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A Draghi dovevano fare una domanda banale

Da piccolo mi chiamavano “Il signor perché” dato che chiedevo il perché per ogni azione o fatto che osservavo. Da grande continuo a farlo, e se fossi stato alla conferenza stampa di Draghi avrei fatto una semplice, banale domanda: “Perché non risponde alle domande sul Quirinale?”.

Aurelio Scuppa

 

Anche bus e tram pieni sono colpa dei No vax?

Solo per condividere con voi la situazione che esiste in molte realtà. Ci sono problemi enormi che non hanno a che fare con i no-vax. Sono d’accordo con Travaglio. Il Governo dei Migliori è quello dei peggiori. E in Toscana, a Firenze, i bus sono strapieni: nessun controllo e nessuna misura di sicurezza. Sono un sanitario e sono senza parole: le immagini parlano da sole.

Valentina Settimelli

 

Leggere il “Conticidio” per capire il giornalismo

Ho finito di leggere da poco, dopo un lungo “travaglio”, I segreti del Conticidio. Ne ho dedotto che il giornalismo italiano è il cane da guardia, al guinzaglio, della politica e non solo.

Antonio De Amico

 

Per Sala e Appendino, due pesi e due misure

Non capisco perché al sindaco di Milano, o al questore, non si imputi la responsabilità delle aggressioni, visto che piazza Duomo doveva essere chiusa per motivi di Covid. Per i fatti di piazza San Carlo, a Torino, la sindaca e i responsabili dell’ordine pubblico sono stati chiamati in causa.

L. Q.

 

L’interminabile massacro mediatico della Raggi

Mentre a Roma continua a dilagare l’immondizia, continuano ad aprirsi buche e a pascolare i cinghiali, gli attenti cronisti dei nostri giorni, cosa vanno a scovare? Ovviamente la Raggi che, in fila insieme a un milione di persone al giorno, faceva un tampone. Ormai abbandonati i servizi sui mezzi di trasporto stracolmi e inefficienti, mi sembra doveroso occuparsi di un tema nuovo, ovvero l’origine di tutti i problemi di Roma e dintorni: Virginia Raggi colpevole delle file in farmacia, della carenza di tamponi e perché no, anche della diffusione della variante Omicron. Mi chiedo quando terminerà questo massacro mediatico. Nel frattempo, io attendo di vedere rinascere Roma, come promesso.

Valentina felici

 

DIRITTO DI REPLICA

Desidero rispondere a Paolo Cognetti quando afferma che in Italia non sembrerebbe esserci un partito ambientalista degno di questo nome. Europa Verde, di cui ho l’onore di essere co-portavoce insieme ad Angelo Bonelli, è nata a luglio 2021. Un nuovo partito ecologista, europeista, femminista, pacifista nato a partire dalle radici storiche dei Verdi italiani – Federazione dei Verdi – per allargarsi alla società civile e a nuove energie ecologiste del nostro paese. Da mesi chiediamo le dimissioni del ministro Cingolani, anche attraverso una petizione. Abbiamo denunciato la mancanza di visione del Pnrr, l’ottusità sullo smart working del ministro Brunetta, il ritorno dei sogni di berlusconiana memoria del ministro Giovannini che ripropone il ponte sullo Stretto. Dai banchi del Parlamento europeo ho votato contro la riforma in salsa greenwashing della Politica Agricola Comune e ci batteremo affinché gas e nucleare non vengano classificati come investimenti verdi nella tassonomia Ue. Ancora, abbiamo vinto la storica battaglia, di cui mi sono fatta portavoce, per dire basta all’allevamento in gabbia, impegnando la Commissione a presentare una proposta legislativa entro il 2023. Ci siamo dotati di un Comitato scientifico per costruire un ponte tra politica e scienza. Anche se siamo un piccolo partito, i nostri 10mila iscritti si danno da fare. E nelle scorse elezioni amministrative di ottobre, Europa Verde ha eletto numerosi consiglieri comunali in molti comuni italiani e due sindaci, raccogliendo a Milano il 5,11% di voti. È vero, siamo ancora lontani dai numeri delle forze ecologiste di alcuni paesi europei. Sebbene, in pochi lo sanno, alle scorse elezioni europee Europa Verde ottenne il 10% dei voti degli italiani all’estero. Segno che non si tratta di un deficit di credibilità dell’offerta politica, piuttosto il contesto economico, culturale e sociale in cui si vive influenza il voto verde. Condivido la preoccupazione di Cognetti sullo stato dell’emancipazione femminile in Italia. Per questo non posso che ribadire la necessità di forze politiche come Europa Verde che si battono per una società ecologista e femminista, così come dichiarato anche nel nostro manifesto. Nonostante lo spazio a noi dedicato dai media sia pressoché nullo, sono certa che Europa Verde, anche grazie al sostegno di menti libere come quella di Cognetti, possa rafforzarsi e diventare un argine democratico alla deriva di sfiducia politica nel Paese.

Eleonora Evi

Green. “Basta parlare di centrali pulite: dove mettiamo le scorie?”

Caro “Fatto Quotidiano”, fin da ragazzo sono stato, e lo sono tuttora, contrario all’uso del nucleare per tanti motivi: primo, non mi fido dell’uomo quando gestisce cose che non riesce a controllare; secondo, perché il nucleare produce un inquinamento enorme e pericoloso per migliaia di anni attraverso le scorie.

Sarei contrario anche alle pale eoliche, ai pannelli solari, alle centrali idrauliche, ma almeno questi nell’immediato ci possono fornire energia pulita e si possono dismettere eliminando immediatamente il tipo di “inquinamento” prodotto.

Ricordo che mio bisnonno e pure mio nonno ci avevano lasciato la terra come l’avevano trovata: noi, la nostra generazione, non potremo mai farlo. E non mi parlate dei Paesi nordici – “loro sì che sono verdi, ambientalisti, hanno tutte le automobili elettriche…” –: anche loro hanno centrali nucleari che producono migliaia di tonnellate di scorie e non sanno più dove metterle. Hanno provato a sotterrarle in vecchie miniere di sale, ma ora devono rimuoverle tutte perché stanno inquinando le falde… e ancora una volta non sanno dove “ficcarle”.

Faccio notare poi che queste scorie, altamente pericolose per la vita, restano tali per migliaia e migliaia di anni: chiudiamole pure in un “sito” idoneo, mettiamo segnali di pericolo e istruzioni, ma fra 5.000 anni, quando ancora saranno pericolose, uno che per caso scopre il sito cosa farà? Conoscerà ancora i nostri simboli e la nostra scrittura? Anche se sono stati decifrati, non tutti sanno leggere oggi i geroglifici egizi (per non parlare dei Maya più recenti).

Ho paura che quando sarà più grande, mia nipote mi/ci maledirà. Non potrei darle torto.

Gianfranco Cagnoni

La democrazia “ribaltata” per la convivenza in casa “infetta”

In democrazia è la maggioranza che decide, anche se corrono tempi di Covid. E il rispetto delle decisioni prese, delle regole dettate garantisce la stabilità della situazione, i diritti di ciascuno. Eppure eppure. Si prenda il caso di questa famiglia, 5 componenti: madre, padre, due figli, il nonno materno in visita. Sul totale 4 presentano positività al virus, solo uno dei figli no, benché siano tutti trivaccinati. Ora, poiché si tratta di esseri umani ragionevoli viene indetta una sorta di assemblea familiare per mettere a punto i modi della quarantena. La questione è eminentemente logistica e riguarda la disposizione della casa: una cucina, una camera matrimoniale, una seconda per i figli dove è stato piazzato un divano letto per il nonno di passaggio. E un bagno solo. Che fare? Ricorrere alle regole della democrazia dove la maggioranza vince, non c’è altra strada. Ne discende che sarebbe antidemocratico confinare i 4 contagiati in un’unica camera lasciando all’unico negativo la libertà di scorrazzare per casa. Toccherà a lui invece rinchiudersi in una stanza dove verrà servito con tutte le precauzioni del caso come se lui, e non gli altri, fosse positivo. Naturalmente il resto del territorio domestico gli viene precluso onde evitare il rischio che uno sputacchio vagante veicoli anche in lui l’indesiderato ospite. Uso a obbedire, il giovanotto da qualche giorno non ha altro passatempo che leggere, passeggiare nella camera assegnata, ogni tanto aprire la finestra e raccontare agli amici che vede passare in strada la strana condizione in cui si trova. Due volte al giorno bussano alla porta per avvisarlo che fuori lo aspetta un vassoio debitamente disinfettato con pranzo e cena protetti in vaschette. Al problema dell’unico bagno infine ha pensato il nonno, vissuto in tempi in cui le case non avevano tutte quelle comodità e il pitale, infilato sotto il letto per decenza, era d’uso comune. Tempi tra l’altro, chiosa il nonnetto, non così democratici come gli attuali.

La privatizzazione del lockdown

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, com’è noto, prima di essere il nonno della Repubblica fu, da dirigente del Tesoro, uno dei protagonisti della stagione delle privatizzazioni negli anni Novanta. La privatizzazione è un po’ una sua fissa e a questo giro – rimasto poco da vendere del patrimonio dello Stato (ma non disperiamo, qualcosa troverà) – ha addirittura privatizzato il lockdown. Formalmente, infatti, è quasi tutto aperto: negozi, cinema e teatri, scuole e ovviamente fabbriche e uffici che sennò Brunetta piange. In realtà molti di questi non sono aperti affatto: con due milioni di positivi ufficiali e quarantene a grappolo, molte attività a conduzione familiare sono chiuse, molte classi a casa, molti luoghi di lavoro – ospedali compresi – funzionano a singhiozzo, i cinema sono vuoti e il commercio vede la metà quando non un terzo dei clienti. Ormai siamo ben oltre il “convivere col virus”, si lasciano correre i contagi – scelta legittima che andrebbe però dichiarata –, ma lo si fa tenendo in piedi tutto il sistema burocratico e dei divieti, alcuni sempre più irrazionali, che serviva a regolare chiusure e riaperture: cos’è di fronte ai numeri odierni il Green pass se non il diritto di un singolo a contagiare più di un altro? E così non abbiamo né il laissez faire alla Boris Johnson, né chiusure totali o parziali, imposte dallo Stato e accompagnate da misure di sostegno economico: abbiamo invece milioni di lockdown individuali, frutto di costrizione o di scelta, di cui il governo si lava le mani pur essendone di fatto responsabile. Bisogna pur dire che Draghi aveva illustrato bene il suo programma nel corso del 2020: in un futuro non troppo lontano, spiegò a Rimini in estate, “i sussidi finiranno” e più di qualcuno dovrà vedersela brutta, perché – e qui passiamo al rapporto di dicembre del Gruppo dei 30 – bisogna “permettere alle forze di mercato di guidare, almeno parzialmente, il sostegno economico futuro”. Ecco, parzialmente il governo e parzialmente il mercato: il primo ti tiene fermo e il secondo ti mena, al solito. Se non è ordoliberismo, magari è un’ordalia…

Chi omaggia Sassoli non può votare B.

Il discorso in memoria di David Sassoli, pronunciato ieri a Montecitorio da Giorgia Meloni appartiene al codice della buona e corretta opposizione. “Un politico serio, un uomo perbene, una persona abituata a combattere con fermezza per difendere le sue idee ma sapeva farlo, con il sorriso, con la gentilezza, ascoltando le posizioni dell’altro”, ha detto la leader di FdI. Che parlava di un “avversario”, di un esponente di primo piano del Pd. Averne saputo riconoscere, dai banchi della destra, “la capacità e la lealtà” non è cosa a cui eravamo abituati nel clima di scontro volgare tra i partiti. C’è chi scrive che con le sue qualità Sassoli avrebbe potuto essere un eccellente presidente della Repubblica. E anche se ciò può sembrare un omaggio tardivo, la sua scomparsa ha avuto l’effetto, quasi miracoloso, di unire l’intero arco parlamentare nella condivisione di alcuni valori umani, prima ancora che politici. Anche Matteo Salvini sembra averlo compreso a giudicare dalle ultime proposte avanzate per non spaccare il quadro politico nel muro contro muro, alla vigilia della corsa al Quirinale. Se questo spirito del tempo difficile, vissuto da un Paese sfibrato dalla pandemia e stufo dei personalismi arroganti, è stato davvero intercettato dai due giovani leader della destra non si comprende come essi possano dare ascolto alle profferte di un anziano signore che, come può capitare nella senescenza, vuole la luna. Nel film, Vogliamo i colonnelli, c’è un vetusto generale che fa i capricci e batte i piedi perché al posto della minestrina chiede un piatto di pasta “Combattenti”, storico marchio del tempo. Questo qui batte i piedi e pretende il Quirinale. A parte ogni altra considerazione sulle risate mondiali della barzelletta di Berlusconi sul Colle, non ci spieghiamo come due giovani leader che, comunque la si pensi, vivono con i piedi ben piantati nella realtà, possano semplicemente immaginare una candidatura così fuori contesto (e così fuori di testa). Addirittura deleteria per una destra impegnata a dimostrare di essere finalmente matura per governare il presente e il futuro della nazione. Dire di sì a Berlusconi significa precipitare l’Italia nel passato più avvilente. Dirgli no può aprire una nuova stagione. Per tutti.

Progressisti, non rinnegate le battaglie anti-nucleare

Nucleare e gas nella tassonomia verde europea: trattasi non di questione tecnica bensì politica. Quanto sia mistificante affermare che le due fonti energetiche possano essere inserite nella tassonomia è stato già spiegato dalle associazioni ambientaliste e da alcuni scienziati: il nostro Nobel Giorgio Parisi ha definito il nucleare vecchio più del transistor. Ma è utile gettare uno sguardo più lungo e sottolineare che tale inganno va insieme con l’abusato impiego di riferimenti all’ecologia per una quantità infinita di cose che ecologiche non sono. Questa modalità di procedere è funzionale a distrarre dalle vere responsabilità e dalla mancanza di interventi macro-sociali dei governi e degli organismi sovranazionali. Si crea in tal modo una visione smorzata e superficiale della transizione ecologica, secondo la quale basta fare qualche aggiustamento.

Hanno stupito alcune lentezze della politica italiana nel reagire al possibile inserimento delle due fonti energetiche nella tassonomia verde. Lentezze sul grande tema “ambiente” sono preoccupanti data l’emergenza climatica che viviamo. Ancora di più lo sono quando vengono dall’ambito delle forze dette progressiste perché nessuna di essa può considerarsi estranea alla stagione di contestazione antinuclearista degli anni 70 e 80, che costruì nel nostro Paese una cultura ambientalista accresciutasi fino al travolgente impegno delle generazioni più giovani, i Fridays for future. I partiti erano favorevoli al nucleare, ma non lo era la maggior parte dei loro iscritti che contrariamente alle direttive dall’alto costruirono quel movimento. Dimenticare di avere appartenenza anche a quella pagina di storia contribuisce a disamorare dalla politica i cittadini, ormai molto sensibili all’ecologia, e porta direttamente all’ulteriore allargarsi dell’astensionismo.

L’anno è dunque cominciato male per la tutela dell’ambiente. E, se ci poniamo dal punto di osservazione della memoria storica, mistificazione e lentezza sono ancor più gravi perché quest’anno cade un cinquantenario importante, quello della prima Conferenza Onu sull’ambiente, “Una sola terra”, che si svolse a Stoccolma e quello della pubblicazione del rapporto del Club di Roma, “I limiti dello sviluppo”, che apportò un contributo sostanziale alla maturazione del pensiero ecologista ponendo lo sviluppo al centro della sua critica.

La soluzione del problema energetico per l’umanità è ovviamente imprescindibile, ma rimettere in discussione assunti che dovrebbero essere definitivi, quali la pericolosità del nucleare e la sua natura per nulla green, provocando una polemica continua è dannoso perché allunga i tempi dell’approdo conclusivo alle energie rinnovabili e confonde le idee su cosa sia la transizione ecologica. Essa non è soltanto la soluzione del problema energetico per bloccare il cambiamento climatico, ma è più articolata; per una vera svolta verso una società sostenibile bisogna intervenire su rifiuti, agricoltura, produzioni industriali e loro modalità, allevamenti, tutela della natura selvaggia e della biodiversità, consumo dei suoli, inquinamenti. Si tratta di una vera e propria mutazione nell’organizzazione delle nostre società.

Insomma, la vicenda della tassonomia verde ci ricorda ancora una volta che occorre essere vigili affinché non si affermi quell’ecologia di comodo, che pur nominando l’economia circolare trova poi nel concreto giustificazioni e manipolazioni per lasciare l’economia di mercato senza correzioni.

(Autrice di “Prometeo a Fukushima. Storia dell’energia dall’antichità a oggi”. Einaudi)

 

Obbligo vaccinale, perché è sbagliata la strada del decreto

Mercoledì scorso il Consiglio dei ministri si è riunito per varare nuove misure di contenimento dell’epidemia, fra cui le nuove regole per la scuola e l’obbligo di vaccinazione per chi ha compiuto cinquant’anni. Il decreto è stato pubblicato sabato in Gazzetta Ufficiale e solo dopo la sua entrata in vigore il presidente del Consiglio e i ministri competenti – Istruzione e Salute – si sono presentati alla stampa per spiegare le misure. Precisamente lunedì sera. Mario Draghi si è scusato per il ritardo con cui ha parlato e ne prendiamo atto, con il rispetto che si deve alle istituzioni, le quali essendo incarnate da esseri umani possono anche sbagliare. Certo, questa considerazione urta contro il dogma della natura divina di Mario Draghi, ma non ci siamo mai iscritti alla setta. E dunque ci permettiamo di far notare che in questa vicenda dell’obbligo vaccinale ci sono molti errori.

Il primo è di forma (ma sappiamo che in queste faccende la forma è sostanza) e riguarda la scelta di statuire per decreto l’obbligo e relative sanzioni. Qualcuno obietterà che vista l’emergenza, il decreto è la giusta forma: se non si ravvisano ora i requisiti di “necessità e urgenza”, quando? Si potrebbe contro-obiettare che siamo in emergenza da due anni e che siamo uno dei Paesi più vaccinati al mondo, con quasi il 90 per cento della popolazione con almeno una dose. Senza voler notare che Pfizer un paio di giorni fa – non manca, a questi signori, un senso dell’umorismo vagamente sinistro – ha annunciato che il vaccino per Omicron, la variante ora dilagante, sarà pronto in marzo. I vaccinati si ammalano, anche se in misura meno grave, ma è vero che almeno per ora premono in maniera meno importante sul sistema sanitario (che deve essere l’unica preoccupazione di chi governa, visto che alla tutela della propria salute, in un sistema democratico e stando alla Costituzione vigente, ognuno pensa per sé). Torniamo al decreto, atto che deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, pena la decadenza di tutti gli effetti (le Camere possono, ma anche no, farli salvi). Dunque c’è la possibilità che il decreto non venga convertito: in questo caso che si fa? Si ritira la siringa? Non succederà ma – come per lo stato d’emergenza – lo facciamo notare perché l’obbligo, in questi modi e tempi, rischia di essere un ulteriore fattore di lacerazione sociale. Perché non si è scelta la via maestra, quella di una legge discussa in Parlamento? I partiti, così, si sarebbero presi la responsabilità politica della decisione di fronte ai cittadini. È la strada scelta dalla Germania, Paese a cui guardiamo con una deferenza non sempre motivata, dove il Bundestag a febbraio comincerà la discussione sull’obbligo (oggi in vigore in una manciata di Nazioni in tutto il mondo). Il cancelliere Scholz si è dichiarato a favore dell’imposizione e due giorni fa ha detto una cosa che ci sarebbe tanto piaciuto sentire anche in italiano: tutti i preparati ammessi in Germania sono validi e per gli scettici ora c’è anche un vaccino non m-Rna. Un modo inclusivo di convincere la popolazione, l’opposto di quel che sta accadendo qui, dove un minuto dopo la notizia dell’obbligo è cominciata un’oscena sarabanda di media e social contro le multe, troppo basse. Non è a suon di multe che si convincerà chi non si è vaccinato (due milioni di over 50 circa, di cui certamente una parte è immunizzata per aver contratto il virus durante le ultime settimane, in cui il sistema di tracciamento è andato in tilt) a farsi la puntura: scaricare le colpe su una piccola parte di popolazione è un atteggiamento indegno delle istituzioni più alte della Repubblica o forse, parafrasando il premier, non “accettabile”.

 

La sinistra debole si è già arresa al Mattarella bis

Tra gli ottimi argomenti con cui ieri su questa pagina Franco Monaco (che gli è amico da sempre) si è espresso contro un settennato bis di Sergio Mattarella al Quirinale, ce n’è uno su cui vorrei insistere. E lo faccio nella convinzione che, giunto a fine mandato, il capo dello Stato lo abbia ben presente, anche se non può dichiararlo con la brutalità concessa a un semplice opinionista. Ma avete presente quale messaggio giungerebbe alla cittadinanza – anzi, già arriva, per il solo fatto che diversi leader politici e giornali dell’establishment la raccomandino come soluzione ideale – dal mancato ricambio al vertice delle istituzioni? Lo traduco in soldoni: “È mai possibile che i politici non siano capaci di adempiere a una successione decente? Davvero l’Italia ha una classe dirigente così meschina e tremebonda da preoccuparsi solo di tirare a campare con una proroga mascherata, confidando che sia Mattarella, fra qualche anno, a togliere il disturbo?”.

Ci sentiamo ripetere che la soluzione del Mattarella bis sarebbe resa vantaggiosa, se non addirittura obbligata, dalla grave emergenza Covid. La stessa pandemia che ha già offerto il pretesto di rinviare un paio di turni elettorali amministrativi (e speriamo che nessuno proponga lo stesso anche per i 1.009 grandi elettori convocati il 24 gennaio prossimo). Questa idea tutta solo italiana di scadenze prorogate – pardon, il 24 dicembre scorso sono state rinviate anche le elezioni che dovevano tenersi in un Paese confinante: la Libia – non ha trovato applicazione in altri Paesi alle prese con la nostra stessa emergenza. Nel 2021 gli Usa hanno rimpiazzato Trump, in Israele hanno sostituito Netanyahu, in Germania il dopo Merkel è cominciato nel pieno della bufera dei contagi. Solo da noi circola questa idea balzana di congelare gli incarichi. Colpisce che a farsi paladini della conservazione dello status quo siano i portavoce di forze che si vorrebbero progressiste: il Pd e il M5S. “Il giorno in cui Mattarella lasciasse il Quirinale sarei triste”, va ripetendo Enrico Letta. Non si tratta solo di un’espressione di riguardo, com’è chiaro. Somiglia molto a una dichiarazione di impotenza. Anche se non raggiunge il tasso di ipocrisia degli editorialisti secondo cui, per mantenere “il binomio Mattarella-Draghi” basterebbe esercitare nei prossimi giorni un’affettuosa pressione sul presidente acciocché egli receda dal suo “desiderio di tornare alla vita privata”. Fanno finta di non capire. L’avvertimento giunto a più riprese da Mattarella non è una scelta personale. L’anno scorso il presidente si era già spinto fino al limite estremo del suo mandato costituzionale escludendo lo scioglimento delle Camere e portando Draghi a Palazzo Chigi. Ma ora lasciarsi coinvolgere, al vertice supremo, in una imbarazzante replica di quel discutibile “stato d’eccezione” sarebbe in contrasto con una regola democratica talmente ovvia che non c’era bisogno di scriverla in Costituzione: nessuno è indispensabile. Qui si affaccia la seconda parte del ragionamento che Mattarella non può rendere esplicito, ma che di sicuro lo preoccupa: se di nuovo, come già nel 2013 con Napolitano, un Parlamento senza bussola si aggrappasse per disperazione al raddoppio di mandato, ciò alimenterebbe tra i cittadini l’illusione che per uscire dal pantano l’unica scorciatoia possibile sia un uomo (o una donna) forte. Davvero è necessario chiederselo: dopo un secondo bis di anziani presidenti, chi farebbe capolino nei saloni del Quirinale? Aumenterebbe la pressione di chi s’illude che un capo decisionista – politico, mediatico, finanziario o con la divisa, fate voi – possa rimediare a strattoni il degrado della classe dirigente. La democrazia vive di continua rigenerazione, di ricambio, di capacità di guardare avanti. Altrimenti si ammala.

È improbabile che la pressione esercitata dal centrosinistra per la riconferma di Mattarella vada a buon fine; ma resta comunque il segnale di una politica inceppata. A destra non hanno di questi problemi: per loro candidare il plutocrate ottantacinquenne Berlusconi, sfidando il grottesco, comunque vada a finire rimane un potente richiamo al passato nel quale far confluire le proprie energie vitalistiche. Non sottovaluterei la minaccia di uscire dal governo di unità nazionale fatta circolare da Berlusconi; né la pretesa di Salvini di imporre un “presidente di centrodestra” (altro che presidente super partes). Per ragioni anagrafiche l’uno e per una collezione di infortuni politici il secondo, si tratta di leader che potrebbero essere tentati di dare una spallata agli equilibri politici pericolanti. Non sarebbe certo la prima volta. Illudersi che di fronte a questa offensiva il centrosinistra possa trovare riparo trincerandosi dietro al “binomio Mattarella-Draghi”, non solo trasforma i progressisti in conservatori, ma calpesta le speranze di rinnovamento dei suoi elettori.

Asteroidi al formaggio, nudisti al sole e tappeti al Quirinale

E ora, per la rubrica “Ultime notizie”, le ultime notizie.

Quirinarie. Berlusconi vuole diventare presidente della Repubblica. Fatto il ricattino, una specialità della casa (“Con Draghi al Quirinale, Forza Italia via dal governo”), tutta Mediaset è partita con le grancasse in stile peronista (non dico che Mimun sia schierato, ma Berlusconi lo detrae dalle tasse come maggiordomo). Se non capisce l’antifona, ancora una settimana e Draghi sarà meno popolare dell’Isis.

Berlusconi, arrivato l’altroieri a Roma, si è messo subito a tormentare Mattarella. “Questi tappeti li lasci? Dov’è l’aria condizionata?”.

Già pronto il discorso d’insediamento: “Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi. Chiedete che cosa voi potete fare per me”.

E Draghi pare aver capito benissimo l’antifona. Nella conferenza stampa dell’altro giorno aveva l’aspetto di un ostaggio abbacchiato portato davanti alle telecamere per mostrare come è stato trattato bene.

Influenza aviaria in Italia. Allarme per i trecento focolai in cinque regioni. Come si fa a stabilire se un volatile ha l’influenza aviaria? Vola a pancia in su e ha un termometro nel culo.

Londra. Una donna era morta da due anni, ma hanno scoperto il suo corpo senza vita davanti al televisore acceso solo perché un agente è passato a sequestrare l’appartamento, dato che la donna non pagava le bollette. La domanda a questo punto è: di che marca è quel televisore? Sarebbe un claim fantastico: “Morite pure davanti ai nostri televisori, dopo due anni funzionano ancora!”.

Pakistan. Un pluriomicida è stato condannato a essere strangolato, decapitato, tagliato in cento pezzi, bruciato su una graticola e poi sciolto in una vasca d’acido a causa dei suoi crimini. E questo era il patteggiamento.

Ambiente. Nudisti entusiasti del riscaldamento globale. Invocano più inquinamento, meno foreste. In una notizia correlata, le compagnie petrolifere hanno annunciato che dovranno aumentare i prezzi della benzina perché non hanno ancora tutti i nostri soldi.

Space X. L’azienda spaziale di Elon Musk esplorerà con una sonda l’asteroide 7482, che il 18 gennaio passerà a quasi 1,9 milioni di km dalla Terra viaggiando a oltre 75mila km orari. “Da alcuni dati, pare sia una gigantesca crêpe al formaggio. Se l’ipotesi fosse confermata, potremmo sfamare la Terra per secoli”, ha dichiarato Musk, un orecchio sporco di dentifricio. Il passaggio dell’asteroide 7482 ha invece irritato Jeff Bezos: “Adesso dovrò cambiare il pin del mio bancomat. Che due coglioni!”.

Diletta Leotta fa causa alla Nasa per le foto nude scattate dal telescopio Hubble.

Non sprechiamo gli antivirali

Habemus antivirali! Sono arrivati, ma il silenzio ci circonda. Lo stesso clima vissuto con l’arrivo dei monoclonali. Questi ultimi sono stati autorizzati con tali limitazioni da creare persino un esubero di dosi poi donate alla Romania. Eppure abbiamo avuto notizie di successo nella cura di personaggi famosi, primo fra tutti l’ex presidente Usa Donald Trump. In Italia solo poco più di 1.500 pazienti (non blasonati) ne hanno potuto usufruire. Non vorremmo che ciò accadesse anche per gli antivirali. Due sono i farmaci autorizzati, il molnupiravir, somministrabile per via orale e il remdesivir, somministrabile per via endovenosa, entrambi domiciliari. Il trattamento consiste rispettivamente in due compresse al giorno, per cinque giorni e in un’endovenosa per tre. La disamina degli studi effettuati è stata pubblicata sulla rivista Diabetes Metab Syndr. Efficacia nella guarigione da Covid, pari al 91%, effetti collaterali di nessun rilievo. La terapia, secondo la consulenza emessa dal Comitato per i medicinali a uso umano dell’Ema, dovrà cominciare “il prima possibile” dopo la diagnosi, ed “entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi. L’antivirale – si legge nella determina dell’Aifa – va impiegato nei pazienti adulti over 18 non ospedalizzati con malattia lieve-moderata”. Benvenuti, attesi antivirali, ma restano alcuni quesiti che speriamo trovino risposta. Perché, visto che non hanno effetti collaterali, non possono essere assunti senza limitazione di fattori di rischio? Potrebbero essere dati gratuitamente ai soggetti a rischio e a pagamento per chi non dovesse rientrare in questi parametri. Ricordiamo che un ciclo terapeutico costa circa 800 euro e l’ospedalizzazione tra i 4.000 e i 5.000 euro al giorno! Perché il medico di medicina generale o il medico Usca non possono, oltre che individuare il paziente, prescrivere la terapia? Dover comunque ricorrere all’ospedale per la prescrizione, fa perdere tempo utile per il paziente e per il sanitario, che è già impegnato da notevole attività ospedaliera. Siamo proprio sicuri che queste terapie siano state benvenute dalle istituzioni sanitarie?

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano