Io so. Noi sappiamo. Basta con la retorica dei “misteri d’Italia”. Abbiamo indizi e anche prove che ci dicono chi mise le bombe. La strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 è stata compiuta dal gruppo fascista e filonazista Ordine nuovo, ben conosciuto e ben collegato con servizi segreti e apparati dello Stato, oltre che con strutture d’intelligence Usa.
I responsabili dell’attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura, come afferma una sentenza della Cassazione del 2005, anche se non possono più essere condannati perché definitivamente assolti per lo stesso reato nel 1987. L’unico di cui è stata riconosciuta processualmente la responsabilità è Carlo Digilio, militante di Ordine nuovo e informatore dei servizi Usa, che ha confessato il suo ruolo nella preparazione del 12 dicembre e indicato — seppur con elementi non ritenuti sufficienti a condannare — i suoi complici.
I dirigenti di Ordine nuovo sono il fondatore Pino Rauti (indagato ma poi uscito dall’indagine) e il capo del gruppo del Triveneto Carlo Maria Maggi (processato ma poi assolto). I militanti del gruppo sono, tra gli altri, Delfo Zorzi, Martino Siciliano, Massimiliano Fachini, Marcello Soffiati. Tutti indagati ma poi prosciolti. Responsabile di Avanguardia nazionale, il gruppo fascista e filonazista accusato di aver organizzato gli attentati a Roma contemporanei a quelli di Milano in piazza Fontana e alla Banca commerciale di piazza della Scala, è Stefano Delle Chiaie.
I responsabili degli apparati di Stato negli anni della preparazione della strage e delle indagini successive sono l’ammiraglio Eugenio Henke e il generale Vito Miceli (in successione direttori del Sid, il servizio segreto militare), il colonnello Gianadelio Maletti (ufficiale di stato maggiore della Difesa, in seguito capo del controspionaggio del Sid), il capitano Antonio Labruna (ufficiale del Sid) e i dirigenti dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato, Elvio Catenacci, Silvano Russomanno. I politici che avevano il dovere di controllare gli apparati erano in quegli anni i presidenti del Consiglio Mariano Rumor, Emilio Colombo, Giulio Andreotti, il ministro dell’Interno Franco Restivo, i ministri della Difesa Luigi Gui e Mario Tanassi.
Questo libro racconta la storia dell’ultima guerra italiana, una guerra “psicologica” e “non ortodossa”, come la definiscono i manuali di strategia militare. Una guerra asimmetrica combattuta tra il 1969 e il 1980: da una parte, un esercito segreto, senza divise e senza bandiere, che riteneva di combattere contro il Male, ovvero il comunismo nel Paese dell’Occidente posto al confine tra i due blocchi; dall’altra parte, cittadini inermi con l’unica colpa di trovarsi al momento sbagliato nel luogo sbagliato, una banca, un treno, una piazza, una stazione… In 15 anni, tra il 1969 e il 1984, in Italia sono avvenute otto stragi politiche dalle caratteristiche simili: piazza Fontana (12 dicembre 1969), stazione di Gioia Tauro (22 luglio 1970), Peteano (31 maggio 1972), Questura di Milano (17 maggio 1973), piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974), Italicus (4 agosto 1974), stazione di Bologna (2 agosto 1980), treno di Natale 904 (23 dicembre 1984). Centocinquanta i morti, oltre seicento i feriti. Tutte le stragi hanno caratteristiche comuni: per tutte, i responsabili sono stati cercati nei gruppi dell’estrema destra; in tutte, le indagini sono state inquinate dai depistaggi da parte di organismi dello Stato; tutte sono rimaste per molti anni senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli, senza esecutori, senza mandanti. Quasi tutte sono ancora oggi senza colpevoli, esecutori, mandanti. Protezioni, coperture e depistaggi istituzionali sono scattati anche per altri episodi, che hanno aggiunto altri morti e feriti: assassinii eccellenti, azioni del terrorismo nero, colpi di Stato tentati o minacciati, piani eversivi, attentati ai treni e ad altri impianti. Rallentate e depistate anche le indagini su alcune organizzazioni segrete: dalla loggia P2 alla rete Stay Behind in Italia (Gladio). Hanno trovato soluzione processuale definitiva le stragi di Peteano, di Bologna, di Brescia. Definitiva, ma non completa: mancano i mandanti, alcuni degli esecutori, molti dei complici. A raccontare questo conflitto segreto e mortale, in queste pagine sono — in diretta — i magistrati che hanno provato a fare le indagini sulle stragi e sull’eversione, restando quasi sempre sconfitti dai depistaggi e sommersi dalle accuse. Sì, perché un’altra costante di questa storia nera è il tentativo di delegittimare chi indaga su stragi, strategie eversive, gruppi occulti, lavorando con onestà e giustizia. Gli investigatori e i magistrati dei “grandi misteri d’Italia” hanno sempre trovato come avversari non soltanto i gruppi eversivi, ma anche pezzi di quello stesso Stato di cui si sentivano servitori. Hanno dovuto subire anni di vita blindata, minacce di morte per sé e per i familiari: e questo lo avevano messo in conto. Non avevano previsto, invece, gli attacchi più dolorosi e dirompenti, quelli ricevuti da altissime cariche istituzionali, capi dello Stato, ministri della Repubblica, pezzi importanti della magistratura, con il sostegno di poderose e ben orchestrate campagne di stampa. Come nel paese di Iberin raccontato da Bertolt Brecht i giudici sono stati trasformati in imputati e gli imputati in giudici. In questo mondo alla rovescia le vittime diventano colpevoli, i colpevoli vittime. I magistrati finiscono sotto procedimento disciplinare e spesso anche penale. Accusati di dar retta non ai fatti, ma ai pregiudizi ideologici e alle tesi precostituite.
Nel 1993 sembrava che il crollo in Italia della cosiddetta Prima Repubblica, seguito al crollo del Muro di Berlino nel 1989 e alla fine della divisione geopolitica del mondo in due blocchi contrapposti, potesse finalmente portare al raggiungimento della verità. Non fu così. Qualche passo avanti fu compiuto nel 2009, ma a quarant’anni da piazza Fontana la verità restava indicibile. Ora sappiamo, malgrado manchino le sentenze definitive di condanna e i nomi dei responsabili penali individuali. C’è stata una prima generazione di magistrati che si sono misurati con i “misteri” dell’eversione, da Giancarlo Stiz a Giovanni Tamburino, da Gerardo D’Ambrosio a Emilio Alessandrini… Non hanno ottenuto certo folgoranti risultati processuali, ma hanno spezzato le prime dighe, smascherato i primi depistaggi, raccontato i fatti, svelato i nomi delle persone coinvolte, raccolto una mole imponente di dati conoscitivi. È poi seguita una seconda generazione d’investigatori. Hanno svelato nuovi fatti, scoperto nuovi documenti, rintracciato nuove testimonianze, negli anni in cui cadevano i muri e sembrava che si potesse finalmente arrivare a conoscere la storia sotterranea d’Italia, da piazza Fontana alla strage di Bologna, dalla P2 a Gladio. Le sentenze hanno anche questa seconda volta deluso le speranze. Le stragi sono rimaste per lo più senza colpevoli e i tanti elementi che comunque sono stati raccolti non hanno portato ad affermare una storia condivisa: lo scontro ideologico è restato aperto e feroce. Una sentenza definitiva ha però permesso di individuare alcuni degli esecutori della strage di Bologna. Poi un verdetto storico ha indicato alcuni dei responsabili di quella di Brescia. Intanto nuove indagini e un nuovo processo a Bologna stanno aggiungendo elementi a ciò che già sappiamo. Non abbiamo, in molti casi, i nomi dei colpevoli, ma il disegno è ormai chiaro. Uno dei protagonisti di questa storia, l’ex magistrato Libero Mancuso, ripete: “Ci avete sconfitti, ma sappiamo chi siete”.