Nove, la fabbrica della Petrini che demolisce le fake news

Domani alle 23:30 sul Nove di Discovery arriva FAKE – La fabbrica delle notizie, il primo programma tv dedicato interamente alle fake news, al fact-checking e al debunking. Per la conduttrice Valentina Petrini “oggi più che mai è fondamentale rispondere a muso duro a chi vuole minare la credibilità dei giornalisti perché ci teme. L’informazione è nemica dei sistemi di potere”. La “regola” delle 8 puntate previste sarà “partire dai fatti di attualità in cui si è insinuata una narrazione fake o da un grande tema che scorporeremo per il fact checking, l’anima del nostro programma. La verifica è fondamentale per spiegare perché una cosa detta e diventata virale è falsa”. La squadra di FAKE è composta da esperti cacciatori di bufale e dall’hacker e professore di Corporate Reputation e Storytelling Matteo Flora, che racconterà i trend delle conversazioni sui social dimostrando come il traffico segua l’andamento della cronaca.

In ogni puntata saranno presenti due “narratori”: “Nella prima avremo in studio Enrico Mentana e Nina Palmieri – anticipa la Petrini – per mescolare i registri narrativi” e la domanda d’esordio sarà “Le bufale portano voti?”. “L’esigenza di parlare di fake news – continua – nasce dal fatto che le bufale, che corrono molto più veloci delle smentite, creano disorientamento negli elettori. Da uno studio dell’Università di Oxford emerge che l’Italia rientra per la prima volta nell’elenco di 70 Paesi in cui è stata censita l’attività di gruppi social. Un dato insieme curioso e inquietante”. “Certo, la battaglia è ardua – ammette la conduttrice –, sarà difficile cambiare lo stato delle cose. Ma così come la propaganda agisce sui bias cognitivi, noi unendo le forze dobbiamo agire e moltiplicare i contenuti anti-fake, nella speranza che il metodo faccia scuola”.

Milano si allaga. Alluvione in Liguria

Oltre venti ore di pioggia continua hanno messo in ginocchio Milano, poi Genova e il Basso Piemonte. La circolazione ferroviaria è stata sospesa tra Cassano e Arquata Scrivia/Novi Ligure, sulle linee Genova-Milano e Genova-Torino, e tra Rossiglione e Ovada, sulla linea Genova-Ovada.

Le precipitazioni nel capoluogo lombardo sono iniziate nella notte di domenica e sono proseguite fino a ieri sera. Disagi ovunque. Traffico in tilt, metro bloccate, scuole chiuse. I fiumi Lambro e Seveso sotto un continuo controllo. Diverse strade del centro come via Solari sono rimaste allagate per ore come anche diversi sottopassaggi. Cinque scuole dell’infanzia sono rimaste chiuse perché allagate. “Stiamo indagando le cause delle singole situazioni, tenendo conto che in caso di piogge intense come quelle di questa notte, con volumi d’acqua importanti in tempi ristretti, può succedere che le gronde e i pluviali non riescano a far defluire correttamente tutta l’acqua – ha commentato l’assessore all’Educazione con delega all’Edilizia scolastica Laura Galimberti”.

Dopo una breve tregua nel pomeriggio, la pioggia è tornata a cadere, tanto che l’allerta arancione già diramata domenica è stata prolungata fino alle prime ore di oggi. Diversi gli alberi caduti anche a causa del forte vento. La Lega attacca: “In quella Milano che vuole fare invidia alle capitali europee, la situazione non è diversa dalla Roma della Raggi se le metropolitane vanno in tilt per il temporale”, ha detto Alessandro Morelli, capogruppo al Comune di Milano e parlamentare.

Disagi anche in Liguria. Diverse le scuole chiuse, molte le strade allagate. In serata l’emergenza si è spostata nella provincia di Alessandria. Molti piccoli Comuni soprattutto della Val di Scrivia sono stati invasi dal fango. In poche ore sono caduti oltre 30 centimetri di pioggia. A Tortona chiusi alcuni sottopassi; un’ulteriore frana si è registrata sulla provinciale 199 tra Roccagrimalda e Carpeneto mentre è stata riaperta la 185 tra Predosa e Ov. A Spinetta Marengo la piena del fiume Lovassina ha creato diversi danni alle abitazioni, soprattutto ai piani interrati. Per questo dal pomeriggio la Protezione civile sta monitorando i fiumi Tanaro e Bormida. Inoltre in serata è stata chiuso il casello dell’autostrada A7 a Serravalle Scrivia.

Per diverso tempo i treni sulla linea Milano-Genova sono rimasti bloccati per le forti piogge. Tre convogli sono rimasti fermi a Ovada, Rossiglione e a Campo Ligure, e Trenitalia sta inviando pullman sostitutivi per raccogliere i passeggeri. Il torrente Nerone è esondato nei pressi del comune di Gavi. Chiuso il fiume Lemme, esondato nel comune di Fracomalto. Inoltre un’auto con a bordo un sessantenne è stata travolta dal fango. L’uomo è comunque riuscito a mettersi in salvo.

L’ergastolo “ostativo” alla prova della Consulta

L’ergastolo “ostativo” che nega benefici come i permessi premio, specialmente per mafiosi e terroristi che non hanno voluto collaborare con la giustizia, viola o no la Costituzione?

È la domanda a cui dovranno rispondere, in sostanza, i giudici della Corte costituzionale che oggi, in udienza pubblica, affronteranno questo tema lacerante e divisivo. È un’udienza che cade dopo la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha respinto, appena l’8 ottobre scorso, il ricorso del governo italiano, con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, contro “l’invito” della stessa Cedu a modificare questo “divieto inumano”. La prima pronuncia della Cedu, contro la quale si è schierato il governo italiano, è del giugno scorso, quando ha accolto il ricorso del boss ergastolano Viola.

Dunque, è normale che ci si chieda se questo giudizio di Strasburgo peserà sulla Consulta presieduta da Giorgio Lattanzi, alto giudice della Cassazione, giurista noto per le sue posizioni sul carcere e l’importanza della finalità rieducativa della pena. Non è un caso che la Corte costituzionale con la sua presidenza abbia deciso di andare nelle carceri per parlare della nostra Carta ai detenuti.

È innanzitutto per un’ordinanza della Cassazione del dicembre 2018 che la Consulta si dovrà pronunciare. Nicolò Zanon il giudice relatore, nominato dal presidente Napolitano nel 2014. A difendere la legge e a sostenere che non viola alcun principio della Costituzione, neppure quello del fine rieducativo della pena, dato che l’obbligo della collaborazione della giustizia per avere benefici è dovuto a peculiari pericolosità di realtà criminali italiane, ci saranno gli avvocati dello Stato Marco Corsini e Maurizio Greco, i quali contesteranno anche la sentenza della Cedu.

L’ordinanza della Cassazione finita in Corte riguarda l’ergastolano Sebastiano Cannizzaro, condannato per omicidio e occultamento di cadavere con l’aggravante del metodo mafioso. Il suo avvocato, Valerio Vianello, ha fatto ricorso in Cassazione contro il Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila che ha negato un permesso premio, dato che Cannizzaro non ha collaborato con la giustizia. È la condizione obbligatoria, come dimostrazione tangibile di aver reciso il legame con la criminalità organizzata di cui un ergastolano ha fatto parte o ha sostenuto. Ma secondo la difesa, il 4 bis dell’ordinamento penitenziario violerebbe la Costituzione. Una questione che la Cassazione ha ritenuto fondata e girato alla Consulta. Poiché per ottenere dei benefici è obbligatoria la collaborazione, la disciplina sarebbe “in contrasto con la finalità rieducativa della pena, non tenendo conto della diversità strutturale, rispetto alle misure alternative, del permesso premio che è volto ad agevolare il reinserimento sociale del condannato attraverso contatti episodici con l’ambiente esterno”. Sarebbe pure “irragionevole” perché “assimilerebbe condotte delittuose diverse tra loro, equiparando gli affiliati all’associazione mafiosa agli estranei responsabili soltanto di delitti comuni, aggravati dal metodo mafioso o dall’agevolazione mafiosa”.

In udienza pubblica, oggi, si discuterà anche di un’altra ordinanza, del maggio scorso, analoga a quella della Cassazione. È del Tribunale di Sorveglianza di Perugia che aveva ricevuto la richiesta di un permesso premio per l’ergastolano Pietro Pavone, anche lui condannato per reati connessi al 416 bis. Per i giudici umbri, legare la collaborazione con la giustizia alla prova del venir meno della pericolosità sociale del condannato impedirebbe alla magistratura di valutare nel concreto l’evoluzione personale dell’ergastolano, “vanificando la finalità rieducativa della pena”.

Non si sa ancora se la sentenza arriverà oggi stesso.

Russiagate all’italiana: troppo fiction per non finire in tv

Probabilmente il giornale che ha inquadrato meglio il ‘Russiagate 2 la Vendetta’ (come abbiamo battezzato il polpettone di professori e spie che un giorno sembrano filo-russi e l’altro filo-americani comunque sempre accompagnati da belle donne che fanno le stiliste) non aiutano tanto i rapporti dell’FBI o le veline dei nostri servizi. Il giornale che ha offerto una chiave sensata per interpretare il ciclone mediatico che a breve si abbatterà sulla politica italiana con l’audizione davanti al Copasir di Giuseppe Conte è il The Spectator.

Il settimanale conservatore britannico in un pezzo dedicato alla coppia George Papadopoulos-Simona Mangiante ha scritto: “Dimentica i Kardashian, il prossimo grande nome in TV saranno i Papadopouloses, George e Simona”.

Effettivamente la coppia formata dal 32enne collaboratore della prima campagna elettorale di Donald Trump (condannato per aver mentito all’ex direttore del FBI Robert Mueller sui suoi rapporti con il professore maltese Joseph Mifsud durante le investigazioni sul Russia-Gate nel 2016) e dalla sua compagna di 39 anni, sembra scritta da uno sceneggiatore molto bravo.

Nell’articolo il settimanale britannico sostiene che è in arrivo un reality sulla coppia e racconta anche che Simona Mangiante, avvocatessa di Caserta, iscritta all’albo di Napoli dal 2010, avrebbe già ottenuto in passato una parte in un film “Affairs on Capri”. Un trailer della pellicola, alla cui lavorazione avrebbero prestato il loro volto anche alcuni familiari della ex collaboratrice del Parlamento Europeo, gira sul web. L’amica di famiglia dell’ex presidente del gruppo socialista all’europarlamento Gianni Pittella interpreta qui la parte di Brigitte Bardot. Il film è diretto da Paul Wiffen, già a a capo del partito filo-Brexit UKIP a Londra. Nel 2010 Wiffen era candidato e fu costretto ad auto-sospendersi per un post razzista su rom, neri e islamici. Sul punto The Spectator sorvola ma annota con un pizzico di humour inglese che la sua bio (“collaboratore di Russia Today, feroce oppositore di George Soros, una volta aveva partecipato a una festa con Anna Chapman, l’ex agente dell’intelligence russa che divenne famosa sui media”) non aiuterà a smorzare le teorie complottistiche che vorrebbero la coppia Papadopoulos-Mangiante legata al Cremlino.

A prescindere dai legami filo-russi o filo-americani, quello che è interessante del ‘Russia-Gate 2’ è la sua natura di scandalo ‘mediaticamente perfetto’ almeno per il pubblico della destra, americana e non solo.

Mentre i grandi quotidiani mainstream – New York Times e Washington Post – ignorano bellamente le puntate del caso, le testate minori come il Washington Examiner o il Washington Times rilanciano sul web ogni aggiornamento sul tentativo del presidente di far passare l’investigazione dell’ex direttore del FBI Mueller come una campagna voluta da Obama e realizzata con lo zampino delle intelligence occidentali.

Come resistere d’altronde al fascino di una storia simile. Se davvero, come dice The Spectator, un produttore avesse già finito di girare le scene di un reality sulla coppia Papadopoulos-Mangiante, a Los Angeles, sarebbe un peccato.

Basta scorrere il profilo Twitter dei due coniugi per immaginare altre puntate possibili. Tre giorni fa i nostri erano a un party musicale a Bel Air e lei postava felice: “Grazie a Pascal Vicedomini per l’invito a un evento esclusivo con Snoop Dogg che canta” e giù il video con il rapper e la sua musica e a seguire un tweet che lancia il festival Capri Hollywood dell’amico Pascal.

Il 14 ottobre George e Simona erano all’American Priority Conference, un festival sovranista che celebrava la ricandidatura di Trump nell’hotel di Trump con la presenza di Donald Trump Jr e Sarah Sanders.

La coppia si dava da fare postando insieme foto dell’orsacchiotto “Make America Great Again”. Poi George postava il suo endorsement a Trump davanti a ‘2.500 patrioti’ mentre lei, più prosaica, coglieva l’occasione per lanciare “alcune delle mie creazioni sulla passerella del Trump Doral Miami – puoi acquistare sul sito (link) grazie per il supporto #Trumpdoral #Miami #AMPFest2019”.

Prima delle foto dei costumi l’avvocatessa casertana lanciava però due tweet politici. Il primo era “Presidente to president” con il video della conferenza alla Casabianca nella quale Trump sosteneva davanti a Mattarella che bisogna investigare sulla possibile corruzione delle precedenti elezioni perché lui pensa che c’entri Obama e forse pure qualche 007 italiano.

L’altro post rilanciava lo speciale ‘Italygate’ di Atlanticoquotidiano, sito che in Italia fa eco ai megafoni americani della tesi del ‘complotto anti-Trump’. Tra un tweet con la foto della copertina del libro sulle fake news altrui di George (2 mila e 300 prenotazioni per la presentazione in Florida) e un post con l’intervista di lei alla Verità, c’è spazio per qualche tweet sui servizi occidentali che avrebbero da temere quando la verità sarà davvero svelata.

Guardare il ‘Russia-Gate 2 La vendetta’ come un film non è un modo di sminuirlo. In realtà spiega la particolarità di questo caso di spionaggio internazionale 2.0. E forse aiuta a comprendere meglio le sue finalità e la sua fine più probabile. Se fosse davvero stato scritto da uno sceneggiatore filo-Trump, la sua fine potrebbe essere l’uscita pubblica di un rapporto governativo che rappresenta una contro-verità ufficiale pronta da essere rilanciata da tv e social. Magari sarà una trama poco convincente per i lettori del Nyt e del Washington Post ma quelli tanto votano a sinistra. Il pubblico delle tv e del web invece potrebbe essere conquistato da questa narrazione pop. I protagonisti perfetti del film ci sono già.

Il cappio leghista sull’Arca di Craxi

L’Arca di Hammamet. Mancano meno di novanta giorni all’appuntamento col mare. Si salpa da Civitavecchia il 15 gennaio. La nave porta il popolo, due invece gli aerei già noleggiati dall’élite, e alcuni altri jet privati recapiteranno a Bettino Craxi le lacrime e la commozione degli amici più potenti e danarosi.

Il ventennale della scomparsa si trasforma in un quasi kolossal politico, e il comitato d’onore per le celebrazioni della vita e del pensiero del leader socialista, fuggito all’estero per sottrarsi al carcere, resistente alle condanne della giustizia italiana fino alla morte, giunta “in esilio” dopo una lunga malattia, chiama alla riabilitazione completa, alla decretazione finale di Padre della Patria.

Del resto nei giorni scorsi senza che nessuno glielo chiedesse a Giuseppe Conte è venuto in mente di tirar fuori “il Craxi di Sigonella”, quello che disse no a Ronald Reagan che pretendeva, in quanto americano, l’utilizzo della base aerea siciliana per i suoi aerei da combattimento, per illustrare la sua politica autonomista, gelosa della propria identità e dei suoi diritti. “Bettino si rivolta nella tomba” ha subito commentato Matteo Salvini, il padano che ieri inveiva contro e che oggi vede il meglio di quel peggio che la sua Lega illustrava al tempio del cappio in Parlamento. E infatti Giancarlo Giorgetti è atteso nel comitato d’onore, un’orchestra di 350 personalità, di ogni ordine e grado, che dovrà contenere la cornice solenne dell’anniversario. Invitato ad accettare l’invito a salire sull’arca e accogliere Craxi nel Pantheon anche Giorgio Napolitano, presidente emerito, e ora si attende l’adesione. Che è giunta naturalmente da Silvio Berlusconi, amico imbattibile, presente al cimitero nei tempi più tristi e che sarà ad Hammamet insieme a Fedele Confalonieri per suggellare non solo la storia ma la cura con cui Craxi ha seguito e un po’ agevolato l’avanzata di Fininvest sui teleschermi e l’approdo finale a regina della tv commerciale italiana.

Non è più tempo dei vecchi compagni d’armi, non più e non solo Ugo Intini e Claudio Martelli, Maurizio Sacconi e Renato Brunetta, ma Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri e Caterina Caselli, manager musicale di prima grandezza, e Eduardo Bennato e almeno un centinaio di deputati d’oggi svezzati al tempo del garofano, cresciuti grazie a Bettino e oggi mischiati nel Parlamento. Da Guglielmo Epifani in poi, lunga la lista di chi porterà un fiore, chiamati al ricordo, all’ardore di quel tempo, anche alla malinconia struggente.

Politici e cantanti, imprenditori e naturalmente giornalisti. L’ossequio a un uomo che diede al potere un timbro, un ritmo, anche un linguaggio. E quindi non poteva mancare Maria Giovanna Maglie, dalla narrazione cangiante e dal fiuto ineguagliabile (era del Pci quando l’assunsero all’Unità, del Psi quando l’assunsero in Rai. Poi di Berlusconi, e fece l’Isola dei famosi, quindi con Salvini, e stava per approdare in Rai come editorialista della sera). Maglie, tipica giornalista impressionista (l’impressione prima della precisione) è però saldata col lucchetto all’età craxiana. Bettino la fece assumere in Rai nel 1989, la Rai la fece dimettere nel ’92, scandalizzata per le note spese del suo ufficio di New York che costicchiava oltre la media. Archiviata perché inesistente l’accusa di truffa (provò che non aveva mai falsificato fatture), Maria Giovanna dovette dibattere e combattere a lungo per spiegare perché il suo ufficio costasse più di un miliardo e mezzo di lire all’anno, e solo l’acquisto dei giornali imponesse alla Rai un esborso mensile di due milioni e mezzo di lire e l’indirizzo di un informatore a note spese coincidesse con quello di un noto parrucchiere della Grande Mela.

La diatriba si chiuse con le dimissioni della Maglie, e tutto si acquietò. La vita continua e con lei altri colleghi (Sansonetti, Chiocci) celebreranno nel nome del garantismo l’eredità di quel tempo.

“Oggi tutto parla di Craxi”, dice Stefania, sua figlia, che anima la fondazione alla memoria. “Il presidenzialismo era la sua visione originaria, l’interesse a rivolgersi ai lavoratori autonomi anticipa il tema delle partite iva. Non parliamo della giustizia giusta”. Sarà un anno dedicato al pensiero di Bettino, un appuntamento al mese. Dodici iniziative tematiche che impegneranno nel ricordo tutto il 2020. “Nel sovranismo di oggi c’è tanto del carattere della sua azione, dell’orgoglio italiano di cui parla Salvini”, spiega Stefano Caldoro, chiamato alla tolda dell’organizzazione di questo viaggio.

Ad Hammamet si va. E proprio Hammamet è il titolo del film di Gianni Amelio che uscirà in quella settimana. Riuscitissima, sembra, l’interpretazione di Pierfrancesco Favino che in terra d’Africa alcuni mesi fa è sbarcato per le riprese, e quando la troupe ha avuto accesso alla villa del capo socialista, Amida, il suo fedele collaboratore domestico, chiamato soprattutto a curare le piante, gli amati carrubi, ha avuto quasi un mancamento. Gli è parso di rivedere il suo Bettino, gli è proprio sembrato che il signore che lo interpretava si muovesse come lui, fosse esattamente come lui, avesse cioè le stesse pause, gli stessi tic, gli stessi ardori e anche le medesime zone d’ombra. L’ira, a volte la superbia, altre la malinconica attesa del trapasso.

 

FOCUS

La caccia al tesoro scomparso
“Bettino Craxi è incontrovertibilmente responsabile dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento. La gestione di tali conti – si legge nella sentenza definitiva All Iberian – non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari”. I “fiduciari” erano Mauro Giallombardo, Giorgio Tradati, Silvano Larini, Gianfranco Troielli, Agostino Ruju, Maurizio Raggio, Miguel Vallado. Hanno movimentato negli anni un fiume di almeno 150 miliardi di lire, tra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi, Hong Kong. Nel 1993, scoppiata Mani Pulite, Maurizio Raggio viene incaricato di far scomparire i soldi, il quale svuota i conti in Svizzera e fugge in Messico con 40 miliardi, poi depositati su conti cifrati alle Bahamas, alle Cayman e a Panama. Tornato in Italia, dice di averne spesi ben 15 per la sua latitanza e di aver restituito il resto a Bettino Craxi, su conti svizzeri e olandesi. Resta del tutto nell’ombra il “sistema Troielli”: conti in Svizzera, Hong Kong, Bahamas. Mai svelati, perché le Bahamas e Hong Kong non hanno mai risposto alle rogatorie dei magistrati milanesi.

Gozi uno e trino: “Le Monde” scopre un contratto con Malta

Non bastava andare a lavorare per il governo francese. Ora si scopre che l’ex missino, ex prodiano, ex renziano, ora macroniano, Sandro Gozi, ha addirittura un contratto con il governo maltese. A rilevare l’ingombrante incarico è il quotidiano francese Le Monde. “Ama vantare il suo ‘approccio transnazionale’”, scrive il giornale francese che si chiede: “Questo significa spingersi fino a lavorare simultaneamente per diversi governi?”.

Gozi, infatti, dopo l’incarico di sottosegretario agli Affari europei diventa, piuttosto irritualmente, consulente del governo francese guidato da Edouard Philippe. L’allora vicepremier Luigi Di Maio lo aveva etichettato come “traditore dell’Italia”.

Ora si scopre che oltre all’incarico francese esiste un contratto di consulenza con Joseph Muscat, che guida il governo di Malta. La notizia è stata diffusa dal quotidiano maltese Times of Malta, partner di Le Monde. Il portavoce di Muscat conferma che Gozi, insignito dell’Ordine nazionale al Merito nel 2016, lavora per il premier maltese dal giugno 2018. L’incarico prevede la consulenza “su tutte le istituzioni e priorità europee nel ruolo, identico o simile, che ha avuto o ha con governi e istituzioni europee”.

Nel frattempo, però, Gozi è diventato consulente anche del governo francese. E dopo essere arrivato ventiduesimo alle elezioni europee nella lista francese En Marche!, si prepara a divenire eurodeputato non appena l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea lascerà liberi gli scranni inglesi a Strasburgo. Interpellato da Le Monde, Gozi ha cambiato più volte versione sull’argomento dicendo prima che tra i due incarichi “non c’è conflitto di interessi”. Qualche ora più tardi, però, rettifica spiegando che il contratto maltese è stato sospeso in seguito all’elezione europea con una lettera scritta a Muscat. A Le Monde, poi, ha assicurato che il premier Philippe era a conoscenza di tutto, ma poco dopo spiega: “Gli avevo detto di avere delle consulenze, ma non i dettagli su questo contratto”.

Ora i francesi hanno acceso i riflettori. Si tratta di capire se Gozi possa finire nel mirino dell’Autorità per la trasparenza della vita pubblica. Va anche sottolineato che recentemente i rapporti tra Macron e Muscat sono molto migliorati sia sul fronte delle politiche migratorie sia su quello politico generale. E questo, nonostante la disinvoltura fiscale della piccola isola o scandali più rilevanti come l’omicidio di Daphne Caruana Galizia. Ma “l’approccio transnazionale” di Gozi, per natura, non ha limiti.

Umbria, i giallorosa con le mani avanti: “Non è test su di noi”

Dalla Leopolda fiorentina all’Umbria che andrà al voto domenica, il passo è breve. Poco più di cento chilometri. I prossimi sei giorni, tutti gli occhi saranno puntati sull’ex regione rossa colpita dallo scandalo sulla Sanità, che a maggio ha travolto l’ex giunta Pd di Catiuscia Marini. È il rush finale, la settimana decisiva che si concluderà con il primo vero stress test per il governo giallorosa e il primo esperimento a livello locale dell’alleanza Pd-M5S.

Per questo, il leader della Lega Matteo Salvini ha buon gioco ad alzare la posta del voto: “Subito dopo le elezioni in Umbria ci saranno novità – ha minacciato ieri –, sarà il primo ceffone a una maggioranza che pensa solo alla poltrona e l’inizio di un percorso che coinvolgerà Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Campania. E voglio vedere se i signori Conte, Di Maio e Zingaretti faranno finta di nulla”.

Il premier Giuseppe Conte sabato a Perugia ha provato a sminuire (“La popolazione umbra equivale a quella della provincia di Lecce”, ha detto) ma difficilmente una sonora sconfitta dei giallorosa, come dicono gli ultimi sondaggi, non provocherà scossoni. Almeno sulla strategia in vista delle prossime Regionali. E per questo, dopo la visita del fine settimana, nei prossimi giorni in Umbria sbarcheranno tutti i big: da domani fino a venerdì scenderanno in campo anche Luigi Di Maio (da Gubbio a Bastia Umbra, passando per Trevi e Perugia) e il segretario pd Nicola Zingaretti in sostegno di Vincenzo Bianconi. Ci sarà, ça va sans dire, anche Matteo Salvini, che da un mese sta girando palmo a palmo la regione per provare a issare Donatella Tesei a Palazzo Donini. Chiusura di campagna elettorale: quella Terni governata dalla Lega che, più di Perugia, rappresenta il vero cuore umbro. Ieri, intanto, i due candidati governatori si sono scontrati in un forum al Messaggero prima di battere la regione per i comizi finali. Tesei ha puntato molto sul sistema di potere che la sinistra ha creato negli ultimi cinquant’anni: “Lo scandalo Sanità è stato solo la scintilla – ha attaccato Tesei –. I nostri giovani non trovano occasioni di lavoro in Umbria, devono andare via. Una volta la Sanità era attrattiva, si veniva qua a curarsi. Ora avviene il contrario”.

Bianconi, invece, è stato costretto più volte a difendere l’accordo Pd-M5S mettendosi sulla difensiva: “Il voto non avrà ricadute a livello nazionale – ha spiegato l’imprenditore di Norcia –. Non mi sento una cavia ed essere al centro di un percorso che potrebbe diventare un modello di buon governo anche per altre regioni mi stimola. Certo, quella tra Pd e M5S è una unione strana ma il nostro programma rappresenta una fusione di interessi con al centro gli umbri”.

Un concetto ribadito ieri da Di Maio stesso secondo cui Pd e M5S in Umbria vogliono “dare voce alla società civile e ai cittadini. È finita l’epoca delle coalizioni finte, nate solo per spartirsi le poltrone”. Un aiutino alla coalizione giallorosa è arrivato ieri anche dal governo che ha approvato in Consiglio dei ministri il decreto terremoto, nato dalle richieste dell’attuale governatore umbro Fabio Paparelli (Pd) a Conte nel giorno delle celebrazioni di San Francesco.

Due le novità: a tutte le imprese colpite dal sisma sarà abbonato il 50% delle tasse che non hanno pagato negli ultimi tre anni e l’altro 50% sarà restituito in dieci anni. Non solo: ai professionisti sarà dato un anticipo del 50% del compenso per i progetti di ricostruzione. “Ringrazio il presidente del Consiglio Conte – dice al Fatto Paparelli – ha mantenuto le promesse che aveva fatto ai cittadini umbri”. Nel centrodestra, invece, continuano le polemiche per il bilancio del Comune di Montefalco, governato fino a un anno fa da Tesei. Non solo esiste, come ha scritto il Fatto, ma è anche più profondo rispetto a quello che si pensava fino a pochi giorni fa. Invece degli 1,6 milioni certificati dal prospetto del 31 dicembre 2018, il revisore dei conti la scorsa settimana ha messo nero su bianco un disavanzo da 2.019.090,80 euro.

La “Signora dei Droni” da Torino a Chigi: molti spot e poco futuro

Piazza Castello, 24 giugno 2018: è la festa di San Giovanni, la notte dei fuochi d’artificio, una solida tradizione torinese. Per la prima volta nella storia della città però nemmeno un fischione: di fronte al Palazzo Reale si alzano in cielo duecento piccoli apparecchi luminosi. Sono droni. Volano in perfetto sincronismo, compongono figure fluorescenti: un toro, dei fiori, eliche, l’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci. La folla in piazza osserva silenziosa, puntati verso il cielo torinese si alzano centinaia di smartphone. L’effetto è piuttosto straniante.

L’ideatrice del nuovo spettacolo di San Giovanni è Paola Pisano, assessore alla Smart city della giunta Appendino. Da quella sera, per i torinesi, è soprattutto “la Signora dei Droni”, un soprannome che l’ha accompagnata nei mesi successivi fino alla sorprendente nomina di ministro all’Innovazione tecnologica nel governo Conte bis. Il giorno del giuramento al Quirinale in molti si sono chiesti chi fosse quella giovane donna vestita in modo eccentrico. Oscurata, se così si può dire, dall’abito blu elettrico di Teresa Bellanova, anche Miss Droni si è presentata dal capo dello Stato con un look impegnativo: camicia bianca e pantaloni larghi e scuri, con una stramba fantasia geometrica bianca, marrone e celeste.

Pisano ama vestire bene, o almeno in un modo che non passa inosservato. Ha 42 anni, l’aria giovanile, il piercing al sopracciglio. È sposata con Marco Toledo, l’imprenditore che ha acquistato (con i fratelli) la Carioca di Settimo Torinese, la fabbrica degli storici pennarelli colorati.

È una sportiva: tanta corsa, selfie da runner su Instagram, palestra almeno una volta alla settimana. Chiara Appendino l’ha portare in giunta dopo aver letto il suo curriculum. Tutto nei confini della sua città natale: studi in Economia e Commercio (laureata con 105 su 110), master in Business administration, dottorato in Economia aziendale. Poi carriera accademica sempre nell’università sabauda (con periodi di formazione a Londra), consacrata allo studio delle trasformazioni digitali, infine la nomina alla guida di un dipartimento ad hoc nell’ateneo: nel 2014 Pisano diventa direttore del Centro di Innovazione tecnologica multidisciplinare. Niente gavetta politica o esperienze amministrative nella sua biografia: il suo profilo pare uscito da una start up della Silicon Valley trapiantata sotto la Mole. Pisano, insomma, sprizza smartness e dinamismo da tutti i pori. Nel 2018, si apprende dalle sue biografie, si aggiudica il (supponiamo) prestigioso titolo di “Digiwoman” – donna più influente nel digitale – conferito dalla rivista Digitalic, risultando più votata financo di Samantha Cristoforetti e Milena Gabanelli.

Giovane, brillante, patinata, tecnologica. È sufficiente per guidare un dipartimento di Palazzo Chigi? Le si può affidare serenamente la trasformazione digitale dell’Italia? Secondo Luigi Di Maio, evidentemente, sì. È il capo dei Cinque Stelle che ha voluto la sua nomina. Pisano è molto considerata dai vertici del Movimento, che l’hanno fatta anche esordire a Ivrea, sul palco della convention di Roberto Casaleggio. Era stato sempre Di Maio a spingere per la sua candidatura da capolista alle elezioni europee, lo scorso maggio. La signora dei Droni decise di rifiutare, non proprio spontaneamente: la rinuncia fu suggerita dalla reazione furibonda del gruppo consiliare grillino (“Se va a Bruxelles non si sogni di fare anche l’assessore”). Alla fine, quando è arrivata la chiamata nazionale e Pisano si è convinta a tagliare il cordone ombelicale con la città, il suo assessorato è rimasto “in casa”: il successore designato è il suo più stretto collaboratore accademico a Torino, il professore associato Marco Pironti. Una scelta su cui non sono mancati mugugni e ironie tra gli stessi Cinque Stelle.

Diciamolo: Pisano in città non è popolarissima. Certo, ci sono i bei droni colorati della festa di San Giovanni (che però gli altri 364 giorni dell’anno restano parcheggiati in un deposito, anche la polizia municipale fa sapere che “non abbiamo l’autorizzazione per farli volare”).

C’è il prezioso progetto per sviluppare l’auto a guida autonoma, i cui primi test sono stati lanciati con grande risalto sulla pista ovale del Lingotto (ma poi che fine ha fatto?). C’è il bar con il cameriere-robot che prepara i cocktail della start up torinese Makr Shakr (carino, fondamentale, dopo qualche mese è stato spostato a Milano).

C’è l’innovativo sportello City-Lab al Comune di Torino, un “laboratorio di innovazione” pensato per promuovere e testare lo sviluppo di nuove tecnologie (ma è aperto solo su appuntamento, solo un giorno a settimana, solo due ore e mezza). Ci sono i Sanbot, le colonnine robot piazzate all’anagrafe per snellire i tempi di attesa e alleviare il lavoro dei dipendenti pubblici in carne e ossa.

È proprio qui che si consuma il vero disastro della Signora dei Droni: l’anagrafe di Torino versa in condizioni imbarazzanti. Altro che digitalizzazione: la città fatica a garantire i servizi essenziali. Caos, code che iniziano alle 5 di mattina, cittadini furibondi, tempi biblici (fino a 4 mesi) anche solo per la carta d’identità: scenari ormai ben noti ai frequentatori degli uffici sabaudi. Il problema, se vogliamo, non sono i robot, ma la carenza di personale in carne ed ossa. La signora dei Droni però è l’unica responsabile dell’idea non proprio oculata di “sperimentare” l’apertura di due sportelli liberi, dov’è possibile recarsi senza aver preso appuntamento. Il risultato è stato tragico.

Non si può non augurare in bocca al lupo al ministro Paola Pisano, geniale organizzatrice di spot ad alta intensità tecnologica, eccellente promotrice soprattutto di se stessa. Promette di “digitalizzare l’Italia” come ha fatto con Torino. Qualcuno fa già gli scongiuri.

 

Chi è
Prof-tecnologica
Paola Pisano è stata scelta attraverso il suo curriculum dalla sindaca di Torino, Chiara Appendino, come assessore alla “Smart city” e all’innovazione digitale. Prima di entrare in giunta, la sua carriera è stata tutta all’interno dell’Università di Torino, dove si è occupata di nuove tecnologie e trasformazione digitale. Nel 2014 l’ateneo sabaudo le ha affidato la direzione del Centro di Innovazione tecnologica multidisciplinare. A maggio, Luigi Di Maio aveva deciso di candidarla come capolista del M5S alle elezioni europee, ma Pisano ha rinunciato dopo le proteste dei consiglieri comunali del Movimento. Con la nascita del Conte 2, i Cinque Stelle l’hanno voluta come ministro dell’Innovazione digitale

L’ex socio di babbo Renzi e l’appalto delle Poste

A gennaio del 2017 il genovese Mariano Massone avrebbe chiesto l’intervento di Tiziano Renzi per l’azienda italiana Fulmine Group. Lo rivela La Verità, che ha pubblicato alcune mail e sms scambiate tra Massone e Renzi sr. Massone è finito in un’indagine della Procura di Genova sulla bancarotta della Chil Post: inizialmente era indagato anche Tiziano Renzi, la cui posizione poi è stata archiviata. Massone invece ha patteggiato una pena di 2 anni e 2 mesi. Ma è proprio nel cellulare del genovese che gli inquirenti fiorentini (i quali nel frattempo hanno aperto un fascicolo per traffico di influenze in cui risulta indagato Tiziano) hanno trovato mail e sms con il padre dell’ex premier. Il 5 gennaio 2017 Massone scrive: “Fulmine è già stabilmente fornitore, se spintaneamente arrivasse in Piemonte… o la Toscana.. o entrambe… belin bisogna svegliare Giacchi, non quaglia con Fulmine, ed è un tragico madornale errore”. Sentito dal Fatto, Massone smentisce, dicendo di non ricordare la mail. Il Giacchi citato potrebbe essere l’ex group chief financial officer di Poste Italiane. Di certo Tiziano conosce il dg della Fulmine, Alessandro Comparetto. Lo incontra infatti il 7 dicembre 2016 all’aeroporto di Fiumicino. La circostanza emerge dall’indagine Consip, in cui Tiziano Renzi è indagato per traffico di influenze (i pm hanno chiesto l’archiviazione, respinta una prima volta dal gip che ora deciderà al termine delle udienze in corso). Sentito il 20 marzo 2017 Comparetto spiegherà di aver chiesto un appuntamento con il padre dell’ex premier “per avere notizie sul suo interesse verso accordi commerciali con la società da me rappresentata”. Un mese dopo, quindi, arriva la mail di Massone. Secondo La Verità Renzi sr. risponde: “Non ho rapporti con Poste da quando mio figlio ha assunto incarichi di governo”. Non solo. Prima del patteggiamento a Genova, Massone avrebbe scritto a Tiziano: “Sono in un momento di incazzamento cosmico. Mi sono alzato con l’idea di non patteggiare”.

Malofeev: “Sì, Savoini trattava petrolio”. Moncalvo: “Salvini truccava note spese”

Matteo Salvini e Gianluca Savoini, il loro rapporto decennale, la Russia e soprattutto il caffè all’hotel Metropol del 18 ottobre 2018, dove Savoini con altre cinque persone progetta una compravendita di gasolio con acquirente finale l’Eni e dalla quale tirare fuori 65 milioni di dollari da fare arrivare nelle casse della Lega di Matteo Salvini in vista delle Europee 2019.

Il racconto è stato fatto ieri da Report su Rai3. Dove sono stati chiariti i rapporti tra la Lega, la Russia e l’estrema destra non solo italiana. Tra le parti salienti, un’intervista all’oligarca russo Konstantin Malofeev il quale a precisa domanda sull’incontro nel Metropol conferma che lo stesso Savoini lo ha descritto come una colazione di affari per “iniziare a parlare di petrolio”, cioè della compravendita tra una società russa e l’Eni (che nega tutto). Ma Malofeev rappresenta anche il legame con il movimento euroasiatico e risulta, secondo Report, uno dei grandi finanziatori dei movimenti sovranisti europei. Qui l’inchiesta giornalistica tratteggia i rapporti di Savoini, ad esempio, con l’estrema destra, confermati da Gigi Moncalvo ex direttore de La Padania, di cui Savoini e Salvini sono stati giornalisti. Lo stesso Moncalvo racconta di aver tentato due volte di licenziare Salvini, prima perché sarebbe risultato presente quando non c’era e poi per una nota spese ritenuta falsificata. “Diventerò sempre più potente”, gli rispose il futuro leader secondo il suo ex direttore. Tra le figure di rilievo c’è Maurizio Murelli, già coinvolto nel concorso dell’omicidio del brigadiere Antonio Marino avvenuto a Milano nel ’73, legato a Savoini e fondatore di Orion, associazione di estrema destra. Alcuni iscritti, per ammissione di Murelli, hanno preso la tessera della Lega. Estrema destra e movimenti ultracattolici, queste le direttive seguite dal Salvini neoeletto segretario.

È il 2013. Sarà Murelli a presentargli Alexander Dugin, il filosofo russo di idee naziste, citato più volte al Metropol. Report mette sul tavolo le carte che dimostrano come Malofeev negli anni abbia avuto rapporti diretti con le associazioni americane della destra ultracattolica. Una “santa alleanza”, che negli ultimi anni avrebbe finanziato associazioni simili in Europa per “far implodere l’unione europea”.

Quest’ alleanza si traduce nel World congress of families, riunitosi a Mosca nel 2014 e al quale ha partecipato l’associazione italiana Pro Vita di Alessandro Fiore, fratello del capo di Forza Nuova. Ancora una volta, estrema destra e legami anche con il presidente Usa Trump e con il suo ex coordinatore per la campagna elettorale Steve Bannon. Qui Report ieri ha squadernato alcune email di Federico Arata, il cui padre Paolo è considerato dai pm legato a Vito Nicastri, imprenditore vicino al boss Matteo Messina Denaro. Arata jr. scrive a Bannon presentandosi come “spin doctor della Lega” con il compito di favorire un asse russo-americano. Una email del senatore leghista Armando Siri, oggi indagato a Milano per autoriciclaggio, chiede la possibilità di avere un intervento video di Putin nella sua scuola di formazione politica.