che fare con la nostra regione e io non voglio spendere un secondo per attaccare una persona che sta strumentalizzando un’elezione locale per fini politici nazionali. Lo trovo vergognoso.

Molti la accusano di essere vicino al centrodestra.

Sono un uomo libero che ha sempre votato per le persone: alle ultime elezioni a Norcia ho sostenuto il candidato di centrodestra, ma nelle precedenti due avevo votato centrosinistra.

Dica qualcosa di sinistra.

In questi mesi ne ho dette tante, un esempio: l’Umbria dovrà spendere due miliardi che arriveranno dall’Ue, se sarò eletto li impiegherò per rimettere al centro il lavoro.

Il suo vice Andrea Fora ha detto che chi vota Salvini non può dirsi cristiano. Condivide?

I valori degli umbri sono l’inclusione e la solidarietà. Se dall’altra parte propongono valori diversi da quelli del Vangelo, un cattolico dovrebbe porsi una domanda: se voto loro, sono coerente tra quello che predico e quello che faccio? Io credo di no.

Secondo un’inchiesta giornalistica lei è stato l’unico a prendere i fondi per la ricostruzione post-sisma.

È una menzogna, la macchina del fango contro di me: su 19 aziende che hanno fatto domanda, in 11 hanno ottenuto i contributi. Se qualcuno pensa che ci sia qualcosa di illecito, vada in Procura. Se vincerò le elezioni comunque non deciderò io sui fondi per la ricostruzione: istituiremo un garante per il terremoto.

Se sarà eletto, che farà delle sue aziende?

Mi metterò in aspettativa e passerò le proprietà a mio padre o a mio fratello.

Come Berlusconi?

Non c’è scritto da nessuna parte che un imprenditore non possa fare politica: c’è chi ha fatto anche il premier, appunto. Finché non approvano una legge per proibirlo, continuerò a fare legittimamente l’imprenditore.

Conte se la prende comoda: “Due anni per vedere i risultati”

Ese venisse a piovere di brutto sul governo? Se questa fragilissima alleanza collassasse all’improvviso? Giuseppe Conte ha una exit strategy? “Sono abituato a tenere d’occhio il presente, a impegnarmi sulle cose che devo fare oggi. Non preparo il domani né ci penso. Ora il mio dovere è dare il meglio”. Quanto tempo servirebbe per far provare agli italiani la bontà della sua cucina? “Due anni, penso”. E per divenire leader? “La leadership non si pianifica, non si preconizza, non si ipoteca. Si costruisce con un pensiero, con le idee, con una direzione di marcia. Cioè con i fatti”.

Mondo cachemire di Brunello Cucinelli. Isola incantata di Solomeo, quindici minuti da Perugia, dove fabbrica i maglioni extra-lusso e pianifica la palingenesi nel segno spiritualista della bontà come esigenza, della fiducia come condizione della ricchezza: “Sono l’artigiano di strada, pezzo per pezzo costruisco l’armonia”.

In Umbria c’è un andirivieni di potenti che sembra la stazione Termini all’ora di punta. Domenica si vota e non c’è borgo che non sia stato visitato, compulsato, occupato. “Sembra una giostra” dice elettrizzato un vecchietto del paese, che annota con felicità: “Non s’era mai visto tutto questo casino”.

Merito di Salvini che dà sale a ogni giornata. È da mesi accampato tra le vallate umbre e aspetta dopodomani di intascare il premio fedeltà. Il centrodestra è infatti strafavorito.

Salvini è un toccasana per i cronisti. Lo evochi e Conte si trasforma. “Ora mi arrabbio veramente”. Impeccabile nel bel taglio dell’abito blu tardo estivo, Giuseppe Conte avverte gli astanti che sta per incattivirsi, ma sarà una breve parentesi. Il presidente del Consiglio sgancia una granata contro il leghista: “Miserabile”. È insieme giudizio e accusa, avvertimento e diagnosi definitiva. Gli dicono i giornalisti che il leader leghista sta inzuppando il suo biscotto elettorale nella vicenda criminale odierna: l’assassinio a sangue freddo di un ragazzo che difendeva la propria fidanzata da due rapinatori. Fatto accaduto a Roma, cioè in casa di Virginia Raggi. Conte lo fredda: “È da miserabili speculare”.

I bossoli giungono qui a Solomeo mentre il premier sta per incamminarsi nei corridoi di questa fabbrica del bello, ed è certo che tra il cachemire di Cucinelli e i mercati rionali e le piazze dove sta strusciandosi il leader leghista, c’è la esatta distanza tra i due, e anche in qualche modo la plastica evidenza che l’élite sta di qua, il popolo di là.

Domenica vedremo. Vedremo quando il battaglione di rinforzo dell’esercito del centrosinistra, assai scombussolato e disunito nelle settimane scorse, valuterà la performance del suo candidato. L’industriale alberghiero Vincenzo Bianconi, da Norcia, che ha un profilo personale e anche una attitudine elettorale di tutto rispetto. Ma parte, rispetto alla concorrente, la senatrice, già sindaca di Montefalco Donatella Tesei, molto svantaggiato. Conta la crisi del governo del Pd, che per un cinquantennio ha tenuto in regione e poi è franato, pesa anche la cattiva condizione degli alleati, che solo nell’ultima data possibile si presenteranno quasi uniti a far da spalla al loro candidato.

E Conte? Ecco, lui è l’altrove. Riesce a essere dentro la campagna elettorale e anche a starne fuori. “Se avessi voluto avrei pianificato una presenza palmo a palmo. Ma sono in Umbria adesso, sono stato prima di oggi, ci sarò dopo domenica. Le elezioni sono importanti ma non possono dimostrare nulla al governo. Parlare di test è fuori luogo”. Parla invece della manovra economica ai duecento imprenditori che Cucinelli gli ha messo intorno nel bellissimo teatro personale che ha edificato in paese. Tranquillizza sulle manette: “Sarà una lotta garbata sull’evasione fiscale”. Garbata, serena anche se ferma. Illustra il meglio che ha fatto: “Con le risorse che avevamo, raschiando il fondo del barile abbiamo dato risposte a tanti bisogni e invertito la rotta”. Nel ruolo di presidente gioviale e alla mano agguanta una plurimamma: “Che bello, baby boom? Ne abbiamo bisogno”, sorride e subito cinguetta con il compagno comunista che lo scuote: “Attento a quello che vuole fare il fenomeno!”. È Matteo Renzi, che ha rifiutato la foto di gruppo in Umbria, in programma stamane a Narni, ed è sparito dai radar, impegnato com’è nella campagna acquisti in Parlamento. È una delle più pubblicizzate operazioni trasformistiche che la stampa stranamente segue, diversamente dall’atteggiamento che tenne ai tempo delle compravendite berlusconiane, con occhio compassionevole.

Conte non sente, non sa e non vede. Bisognerebbe, presidente, che lei approfondisse il principio di lealtà. “Approfondisca lei”, risponde con un sorriso.

E allora viva Cucinelli, “bellissimo il suo lavoro, la sua armonia con il Creato”.

L’ultima spiaggia giallorosa. Tutti insieme in Umbria

La prima volta della coalizione più o meno di centrosinistra su uno stesso palco: e dove manca l’entusiasmo ha potuto la ragione di governo, o di buon vicinato. Perché Luigi Di Maio, quello che nelle urne dell’Umbria rischia più di tutti, ha voluto che oggi tutti “ci mettessero la faccia”. E infatti l’unico che ha detto no è il presunto alleato Matteo Renzi. Invece questa mattina a Narni, meno di 20 mila anime vicino Terni, ci saranno gli altri, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il ministro della Salute Roberto Speranza (Leu).

Tutti assieme a sostenere il candidato alle Regionali umbre, Vincenzo Bianconi. Anche se il “civico” che cerca il miracolo contro il centrodestra favorito non parlerà dal palco dell’Auditorium San Domenico. E anche se nella “conferenza stampa” si tratterà quasi esclusivamente della manovra. Stando alla scaletta, spazio e parola andranno solo ai volti nazionali. Una selva di paradossi alimentata involontariamente anche da Conte, che ieri lo ha ripetuto proprio lì, in Umbria: “Quello di domenica non sarà un test nazionale”. Eppure tutto il governo sarà a Narni a raccontare l’abolizione del superticket e come verrà fermato l’aumento dell’Iva. Una foto che gli addetti ai social di Matteo Salvini non vedono l’ora di scattare, pronti a diffonderla ovunque in caso di vittoria del centrodestra. E non è un’opzione remota, a sentire le voci sugli ultimi sondaggi.

Però non si poteva fare diversamente, giurano dai quartieri generali di Pd e Movimento. Serve una prova visiva, fisica, di esistenza della coalizione, “e poi in caso di sconfitta Salvini ci sparerà addosso comunque”. Ma c’è anche e forse soprattutto altro. C’è la rabbia gelida di Di Maio, l’ideatore di un evento immaginato due o tre giorni fa. “Ci pensavamo da giorni anche noi” assicurano i dem. Ma la spinta principale arriva dal ministro dei 5Stelle, convinto di aver versato molto, troppo più sangue degli altri per la partita umbra. Per dare il via all’accordo con i dem ha dovuto cambiare in corsa una regola che lui stesso aveva fatto approvare in luglio, quella che apriva ad alleanze tra M5S e liste civiche sui territori. E a ingoiare i malumori di tanti grillini, pronti a rinfacciargli il passo. “Ma il tema è che Luigi è stato di continuo in Umbria per eventi e comizi” rivendicano i suoi. Così adesso vuole un ultimo atto con tutti i giallorossi prima del voto di domenica. “Si vince e si perde tutti assieme” ha detto più volte Di Maio ai suoi nelle ultime ore.

Quindi ecco le telefonate ai leader, con Zingaretti che è stato subito il più disponibile. Il contrario di Renzi, che ha rifiutato l’invito arrivato dallo staff del capo politico. “Non ci siamo perché non siamo candidati ma voteremo per Bianconi” promette Luciano Nobili di Italia Viva. Ci sarà invece Speranza di Leu: non proprio convinto, raccontano fonti di governo (“Ha chiesto se fosse il caso”). E soprattutto apparirà il premier Conte: il vero, principale obiettivo del pressing del M5S. Ci è voluto il pomeriggio inoltrato, per avere la certezza della sua presenza. Un imperativo, per Di Maio e i suoi, che con il presidente hanno siglato una tregua. Ma il clima reciproco è quello che è, se un maggiorente vicino al ministro sibila sul premier “che ormai ha solo occhi per il Pd, perché in testa ha un nuovo Ulivo”. Nell’attesa che prenda forma, dal M5S filtra un aneddoto: “Conte disse a noi e ai dem che serviva un candidato civico in Umbria, così lui avrebbe potuto sostenerlo in campagna elettorale”.

Il civico, Bianconi, è arrivato. E Conte un po’ di campagna elettorale l’ha fatta, per esempio sabato scorso a Perugia. Ma dai 5Stelle fanno capire che si sarebbero aspettati qualcosa in più. Però ormai è tardi. Bisogna comunque insistere sull’alleanza, “fare almeno un evento condiviso” dicono in sostanza sia da Pd che da M5S. Insomma, portare avanti l’esperimento, nella regione dove per la prima volta i due simboli sono finiti uno accanto all’altro in un manifesto elettorale. Ma nelle urne sarà catastrofe? Tira brutta aria, però c’è una speranza, il largo fronte degli indecisi e degli svogliati.

Per esempio dal Pd sostengono che, in un recente sondaggio, solo il 47 per cento degli interpellati ha risposto con un’indicazione di voto. Dagli altri, nulla. Ed è in quella nebulosa di niente che il centrosinistra deve sperare. Tanto più che le elezioni a livello locale “si decidono sempre nelle ultime 48-72 ore”. E allora, ecco una conferenza tutti assieme, per parlare di manovra.

Squadra che perde

Da quando il procuratore Giuseppe Pignatone ha raggiunto la meritata pensione, non si fa che invocare per la Procura di Roma la massima “continuità” con la sua mirabolante gestione, dipinta come una marcia trionfale da un successo all’altro. Tant’è che Marcello Viola, il successore più votato dal Csm, è stato impallinato da una campagna mediatico-giudiziaria sullo scandalo Palamara (capo di Unicost, che aveva votato un altro) per annullare la votazione, troppo “discontinua” per essere valida. Così ora è favorito Michele Prestipino, l’aggiunto prediletto di Pignatone. Noi ci siamo sempre domandati quali sarebbero gli strepitosi successi di Pignatone. Virginia Raggi, indagata dozzine di volte e sempre archiviata, finisce imputata per falso: purtroppo viene assolta. E vabbè, dài, capita. Paola Muraro viene indagata per 15 anni di consulenze all’Ama appena diventa assessore della Raggi. Il tempo di dimettersi e viene archiviata. E vabbè, dài, capita. Arrestato per corruzione Marcello De Vito, presidente 5S del Campidoglio: poi, dopo quattro mesi, la Cassazione dice che erano “solo congetture”.

De Benedetti chiama il broker Bolengo per ordinargli di investire nelle banche popolari, perché il premier Renzi gli ha confidato che sta per varare un decreto che ne farà volare le azioni: la Procura non indaga né Renzi né De Benedetti, ma solo il povero Bolengo, poi chiede di archiviare anche lui. Il gip lo manda a giudizio e ordina nuove indagini sull’ex premier e l’Ingegnere. E vabbè, dài, capita. La Procura di Napoli scopre che Alfredo Romeo, interessato ai mega-appalti Consip, incontra Tiziano Renzi e più spesso il fido Carlo Russo, a cui promette soldi per entrambi, poi tutto si blocca per fughe di notizie dal Giglio magico. Roma eredita il fascicolo e chiede di archiviare Tiziano e Romeo e processare Russo come millantatore e il capitano Scafarto come falsario. I gip invece prosciolgono Scafarto e rifiutano di archiviare Tiziano e Romeo. E vabbè, dài, capita. I giornaloni inventano un mega-complotto putinian-grillesco a colpi di tweet russi per far fuori Mattarella: la Procura mobilita l’Antiterrorismo, poi tutto finisce in fumo. E vabbè, dài, capita. Tanto c’è sempre Mafia Capitale, orgoglio e vanto di Pignatone&C: quelli che la lotta alla mafia sanno farla davvero. Purtroppo la Cassazione, come già la Corte d’assise, cancella la mafia. Ora Pignatone presiede il tribunale del Vaticano (auguri). Resta Prestipino, che giura: “La mafia a Roma esiste”. Certo, solo che non era quella lì. Noi restiamo curiosi: dov’è scritto che squadra che perde non si cambia? E continuità per continuare cosa?

In Calabria suona tutta un’altra musica

Con la cultura non si mangia: lo disse l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ma lo replicò, sconsigliando ai giovani del Wisconsin lo studio di storia dell’arte, anche l’ex presidente Usa Barak Obama. L’ennesima smentita a questo luogo comune giunge ora da un minuscolo paesino dell’entroterra calabro, Nocera Terinese, una realtà di appena 4.800 anime che ha saputo, proprio grazie alla cultura, reagire allo spopolamento e alla crisi. Circa 150 sono infatti i giovani musicisti provenienti da varie parti del sud Italia che, grazie all’Istituto Superiore di Studi Musicali Tchaikovsky – il giovane conservatorio sorto a Nocera nel 2001 e diretto dal Maestro Filippo Arlia –, hanno preso casa e vivono dunque stabilmente nel paesino collinare calabrese, con evidenti ricadute in positivo per l’economia locale: “Abbiamo iniziato tra mille diffidenze e difficoltà – afferma Arlia – perché a Nocera non c’è un autobus, se non quello di linea per le scuole, e nemmeno una fermata del treno, quindi hai due possibilità: la macchina o l’elicottero!”.

Agli studenti si aggiungono poi le decine e decine di docenti che, venendo da fuori, movimentano, tra B&B, punti di ristoro e quant’altro, l’economia locale, in un processo virtuoso che non si vuole limitare al territorio comunale: “Abbiamo dedicato – afferma sempre Arlia – 500.000 euro all’attività di produzione: quando hanno finito il loro percorso di studio i nostri ragazzi vengono inseriti nell’Orchestra Filarmonica della Calabria, con la quale, oltre a suonare in tournée internazionali, animano le stagioni del Teatro Politeama di Catanzaro”. Giunta alla sua seconda edizione, la stagione sinfonica del Politeama si connota per una certa elasticità dei contenuti, spaziando tra musica classica e repertorio popolare: “Spesso mi hanno chiesto come abbiamo fatto a raggiungere una quota di ottocento studenti a Nocera Terinese, e la risposta è semplice: attivando, tra gli altri, sette diplomi con un indirizzo popolare. Chitarra battente, zampogna, organetto, lira calabrese, ecc. Noi abbiamo una tradizione millenaria su questi strumenti, perché non valorizzarla? Il nostro sarà il primo diploma di lira calabrese in Italia”.

Nonostante le mille difficoltà di una regione particolarmente problematica, una realtà come il Conservatorio Tchaikovsky è riuscita a portare in paese studenti da Brasile, Germania, Cina e Corea: coreana è infatti una giovane studentessa di fisarmonica così come tunisino è il giovane pianista che, non vedendosi rinnovata la borsa di studio, rischia di dover rimpatriare.

Alla guida dell’Orchestra Filarmonica della Calabria, da lui fondata e diretta, la mission di Filippo Arlia è dunque quella di portare in giro per l’Italia e il mondo l’immagine di un’altra Calabria, quella che della cultura riesce a fare un sistema di crescita virtuosa.

Raffaella Carrà riparte da Zero

Il caschetto biondo più iconico del piccolo schermo torna in prima serata su Rai 3.

Raffaella Carrà, nelle inedite e sorprendenti vesti di intervistatrice, sarà da stasera alle 21.20 al timone della seconda edizione del suo A raccontare comincia tu, ciclo di interviste speciali – stavolta quattro – a grandi personaggi dello spettacolo ispirato al format spagnolo Mi casa es la tuya.

Toccherà all’istrionico Renato Zero, caro amico della Carrà reduce dalla pubblicazione del nuovo album “Zero il Folle”, gettare per primo la “maschera” e inaugurare la nuova sessione del programma che nella scorsa fortunata edizione – trasmessa su Rai 3 dal 4 aprile al 9 maggio 2019 per un totale di 6 puntate – ha visto coinvolti Sophia Loren, Rosario Fiorello, Maria De Filippi, Paolo Sorrentino, Riccardo Muti e Leonardo Bonucci.

Altra protagonista sarà Loretta Goggi, regina dell’arte dell’imitazione e strepitosa interprete, che racconterà la sua storia di successo e il dolore per la perdita del marito Gianni Brezza.

Sarà poi il turno dell’incontenibile Vittorio Sgarbi, tra amore per l’arte – quella autentica dei grandi pittori delle epoche passate – e passione politica. A chiudere in bellezza la chiacchierata con l’esplosiva Luciana Littizzetto, irriverente e autoironica show-woman di Che tempo che fa .

Tra ricordi comuni, momenti magici e da dimenticare, profondi scorci sul panorama privato dei personaggi, lo scopo principale del talk-show è regalare al pubblico aspetti inediti degli intervistati.

Prodotto da Rai 3 in collaborazione con Ballandi Arts, A raccontare comincia tu è curato dalla conduttrice, da Sergio Iapino e Giovanni Benincasa.

Il “Faust” di Goethe parla la lingua dei versetti coranici

Da oggi in libreria “Sotto il suo passo nascono i fiori. Goethe e l’Islam” di Francesca Bocca-Aldaqre e Pietrangelo Buttafuoco, di cui anticipiamo uno stralcio.

Dei personaggi creati da Goethe è certamente Faust il più improbabile degli ammessi in Paradiso; ai più sembra un controsenso che, avendo Mefistofele vinto la scommessa, Faust venga condotto in Paradiso, mentre altri si ostinano a rileggere l’opera come una “battaglia dei vizi e delle virtudi”.

L’osservazione più vicina al vero è forse di Pietro Citati: “All’interno di ogni uomo sta una ‘fonte’ purissima, che nessuno riuscirà a intorbidare,” in altre parole una natura originaria istintivamente buona, proponendo che sia questa la chiave che spiega la salvezza di Faust che “continua a rivendicare la propria affinità con il creatore dell’Universo”. Pur di fronte all’immensità del proprio peccato egli non abbandona mai il sogno di “ritrovare in sé un’armonica corrispondenza con la natura universale”.

Quest’insolita teologia, criticata dallo stesso Citati poiché incompatibile con la dottrina cattolica, è invece profondamente islamica: Dio ha connaturato all’uomo una tensione che lo spinge a Lui, ed è la fedeltà a questo anelito a salvarlo. Uno specifico versetto coranico, noto a Goethe, è la chiave di questo problema: “Rivolgi il tuo volto alla religione come puro monoteista (hanif), natura originaria (fitra) che Dio ha connaturato agli uomini. Ecco la vera religione, ma la maggior parte degli uomini non sa”. Faust potrebbe definirsi un hanif in virtù della sua impossibilità di appagarsi nei piaceri che Mefistofele gli propone; questa sincerità è attribuibile alla fitra che lo guida, che – altro tema carissimo a Goethe – costituisce la continuità primigenia tra uomo e Natura.

Goethe rivela quest’intima convinzione nella raccolta Dio, Sentimento e Mondo: “Vago oltre, nella fiorita distesa/ della natura originaria,/ amena fonte in cui m’immergo/ è Tradizione, è Grazia”. Non si esauriscono nella teologia della salvezza le influenze islamiche in Faust: non si trovano solo somiglianze di forma, ma anche di contenuto con il testo coranico. L’esempio più limpido è questo dialogo:

“Mefistofele: ‘Cosa scommettete? Anche quello perderete, se mi permettete di condurlo, poco alla volta, sul mio sentiero!’.

Il Signore: ‘Finché egli vivrà sulla terra, non ti sia ciò proibito: l’uomo è soggetto a errare sin tanto che lotta e anela’”.

È impressionante la somiglianza con la conversazione coranica, quando Shaytan, ovvero Satana, chiede una tregua temporanea per portare alla perdizione i figli di Adamo, e Dio gliela accorda.

La figura di Mefistofele è intrisa di riferimenti coranici, partendo dagli appellativi che Goethe gli affibbia, alle caratteristiche con cui si palesa; nel suo primo manifestarsi, infatti, Faust lo chiama semplicemente “o Mentitore”, nome che tutt’oggi, nelle terre musulmane, è sufficiente per identificare il Demonio; Mefistofele stesso si descrive affermando: “Sono lo spirito che sempre nega!”.

Il negare, nel lessico coranico kufr, è la caratteristica di estrema miscredenza che si adempie nel rifiuto. È il Menzognero, padre della menzogna del Vangelo di Giovanni.

Non solo gli appellativi, ma anche le azioni di Mefistofele sono simili a quelle di Shaitan: Goethe rimase tutta la vita legato alla sura degli Uomini, nella quale il credente cerca rifugio in Dio “contro il male del sussurratore furtivo, che suggerisce il male nei cuori degli uomini”; non è quindi un caso che Mefistofele affermi: “L’arte oratoria del diavolo consiste nel suggerire.” Il suggerimento sussurrato (waswas) è capacità satanica, ed è nota l’invocazione (du’a) coranica.

Traspare la matrice coranica anche nel dialogo tra Faust e Margherita; lei desidera essere rassicurata della fede di lui prima di concedersi…

“L’unico tema, e il solo profondo e importante, rimane il conflitto tra fede e miscredenza. Tutte le epoche nelle quali è prevalsa la fede, qualunque fosse”, scrive Goethe nelle Note al Divan, “sono luminose, edificanti e feconde. All’opposto, tutte le epoche nelle quali è la miscredenza a prevalere, anche se per qualche istante brillano di falso splendore, sono poi tralasciate dalla posterità, poiché nessuno ama affaticarsi per la conoscenza di questioni vane”.